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101 perché sulla storia della Puglia che non puoi non sapere
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E-book449 pagine5 ore

101 perché sulla storia della Puglia che non puoi non sapere

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Info su questo ebook

Lo diceva anche Balzac che la saggezza consiste nel chiedersi, in ogni caso: perché? Un suggerimento che calza a pennello per la Puglia: amata, coccolata, visitata e raccontata quasi quotidianamente come culla antichissima di civiltà assortite e custode (a volte inconsapevole) delle loro testimonianze. Di questa terra si è detto quasi tutto. E tuttavia, per sua natura, continuerà a stupirci, almeno finché – invece di cercare risposte – troveremo domande. Che in queste pagine, declinate in 101 varianti, raccontano una sola storia, mai scontata, attraversando i volti della sua gente e le infinite cadenze dei suoi dialetti, la pietra delle cattedrali, dei castelli, del barocco e dei trulli, la civiltà rupestre che ha abitato le sue grotte dipinte e quella contadina delle masserie, passando per il Mediterraneo all’interno del quale questa terra si fa ponte tra culture e punto d’incontro imprescindibile tra Oriente e Occidente.

Perché qualcuno dice ancora “le Puglie”?
Perché le migliori ghiottonerie pugliesi sono nate da un errore?
Perché si dice “fuggi da Foggia”?
Perché san Nicola è diventato Babbo Natale?
Perché Lucio Dalla si innamorò delle isole Tremiti (ben prima di Gheddafi)?
Perché in Salento si parla il griko?
Stefania Mola
è nata a Napoli nel 1964. Specializzata in storia dell’arte, vive a Bari e lavora in campo editoriale. Ha al suo attivo svariate attività didattiche e collaborazioni con enti pubblici e privati operanti nel settore dei beni culturali e del turismo, nonché numerose pubblicazioni riguardanti soprattutto la Puglia e il suo territorio, tra cui: Puglia. Turismo Storia Arte Folklore; Foggia. Regina di Capitanata; Trani. La cattedrale e, con la Newton Compton, Il giro della Puglia in 501 luoghi, Forse non tutti sanno che in Puglia...​ e 101 perché sulla storia della Puglia che non puoi non sapere.
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2017
ISBN9788822715005
101 perché sulla storia della Puglia che non puoi non sapere

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    Anteprima del libro

    101 perché sulla storia della Puglia che non puoi non sapere - Stefania Mola

    Indice

    Cover

    Collana

    Colophon

    Frontespizio

    Introduzione

    1. Perché è bene non dare la Puglia per scontata?

    2. Perché qualcuno dice ancora le Puglie?

    3. Perché parliamo di dauni, peuceti e messapi?

    4. Perché la naturale vocazione pugliese di ponte verso oriente fu esaltata dalla conquista romana della regione?

    5. Perché l’emblema della regione è un ulivo inscritto in un ottagono?

    6. Perché gli stemmi delle province o dei capoluoghi pugliesi raccontano meglio di ogni altra cosa personaggi e miti di questa terra?

