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101 tesori nascosti di Milano da vedere almeno una volta nella vita
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101 tesori nascosti di Milano da vedere almeno una volta nella vita
E-book566 pagine7 ore

101 tesori nascosti di Milano da vedere almeno una volta nella vita

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Info su questo ebook

Quali sorprese può riservarci Milano? Può sembrare strano, ma dietro la sua apparenza austera, anche la città più dinamica d’Italia, tempio della moda e degli affari, nasconde incredibili segreti che aspettano solo di essere scoperti. Come in una caccia al tesoro, questo libro propone quattro itinerari tra i palazzi e le chiese, le strade e le piazze, i vicoli e i parchi, alla scoperta della Milano più misteriosa. Dagli affascinanti reperti di epoca romana ai piccoli musei che racchiudono le perle del design italiano, dai cortili dei grandi palazzi alle opere d’arte più straordinarie e meno conosciute, dal centro storico alla periferia, ecco 101 proposte per scoprire, nei suoi angoli più nascosti, una città mutevole e multiforme, capace di stupire anche chi ci vive da sempre.

Tracce dell’antica Milano: l’anfiteatro romano
Le misteriose tombe nei sotterranei di Sant’Eustorgio
Il sontuoso palazzo imperiale
Il letto che ospitò le spoglie di sant’Ambrogio
La prima buca delle lettere di Milano
I segni delle cannonate delle Cinque giornate
Un’orchestra che suona nel cuore di Parco Sempione
Illustri ritratti al Museo della Quadreria della Ca’ Granda
Scherzi e giochi d’acqua al Ninfeo di Villa Borromeo Visconti Litta
Un tuffo nella storia del design: lo Studio Museo Achille Castiglioni
Il celebre secchio tondo al Museo Kartell

...e tanti altri tesori da scoprire e riscoprire
 
Gian Luca Margheriti
nato a Milano nel 1976, è fotografo e scrittore. Ha curato con Francesca Belotti la rubrica Milano segreta, sulle pagine online del «Corriere della Sera». Con la Newton Compton ha pubblicato 101 tesori nascosti di Milano da vedere almeno una volta nella vita, I personaggi più misteriosi della storia, 1001 cose da vedere a Milano almeno una volta nella vita e, scritti con Francesca Belotti, Milano segreta e 101 storie su Milano che non ti hanno mai raccontato. Ha scritto inoltre Lettere dall’Inferno, la storia di Jack lo Squartatore.
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2015
ISBN9788854186125
101 tesori nascosti di Milano da vedere almeno una volta nella vita

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    Anteprima del libro

    101 tesori nascosti di Milano da vedere almeno una volta nella vita - Gian Luca Margheriti

    PARTE PRIMA

    I TESORI DELLA MILANO ROMANA

    Questo nostro primo percorso alla ricerca dei tesori nascosti ci porterà alla scoperta di tutte le vestigia rimaste della splendida città che doveva essere Milano in epoca romana. Purtroppo queste poche, e spesso introvabili, tracce giunte fino a noi sono in condizioni sempre peggiori.

    Milano, non dimentichiamolo, nel corso dei secoli ha subito frequenti conquiste e successive distruzioni che hanno permesso a ben pochi resti del passato più remoto di rimanere saldi e incorrotti fino ai nostri giorni. Gli splendori della città romana, il suo anfiteatro, il grande circo, il magnifico teatro e tutti quegli edifici che identificavano la città che fu capitale dell’impero romano subirono nel corso dei secoli, tanto per fare qualche nome, le distruzioni degli Unni di Attila, dei Goti guidati da Uraia e dei Germani al comando dell’imperatore Federico I di Hohenstaufen detto Barbarossa, che non si accontentarono solamente di conquistare la città, ma, per meglio affermare la loro supremazia sui milanesi, decisero di distruggere quante più cose trovarono sul loro cammino.

    Per meglio sottolineare questo punto forse conviene soffermarsi un momento sulla descrizione di quanto avvenne in Milano nel 1162, quando gli uomini del Barbarossa si affacciarono ai nostri confini. Dopo mesi di strenua resistenza, il difensore della città, mastro Guglielmo Guintellino, è costretto a cedere all’imperatore le chiavi di Milano, le insegne del Comune e il Carroccio. Il Barbarossa allontana i milanesi e appicca incendi in tutta la città. I principali edifici, a esclusione di chiese, basiliche e altre strutture religiose, vengono completamente distrutti. I milanesi riescono a tornare nella loro città solo nel 1167 per ricominciare la costruzione e il potenziamento di tutti i sistemi difensivi. Ma la stabilità e la pace arrivano solo dopo il 1176, anno della battaglia di Legnano e della definitiva sconfitta del Barbarossa a opera della Lega Lombarda.

    Ma torniamo all’argomento di questo primo capitolo e cominciamo raccontando quando e come iniziò il dominio romano sulla città e attraverso quali tappe Milano divenne una delle più importanti metropoli dell’impero, tanto da meritare di essere cantata dal poeta Ausonio insieme alle più celebri città del mondo.

    Secondo storici come Polibio, la conquista della città gallica che era ai tempi Milano avvenne principalmente per opera di Gneo Cornelio Scipione detto Calvo, console con Marco Claudio Marcello (successivamente Plutarco rimette invece tutti i meriti della vittoria contro i Galli assediati a Milano nelle mani di quest’ultimo). Inizialmente i Romani conquistarono Acerrae (l’attuale Pizzighettone) e Clastidium (Casteggio) e spinsero i Galli a rinchiudersi nella loro capitale (almeno di quella che era la Gallia Cisalpina, la Gallia al di qua delle Alpi), Milano.

