Affreschi gastronomici, la cultura del cibo nell'Europa del '400
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Anteprima del libro
Affreschi gastronomici, la cultura del cibo nell'Europa del '400 - Elisabetta Carli
letto
Affreschi
gastronomici
La cultura del cibo nell'Europa del '400
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Orazio, Libro I, ode 37
Amici...
Mi piace sentire il suono delle voci che provengono dalle cucine, dal rumore dei piatti, dallo sfrigolare del burro, dall'aria calda che ne esce.
Leggendo questo libro, mi sento trasportata in quelle cucine del passato, ma rivedo anche me stessa tra i fornelli con mia nonna, e la mia bimba pasticciare con un preparato al cioccolato.
La cucina ed il cibo, sono eterni, magici.
Tutto ciò che il passato ci ha insegnato, terre lontane, spezie preziose, salse gustose, le continuiamo ad usare oggi in un mondo pieno di color diversi, terre esplorate, uomini in viaggio.
La storia e' il grande libro di cucina dove tutti i Paesi e le culture scrivono le voci delle cucine, lasciano ingredienti e profumi, che tutti possono leggere, sicuri .
Maria Elena Curzio, presidente dell'Associazione Nazionale Cuoche a domicilio.
Due parole su di me
"Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario, per riuscire, di nascere con una cazzarola in capo; basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi", Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, 1891
In questi anni molte persone mi hanno chiesto da dove nasca la mia passione per la cucina. A questa domanda non so rispondere. Non riesco a ricordare la prima volta che ho imbracciato un mestolo e neppure che sapore avesse la mia prima torta. So che impastare, amalgamare, frullare, rompere uova mi ha sempre dato una grande gioia. E quello che mi piace è l'idea dell'atto creativo, di plasmare con le proprie mani qualcosa di unico e prezioso da donare alle persone che amo, a cui voglio bene, a cui tengo.
Al contrario, so esattamente quando è nata la passione per il Medioevo. Avevo 6 anni e cominciavo a leggere le favole di Perrault: leggevo di castelli incantati, di principesse addormentate, di principi azzurri su cavalli bianchi e ne rimanevo affascinata e stregata; per me il Medioevo era quello e dopo anni e anni di studio, di esami universitari, ricerche e letture serissime di grandi storici e cattedratici, temo che in fondo lo sia anche adesso. Forse è per questo che sto ancora aspettando il Principe Azzurro...
Tanto per sapere...
"L’arte della cucina è antichissima quanto l’uomo: ella ebbe culla dai voluttuosi asiatici; venne poscia coltivata dai greci che la trasmisero ai romani, ove i cuochi divennero ben tosto persone ricercate, ben ricompensate dell’arte loro, e di grande importanza. Fu quindi in Italia ove diesesi principio alla buona cucina… Ovunque colvansi l’arte della cucina è indizio di progresso e felicità sociale."
I primi ricettari scritti in Italia sono da datarsi alla fine del 1300. Il più importante di questi è senz'altro il Liber de Coquina
scritto in latino da un anonimo cuoco, probabilmente in area meridionale. Segue poi una lunga teoria di manoscritti che in qualche modo copiano o, meglio, trascrivono e reinterpretano molte di queste ricette.
Il filo rosso che unisce tutti questi testi è dato dal fatto che essi suggeriscono una cucina internazionale con piatti che si ritrovano simili, se non identici, nei manoscritti francesi o inglesi. Oggi va molto di moda la cucina a chilometro zero, con prodotti del territorio: questo concetto è assolutamente fuori dagli schemi dei signori medievali i quali, al contrario, si gloriavano del fatto di avere abbastanza denari per potersi permettere fragole a gennaio o pesce fresco a 500 km dal mare, oppure di consumare la stessa identica zuppa che avevano mangiato a Parigi. Semmai erano i contadini che mangiavano come piace a noi naviganti del XXI secolo, non avendo essi a disposizione ricchezze da sperperare e mangiando solo ciò che cresceva nel misero orto, quasi tutti vegetariani poiché la carne era un lusso destinato a pochi.
Dunque questi manoscritti esprimono una cultura già chiaramente definibile come italiana, pur muovendosi in una logica più ampia, di ambito europeo: il modello di cucina suggerito da questi testi non è di tipo locale bensì internazionale, una sorta di
koiné" con molti punti in comune e ricette ricorrenti nelle varie regioni d'Europa.