    7. Perché i pionieri del Grand Tour facevano testamento prima di avventurarsi da queste parti?

    8. Perché in Puglia si parla di carso e non ci sono fiumi degni di questo nome?

    9. Perché l’Acquedotto pugliese può essere considerato una delle meraviglie del mondo?

    10. Perché nel reportage di Tommaso Fiore i pugliesi sono Un popolo di formiche?

    11. Perché il versante ionico può vantare il titolo di Caraibi (e Maldive) di Puglia?

    12. Perché la pietra pugliese è candidata a far parte del Patrimonio mondiale dell’umanità?

    13. Perché nelle grotte è scritta la storia della civiltà pugliese?

    14. Perché la Puglia è una terra di castelli, cattedrali e masserie?

    15. Perché tante torri lungo la linea di costa pugliese?

    16. Perché i presepi pugliesi non hanno nulla da invidiare a quelli napoletani (e sono pure più antichi)?

    17. Perché in Puglia le orchidee sono le regine tra i fiori?

    18. Perché in Puglia la dieta non comincia mai, neppure di lunedì?

    19. Perché le migliori ghiottonerie sono nate per errore, caso o di necessità virtù?

    20. Perché il Subappennino dauno è considerato il Chiantishire pugliese?

    21. Perché Ungaretti raccontò Il deserto e dopo ovvero Le Puglie?

    22. Perché la foresta garganica si chiama Umbra?

    23. Perché i laghi di Lesina e Varano sono in realtà vere e proprie lagune?

    24. Perché il Gargano è noto come montagna sacra?

    25. Perché pescare con i trabucchi?

    26. Perché si dice: «Fuggi da Foggia»?

    27. Perché le masserie in Capitanata sono prevalentemente munite come fortificazioni?

    28. Perché per scoprire gli insediamenti antichi del Tavoliere ci sono voluti i piloti di guerra?

    29. Perché fin dall’antichità il Tavoliere è stato il granaio d’Italia?

    30. Perché la città di Lucera potrebbe essere considerata un modello di integrazione ante litteram?

    31. Perché Federico ii di Svevia, il puer Apuliae, stava alla larga dalle città con il fiore nel nome (ma poi morì a Fiorentino, in Capitanata)?