    Scipione assediò la città, ma per molto tempo la situazione restò stazionaria. Alla ricerca di un colpo di mano per sbloccare la campagna di conquista, il console decise di ripiegare con tutte le sue truppe verso Acerrae. I Galli, vedendo i Romani impegnati in quella che a tutti gli effetti sembrava una ritirata, si galvanizzarono e, abbandonato il sicuro rifugio costituito dalle mura cittadine, si lanciarono all’attacco della retroguardia dell’esercito di Roma. Inizialmente i barbari ebbero la meglio e riuscirono a uccidere molti soldati. Fu allora che Scipione diede ordine all’avanguardia di tornare indietro e affrontare i Galli che incalzavano dalle spalle. I barbari, convinti ormai di avere in pugno la vittoria, non si fecero intimidire. Lo scontro fu epico e sanguinoso. La maggior preparazione militare dell’esercito romano fu però il peso sulla bilancia che fece volgere le sorti della battaglia. In breve i Galli furono costretti a battere in ritirata per rifugiarsi sulle vicine montagne. I Romani entrarono così tranquillamente in Milano e poterono considerare completa la conquista di tutto il territorio della Gallia Cisalpina. Intanto i Galli, consci di non avere più alcuna speranza di riconquista, decisero di arrendersi e di cedere tutti i loro averi ai Romani. Correva l’anno 222 a.C.

    Per Roma liberarsi del problema di Milano non fu una cosa da poco. Era da decine di anni che i Galli che abitavano questa zona si associavano con altre tribù per fare guerra ai Romani e impedire che potessero dilagare per tutta la Pianura Padana. Le città chiave del territorio della Gallia Cisalpina erano addirittura difese da un esercito di mercenari, detti Gesati, dal nome della moneta con cui erano pagati, creato nella Gallia Transalpina apposta per arginare le mire espansionistiche di Roma.

    I Galli, negli anni successivi alla conquista di Milano, tentarono più volte di riprendersi parte di quello che avevano perduto. Si allearono anche con il cartaginese Annibale che era arrivato in Italia con i suoi elefanti per tentare di piegare lo strapotere di Roma durante la seconda guerra punica. Si racconta che mentre discendeva lungo l’Italia, Annibale fosse aiutato da un contingente di Insubri, la popolazione gallo-celta che abitava la zona di Milano. E ancora: si dice che durante la terribile battaglia del Trasimeno fu un cavaliere gallico, probabilmente un capo (il suo nome non lo conosciamo, secondo alcuni era un milanese di nome Ducario), a individuare il console Flaminio, l’uomo che guidava le truppe romane insieme al generale Gaio Servilio. Fu lui a incitare i suoi uomini alla carica contro il console e sempre lui a trafiggerlo a morte.

    Inizialmente le sorti degli scontri con Roma in compagnia di Annibale volsero a favore dei Galli, che riuscirono a scacciare i Romani da buona parte del Nord Italia. Per gratitudine gli Insubri accompagnarono Annibale anche in Africa e con lui combatterono e furono trucidati nella battaglia di Zama del 202 a.C., lo scontro che pose fine alla seconda guerra punica. Con la vittoria di Roma nella guerra punica anche le sorti dell’Italia del Nord furono ribaltate. La battaglia decisiva si svolse alle porte di Milano nel 194 a.C. I Romani erano guidati da Valerio Flacco. Gli eserciti legionari piegarono definitivamente Milano e tutto il Nord del nostro Paese in una battaglia che portò alla morte, così dicono le fonti, di 10.000 ribelli milanesi.

    Da questo punto in poi i conquistatori si impegnarono in quell’opera di colonizzazione nota con il nome di romanizzazione, che portava in un lungo lasso di tempo le città sottomesse a integrarsi perfettamente nella grande civiltà romana e ad adattarsi al suo modo di vivere. Fu così che tra le mura dell’antica Milano il modo di vivere dei Celti e quello dei Romani si intrecciarono in un unicum che divenne a un certo punto inestricabile. Di sicuro qualcosa di celtico sopravvisse nell’arco dei secoli, e forse arrivano proprio dai Celti alcune peculiarità caratteriali che fanno dei milanesi ciò che sono oggi, e li distinguono dagli abitanti di altre zone d’Italia.

    Questa prima Milano soggetta al dominio di Roma aveva la caratteristica forma quadrata del castrum romano, circondata dalla prima rozza forma di mura e attraversata dalle due vie principali che si incrociavano perpendicolarmente nel centro della città, il Cardus Maximus e il Decumanus. Sembra che l’estensione di questo primo insediamento romano, sovrapposto a quello preesistente gallo-celtico, non fosse molto vasta – appena 250.000 metri quadrati – e che i suoi quattro vertici fossero l’attuale piazza Missori, piazza Beccaria, piazza Paolo Ferrari (quella che si apre lungo via Filodrammatici) e la zona dove sorge il palazzo della Posta.

    L’estensione di questo primo insediamento non è però mai stata confermata con assoluta certezza. Secondo altri studiosi infatti i Romani adottarono una tecnica molto diversa per la romanizzazione di Milano, tecnica che allora era molto in voga. Consisteva nel non occupare la città conquistata, che restava quindi invariata come struttura planimetrica e aspetto edilizio (teniamo conto che la città celtica aveva come centro quella che oggi è piazza del Duomo, dove si trovava il bosco sacro, il nemeton, luogo dove si amministravano il potere politico e quello religioso). Accanto alla città conquistata si costruiva un castrum romano (che quindi doveva necessariamente essere in posizione spostata rispetto ai vertici che abbiamo descritto prima), con una struttura totalmente indipendente dalla precedente città a parte il fatto che confinava con quest’ultima per un lato. La città conquistata non era quindi invasa e assoggettata, ma semplicemente frequentata dai Romani che nelle persone di magistrati, politici, soldati, artigiani o commercianti andavano nella città sottomessa per compiere il loro lavoro e che la sera rientravano nel castrum romano.

