La casa delle tentazioni: Harmony Destiny
Di Kristi Gold
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Kristi Gold
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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La casa delle tentazioni - Kristi Gold
successivo.
1
Maison de Minuit. Casa di Mezzanotte.
Bastava il nome a far venire i brividi, pensò Selene Albright Winston leggendo l'insegna malandata con il fiato sospeso. Eppure, la spettrale villa coloniale della Louisiana rappresentava il suo primo passo verso la libertà.
Facendosi coraggio, uscì dall'auto e percorse lentamente la parte di vialetto che conduceva al lungo colonnato, con un'ansia crescente a ogni passo.
L'aria era ferma, il silenzio assoluto, irreale. Querce secolari dai rami nodosi come le dita di una strega sorvegliavano la piantagione quali minacciose sentinelle pronte a scacciare sgraditi intrusi. L'erba alta dei prati era spruzzata di pianticelle spelacchiate di cotone e di chiazze marroni, e neppure un fiore adornava le aiuole invase dalle erbacce e bordeggiate da siepi avvizzite.
Selene si fermò a qualche passo dal loggiato per osservare la casa che sembrava anch'essa in uno stato d'abbandono. La facciata beige della villa in stile neoclassico mostrava gli impietosi segni del passare del tempo, come pure le persiane e le sei massicce colonne scanalate che sostenevano la struttura, tutte stranamente dipinte di nero, come l'insegna.
Si augurò che l'interno fosse in condizioni migliori, quantomeno più ospitale, altrimenti neppure il visitatore più curioso avrebbe osato metterci piede. In effetti, il suo primo istinto fu quello di girare sui tacchi e scappare. Ma non poteva permetterselo.
Poggiò il piede sul primo scalino ed ebbe un sussulto quando udì il legno scricchiolare così forte che temette si piegasse sotto il peso del suo corpo. L'effetto della paura sulla sua psiche fu addirittura più spaventoso.
Un paio di occhi azzurri, intensi, glaciali, le guizzarono davanti allo sguardo.
Selene batté le palpebre finché l'immagine non si dileguò. Ma quando posò il piede sul secondo scalino, la visione ritornò, togliendole il respiro e rendendola sempre più incerta e impaurita. No, non poteva permettere che ciò accadesse. Non poteva consentire tali intrusioni. Aveva lottato tanto negli ultimi anni per liberarsi di quelle sue ossessive visioni.
Inspirò a fondo e innalzò la barriera protettiva dietro la quale aveva imparato da qualche tempo a proteggersi. Parve funzionare e riuscì finalmente a salire il terzo e ultimo gradino.
Avanzò lungo il portico e, dopo una lieve esitazione, bussò contro il battente dalla vernice scorticata, poi strofinò la mano sudata contro il vestito rosso senza maniche. Sebbene fosse di un tessuto leggero, aveva la sensazione di avere indosso una pesante palandrana. Si spostò i folti capelli da un lato, raccogliendoli in una coda, senza però provare alcun refrigerio dal caldo impietoso di giugno. Naturalmente, era anche la tensione nervosa a metterla così a disagio, oltre al fatto che nessuno pareva volerle aprire.
Bussò una seconda volta e tirò un sospiro di sollievo quando udì dei passi dall'interno. Non aveva idea di chi potesse esserci dall'altra parte dell'uscio, se una persona amica o nemica... o forse il proprietario di quegli strani occhi.
La porta finalmente si aprì e comparve una donna sulla sessantina con un paio di iridi scure e dei capelli brizzolati portati corti. Indossava un abito verde chiaro dalla linea morbida e un'espressione guardinga, ma non aveva affatto l'aria minacciosa. «In che posso esserle utile?» le domandò con una voce gentile che contrastava con i lineamenti severi.
«La signora Lanoux?» s'informò Selene.
«Sì. E lei è?»
Perlomeno, si trovava nel posto giusto, si consolò Selene, anche se la persona che le stava di fronte non sembrava avere la più pallida idea del perché fosse lì. «Selene Winston. Sono qui per i lavori di restauro.»
La donna si passò la mano fra i capelli. «Oh, non l'aspettavo prima di domani.»