    32. Perché re Enzo, illustre prigioniero a Bologna, moriva di nostalgia scrivendo poesie?

    33. Perché Siponto è nota come la Ravenna del Sud?

    34. Perché a Faeto si parla francese?

    35. Perché il traffico delle greggi nel Tavoliere venne rigidamente regolamentato, diventando istituzione?

    36. Perché Mussolini firmò la fondazione di diverse città nuove a ridosso di Foggia?

    37. Perché Vico del Gargano è un luogo molto romantico?

    38. Perché Lucio Dalla si innamorò delle isole Tremiti (ben prima di Gheddafi)?

    39. Perché Halloween potrebbe essere nata in Puglia?

    40. Perché i cantori di Carpino avrebbero potuto vincere il Nobel?

    41. Perché tradizionalmente si dice che la Terra di Bari va da Canne a Canne?

    42. Perché Bari è una città che non si ferma mai?

    43. Perché si dice: «Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari»?

    44. Perché la basilica di San Nicola di Bari oscura spesso la cattedrale?

    45. Perché nella cripta della basilica di San Nicola a Bari c’è una colonna ingabbiata, protetta e amata dalle zitelle?

    46. Perché a Bari si dice che nessuno è straniero e san Nicola è amante dei forestieri?

    47. Perché san Nicola è diventato Babbo Natale?

    48. Perché nel Cinquecento una Sforza divenne regina di Polonia e contemporaneamente duchessa di Bari?

    49. Perché lo zar Nicola ii volle per Bari una chiesa russa?

    50. Perché Bari e Lecce si guardano in cagnesco?

    51. Perché il potere delle badesse di Conversano venne chiamato monstrum Apuliae?

    52. Perché il compositore barese Niccolò Piccinni fu detto le Barisien?

    53. Perché si dice: «Sei rimasta come la zita di Ceglie»?

    54. Perché Annibale sbaragliò i romani nonostante la loro superiorità numerica?

    55. Perché Canosa di Puglia fu una piccola Roma?

    56. Perché Boemondo, principe normanno, è ricordato da un tempietto che sa d’Oriente?

    57. Perché il sedente della cattedrale di Ruvo è un personaggio così misterioso?

    58. Perché Castel del Monte è un’ossessione collettiva?

    59. Perché crediamo che quello celebrato dal cosiddetto busto di Barletta sia l’imperatore Federico ii di Svevia?

    60. Perché lo scultore Nicola de Apulia è noto alla storia dell’arte come Nicola Pisano?

    61. Perché il Colosso di Barletta è il simbolo della città della Disfida?

    62. Perché i trulli furono un caso di abusivismo edilizio in piena regola?

    63. Perché le grotte di Castellana regalano l’emozione di un viaggio al centro della Terra?

    64. Perché Paolo Finoglio celebrò il suo feudatario con un sontuoso ciclo riguardante la Gerusalemme liberata?

    65. Perché Ciccillo rimase incastrato in una grotta?

    66. Perché Altamura dovrebbe ringraziare Orazio, invece di invocare continuamente Federico ii?

    67. Perché a Putignano il Carnevale è il più lungo d’Italia?

    68. Perché il fischietto-galletto, re incontrastato dell’arte della terracotta, a Gravina viene chiamato cola cola?

    69. Perché Egnazia ci ricorda Atlantide?

    70. Perché Mister Volare volge le spalle al mare (ma abbraccia Polignano, la sua città)?

    71. Perché le ciliegie più buone e più belle si chiamano Ferrovia?

    72. Perché Brindisi è la porta d’Oriente?

    73. Perché, pur capolinea della via Appia, Brindisi ha ceduto una delle due grandi colonne terminali a Lecce?

    74. Perché Brindisi fu scelta, seppur per poco, come capitale d’Italia?

    75. Perché Taranto, perla della Magna Grecia, è detta la città dei due mari?

    76. Perché i cosiddetti ori di Taranto sono così famosi?

    77. Perché Lecce è nota come la Firenze del Sud?

    78. Perché la meravigliosa pietra leccese è nota anche come marmo dei poveri?

    79. Perché tanti dolmen e menhir (all’insaputa di mago Merlino)?

    80. Perché nel Tarantino (e non solo) si parla arbëreshë?

    81. Perché nell’arco ionico tarantino i paesi si affacciano paurosamente sull’orlo di profondi burroni?

    82. Perché Grottaglie è la città delle ceramiche?

    83. Perché Martina è Franca (e non solo)?

    84. Perché Ostuni è nota come la città bianca?

    85. Perché Delia fu sepolta adorna di conchiglie?

    86. Perché a Oria la storia ha lasciato cavalieri, fantasmi e mummie?

    87. Perché Virgilio fece approdare Enea in Salento?

    88. Perché Gallipoli è davvero la città bella?

    89. Perché il limitone dei greci, nel caso fosse davvero esistito, avrebbe fatto impallidire il Muro di Berlino?

    90. Perché Acaya è una città ideale?

    91. Perché la prima alba dell’anno è a Capo d’Otranto?

    92. Perché tutta la storia dell’umanità è nel mosaico di Otranto?

    93. Perché Horace Walpole scelse il castello di Otranto (senza mai andarci)?

    94. Perché «Mamma li turchi» è un grido di dolore che appartiene soprattutto a Otranto?

    95. Perché a Galatina sembra di stare ad Assisi?

    96. Perché il Salento venne chiamato la terra del rimorso?

    97. Perché la guglia di Soleto si dice sia stata costruita dal diavolo?

    98. Perché il vino pugliese per lungo tempo è servito solo a tagliare vini altrui?

    99. Perché in Salento si parla il griko?

    100. Perché si crede che lo scazzamurrieddhru sia colpevole dell’insonnia?

    101. Perché Leuca è considerata la Finisterre italiana?

    Tavole fuori testo

    em

    528

    Prima edizione ebook: novembre 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1500-5

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Stefania Mola

    101 perché sulla storia della Puglia che non puoi non sapere

    omino

    Newton Compton editori

    Introduzione

    Qualche tempo fa un noto settimanale si occupò di elencare una serie di domande ricorrenti tra coloro che – interessati alla Puglia – si accingevano a visitarla e di questa regione avevano una certa frammentaria percezione derivante dall’immaginario collettivo. Si andava dalla lunghezza del territorio, direttamente associata alla sensazione – una volta giunti a Foggia – di essere solo all’inizio di un lungo viaggio, alla curiosità di capire dove iniziasse il Salento, amatissima e misteriosa Finisterre italiana comunemente ritenuta un mondo a parte. Dal mito di Federico ii , buono ormai per risolvere qualsiasi problema (si tratti di un castello, di un festival, di un marchio o di un logo) alla cadenza di Lino Banfi, improbabile per qualsiasi barese doc ma ormai radicata nel comune sentire come identificativa dell’intera regione. Dalla fama di Ostuni non solo come città bianca ma anche come base ideale di una vacanza equamente divisa tra le gioie del mare e la movida notturna e dalle cartoline tradizionali disseminate tra trulli di Alberobello, grotte di Castellana, Otranto e Castel del Monte, fino al pauroso affollamento delle sue spiagge ad agosto, nonostante più di ottocento chilometri di coste e due mari. Dal profluvio di cibi tipici offerti a piene mani nelle tante sagre dedicate, unito alle raccomandazioni di assaggiare almeno orecchiette, burrata, taralli e focaccia, all’effetto vieni a ballare in Puglia ereditato dai tormentoni globali e fisicamente incarnato dalla Notte della Taranta.