    Il continuo aumento dei Romani che ogni giorno entravano in città modificava il modo di essere dei cittadini e la romanizzava in maniera quasi totalmente indolore per la popolazione. Si trattava ovviamente di un processo molto lungo e complesso. Ma è proprio grazie a idee come questa che i Romani erano riusciti a unificare tutta l’Europa. Idee geniali anche perché mai guidate dalla fretta.

    Se prendiamo per buona questa teoria è probabile che il castrum romano avesse come centro l’attuale piazza San Sepolcro, dove in seguito i Romani avrebbero edificato il foro e quindi trasformato la piazza nel centro della Milano romana. Un centro decisamente più spostato verso sud-ovest rispetto non solo a oggi, ma anche alla struttura della città concepita dai Celti.

    Due sono le date fondamentali di questa prima fase del dominio romano su Milano: La prima è l’89 a.C. quando, con la Lex Pompeia, le popolazioni assoggettate a nord del Po, dette transpadane, ricevettero una sorta di cittadinanza che le trasformò in una vera e propria colonia di Roma, anche se però non concedeva pieni diritti politici. La vera differenza era che ora i cittadini di Milano (aggregati alla tribù Ufentina) acquisivano non solo il diritto di voto, ma anche la possibilità di candidarsi alla carriera politica.

    L’altra data è invece il 49 a.C., in cui con la Lex Iulia tutta la Gallia Cisalpina ricevette la cittadinanza romana. Milano diventa allora municipium civium Romanorum, città di cittadini romani. La legge fu fortemente voluta da Giulio Cesare durante il suo quarto consolato per eliminare completamente la distinzione tra cittadini romani, cittadini italici e semplici provinciali. La legge, un vero capolavoro politico e diplomatico, rinsaldò i legami tra tutti i popoli assoggettati a Roma, che ora si sentivano davvero parte di una repubblica. Milano finalmente era pronta per intraprendere il cammino che l’avrebbe portata verso il potere e la bellezza.

    Durante l’epoca di Cesare prima e di Augusto poi (tra la metà del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C.) Milano fu attraversata da un fervore architettonico che la portò a costruire mura di cinta e ogni genere di edificio pubblico e privato. Si cominciano a bonificare vaste aree suburbane (la città gallica sorgeva in zone in gran parte paludose, tanto che prima dei Galli qui esistevano solamente palafitte. La tipologia del terreno milanese è rimasta in alcuni toponimi come via Pantano) e si realizzarono le prime opere di canalizzazione dell’acqua. La maggior parte delle canalizzazioni era indirizzata a portare in città acqua limpida, da integrare con quella che veniva prelevata dalla grande quantità di pozzi che accedevano direttamente alla falda freatica. In quest’ottica si iniziò anche la costruzione di un titanico acquedotto che serviva a portare in città le acque provenienti dalla Brianza. Le rimanenti opere idrauliche servirono a canalizzare le acque di scarto verso i fiumi che dovevano allontanarle da Milano.

    In quegli anni si arrivò addirittura alla creazione di un grande porto fluviale lungo il torrente Vettabbia, che da Milano arrivava al Po e quindi al mare. Sembra che il porto (ai tempi avere un porto in città era una condizione irrinunciabile se si voleva che questa fiorisse dal punto di vita economico e commerciale) fosse situato nell’area di piazza Vetra, a pochi passi dalla basilica di San Lorenzo. Al di sotto del piano della piazza dove oggi si trova il Parco delle Basiliche, sono stati ritrovati i resti di un vasto bacino che era forse adibito al ricovero delle imbarcazioni.

    Milano si affermò in maniera stabile e duratura anche come grande centro culturale. Non è un caso che Publio Virgilio Marone, il famoso Virgilio dell’Eneide, decise dalla natia Mantova di venire a compiere i suoi studi proprio a Milano. Sembra che anche Catullo e Ovidio si siano formati culturalmente nelle scuole milanesi.

    Sta di fatto che grazie ai nuovi meriti Milano ricevette il titolo di Nuova Atene, onore che si dava solamente alle città che si distinguevano nel campo degli studi e dell’arte. Lo testimonia una lapide risalente al 140 d.C. conservata nella basilica di Sant’Ambrogio, che ricorda il termine dei lavori dell’acquedotto che arrivava dalla Brianza e di cui parlavamo poco fa:

    L’imperatore Cesare Tito Elio Adriano Antonino Augusto Pio, console per la terza volta, tribuno della plebe la seconda volta, padre della patria compì e dedicò nella Nuova Atene un acquedotto già incominciato dal Divo Adriano suo padre.

    La classe dirigente della città proprio in questi anni espresse la sua piena adesione ai modelli di vita e alla cultura della grande Roma attraverso la costruzione di edifici che si adattavano pienamente allo stile architettonico della capitale. L’importanza della piccola città che sorgeva sulla convergenza di tre fiumi dalle acque fresche e abbondanti, proprio nel centro della Pianura Padana, nel trascorrere dei decenni divenne sempre maggiore. A più di quattro secoli dalle sanguinose battaglie che videro i barbari Galli scontrarsi con i portatori della massima espressione della civiltà, i Romani, Milano era ormai una grande città, completa e dotata di ogni confort e struttura atta al divertimento. La sua massima importanza comunque Milano la raggiunse intorno al 260 d.C., quando vaste invasioni barbariche sul confine renano-danubiano la trasformarono nel principale baluardo militare contro una possibile invasione del territorio italiano.

