L intesa perfetta: Harmony Destiny
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La misteriosa scomparsa del fratello maggiore costringe Tuck Tucker a prendere in mano il timone dell'azienda di famiglia. Per anni Tuck ha interpretato il ruolo del ricco scansafatiche che si gode la bella vita invece di lavorare. Per questo motivo, la fedele segretaria del fratello, la strepitosa e precisissima Amber Bowen, non ha nessuna intenzione di aiutarlo. Dovrà però ricredersi quando il capo le propone un patto a cui è impossibile sottrarsi.
Miniserie "I Segreti di Chicago" - Vol. 3/4
Barbara Dunlop
Tra le autrici più note e amate dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
L intesa perfetta - Barbara Dunlop
successivo.
1
Quel sabato sera terminò presto per Lawrence Tuck Tucker. Il suo appuntamento era stato un disastro.
Lei si chiamava Felicity. Aveva uno splendido sorriso, capelli biondi come il grano, un corpo in grado di fermare il traffico all'ora di punta e il QI di un chihuahua. Come se non bastasse, con la sua stridula parlantina sosteneva assurde teorie contro gli asili e i giochi di squadra per bambini. Inoltre, detestava i Bull. Fatto assolutamente sleale per un abitante di Chicago.
Quando ebbero finito il dessert, Tuck decise che la vita fosse troppo breve per sopportare un tale supplizio. Perciò, l'accompagnò a casa e la lasciò dopo un fugace bacio della buonanotte.
Si diresse, quindi, alla villa di famiglia, riflettendo sulla mattina seguente quando avrebbe incontrato il suo amico Shane Colborn per una partita di basket.
Dalla biblioteca echeggiò la voce rabbiosa di suo padre, Jamison Tucker. «È a dir poco imprudente.»
«Non sto dicendo che sarà facile» ribatté Dixon, fratello maggiore di Tuck.
I due uomini dirigevano la multinazionale di famiglia, la Tucker Transportation, ed era raro che discutessero tanto animatamente.
«Facile? È un eufemismo» strillò Jamison. «Chi potrebbe intervenire? Io sono impegnato e non intendo mandare un qualsiasi giovane manager ad Anversa.»
«Il direttore operativo non è uno alle prime armi.»
«Deve essere un vicepresidente a rappresentare la compagnia. Abbiamo bisogno di te.»
«Manda Tuck, allora.»
«Tuck?» lo schernì Jamison.
Il tono derisorio del padre non avrebbe dovuto stupire Tuck. Eppure, persino dopo tutti quegli anni, la sua totale mancanza di fiducia e rispetto continuava a ferirlo.
«Anche lui è vicepresidente» rimarcò Dixon.
«Solo di nome e, forse, nemmeno quello.»
«Papà...»
«Papà un corno! Conosci i suoi limiti. E tu vuoi concederti una lunga vacanza proprio adesso?»
«Non ho scelto io il momento.»
La voce di Jamison si fece più moderata. «Quella donna ti ha fatto un torto terribile, figliolo. Lo sappiamo bene.»
«È stata mia moglie per dieci anni e ha tradito tutte le promesse che ci siamo scambiati. Hai idea di quanto male faccia?»
Tuck provò compassione per il fratello. Erano stati mesi terribili quelli che erano seguiti alla scoperta del tradimento di Kassandra. I documenti conclusivi del divorzio erano arrivati all'inizio di quella settimana ma Dixon non ne aveva neppure parlato.
«Sei arrabbiato, com'è giusto che sia, però hai avuto la meglio nella separazione. Abbiamo impugnato l'accordo prematrimoniale e lei ne è uscita a mani vuote.»
«Si tratta solo di soldi, non è così?» Ogni emozione era scomparsa dalla voce di Dixon.
«Per lei, sì.»
Ci fu una pausa nella conversazione e Tuck, temendo di essere scoperto a origliare, indietreggiò di qualche passo.
«Tuck merita una chance.»
Tuck s'immobilizzò per ascoltare.
«L'ha già avuta» controbatté il padre.
Quando? Non gli era mai stato concesso di fare nulla se non stare seduto nel suo elegante ufficio e sentirsi un ospite indesiderato. Tuttavia, più l'emozione prendeva forma, più si convinceva che non gliene importasse nulla. La sua unica difesa contro la totale indifferenza del padre era ripagarlo con la stessa moneta e non dare alcun contributo all'azienda di famiglia. Tutti invidiavano la sua posizione. Perciò, meglio tacere e godersi la vita.
«Sapevo che era una pessima idea» riconobbe il fratello.
«Puoi dirlo forte.»