    Tra dove, cosa, chi e come, la Puglia finirebbe per esaurirsi in una serie di luoghi comuni, per di più sgranati in un rosario di liste da vertigine. Tanto vale avventurarsi ponendosi la domanda principale. Lo diceva anche Balzac che la saggezza consiste nel chiedersi, in ogni caso: «Perché?». Un suggerimento che calza a pennello per questa regione amata, coccolata, visitata e raccontata quasi quotidianamente come culla antichissima di civiltà assortite e custode (a volte inconsapevole) delle loro innumerevoli testimonianze disseminate in ogni angolo. Una terra di cui ormai si è detto quasi tutto. E tuttavia, per sua natura, continuerà a stupirci, almeno finché – invece che cercare risposte – troveremo domande.

    Partendo dall’infinita varietà di spunti di fronte a cui neppure la più scontata delle cartoline può evitare di domandarsi perché. Perché pensiamo o crediamo la tal cosa? Perché tal dei tali faceva o diceva…? Perché un certo luogo si chiama in un certo modo?

    Per comporre questo libro si è trattato, in fondo, di isolare 101 nodi caratterizzanti, 101 dati di fatto che – per quanto inequivocabili – invitano a saperne di più, sicché il primo della serie non poteva che essere: «Perché è bene non dare la Puglia per scontata?».

    Tutto il resto viene di conseguenza, dal chiedersi come mai un albero di ulivo rappresenti questa terra al domandarsi perché tante torri o tanti castelli disseminati sul territorio. Dal cercare di spiegarsi la fama di Puglia sitibonda, conciliandola magari con il paesaggio ricco e vitale disegnato da viti e frutteti a perdita d’occhio. Dall’approfondire le ragioni multietniche di una terra da sempre crocevia di popoli fino a seguire le tracce di quei pugliesi che – nell’arte o nella musica – si sono affermati anche altrove. Dall’indagare la natura di oggetti, comportamenti, tradizioni o modi di dire fino ad affondare insieme alle radici mediterranee di storie, miti, credenze, testimonianze oggettuali o monumentali, finanche paesaggi.

    Immaginando che fosse proprio quella la cosa che tutti avremmo desiderato chiederci. Partendo dalla storia ma puntando al paesaggio e alle sue forme mutevoli, a un orizzonte che cambia continuamente insieme al viaggio ideale intrapreso da nord verso sud, dalla terra al mare, dalla convergenza di rotte plurime a Finisterre. Puntando ai luoghi, dai più emblematici ai meno prevedibili, perché un’identità forte è frutto anche di mille piccole imperfezioni e di un cantare insieme all’armonia universale cui partecipa ogni scheggia infinitesimale del cosmo. Puntando anche ai personaggi, quelli che la memoria collettiva ricorda ma anche i tanti senza nome né volto che talora hanno contribuito a scrivere le risposte che oggi cerchiamo.

    Risposte che in queste pagine, appositamente declinate in 101 varianti, raccontano una sola storia – quella della Puglia – mai scontata, attraversando i volti della sua gente e le infinite cadenze dei suoi dialetti, la pietra delle cattedrali, dei castelli, del barocco e dei trulli, la ricchezza delle antiche vestigia mediterranee custodite nelle campagne e nei musei, la civiltà rupestre che ha abitato le sue grotte dipinte e quella contadina delle masserie, passando per il Mediterraneo all’interno del quale questa terra si fa ponte tra culture e punto d’incontro imprescindibile tra Oriente e Occidente.

    Stefania Mola

    settembre 2017

    1. Perché è bene non dare la Puglia per scontata?

    Ormai la Puglia è amata, coccolata, visitata e raccontata quasi quotidianamente come cuore del Mediterraneo, culla antichissima di civiltà assortite e custode (a volte inconsapevole) delle loro innumerevoli testimonianze disseminate in ogni angolo, profondamente e misteriosamente legata alla Grecia dei miti omerici e protesa verso Bisanzio e Gerusalemme. Come il lembo di terra più orientale della penisola, bagnata da due mari e impregnata di umori tra loro in netto contrasto, da quelli boschivi dell’Appennino fino a quelli umidi delle numerose cavità del suo ventre. Come territorio prevalentemente piatto (rappresentato dal Tavoliere delle Puglie, secondo in Italia – per estensione – solo alla Pianura padana), qua e là interrotto dalle zone collinari e montuose della Murgia e delle Serre salentine.