    Fu proprio questo uno dei motivi che spinsero l’imperatore Massimiano a decidere di trasferire qui la capitale dell’impero, lasciando a Roma solo il ruolo di capitale morale e dando tutta l’importanza politica del caso a Milano. La piccola Milano, la città fondata dai Celti su un preesistente insediamento ligure chiamato Alba, da spettatrice delle vicende che attraversavano il mondo ne divenne finalmente l’attrice protagonista. Ma vediamo come si arrivò a questa decisione.

    Un barbaro romanizzato di nome Diocleziano aveva finalmente ristabilito l’ordine nell’impero chiudendo definitivamente il terribile periodo di anarchia militare che sarebbe passato alla storia come l’Età dei Trenta Tiranni, cominciata a seguito della sconfitta di Valeriano a opera dei Sasanidi. Oltre a questi ultimi, che premevano per sfondare le resistenze romane in Persia, notevoli agitazioni squassavano l’intera Gallia. Anche il Nord Africa era in grande fermento. Ma i nemici che premevano da ogni parte non erano i soli problemi dell’impero romano di quei tristi giorni. La situazione economica era pessima in tutte le provincie romane. Il denaro aveva perso buona parte del suo potere d’acquisto e la mole degli scambi commerciali era sempre più ridotta.

    Diocleziano fu acclamato imperatore nel 284 a.C. dopo lunghi anni di militanza nell’esercito. Furono proprio le sue straordinarie doti di stratega militare a portarlo al più alto gradino dell’impero romano. Per riuscire a ristabilire il controllo sull’immenso impero, Diocleziano si trovò a fare delle scelte difficili che per prime cominciarono a minare il ruolo di Roma come capitale in cui era sempre stato accentrato il potere. Diocleziano divise in due l’impero, una parte orientale e una occidentale. Scelse per sé la parte orientale e trasformò Nicomedia (oggi Izmit in Turchia) nella sua nuova capitale. Poi si associò nel governo a un secondo augusto, il trace Massimiano.

    Anche Massimiano, come Diocleziano, era un militare figlio di povera gente. I due augusti si erano conosciuti sui campi di battaglia, dove avevano stretto una forte amicizia basata principalmente sul reciproco rispetto. Per sapere che faccia avesse Massimiano vi rimandiamo a una statua conservata al Civico Museo Archeologico che forse lo ritrae. Si tratta di una testa scolpita in marmo di Luni, di provenienza sconosciuta, che ritrae un uomo maturo dall’aspetto energico, con baffi e capelli molto corti e un’espressione intensa e concentrata. La testa, probabilmente parte di una statua più grande oggi dispersa, potrebbe però essere anche un ritratto di Diocleziano. Ai tempi, quando più augusti reggevano l’impero, si adottava una politica ideologica che per una sorta di continuità tendeva a ritrarre gli imperatori con caratteristiche fisiche simili tra loro, a significare una similitudine che dall’aspetto fisico arrivava a coinvolgere anche il modo di governare l’impero. Nello stesso museo, sotto il portico del primo chiostro che si incontra entrando, si trova anche il basamento di una statua onoraria dedicata proprio a Massimiano. È ancora leggibile la dedica che tradotta dice: All’imperatore Cesare Marco Aurelio Valerio Massimiano, pio, felice, invitto augusto.

    Fu proprio Massimiano, posto alla guida della parte occidentale dell’impero, a decidere di togliere alla grande Roma il ruolo di capitale e a scegliere come centro amministrativo del potere Milano.

    La scelta di Massimiano fu dettata anzitutto da ragioni militari. La parte Nord dell’Europa costituiva ormai un brulicare di eserciti barbari pronti a giocarsi il tutto per tutto nel tentativo di dominare una parte dello sconfinato impero. Milano era un ottimo punto di controllo per arrivare velocemente in qualunque parte d’Europa in cui fosse necessario sedare una rivolta. Fondamentale per questo era la posizione della città, al centro di tutte le principali arterie stradali che arrivavano da Roma e valicavano le Alpi. In più Milano dominava la Pianura Padana, considerata il campo di battaglia ideale per intercettare i barbari se avessero tentato un’invasione dell’Italia, scontrarsi con loro e ricacciarli verso Nord.

    Ovviamente Milano, già ai tempi, godeva di un'ampia considerazione presso l’impero se è vero che nel 275, all’elezione di Tacito come imperatore, fu compresa tra quella ristrettissima cerchia di città che ebbe modo di essere informata direttamente dal Senato della notizia. La scelta di Massimiano non fu dunque casuale, ma cadde su una città militarmente rilevante, ma già tra le più belle e grandi di questa parte del vasto impero.

    Aurelio Valerio Massimiano, nuovo augusto, soprannominato da tutti Erculeo (il suo più importante collega, Diocleziano, era detto Giovio: era ovvio che Massimiano prendesse il soprannome del grande eroe divinizzato, secondo per importanza solo a Giove, padre degli dèi), cominciò subito a rendere Mediolanum, che in questi anni da capitale prese il nome di Augusta Flavia Mediolanum, adatta al nuovo ruolo.

    La prima opera – più avanti ne parleremo in maniera più approfondita – fu l’ampliamento della preesistente cerchia muraria difensiva. Poi fu necessario costruire un grande palazzo imperiale atto a ospitare il nuovo augusto e l’intera sua corte. Altra fondamentale aggiunta alla già grande città di Milano voluta da Massimiano fu il circo. La nuova struttura, una delle più importanti di tutto il mondo romano, fu inglobata all’interno della nuova cinta muraria.

