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Vacanze con il capo: Harmony Jolly
Vacanze con il capo: Harmony Jolly
Vacanze con il capo: Harmony Jolly
E-book178 pagine2 ore

Vacanze con il capo: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Sentimenti, segreti, passioni... Quando l'amore non va in vacanza!

Clark Beaumont prevede grossi guai per sé e i propri figli! Lui non crede proprio di essere in grado di passare alcuni giorni da solo con i suoi due bambini. Ha bisogno di aiuto e, forse, anche di un miracolo, per poter trovare qualcuno libero da altri impegni durante le vacanze!

Althea Johnson ne è convinta: lassù qualcuno la ama. Non potrebbe essere altrimenti. È appena diventata ufficialmente la tata di due bambini a suo avviso adorabili e in più dovrà trattare con il loro papà: single e molto avvenente. Che questa sia la volta buona per Althea di trovare l'amore? Lei spera di sì!
LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2019
ISBN9788858994849
Vacanze con il capo: Harmony Jolly
Autore

Susan Meier

Americana dell'Iowa, riesce a conciliare i suoi interessi con la famiglia e l'attività di scrittrice.

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    Anteprima del libro

    Vacanze con il capo - Susan Meier

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Single Dad’s Christmas Miracle

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2013 Linda Susan Meier

    Traduzione di Laura Polli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-484-9

    1

    «Svoltare a destra.»

    La voce monotona del navigatore satellitare risuonò nell’abitacolo dell’auto di Althea Johnson mentre lei guidava lentamente lungo la via principale coperta di neve di Worthington, Pennsylvania.

    Una settimana dopo la Festa del Ringraziamento, la cittadina era già decorata per le prossime feste natalizie con fili luminosi da un palo all’altro della luce, corone di sempreverdi appese alle porte delle case e campanelle d’argento che riflettevano la pallida luce di quella giornata nevosa.

    Esattamente com’era entrata nella piccola città, Althea si trovò ben presto a uscirne.

    Il navigatore era silenzioso e così non le rimase altro da fare che continuare a seguire la strada a curve che portava verso le montagne.

    Proseguì per dieci minuti, facendo attenzione a non slittare sull’asfalto viscido. Quasi certa di avere sbagliato strada, mentre stava per invertire la marcia il navigatore riprese a dare istruzioni.

    «Fra cento metri, svoltare a sinistra

    Althea tirò un sospiro di sollievo e frenò il più dolcemente possibile.

    Aveva guidato negli inverni del Maryland, ma abitava ormai da anni in California, la sua auto non era dotata di gomme da neve e la sua abilità di guida su fondi stradali ghiacciati era un po’ arrugginita.

    «Svoltare a sinistra» intimò il navigatore qualche istante dopo.

    Rallentando ulteriormente, Althea imboccò una strada secondaria ai cui margini c’era un filare di pini coperti di neve.

    A un certo punto apparve in vista una grande villa. Nel vialetto della rimessa era posteggiato un fuoristrada grigio dal cui bagagliaio un uomo alto e bruno stava scaricando alcune borse della spesa.

    La neve gli si posava sui capelli e sulle spalle come fiocchi di cotone e copriva interamente la siepe di sempreverdi che delimitava la proprietà. Un grosso cane nero gli saltellava intorno e aveva una bambina aggrappata al bordo della sua giacca imbottita.

    Stressato.

    Questo era il termine che venne in mente ad Althea osservando l’espressione dell’uomo mentre posteggiava vicino al cancello d’ingresso.

    Era arrivata alla meta? Era quello Clark Beaumont?, si chiese Althea.

    Scese dall’auto e fece qualche passo sulla neve. Il grosso cane la raggiunse quasi subito abbaiando. Con un movimento rapido si alzò sulle zampe posteriori e le posò quelle anteriori sulle spalle.

    Colta alla sprovvista, Althea perse l’equilibrio e cadde all’indietro sulla neve. A quel punto il cane le posò le zampe sull’addome, come se volesse tenerla ferma fino all’arrivo del padrone.

    «Crazy! Via di lì!» gridò l’uomo. Mentre il cane si allontanava, tese la mano ad Althea per aiutarla a rialzarsi. «Niente di rotto?» le domandò, preoccupato.