    Eppure continuerà a stupirvi, senza che possiate abituarvi a lei. Dapprima asseconderà le vostre certezze andando a coincidere perfettamente con le immagini da cartolina attraverso le quali tutti pensano di conoscerla, ma subito dopo rivelerà scenari che non vi sareste neppure sognati, e quel mosaico di situazioni agli antipodi che si nasconde dietro la recente forte espansione del turismo culturale: natura, cultura, borghi, musei, tradizioni antichissime e design innovativo, per dire le prime cose che vengono in mente, le stesse che qualcuno potrebbe giudicare insufficienti per elevare il target ma che sono quelle che – evidentemente – fanno la differenza sul piano qualitativo. Mostrerà con parsimonia i suoi scrigni d’arte, storia e natura, ma senza esibire ed esaurire la sua ricchezza, come dimostrano i suoi tre siti unesco – Castel del Monte, la misteriosa fortezza dell’imperatore Federico ii di Svevia; i trulli di Alberobello, le caratteristiche costruzioni in pietra a secco; il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano, luogo di pellegrinaggio internazionale sin dai tempi dei longobardi – patrimonio dell’umanità globale ed esemplari dal punto di vista della sua civiltà. Regalerà l’incanto delle sue albe e dei suoi tramonti sottraendo però al primo sguardo ciò che la luce occulta nei coni d’ombra. Chiederà la vostra attenzione, insomma, quella che porta a scoprire per gradi, senza fretta, con pazienza. Accade anche con i propri simili che non sempre la prima impressione o quel che si dice racconti tutto. A maggior ragione per i luoghi: i sensi captano la superficie, ma poi bisogna andare oltre, e non dare mai per scontato ciò che sembra.

    La Puglia, per esempio. La cui identità da cartolina attraversa i volti della sua gente e le infinite cadenze dei suoi dialetti, la pietra delle cattedrali, dei castelli, del barocco e dei trulli, la ricchezza delle antiche vestigia mediterranee custodite nelle campagne e nei musei, la natura tutelata dai parchi del Gargano o dell’Alta Murgia, la civiltà rupestre che ha abitato le sue grotte dipinte e quella contadina delle masserie, passando per il Mediterraneo all’interno del quale questa terra si fa ponte tra culture e punto d’incontro imprescindibile tra Oriente e Occidente. Lei stessa, così poco romana e così tanto greca, può sembrare di volta in volta bizantina, microasiatica (con tanto di sua Cappadocia), illirico-balcanica, slava, un po’ russa e spruzzata d’ebraico e di musulmano – arabo e nordafricano.

    La Puglia piana, con un due per cento di montagna appena e nessuna barriera naturale a proteggerla. Anzi, più di ottocento chilometri di costa affacciata su Adriatico e Ionio, un litorale variegato in cui si alternano rocce, falesie e sabbia, un confine inesistente ovvero un invito raccolto da tutti i popoli del bacino del Mediterraneo ad approdarvi. Tuttavia il suo orizzonte continuo, movimentato appena da colline dal profilo dolce dove ulivi e vigneti si alternano a boschi rigogliosi, nasconde l’altra Puglia, quella sotterranea, incisa da sorprendenti canyon mediterranei (le gravine), quella attecchita nel suo corpo cavo modellato da tempi immemorabili dall’acqua. L’acqua, quella che la Puglia siticulosa di oraziana memoria non può vantare in superficie. Niente fiumi – ve ne sarete accorti – a parte l’Ofanto e qualche torrentello lento e blando che arriva da oltre confine. E una sete atavica compensata solo da un secolo da quell’opera mastodontica che è l’Acquedotto pugliese.