    La vera consacrazione del nuovo ruolo centrale che Milano aveva acquisito in seno all’impero si ebbe nel 291, quando Diocleziano compì la sua visita ufficiale in città. L’imperatore Diocleziano e il coreggente Massimiano ricevettero prima gli onori da quanti ebbero la fortuna di essere ammessi nell’enorme palazzo imperiale. Terminati i rituali di consuetudine, i due augusti uscirono su un cocchio scoperto interamente in avorio e, scortati da militari armati, fecero il giro della città. Fu immensa la folla che si assiepò in ogni dove per riuscire a vedere, fosse anche per un attimo appena, il passaggio delle due più alte cariche di quello che allora era considerato il mondo civilizzato. Un retore panegirista dell’epoca, Claudio Mamertino, parlando del passaggio della carrozza dei due imperatori scrisse che sembrava quasi si commuovessero le case stesse in mezzo a questa folla di uomini, donne, vecchi e bambini che sembrava occupare ogni angolo lasciato libero, dai margini delle strade fino ai tetti delle case. Il retore continua sottolineando che la gente, purtroppo, dovendo guardare prima un uomo e poi l’altro, non aveva abbastanza tempo per vedere bene i volti di tutti e due gli augusti, cosa che causava un immenso dispiacere a chi li poteva osservare solo per un momento.

    Milano in quegli anni cominciò a costruire la città che sarebbe diventata nel futuro, non tanto dal punto di vista architettonico (come abbiamo visto la maggior parte degli edifici costruiti in epoca romana furono rasi al suolo), ma dal punto di vista delle caratteristiche proprie della sua cittadinanza. Tutto quello che ancora oggi sentiamo dire su Milano già ai tempi si stava formando. Era una città ricca e al contempo molto operosa. I suoi cittadini erano noti per la loro ospitalità e anche per la grande quantità di denaro che veniva destinata alle opere benefiche. In città fiorivano i commerci e si stava sviluppando un artigianato fatto di piccole industrie (come diremmo oggi), che lentamente acquistavano un’importanza notevole anche in territori lontani. Oltre a questo anche l’aspetto culturale era tenuto in grande considerazione. E, non ultimo, la parte ludica per i cittadini. A Milano, già lo abbiamo visto, c’era il circo ma anche l’anfiteatro, un enorme teatro e diverse terme, insomma tutto quello che rendeva la vita dei milanesi una vera pacchia. Ecco perché molti scrittori dell’epoca parlano di Milano come della più importante città del mondo romano appena dopo Roma, seconda anche per dimensione, numero di cittadini e disponibilità di ogni bene. Altro aspetto notevole di questa città era la multiculturalità. Essendo un importante crocevia commerciale, circolavano per le strade di Milano cittadini provenienti da ogni angolo dell’impero e non solo, e non era strano vedere persone di colore camminare accanto a uomini dai tratti orientali mischiati ai cittadini italici. Un melting pot di razze che si riscontrava anche sul piano culturale e su quello religioso e che faceva di Milano una città crocevia di lingue, culture, usanze e tradizioni.

    Fu proprio questa la Milano cantata dal poeta Decimo Magno Ausonio. Poeta del Basso Impero, scrisse di Milano in seguito a una visita fatta nel 379 d.C. quando erano allora imperatori dell’Occidente Graziano e Valentiniano II. Ausonio inserì la lode a Milano nella sua opera Ordo Nobilium Urbium, un elenco delle diciannove maggiori città dell’impero romano, ognuna corredata da una breve lode che ne descrive le caratteristiche principali. Nelle parole che Ausonio dedica a Milano echeggia una città ricca e potente, dotata di ogni edificio atto a farne un luogo perfetto in cui vivere:

    A Milano ogni cosa è degna di ammirazione, vi è profusione di ricchezze e molte sono le case signorili; la popolazione ha grandi capacità ed è eloquente e affabile. La città si è ingrandita ed è circondata da una duplice cerchia di mura; vi sono il circo, dove la popolazione gode degli spettacoli, il teatro con le gradinate a cuneo, i templi, la rocca del palazzo imperiale, la ricca zecca e il quartiere che prende il nome dalle terme Erculee. I cortili colonnati sono adorni di statue di marmo; le mura sono circondate da una cintura di argini fortificati. Le costruzioni di Milano sembrano una più imponente dell’altra, come se fossero tre sé rivali, e non ne sminuisce la grandezza nemmeno la vicinanza di Roma.

    Tale fu l’importanza di queste parole in tutto lo sviluppo della storia di Milano che nel Seicento si decise di incidere queste poche righe sopra una lapide collocata sul passaggio delle Scuole Palatine di piazza Mercanti, accanto a una statua che rappresenta proprio il poeta Ausonio (a cui peraltro è dedicata anche una delle vie del centro cittadino).

    Mentre lo splendore di Milano andava sempre più crescendo, la figura pubblica del nuovo augusto Massimiano subì invece dei duri colpi. Il tradimento di uno dei suoi più fedeli generali, Carausio, gettò lunghe ombre sulla capacità di governo dell’imperatore. Carausio era stato inviato in Britannia da Massimiano, per sedare una ribellione locale, ma appena arrivato là si era autoproclamato imperatore e il vero imperatore non era stato in grado di destituirlo.