    «Come mi ha chiamata?» domandò Althea, osservando da vicino il bel viso virile di lui.

    «È il nome del cane» precisò lo sconosciuto. «È una femmina Labrador assolutamente imprevedibile. È per quello che l’abbiamo chiamata così.»

    «Insomma, pazza di nome e di fatto» rise Althea, cercando di togliere via la neve dai jeans e dalla felpa.

    «A contatto del calore del corpo si scioglierà e presto sarai bagnata come un pulcino» previde l’uomo, osservando i jeans e la felpa macchiati di lei. «Spero tu abbia degli abiti di ricambio più pesanti in auto.» Aveva preso a darle subito del tu.

    «Vengo dal sud della California» gli spiegò Althea, evitando di precisare che lei era nata e cresciuta a Newland, Maryland, più o meno a ottanta chilometri di distanza da dove Clark Beaumont abitava.

    «California?» ripeté lui, accigliandosi. «Per caso sei Althea Johnson?»

    «In carne e ossa coperte di neve» gli confermò sorridendo, tendendogli la mano e dandogli a sua volta del tu. «Suppongo quindi che tu sia Clark Beaumont.»

    «Non mi aspettavo che arrivassi prima di venerdì» rispose lui ricambiando la stretta.

    «Quando ho detto a Emily Alwine, la vostra governante, che ero disponibile al colloquio come insegnante di sostegno per tuo figlio, sono partita subito» gli spiegò.

    «Dalla California in auto... Non è certo un viaggio breve» osservò Clark.

    «Non ti preoccupare, ho fatto delle lunghe soste, dormito e mangiato.»

    «E oggi ci si è messo anche il maltempo a complicare le cose. È da stamattina che nevica... Emily mi ha detto che sei diretta in Maryland» proseguì Clark.

    «Mia sorella abita a Newland» gli confermò Althea. «È da parecchio tempo che non ci vediamo e quest’anno abbiamo deciso di trascorrere il Natale insieme. Ma prima di tornare a Newland, mi farebbe comodo un lavoro temporaneo. La scuola dove lavoravo come insegnante ha deciso di ridurre il personale e quindi sono temporaneamente disoccupata. Così, prima di esaurire i risparmi, ho deciso di tornare a Newland. Mia sorella è titolare di un laboratorio di pasticceria e si è offerta di darmi subito un impiego.»

    «Capisco...» mormorò lui.

    «Io però non voglio lavorare nel settore della pasticceria» proseguì Althea. «Facendo da tutor per qualche settimana a tuo figlio guadagnerò abbastanza per cercare con calma un altro lavoro come insegnante ed evitare per disperazione di dedicarmi per tutta la vita a decorare torte.»

    Clark annuì, come se sapesse tutto di difficoltà a trovare lavoro, impieghi temporanei e disperazione. Ma osservando la casa in cui lui abitava, una villa di ampie proporzioni, ben tenuta, circondata da un ampio giardino, Althea si chiese se lui sapesse veramente cosa voleva dire essere nei guai. Quella casa sembrava uscita da un libro di favole e le persone che vivevano nelle favole non conoscevano la dura realtà della vita, concluse con amarezza, pensando che era proprio quello che tutti avevano creduto a Newland.

    Una famiglia perfetta.

    Peccato solo che fra le mura domestiche della loro bella casa la realtà fosse stata ben altra.

    Suo padre ne era stato il padrone assoluto, e l’aveva governata con pugno di ferro.

    Nel vero senso della parola.

    Quei tristi ricordi la fecero rabbrividire.

    Clark se ne accorse e scosse il capo. «Scusa, hai freddo e io ti sto tenendo qui fuori a parlare. Entriamo in casa.» Accennò all’auto. «Vuoi che prenda il tuo bagaglio?»

    «Vediamo prima l’esito del colloquio» rispose lei, con un sorriso cauto.

    «Sì, hai ragione» annuì Clark, facendole cenno di seguirlo. «Ma Emily era così sicura che tu fossi la persona giusta per fare da tutor a mio figlio Jack, che mi sono preso la libertà di controllare le referenze che hai scritto sul curriculum che mi hai mandato via mail. Per cui ho già tutte le informazioni che mi interessano.»