    E poi Puglia dove la natura è colore, come recitava un fortunato slogan pubblicitario che per anni ha siglato la sua immagine turistica. Un’immagine legata soprattutto alla stagione estiva in cui si condensa il rigoglio di una natura tenace, capace di esplodere in tutta la sua ricchezza cromatica persino in quelle aree aride, aspre, brulle o pietrose connaturate con buona parte del suolo pugliese, innervato da un fitto reticolo di percorsi oggi utilizzati dagli amanti del trekking, della bicicletta o dei cavalli. Ma anche a una cifra diventata identitaria: il bianco delle case ripassate con il latte di calce o semplicemente fatte di quella pietra calcarea luminosa tutta pugliese – che sia di Trani, translucida e austera come il marmo, o di Lecce, calda e morbida come il tufo; il rosso dei pomodori messi a seccare all’aria e al sole; il verde-oro dell’olio, nettare degli dèi e fonte di luce e nutrimento sin dai tempi in cui Atena volle farne dono agli uomini; il verde-azzurro delle insenature incantevoli e dei fondali mozzafiato; il giallo del grano che luccica sotto il sole estivo.

    Eppure oggi, in nome di quella destagionalizzazione che mira a proporre una diversificazione dell’offerta a trecentosessanta gradi, sappiamo che questa regione non è solo mare, ma anche terra, pietra, vento e – quando l’inverno morde furibondo – persino neve, fin sulla riva del mare, a confondersi con la coltre di calce che imbianca tutto l’anno paesi e città, in un avvicendarsi sorprendente di scenari così diversi tra loro da stordire e far dubitare che tanta varietà appartenga alla medesima storia. La storia di una civiltà di confine, limite meridionale d’Europa e nord estremo del Mediterraneo, centro e periferia insieme, terra di partenze e approdi, oggi come da secoli, al netto di coloro che – dopo il passaggio – ci sono rimasti.

    Ma soprattutto, Puglia terra di luce, e non è solo questione di luoghi comuni. La luce la investe per ragioni di latitudine, è vero, la sua estate dura mediamente sei mesi e il Mediterraneo l’abbraccia regalandole i riflessi smaglianti di un cielo spesso terso anche perché spazzato dalla consuetudine del maestrale. Ma la luce acceca attraversando il bianco di calce dei suoi borghi, filtra e riverbera nelle grotte scavate nel tufo, splende nelle mille pieghe del suo barocco, rimbalza sugli ori tarantini occhieggiando dalle vetrine di un museo, gioca indistintamente tra la linea di costa e la terra rossa delle sue campagne. La luce pugliese vibra anche di notte, nei cieli stellati che sovrastano le masserie più appartate, nei grumi di case abbarbicate dei paesini presepi, nei vicoli semideserti di un centro storico silenzioso, così come nei colori del cibo, nel mare d’inverno, negli occhi dei suoi abitanti. Una luce mai scontata, anche se parliamo di Sud, che accompagna chi intraprenda un viaggio esattamente come da queste parti fa l’orizzonte, sempre visibile, tenendo il passo.

    Benvenuti in Puglia, terra di continue sorprese!

    2. Perché qualcuno dice ancora le Puglie?

    Siamo in una regione plurale, per indole e storia, il cui nome attuale identifica quella porzione di Italia meridionale – che rispetto all’intero Stivale va dallo sperone al tacco – allungata sull’Adriatico e lo Ionio. La prima testimonianza letteraria in cui compare il nome Apulia risale all’ultima delle commedie di Plauto ( Casina , detta anche La ragazza dal profumo di cannella ), appellativo poi utilizzato dai maggiori scrittori latini, da Varrone a Cesare, Cicerone, Virgilio, Orazio, Livio, Ovidio, Tacito.

    Fin dall’alto Medioevo si tentò di spiegare tale toponimo nelle maniere più vaghe e disparate: una diffusa pseudo-etimologia farebbe discendere Apulia da a-pluvia (cioè terra senza pioggia), Paolo Diacono la accostò alla voce greca apoleia (che significa sterminio, rovina), Cino da Pistoia lo ricollegò ad aper (cinghiale) sostenendo che il territorio fosse habitat naturale per questo animale. In tempi più recenti il termine fu associato a un generico significato di paese aperto, privo di ostacoli naturali quali valichi o montagne. Insomma, un sacco di buone ragioni, e pure suggestive, che partivano generalmente dal territorio e dalla morfologia.