    Fu questo episodio a spingere Diocleziano a prendere una decisione ancora più radicale e a frammentare ulteriormente l’impero per associare altri due uomini agli imperatori già esistenti, così da avere ancora più controllo sul territorio. La scelta di Diocleziano per i due Cesari (non augusti come lui e Massimiano quindi, ma appena un gradino al di sotto nella scala dei poteri) cadde su Galerio e Costanzo Cloro. La parte dell’impero affidata un tempo a Massimiano fu così ulteriormente divisa. Al vecchio augusto restarono l’Italia e l’Africa del Nord, mentre al suo nuovo Cesare, Costanzo Cloro, spettarono l’intera Gallia e la Britannia, con capitale Augusta Treverorum (oggi Treviri in Germania).

    Le guerre nei territori di confine ripresero con rinnovato vigore. Mentre in Oriente si combatteva contro Domizio Domiziano, usurpatore del trono d’Egitto e Massimiano, in compagnia di Galerio, era impegnato sul confine delineato lungo Reno e Danubio, Costanzo Cloro si occupò di riportare l'ordine in Britannia combattendo contro Allecto, successore del dispotico generale Carausio che nel frattempo era stato assassinato. Questo nuovo assetto imperiale portò a risultati straordinari soprattutto sul piano militare, tanto che un’ondata di pace duratura attraversò tutto l’impero e durò fino al tempo di Costantino. Contemporaneamente la nuova pace portò anche a una ripresa dei commerci e a una nuova e conseguente floridezza economica.

    In un impero finalmente risistemato, Diocleziano poté cominciare a fare nuovi e grandiosi progetti per il futuro. Iniziò così la costruzione di una titanica linea difensiva costituita da fortezze e castelli che andava dalla Germania all’Africa e che aveva il compito di proteggere il rinnovato impero da nuove invasioni. Questa linea difensiva fu ulteriormente potenziata da una seconda linea, più interna, costituita da strade e depositi di viveri e di armi. Furono anche creati nuovi corpi scelti di soldati addestrati per l’occasione, che vennero dislocati stabilmente presso tutti i territori di confine in modo da rendere i tempi di intervento in caso di invasione sempre più brevi.

    L’imperatore si occupò anche di migliorare l’apparato amministrativo, di creare una burocrazia più capillare ed efficiente, di stabilire un sistema tributario più equo e di promulgare leggi atte a calmierare i prezzi dei beni di prima necessità. Sia lui che Massimiano si impegnarono anche nel tentativo di sconfiggere il cristianesimo a favore di un ritorno agli dèi classici dell’antica Roma, che erano più strettamente legati ai quei valori di romanitas che i due augusti cercavano di far ritrovare a tutti i cittadini dell’impero per dargli nuova coesione.

    Dopo vent’anni di governo, partendo da un impero prossimo al tracollo, Diocleziano e il suo collega Massimiano erano riusciti a riportare la grande Roma all’antica efficienza e all’antico splendore. E contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, nel punto più alto del loro governo, quando il consenso popolare era tutto dalla loro parte, decisero entrambi di abdicare per lasciare il loro posto ai due cesari.

    Purtroppo i due nuovi augusti non furono all’altezza del grande compito che gli era stato affidato e il nuovo impero romano fu divorato dall’interno dai suoi stessi uomini. Il ruolo di Costanzo Cloro fu usurpato dal figlio Costantino. Anche il figlio di Massimiano, Massenzio, scatenò una guerra per il potere. L’impero ricominciò la sua discesa verso il basso, distrutto dall’egoismo e dalla bramosia degli uomini corrotti. Per ben due volte Massimiano cercò di riprendere il potere sperando di riuscire ad arrestare le guerre intestine che incendiavano ogni angolo dell’impero. Una prima volta provò a farlo appoggiandosi al figlio Massenzio, senza però riuscirci. Cercò allora un’alleanza con Costantino, che nel frattempo era diventato suo genero, ma fu proprio lui a farlo uccidere nel 310 a Marsiglia.

    L’impero era ormai avviato lungo il viale del tramonto. L’immensa vastità dei territori da governare rendeva le spese per il mantenimento di burocrazia ed esercito esorbitanti. La sempre crescente necessità di militari aveva reso necessario inoltre trasformare i barbari in soldati romani. Quelli che fino a qualche anno prima erano i nemici ora, grazie al fatto che nessuno voleva più intraprendere la carriera militare, considerata troppo pericolosa in una società affossata nei suoi stessi vizi, erano stati elevati al rango di custodi della pace. Questo aveva trasformato l’esercito romano in un gruppo di persone disperate e senza scrupoli che vessavano le popolazioni che avrebbero dovuto proteggere e spingevano i popoli assoggettati a una sempre maggiore quantità di rivolte. L’unico valore che stava prendendo piede nei territori di confine – e non solo – non aveva più nulla a che fare con la cultura o l’intelligenza ma era esclusivamente basato sulla forza bruta. La stessa forza con cui i militari e gli alti vertici dell’esercito vessavano i comuni cittadini e rubavano tutto ciò che potevano.

    La società romana di questa epoca crepuscolare era strettamente divisa in una piccola élite di persone ricchissime e una grande maggioranza di persone che ogni giorno si trovavano a essere sempre più povere. I ricchi, sempre più ricchi, che in mano avevano quasi tutte le attività produttive, le trascuravano perché non avevano più bisogno di altro denaro, mentre i poveri erano impossibilitati a fare qualunque cosa se non cercare di sopravvivere.

    Contemporaneamente la terra, l’unico bene che garantiva ancora un serio sostentamento, era sottoposta a tassazioni sempre più alte che spingevano le persone verso la speculazione selvaggia. Le terre erano affidate a manodopera inesperta e inetta, molto più economica di quella capace, in modo da poter guadagnare il più possibile in tempi brevi. Purtroppo l’inettitudine rovinava i terreni e i raccolti. Così i prezzi delle derrate alimentari, sempre più difficili da trovare, salivano in maniera inesorabile e la maggior parte della popolazione non era più nemmeno in grado di trovare di che nutrirsi. Questo fu l’impero che divenne il terreno predatorio dei barbari. Un luogo di poveracci senza più cibo e ricchi annoiati talmente presi dai loro svaghi da non rendersi conto che il mondo stava crollando sotto i loro piedi.