Quando si erano sentite per telefono, venerdì, erano rimaste d'accordo che si sarebbero incontrate il lunedì seguente, Selene ne era certa. Forse doveva interpretare quel malinteso come un segno del destino e tornarsene alla locanda dove alloggiava da dieci giorni, da quando, cioè, era scappata dalla Georgia. «Se non è un buon momento, posso tornare domani.»
«Nient'affatto» rimediò la donna con un sorriso, indietreggiando e facendole segno di entrare. «Benvenuta alla Maison de Minuit... signora Winston, dico bene?»
«Winston è il mio cognome da sposata, ma sono divorziata.» Selene trasalì all'amarezza che sentì echeggiare nella sua stessa voce. «Se non le dispiace, preferirei che mi chiamasse semplicemente Selene.»
«E lei mi chiami pure Ella, allora» rispose, gentile, l'anziana signora. «Su, entri, che fuori fa caldo.»
Quando Selene mise piede nell'atrio d'ingresso, notò subito due cose: la prima era che all'interno non faceva poi tanto più fresco che all'esterno, la seconda che un pesante tendaggio schermava la luce. Un'atmosfera cupa dominava l'ambiente, insieme a un tipico odore di legno vecchio e di muffa.
Seguì Ella lungo il vestibolo e si fermarono in un piccolo salottino, ancora più buio dell'ingresso. I mobili che lo arredavano erano in stile antico, tutti pezzi autentici, e Selene rifletté che dovevano valere una fortuna. Nulla che non avesse visto o posseduto nella vita che si era lasciata felicemente alle spalle. In verità, non aveva mai avuto una grande passione per le antichità.
«Questa è solo una delle aree comuni» spiegò Ella. «E come il resto della casa, ha bisogno di essere rimodernata. Dentro e fuori» precisò, accompagnando la frase con un movimento ondulatorio della mano. «Bisognerà chiedere un preventivo per installare un impianto di condizionamento e molto probabilmente per rifare il tetto, il che significa che dovrà contattare una ditta di costruzioni.»
«Aspetti un attimo» la interruppe Selene. «Non immaginavo che il lavoro fosse di queste proporzioni.»
«Mia cara, può assumere tutto il personale che vuole» precisò l'altra. «Sempre che non sia un problema per lei tenere a bada una squadra di operai e muratori.»
No, non lo era, valutò Selene. Per anni aveva gestito un folto staff di domestici. Inoltre, non aveva un altro posto dove andare, ragion per cui c'era poco da sottilizzare. «Nessun problema. L'importante è che abbia un adeguato budget a disposizione.»
«Il denaro non è un problema.»
Era chiaro che a Ella Lanoux i soldi non mancavano, anche se non assomigliava affatto a tutte le donne straricche che aveva conosciuto nel corso della sua vita, compresa sua madre. Per quanto la mole dell'intervento di ristrutturazione la impensierisse, non doveva dimenticare il motivo per cui era arrivata fin lì. Aveva bisogno di lavorare, per potersi rendere indipendente e ricominciare una nuova vita.
Ella si scostò il ciuffo dalla fronte madida e indicò a Selene di proseguire. «Continuiamo il giro.» Giunta davanti a delle porte battenti, annunciò: «Questa è sicuramente la zona più bella di tutta la casa».
Con enfasi, spalancò le porte, rivelando un'imponente sala circolare pavimentata con del parquet antico, di grande pregio. Al centro della stanza, troneggiava una scalinata a spirale, tappezzata di rosso, che conduceva al piano superiore.
Lo sguardo di Selene corse al soffitto a volta decorato con angioletti d'oro, dal quale pendeva un sontuoso candelabro di cristallo. Le era già capitato di vedere stanze simili, ma solo in fotografia. Ammirarle dal vero era decisamente tutta un'altra cosa. «Oddio, che spettacolo!»
Ella proruppe in un fiero sorriso. «Anche a me ha fatto questo effetto la prima volta che l'ho vista.» Poi, puntò il dito di fronte a loro. «Da quella parte si va nella cucina e nella sala da pranzo. Ma le vedremo dopo. Per ora le mostro il secondo piano.»
Mentre seguiva la donna su per le scale, le dita aggrappate saldamente al corrimano di ferro bianco, Selene si sentiva come se stesse salendo in paradiso. Un delizioso angolo di paradiso tra le tenebre.