    Sostanzialmente – per semplificare le cose – Apulia in antico fu il nome attribuito a quella regione dell’Italia romana imperiale («regio secunda» delle undici totali) coincidente con la maggior parte del territorio della Puglia attuale, sostanzialmente quello settentrionale, corrispondente alla Daunia, e quello centrale, denominato Peucezia. La penisola salentina, comprendente la cosiddetta Messapia e Taranto, assunse il nome di Calabria (appellativo che verso il vii secolo passò a indicare definitivamente l’antico Bruttium, ovvero la regione corrispondente alla Calabria che oggi conosciamo come tale). Poco utilizzato, il nome Apulia non ebbe significato amministrativo fino all’xi secolo, quando i Normanni – il cui capo supremo era inizialmente designato semplicemente come dux Italie, Calabrie et Sicilie – cominciarono a sostituirlo a Italia. Fu Ruggero ii, rex Sicilie, ducatus Apulie et principatus Capue, a inaugurare il nuovo corso: con lui nell’Apulia ricadeva praticamente l’intera Italia meridionale a eccezione del principato di Capua, della Sicilia e della Calabria meridionale, in una formula rimasta invariata fino agli Angioini.

    Con Federico ii, le cui riforme amministrative contemplarono tra l’altro la divisione del regno meridionale in province affidate ognuna a un giustiziere, l’Apulia divenne una realtà amministrativa di fondamentale importanza, corrispondente più o meno alle attuali Puglia e Basilicata, composta da quattro distinti microcosmi – Capitanata, Basilicata, Terra di Bari e Terra d’Otranto – profondamente disomogenei. Per dirne una, la Terra d’Otranto da Lecce in giù ebbe una storia permeata da cultura e lingua greca, nonché diritto e rito bizantino, fino alle soglie dell’età moderna. E tuttavia – incredibilmente – le prime rappresentazioni geografiche, a partire dal xvi secolo (ad esempio quelle di Jacopo Gastaldi, cosmografo ufficiale della Serenissima), rivelano tutta la loro incertezza rappresentando come Puglia la porzione di territorio corrispondente alla Terra di Bari e al Salento (escludendo dunque la Capitanata), ma ricomprendendo anche quest’ultima in Pulia nel caso della rappresentazione dell’Italia.

    Che il patrimonio di diversità sia stato sempre distintamente percepito (fino a diventare oggi una vera e propria ricchezza) lo testimonia il fatto che la maggior parte dei viaggiatori tra Sette e Ottocento parlava di queste terre al plurale. Usato sino alla prima metà del xx secolo per descrivere la regione, il toponimo Puglie – tuttora presente nella toponomastica della zona in Tavoliere delle Puglie e, sino al 1931, in Bari delle Puglie, nome ufficiale dell’attuale capoluogo amministrativo – riecheggia fino all’ultimo la memoria delle tre circoscrizioni del Regno delle Due Sicilie, ma soprattutto la tripartizione storica delle origini, nonostante la nostra Costituzione, nell’art. 131, accolga solo la voce Puglia, e non altre. Quanto basta per capire come fino ai giorni nostri questa regione sia ancora nettamente percepita nella sua natura capace di far convivere identità plurime, la stessa che giustifica ancora lo sporadico ricorso all’espressione le Puglie, mai definitivamente accantonata benché desueta.

    Resta comunque la suggestione plurale e declinabile ereditata dai tanti nomi della sua storia, dai tanti volti della cultura, dell’arte, del paesaggio, dall’innumerevole varietà di lingue, accenti, etnie rimescolati nel suo dna, una ricchezza diventata – stavolta davvero – tratto distintivo e identitario.

    3. Perché parliamo di dauni, peuceti e messapi?

    Ci siamo appena imbattuti nei pugliesi delle origini, dislocati in aree ben precise della Puglia preromana, ognuna dotata del suo nome. Daunia, Peucezia e Messapia, ovvero una tripartizione praticamente etnica riconoscibile più o meno dal vii secolo a.C. I dauni, per esempio, popolo italico discendente dai sanniti, erano una popolazione fondamentalmente interna e autoctona che risiedeva sulle alture del Subappennino che oggi porta il loro nome, poco incline a mescolarsi con altre e sostanzialmente misteriosa, al punto che c’è voluto del tempo per decifrare anche il loro linguaggio. Leggendaria è la loro resistenza ai romani, che dovettero faticare non poco per piegarli, esattamente come era avvenuto con i sanniti di Campobasso e Benevento.