Tuck tornò alla porta d'ingresso, l'aprì e la richiuse con forza, fingendo di essere arrivato in quel momento.
«C'è qualcuno?» gridò, dirigendosi verso la biblioteca.
«Ciao, Tuck» lo accolse Dixon.
«Non ho notato la tua auto fuori.»
«L'ho parcheggiata in garage.»
«Rimarrai qui?»
Dixon possedeva un attico in centro in cui aveva abitato con Kassandra, tuttavia, di tanto in tanto, trascorreva uno o due giorni nella villa di famiglia.
«Già» sospirò. «Ho venduto l'appartamento oggi.»
«Allora, ti fermerai per un po'.» Si allentò la cravatta e se la sfilò. «Che cosa stai bevendo?»
«Whisky.»
«Ne prenderò due dita anch'io.» Si liberò anche della giacca e la gettò su una sedia.
Le pareti ricoperte completamente da scaffali e libri, il camino in pietra, le comode poltrone di pelle rosso scuro e l'imponente tavolo di noce... la biblioteca non era cambiata di una virgola negli ultimi settant'anni. Era stata arredata dal nonno Randal per essere un rifugio in cui rinchiudersi per trovare un po' di pace.
Tuck rimase in attesa, curioso di vedere quale argomento avrebbero affrontato il padre e il fratello.
«Com'è andato il tuo appuntamento?» volle sapere Jamison.
«Bene» sospirò con indifferenza. «Diciamo che lei non era esattamente brillante come una scienziata.»
«Ne hai mai frequentata una?» Il padre lo scrutò beffardo. «Giusto per capire su quali basi potessi azzardare un paragone.»
«Prima uscita?» s'intromise Dixon.
«Prima e ultima.» Si versò del whisky in un bicchiere di fine cristallo. «Ti andrebbe di venire da Shane per una partita di basket domani?»
«Non posso. Ho delle faccende da sbrigare.»
«Riguardo all'attico?»
«Quello e altre cose.»
Tuck ebbe la netta sensazione che Dixon gli stesse nascondendo qualcosa. Ne avrebbero discusso in un altro momento, in assenza del padre. Aveva davvero intenzione di prendersi una lunga vacanza? Strano. Non era da lui. Inoltre, la Tucker Transportation aveva bisogno di lui per essere gestita al meglio. Tuck non sarebbe mai stato un degno sostituto.
Amber Bowen fissò dritto negli occhi il presidente della Tucker Transportation. «No» mentì. «Dixon non mi ha accennato niente.»
La lealtà nei confronti del suo capo era totale. Cinque anni prima, Dixon Tucker era stato il solo a concederle una chance. Nonostante non possedesse alcuna preparazione universitaria, né esperienza lavorativa, le aveva dato fiducia e lei non lo avrebbe mai tradito.
«Quando è stata l'ultima volta che ha parlato con lui?»
Jamison Tucker appariva imponente dietro la scrivania del suo ufficio al trentaduesimo piano dell'edificio della compagnia. I capelli grigi in ordine, l'abito tagliato su misura per coprire il torace sporgente. Non era alto come i figli, ma possedeva un aspetto solido, evidenziato dal collo taurino. Aveva il viso squadrato e l'espressione perennemente torva di un rapace.
«Ieri mattina.»
La scrutò con sospetto. «Non l'ha visto ieri sera, poco dopo l'orario di chiusura degli uffici?»
Fu colta alla sprovvista. Non comprendeva dove volesse andare a parare. «Perché? No.»
«Ne è sicura?» I suoi occhi celesti assunsero un'espressione scettica.
«Ha qualche motivo per credere il contrario?»
«L'ha visto ieri sera?» Una nota di trionfo acuì la sua voce.
Amber non aveva incontrato Dixon ma sapeva che si era recato all'aeroporto e aveva preso un jet privato diretto in Arizona. Era anche a conoscenza che sarebbe stato assente da Chicago per lungo tempo. Le aveva riferito di aver lasciato un biglietto ai suoi affinché non si preoccupassero e l'aveva pregata di non fornire loro nessun'altra informazione.
La famiglia si approfittava senza ritegno del suo buon carattere e della sua incrollabile etica sul lavoro. Il risultato era che lui era oberato d'impegni ed esausto. Negli ultimi due anni, aveva preso su di sé un crescente numero di mansioni dirigenziali e il recente divorzio lo aveva prostrato sul piano sia mentale sia emotivo. Se non fosse corso ai ripari, sarebbe stato sopraffatto da un brutto esaurimento nervoso.
Amber sapeva che lui aveva tentato di spiegare la questione alla sua famiglia e che loro si erano rifiutati di comprendere. Così, non gli era rimasto che scomparire. Il padre e il pigro fratello buono a nulla avrebbero dovuto accettare le proprie responsabilità.