    Comunque la gloria di Milano non era ancora terminata. Fu proprio questa la città scelta nel 313 dall’imperatore Costantino come sede di un doppio evento che sarebbe dovuto entrare nella storia: le nozze di sua figlia Costanza con il nuovo imperatore d’Oriente, Licinio, e la proclamazione dell’Editto di Tolleranza, conosciuto anche come Editto di Milano, che sanciva la libertà di culto per i cristiani.

    Milano mantenne invariato il suo ruolo di capitale e il suo prestigio fino al 408, quando l’imperatore Onorio decise di trasferire definitivamente la capitale dell’impero a Ravenna. In realtà Onorio già da diversi anni soggiornava a Ravenna. Le cause che fecero prendere all’imperatore la decisione di abbandonare Milano furono molteplici. La prima è l’eccessiva importanza che in città rivestiva la figura del vescovo. Il grande Ambrogio era morto da pochi anni (397) e attraverso la sua figura i potenti avevano capito che l’ingerenza del potere spirituale presso quello temporale sarebbe stata sempre più grande. Emblematico l’episodio in cui Ambrogio, già vescovo di Milano, si scontrò con l’imperatore Teodosio perché questi aveva fatto massacrare centinaia di innocenti per rappresaglia. Ambrogio rifiutò di far entrare l’imperatore in chiesa perché la sua anima era macchiata dal sangue dei morti di Tessalonica. Fu l’imperatore a dover cedere e inginocchiarsi ai piedi di Ambrogio e, con le lacrime agli occhi, chiedere umilmente perdono. Era chiaro in generale, e in particolare a Milano, che da allora in poi sarebbe stato impossibile governare senza fare i conti con lo strapotere della Chiesa.

    A questo si aggiungeva il fatto che, per quanto ancora abbastanza lontani, alcuni capi barbari, Alarico e Radagaiso, avevano già varcato i confini italiani e messo gli occhi su Milano. Ma se dovessimo indicare una delle cause più importanti che spinsero Onorio ad abbandonare Milano dovremmo probabilmente fare un nome: Stilicone.

    Stilicone era un barbaro di origine vandala educato però secondo i costumi romani. Valoroso militare, divenne uno dei più fidati uomini di Teodosio, tanto che questi lo nominò tutore dei suoi due figli: Onorio e Arcadio. Arcadio, che alla morte del padre salì al trono di Costantinopoli, rinnegò fin da subito Stilicone, che non solo aveva acquisito una spropositata quantità di potere, ma nel corso degli anni si era fatto anche un incalcolabile numero di nemici che lo volevano morto. Il più giovane e pacato Onorio prese invece la guida della parte occidentale dell’impero sedendo sul trono di Milano e rimanendo sotto la tutela di Stilicone.

    La doppiezza di Stilicone era proverbiale, così come gli intrighi che a corte si sviluppavano sotto gli occhi di un inetto come Onorio senza che lui si rendesse conto di quello che accadeva. Stilicone, per meglio consolidare la sua posizione, riuscì addirittura a convincere il suo protetto a sposare sua figlia Maria. La situazione precipitò alla morte del fratello di Onorio. Si cominciò a vociferare che Stilicone volesse mettere sul trono di Costantinopoli suo figlio Eucherio al posto del legittimo erede Teodosio II. Onorio decise quindi di allontanarsi da Stilicone e dalla sua influenza fuggendo a Ravenna. Proprio qui andò Stilicone alla ricerca di un compromesso. Ma Onorio lo fece uccidere. Non fu una mossa politicamente molto furba, visto che in capo a un paio di anni i barbari che Stilicone, con una serie di guerre, ma soprattutto con una grande abilità politica, aveva tenuto tranquilli, invasero l’Italia mettendo a ferro e fuoco tutto il nostro Paese.

    Ma torniamo alle sorti di Milano. Con l’allontanamento della capitale, la città subì un tracollo dal punto di vista economico visto che commercio e industria cominciarono a trovarsi pesantemente penalizzati. Ma anche la qualità della vita in città ne risentì duramente: meno spettacoli ed elargizioni venivano concessi ai milanesi. Anche la Chiesa milanese, che già possiamo chiamare ambrosiana, si ritrovò penalizzata. Prima, come metropolita della sede imperiale, il vescovo di Milano veniva interpellato in ogni questione, sia essa religiosa che politica, e rivestiva un’importanza che a tratti era superiore a quella del papa. Senza più la presenza dell’imperatore in città, la Chiesa ambrosiana andava perdendo progressivamente tutto il peso politico che aveva acquisito grazie ad Ambrogio, e non solo non riusciva a rivaleggiare con la chiesa di Roma, ma veniva considerata subordinata addirittura rispetto a quella di quella di Aquileia.

    Ma per Milano questo non fu che il pallido inizio di una fine tragica. Solo una manciata di anni dopo, nel 452 per la precisione, con l’arrivo di Attila, il flagello di Dio, e delle sue orde di Unni, cominciarono i secoli bui della nostra città e il continuo assillo dell’arrivo dell’invasore, dei saccheggi, delle brutalità e della distruzione. Ma la vera fine del periodo d’oro della Milano antica si può datare con certezza. Parliamo del 539, quando gli Ostrogoti guidati da Uraia irruppero in città, massacrarono e deportarono quasi tutti i cittadini e rasero al suolo la maggior parte degli edifici.