    I dauni abitarono la parte settentrionale della Puglia nel i millennio a.C., dando impulso e forma a numerosi centri urbani (Monte Saraceno sul Gargano, o Salapia, poco a sud delle attuali saline di Margherita di Savoia), e allo sviluppo di alcune notevoli forme artistiche. Se volessimo capire la Puglia indigena, grande già prima che l’influsso greco ne arricchisse la civiltà, al di là delle complesse analisi scientifiche degli specialisti, basterebbe gettare uno sguardo alle stele di pietra tornate gradualmente alla luce a partire dagli anni Sessanta del Novecento – in modo dapprima casuale (grazie ai lavori agricoli) e poi via via sistematico – che affollano il museo del castello di Manfredonia, oltre duemila relitti più o meno integri e particolarmente significativi sottratti all’abbandono, ai muretti a secco, alle massicciate, grazie anche alla collaborazione dei contadini. Tradizionalmente si ipotizza che le cosiddette stele daunie, risalenti al vii-vi secolo a.C. ed eredi di medesime e più arcaiche consuetudini attestate in zona nell’età del Ferro, siano testimonianze dell’uso antichissimo di segnare le sepolture con un cippo, parlante almeno quanto le nostre fotografie, capace di raccontare il defunto oltre la morte e augurargli una vita ultraterrena aperta alle stesse visioni, alle stesse gioie, anche agli stessi dolori della vita terrena. Segnacoli funerari che restituiscono un popolo scomparso insieme a gran parte della sua civiltà che ogni tanto riaffiora nel Tavoliere insieme alle zolle smosse dagli aratri.

    La Terra di Bari, invece, era caratterizzata da popolamento illirico, ovvero origini corrispondenti più o meno alle attuali Albania e Macedonia, e dunque una cultura prevalentemente balcanica. Come racconta Strabone, i peuceti insieme ai dauni costituirono il popolo degli iapigi (o apuli), a sud dei quali si distinguevano i messapi, e si stanziarono all’interno della Puglia centrale, concentrandosi in città come Bitonto, Ruvo, Silvium (l’antica Gravina), Azetium (Rutigliano) o Thuriae (Gioia del Colle), all’epoca tutte ben più importanti dell’attuale capoluogo Bari.

    La Terra d’Otranto, infine, da Fasano in giù, era di popolamento greco come attesta la superstite isola linguistica conosciuta come Grecìa salentina. Pensiamo solo al ruolo di Taranto, la maggiore tra le città greche pugliesi ma anche la più importante fondazione spartana fuori dai confini della Grecia. L’antica Messapia fu chiamata così proprio dagli storiografi greci, con il significato di terra tra due mari che essi riconobbero abitata da popolazioni di origine cretese in centri stabili quali Oria, Cavallino, Vaste (abitate fin dall’viii secolo a.C.), ma che grazie agli scavi archeologici restituiscono tracce di insediamenti umani più antichi anche in alcune grotte nei pressi di Roca e di Otranto. I ritrovamenti più cospicui si riferiscono a una serie di insediamenti urbani che alimentano il mito della famosa dodecapoli, l’organizzazione militare dei dodici centri messapici più importanti di cui parla Strabone riferendosi all’esistenza di altrettante città-Stato. A questa organizzazione del territorio si collegherebbe anche un ostrakon di appena 5,9 centimetri per 2,8 – grande quanto un francobollo, insomma – un frammento di ceramica a vernice nera rinvenuto nel 2005 e appartenuto all’orlo di un vaso probabilmente attico databile al v secolo a.C. come le migliaia che ancora spuntano dal terreno qui insieme ai vasi integri. E lui è spuntato dallo scavo all’interno di un grande edificio messapico della città di Soleto, in quel Salento che ancora una volta restituisce un frammento della sua antichità, ma questa volta davvero speciale. Perché quella graffita sulla vernice è una mappa – o quel che ne resta – da tutti conosciuta ormai come mappa di Soleto, la mappa geografica più antica del mondo classico – a oggi – ma soprattutto la raffigurazione più antica di una regione reale, il Salento appunto, ovvero il Capo iapigio degli antichi. Ma è anche una testimonianza delle relazioni intercorse tra le popolazioni locali e la Grecia in quei tempi lontanissimi e spesso oscurati dalla successiva storia greco-romana, nonché del fatto che

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