I primi ricettari di cucina italiani compaiono alla fine del Medioevo, nel XIV sec. Quello che è interessante è che essi non esprimano una cucina locale, bensì, oggi diremmo, internazionale, con ricette che ritornano quasi identiche nei ricettari inglesi o francesi dello stesso periodo. Il cuoco che portava in tavola questi piatti conosciuti e familiari anche all’ospite che veniva da lontano, rendeva un ottimo servizio al suo padrone, che, anche attraverso il cibo, aumentava il proprio prestigio. Detto questo, va però ricordato che esistono anche ricette con nomi che ricordano una regione o un paese, che hanno cioè una precisazione geografica: i fagioli di Treviso, la tria genovese, il sale di Sardegna…A queste denominazioni non possiamo dare troppo credito. In tanti casi deve essersi trattato di intitolazioni occasionali o celebrative, scarsamente legate alle tradizioni locali di cucina: così, ad esempio, Gianni Rebora ha sostenuto che la torta lavagnese
non è una preparazione gastronomica di tradizione ligure, ma un piatto destinato a celebrare l’ascesa al soglio pontificio di Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna." Massimo Montanari, op. cit.
I ricettari che fanno parte della famiglia del Liber de Coquina sono:
Anonimo meridionale I e II, databile tra la fine del XIV sec.e l'inizio del XV sec.
Anonimo Toscano I o Libro della Cocina, e Anonimo Toscano II o Libro di cucina, databili alla fine del 1400
Anonimo Veneto o Il libro per cuocoscritto in veneziano e edito da Ludovico Frati a Livorno nel 1899 con il titolo Libro di cucina del secolo XIV ; forse copia di un originale senese del 1300
Frammento di un libro di cucina del secolo XIV, pubblicato da Olindo Guerrini a Bologna nel 1877, per essere offerto al poeta Giosuè Carducci come regalo per il matrimonio di sua figlia Laura. Il manoscritto originale, scritto in toscano, è stato ritrovato in un codice della Biblioteca Universitaria di Bologna
A questi vanno aggiunti:
Anonimo Fiorentino compilato a Firenze tra il 1338 e il 1339
Anonimo Lucano compilato da Anton Camuria il 3 agosto 1524, ma con ricette che rispecchiano una cucina più antica di almeno cent'anni
Anonimo Napoletano, compilato nell'Italia meridionale alla fine del 1400
Anonimo Padovano, ultimato forse nel 1497 o nel 1475
Buone e dilicate vivande, della fine del 1400
Liber Coquinarum Bonarum,scritto forse da un medico di Assisi tra il 1430 e il 1439 e trascritto nel 1481 a Bergamo da un amanuense strasburghese.
Resta da citare solo da ricordare un documento proveniente dall'Abbazia di Morimondo ad Abbiategrasso del XIV sec., che contiene ben 155 ricette.
A questi si affiancano anche testi stranieri: il "Form of Cury", ricettario inglese scritto tra il 1377 e il 1391 attribuito al cuoco di corte del re Riccardo II, primo libro di cucina scritto in lingua inglese; il termine cury sta per cookery, cioè cucina. Seguono i francesi:
"Viander" di Guillame Tirel, soprannominato Taillevent per il grande naso; primo cuoco francese di professione di cui si conservi memoria, nel 1381 ricevette direttamente da Carlo VI di Francia la nomina di Maestro di cucina
. Il suo ricettario, che contiene 46 ricette tutte scritte in versi, ebbe un enorme successo; in origine i Viander conosciuti erano molti e solo dopo un secolo è stata attribuita la paternità a Tirel, che probabilmente non era ancora nato all'epoca della stesura del primo codex;
"Menagier de Paris", scritto alla fine del 1300 da un ricco borghese parigino per istruire la giovanissima moglie quindicenne nelle faccende di casa, cucina compresa.
Dunque, i piatti che seguiranno sono quasi tutti da collocare nel XV sec, ma senza dimenticare che codificano e sanciscono il successo di ricette più antiche di almeno cent'anni.
"Abbiamo parlato di manoscritti, individuato due famiglie principali e delineato alcune linee di diffusione delle due filiere testuali. E’ necessario precisare che queste derivazioni sono oggetto di accese discussioni fra gli studiosi. Il fatto è che non si tratta mai di derivazioni semplici: esse non escludono, anzi regolarmente prevedono fenomeni di selezione e di accorpamento, tagli e aggiunte, modifiche e adattamenti, inevitabili in testi di utilizzo pratico come i ricettari di cucina. Tutto ciò rende affascinante il lavoro di ricostruzione filologica, ma sarebbe disperante volerlo condurre con criteri analoghi a quelli che si utilizzano per i testi letterari. Gli studiosi ipotizzano codici perduti da cui ne sarebbero derivati altri apparentemente simili ma in molte cose divergenti, osservano la dimenticanza di intere parti nel passaggio di un testo da una regione all'altra: come quando il testo toscano derivato dal meridionale Liber de Coquina omette, per motivi che non paiono incomprensibili, tutte le ricette di pesci di mare. In casi come questi, la stessa nozione di variante appare insufficiente. Insomma: quello dei manoscritti culinari è un mondo che pone problemi particolari, spesso insolubili con le metodologie consolidate in ambito filologico." Massimo Montanari, op. cit.