    Ora che abbiamo ricostruito in maniera breve ma completa quelle che sono le fondamentali tappe della storia che porta un piccolo villaggio celtico a divenire una splendida capitale mondiale per poi tornare nell’oblio della distruzione, cominciamo la nostra caccia al tesoro in giro per le vie della città alla ricerca delle vestigia di una Milano che non c’è più.

    Sarebbe bello armarsi di mappa, piccone e pala per scavare nel punto contrassegnato dalla X alla ricerca dei tesori che sicuramente il terreno su cui camminiamo conserva gelosamente, ma purtroppo servirebbero troppi permessi anche per fare solo un piccolo buchino. Accontentiamoci quindi di quello che solerti e preziosi archeologi hanno già dissotterrato per noi e che fortunatamente è rimasto alla luce del sole. Molti dei preziosi reperti, come scopriremo più avanti, assediati dalla logica della speculazione edilizia, che per molti anni è stata l’unica regola a governare l’andamento di questa città, oggi non sono più visibili perché sopra sono stati costruiti palazzi e banche.

    Allora appuntamento in piazza Cavour, accanto al monumento dedicato a uno degli eroi del Risorgimento: il punto di partenza di questo nostro straordinario viaggio.

       1.

    PORTA NUOVA

    Piazza Cavour

    La porta che vediamo davanti a noi, Porta Nuova, non appartiene al gruppo di porte ormai scomparse che si aprivano nell’antica cerchia di mura romane, ma a un’epoca successiva. Si apriva infatti nella cinta muraria innalzata nel 1156 da mastro Guglielmo Guintellino per difendere i sobborghi appena al di fuori della vecchia cinta romana dall’arrivo del Barbarossa. I lavori furono fatti in fretta e furia e inizialmente si limitarono alla costruzione di un massiccio terrapieno su cui si aprivano alcune porte in legno, visto che il tempo per farle in pietra non c’era. Il sistema difensivo si rivelò purtroppo insufficiente e Milano cadde preda dell’esercito dell’imperatore.

    Una volta rientrati in città, i milanesi per prima cosa si premurarono di rimettere in sesto la cerchia muraria creata dal Guintellino per costruire un sistema difensivo contro il ritorno del Barbarossa. Ancora una volta le porte furono fatte in legno, ma a distanza di pochi anni (1171) furono sostituite da ben più possenti strutture in muratura. I lavori questa volta furono diretti da Gerardo di Mastegnianega, il quale sembra abbia preso i materiali dalle rovine delle porte di epoca romana che si aprivano nella cinta di mura costruita da Massimiano e in buona parte distrutta dal Barbarossa. I lavori di costruzione delle porte furono interrotti di colpo nel 1183, quando la duratura pace di Costanza rese inutile la costruzione di ulteriori difese cittadine. Questo è il motivo per cui ancora oggi Porta Nuova mostra quei due torrioni tronchi evidentemente lasciati a metà e mai terminati. La porta assunse le sembianze estetiche attuali sotto Azzone Visconti, che si occupò di sistemare e abbellire tutte le porte cittadine.

    Qui in piazza Cavour la porta mostra la sua faccia più bella, quella che un tempo accoglieva i visitatori che arrivavano a Milano da questo lato. La bella struttura è chiaramente medievale, chiaroscurata dall’alternarsi del rosso dei laterizi con il bianco splendente dei marmi. Sembra che proprio questi marmi siano i resti della precedente, ormai distrutta, Porta Nova, quella aperta nelle mura massimianee, che sorgeva lungo la via Manzoni all’incrocio con via Monte Napoleone.

    Sopra i due archi dall’estradosso quasi ovale si trova uno dei grandi capolavori di Balduccio da Pisa, un altorilievo con Vergine in trono col bambino tra i santi Ambrogio, Gervasio e Protasio, voluto da Azzone Visconti per decorare la porta.

    Ma come mai abbiamo inserito questa bella porta tra i tesori di origine romana?

    Per capirlo infiliamoci sotto i suoi archi e imbocchiamo via Manzoni. Se guardiamo la porta da qui, vedremo la sua facciata più dimessa. È interessante però notare che lo spoglio lato che volge verso la città è adornato da alcune pregevoli lapidi di epoca romana. Per dovere di completezza va aggiunto che quelle che qui oggi vediamo non sono più le lapidi originali, asportate qualche anno fa (1989) per essere custodite all’interno del Museo Archeologico, dove ancora oggi potete vederle. Si tratta di fedeli copie cosicché, se anche saranno divorate dallo smog e dalle intemperie, ciò non comporterà alcun danno per il patrimonio archeologico della nostra città.

    La prima lapide che salta all’occhio è quella che adorna il pilastro di sinistra e da cui cinque volti ci osservano da altrettante nicchie. Al di sotto una lapide riporta la seguente iscrizione:

    C (AIUS) VETTIUS

    NOVELLI F (ILIUS)

    SIBI ET

    VERGINIAE LUTAE

    MATRI ET

    PRIVATEA L (IBERTAE)

    ADIUTORI L (IBERTO)

    METHE (LIBERTAE)

    T (ESTAMENTO) F (IERI) I (USSIT)

    Che tradotto suona così:

    Caio Vettio, figlio di Novello, dispose per testamento che si facesse questo sepolcro per sé, per la madre Virginia Luta [tipico cognome di origine celtica] per la sua liberta Privata, per il liberto Adiutor [ritratto nella stele a torso nudo] e per la liberta Methe [nome di origine greca].

    Caio ovviamente è l’uomo ritratto più in alto nella lapide. Accanto al suo volto

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