Lei raddrizzò le spalle. «Sta forse insinuando che abbia una relazione con Dixon?»
«Non insinuo niente» ribatté il vecchio, sporgendosi in avanti.
«Come osa pensare male di suo figlio?» Si stava muovendo sul ghiaccio sottile ma era troppo infuriata. Dixon era una brava persona. Era stata la moglie a tradirlo, non il contrario.
«Come osa lei...» Jamison divenne paonazzo, si portò una mano al petto e prese a rantolare.
Amber schizzò in piedi. «Signor Tucker?»
Il volto del vecchio era di puro terrore e lei afferrò il telefono sulla scrivania per comporre il 911 mentre chiamava a gran voce la sua assistente.
Margaret Smithers si precipitò nell'ufficio in un lampo.
Mentre Amber parlava con l'operatore dell'emergenza, l'altra cercava l'infermiera della compagnia. Questa giunse subito e pose Jamison disteso sul pavimento per tentare di rianimarlo.
Amber osservò la scena inorridita. Il cuore di Jamison si era fermato e c'era pericolo che morisse proprio lì, nel suo ufficio.
Doveva avvertire la famiglia.
«Chiamo Tuck» riferì a Margaret che, bianca come un lenzuolo, era in ginocchio accanto al vecchio.
«Il cellulare lo trovi nell'elenco che è sulla mia scrivania.»
Mentre digitava il numero, giunsero i paramedici con una barella e ci fu una grande confusione.
«Pronto?» rispose Tuck.
Lei si schiarì la voce e si volse per non guardare cosa stesse accadendo alle proprie spalle, augurandosi di non udire il fastidioso ronzio del defibrillatore.
«Libera» gridò un paramedico.
«Sono Amber Bowen» si presentò, tentando di mantenersi calma. «L'assistente di Dixon.»
«Ah, Amber. Certo» affermò distratto.
«È necessario che raggiunga suo padre.»
«Mio padre mi vuole in ufficio?»
Il suo tono sprizzava sarcasmo.
«Abbiamo chiamato un'ambulanza. Ha avuto un infarto.»
«Come? Perché?»
«Non lo so. I paramedici lo stanno mettendo sulla barella. Ho preferito chiamare lei per non spaventare la signora Tucker.»
«Giusto. Ottima decisione.»
«Credo che le convenga recarsi subito al Central Hospital.»
«È privo di conoscenza?»
Amber si volse e osservò il volto pallido dell'uomo che aveva gli occhi chiusi. «Temo di sì.»
«Arrivo.»
La telefonata venne interrotta e lei ripose il telefono. Vide i paramedici portare via Jamison con la maschera d'ossigeno e una flebo. Si lasciò andare sulla sedia di Margaret.
In quell'istante, l'assistente del vecchio Tucker la raggiunse, gli occhi rossi di lacrime. «Com'è potuto accadere?»
«Sai se ha problemi cardiaci?»
Margaret scosse la testa. «No. Ma ieri sera...» Un singhiozzo le strozzò la gola.
«Che cos'è successo?»
«Era di ottimo umore e abbiamo bevuto del vino.»
«Avete del vino in ufficio?»
Margaret s'irrigidì, gli occhi sbarrati dal panico e dal senso di colpa. «Non è stato niente» farfugliò, abbassando lo sguardo.
Amber era sbalordita. Jamison e Margaret erano insieme la sera prima. Avevano forse una relazione?
«Dovrei...» Margaret crollò alla propria scrivania.
«Certo.» Qualunque cosa dovesse fare, era il momento d'interrompere la conversazione e tornare nel proprio ufficio. «Chiamerò i dirigenti per informarli dell'accaduto. Jamison ti ha detto di Dixon?»
Margaret sollevò lo sguardo.
«Che cosa avrebbe dovuto dirmi?»
Amber decise che la notizia che Dixon si era allontanato potesse attendere qualche ora. «Niente. Ne parliamo più tardi.»
L'assistente riportò l'attenzione sui fogli davanti a sé e digitò alcuni tasti del suo computer. «Jamison aveva un pranzo oggi e una riunione con il consiglio alle tre.»
Lasciò Margaret al proprio lavoro e uscì dal suo ufficio con aria pensierosa. Dixon se n'era andato, Jamison era in ospedale e Tuck era da qualche parte, fuori. Che cosa sarebbe accaduto se il giovane rampollo di famiglia avesse preso le redini della compagnia? Si era visto di rado in ufficio, troppo impegnato a bighellonare e a spezzare cuori femminili.
Una settimana più tardi, Tuck si