….questo per dire che la questione è estremamente complessa ed intricata; ma lasciamo che gli storici continuino a litigare tra loro: a noi, anacronisti creativi, le discussioni culinar-gastronomiche non interessano. Cuciniamo, tentando di riproporre un'atmosfera e dei sapori il più possibile basso-medievali, in un viaggio a ritroso affascinante e ricco di profumi e colori.
Sapori e colori
"Omerica gozzoviglia di carname mal cucinato, di aromi accumulati senza
discernimento in intingoli dolciastri, di errori, di ripetizioni, di barbarismi insigni...non vorrei mancar di rispetto al medio evo, ma lo stomaco moderno, ad uno di questi pranzi, più che protestare, si sarebbe addirittura rivoltato."
Questa è l'interessante definizione di cucina medievale del poeta Olindo Guerrini del 1887, quando, non solo la cucina, ma tutto il Medioevo era considerato un'età buia, di passaggio verso epoche migliori. Ovviamente oggi sappiamo che non è così: i nostri stomaci saranno ben lieti di assaggiare pietanze speziate, torte croccanti e zuppe profumate.
Tanto per sfatare un altro mito legato a questa cucina, non è corretto pensare che i signori del XIV secolo banchettassero solo con carne e arrosti: la Chiesa imponeva giorni di digiuno stretto in cui non si poteva mangiare nessun cibo di origine animale (come i moderni vegani) ed erano quasi la metà dell'anno. Per questo nei manoscritti si trovano molte ricette a base di pesce che, però, veniva spesso travestito
da carne.
Quindi cosa si mangiava? In realtà la dieta dei signori era piuttosto varia, anche se certo con una preponderanza della carne: poche le verdure, soprattutto erbette di campo, legumi secchi, pesci, carne di animali da cortile, selvaggina di pelo e di piuma per i più ricchi, molte uova, formaggi.
Si preparavano torte e pasticci ripieni di carne, pesce o formaggio, lasagne e ravioli, sia fritti che lessati, gnocchi, polpette varie, frittelle, zuppe e brodi e naturalmente molti arrosti. Il tutto impensabile senza l'aggiunta di una gran quantità di spezie che si andrà progressivamente riducendo nei secoli successivi. "Pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, semi di coriandolo, zenzero e zafferano sono presenti in quasi ogni ricetta. Consuetudine ereditata dall'antica Roma, rinnovata grazie all'apporto della cucina araba, ripresa dopo i contatti commerciali nati con le crociate e i proficui traffici dei mercanti veneziani."
Di sicuro sono un emblema dello status sociale di chi le acquista (dato l'alto costo), ma il loro uso, talvolta smodato, va riportato nell'ambito delle teorie dietetiche dell'epoca che le utilizzavano a scopo terapeutico.
Il gusto preponderante e più apprezzato era l'agrodolce, ottenuto grazie all'aceto e all'agresto (spremuta di uva acerba), agrumi amari e allo zucchero. Imperativo categorico, stupire e meravigliare; come nei banchetti di Trimalcione, il pasticcio è pieno di uccelli vivi che escono dalla crosta e svolazzano per la sala, il pavone arrosto è rivestito delle sue piume e portato in tavola, dalla torta parmesana escono ravioli colorati e dai ripieni diversi, ovunque decori fantasiosi di pasta di pane.
A tutta questa meraviglia va aggiunta la predilezione per le varietà cromatica:
"Il Trecento è un secolo che ama i colori vivaci...con preparazioni culinarie bianche, gialle, verdi, rosse, nere. E' una ricerca cromatica che coinvolge ogni aspetto della vita quotidiana alla quale il cuoco medievale non sembra insensibile con le sue preparazioni fantasiose, continuamente variate..Piatti multicolori quindi, nel tentativo di promuovere l'immagine di una cucina attenta anche alla presentazione e non solo al contenuto."
Pensate alle scene di vita quotidiana dipinte da Giotto o Duccio di Buoninsegna, e il concetto diventa immediatamente chiaro.
Nel mondo simbolico medievale, il colore (degli abiti, degli stemmi, dei cibi…) è fondamentale e serve sostanzialmente a distinguere il ricco dal povero, il grasso dal magro, il liturgico dal diabolico. Cercare di capire oggi quel modo di pensare non è semplice perché noi