Giunte sul pianerottolo, Ella si fermò e indicò a sinistra. «Quel corridoio conduce sul fronte dell'abitazione, dove ci sono due stanze. Una era un tempo una nursery, l'altra è stata trasformata in uno studio privato.»
Selene notò subito l'enfasi su quel privato. Indicando verso destra, chiese: «E da quella parte?».
«Di là ci sono le camere da letto, compresa quella dove dormirà lei, se ci metteremo d'accordo.»
«Non sapevo che avrei pernottato qui.»
«Vitto e alloggio sono compresi.»
Selene pensò che, tutto sommato, era molto meglio così. Non sarebbe stata costretta ad andare e venire tutti i giorni dalla locanda o a cercarsi una sistemazione più vicina. Sempre che avesse deciso di accettare il lavoro. Una decisione da ponderare bene, pensò, mentre seguiva la signora lungo uno stretto corridoio illuminato appena da qualche sporadica lampada a parete.
Avevano percorso solo qualche metro che la sua attenzione venne catturata da una statua di bronzo di dimensioni naturali posta in fondo al corridoio. Una creatura demoniaca completa di corna e denti aguzzi che teneva stretta una donna dalla faccia terrorizzata e l'abbigliamento discinto. La figura minacciosa contrastava decisamente con gli angioletti che decoravano la sala sottostante. Un'immagine classica del bene contrapposto al male. Dal paradiso all'inferno.
All'improvviso, Selene si ritrovò preda di un'altra visione. Una mano che le scendeva lungo il braccio, si posava sulla vita e le afferrava i glutei. Chiuse più volte le palpebre e l'immagine si dileguò. Lasciandole però addosso uno strano senso di inquietudine.
Non si rese conto neppure di essersi fermata finché Ella non si voltò verso di lei e le offrì un altro sorriso. «Piuttosto grottesco, eh? Io lo chiamo Giles, dal nome del primo proprietario. Un pazzo che adorava quella statua. Un tipo eccentrico.»
Eccentrico non era il termine che avrebbe usato lei per descrivere una persona con un tale gusto dell'orrido. Folle maniaco, piuttosto, se gli piaceva alzarsi la mattina e trovarsi davanti un'immagine del genere. «Strano che non se la sia portata con sé» espresse.
Ella rise. «Purtroppo, era troppo grande per entrare dentro la bara.»
Selene avvertì un brivido correrle lungo la schiena. Era colpa di quella statua la presenza che avvertiva, la visione che aveva avuto? Normalmente, lei aveva paura solo dei vivi... «Oh, mi dispiace, non sapevo che fosse morto.»
«Non si mortifichi. Intanto, aveva novant'anni suonati quando se n'è andato, pace all'anima sua, e poi non sa che persona impossibile fosse. Si credeva un padreterno. Non per nulla aveva sposato una donna di quarant'anni più giovane di lui. Quella che poi... ironia della sorte, lo ha portato alla morte.»
«Oddio. L'ha ucciso?» Selene non riuscì a camuffare la propria angoscia.
Ella scosse il capo e rise di nuovo. «Non intenzionalmente. Diciamo solo che i Morrell sono rinomati per essere tutti uomini dotati di un'accesa passionalità. Giles, ahimé, non era a quanto pare consapevole dei limiti inesorabilmente imposti dalla vecchiaia.»
«Perlomeno, ha lasciato questo mondo da uomo felice.» Selene passò poi a formulare la domanda che più le premeva. «È morto in questa casa?»
«No. Si trovava in Francia.»
Quelle parole la rincuorarono, finché Ella non aggiunse: «Questo posto, però, ha la fama di essere un luogo sfortunato. È stato teatro, in passato, di più di una disgrazia».
Ecco. Non ci mancava che questo. Stava per trasferirsi in una casa infestata da spiriti inquieti... Quale scenario più appropriato per stimolare le sue doti di veggente?
Continuarono a camminare finché Ella non si fermò davanti a una porta chiusa. «Questa è la sua stanza.» Poi indicò in fondo al corridoio. «Quella camera laggiù, mi raccomando, deve restare sempre chiusa. Disposizioni dell'attuale proprietario.»
Selene sgranò gli occhi. «Come? Pensavo fosse