    «Meglio così» rispose Althea salendo i gradini che portavano al portico della villa. Il centro abitato di Worthington era già tutto decorato per le festività natalizie, ma quella casa da favola non aveva alcuna corona di sempreverdi appesa alla porta d’ingresso e neppure decorazioni luminose.

    «La mia governante è in malattia da una settimana e in questi giorni la situazione è fuori controllo» le spiegò Clark. «Se stamattina non fossi andato a fare la spesa adesso non avrei nemmeno un caffè da offrirti e...» Si interruppe. «A proposito, devo finire di scaricare le borse. Entra pure in casa, ti raggiungo subito.»

    «Vuoi che ti aiuti?» si offrì Althea.

    «Meglio di no. Hai freddo per via dei vestiti bagnati.»

    «Portando le borse mi scalderò.»

    Althea seguì Clark e quando raggiunsero il fuoristrada lui le affidò un paio di borse.

    «Penso io alle altre» le disse. «Tu entra pure in casa. Quando sei nell’atrio imbocca il corridoio a destra per andare in cucina.»

    Althea annuì, ma con le scarpe da tennis con la suola liscia che calzava era costretta a camminare piano per non scivolare e prima di arrivare all’ingresso Clark l’aveva già raggiunta.

    «Se decidi di accettare l’incarico che ti offro, dovrai comprarti un paio di stivali» le disse.

    «Buona idea» convenne Althea.

    «E anche un cappotto. L’inverno in Pennsylvania non è come in California.»

    «Lo so.»

    Nell’ingresso Althea vide la bambina che poco prima si era aggrappata a Clark. Con indosso una giacca imbottita con cappuccio rosa confetto e un paio di guanti bianchi era assolutamente adorabile, pensò Althea, sorridendo.

    «Questa è mia figlia Teagan» la presentò Clark.

    «Piacere di conoscerti, Teagan» le disse Althea in tono amichevole.

    La bambina le diede una lunga occhiata poi abbassò lo sguardo.

    «Teagan, questa è la signorina Johnson. È un’insegnante e spero possa aiutare Jack» le spiegò suo padre.

    Teagan continuò a fissare ostinatamente il pavimento.

    Althea non fece commenti e non insistette perché Teagan le rispondesse. Per esperienza sapeva che certi bambini erano più diffidenti o timidi di altri e avevano bisogno di tempo per abituarsi alla presenza degli estranei. Per quella ragione proseguì tranquillamente verso la cucina.

    Clark posò le borse in un angolo, imitato da Althea. I pensili in noce avrebbero potuto dare all’ambiente un’atmosfera cupa, ma l’isola centrale con il piano di lavoro in marmo bianco e il pavimento chiaro controbilanciavano quel particolare. Come pure l’ampia finestra dalla quale si godeva una magnifica vista delle montagne.

    «Wow...» mormorò Althea, osservando le cime innevate degli Appalachi.

    «L’idea della finestra panoramica è stata di mia moglie» disse Clark. «È lei che ha scelto questo appezzamento di terreno e realizzato il progetto della casa.»

    «Ti sei ricordato di comprare i biscotti, papà?» chiese un ragazzino comparendo sulla soglia della cucina insieme al Labrador nero.

    «Certamente» rispose Clark. «Althea, questo è mio figlio Jack. Ha dodici anni. Jack, Althea Johnson» li presentò rapidamente. «Non appena avrò messo via la spesa, io e Althea avremo un colloquio per capire se può diventare la tua nuova insegnante.»

    Mentre Clark iniziava a sistemare latte e verdura in frigo, Jack rimase dov’era, con il grosso cane al fianco, a osservare la nuova arrivata.

    «Okay, il resto può aspettare. Finisci tu di mettere via lo scatolame, Jack» disse Clark. «Che ne dici di uno spuntino prima del colloquio? Caffè e panini imbottiti per noi, cioccolata e biscotti per Jack e Teagan» propose ad Althea.

    «Okay. Se vuoi, posso preparare il caffè» si offrì Althea, che non era abituata a starsene con le mani in mano. «Dov’è la caffettiera?»

    «Non serve, abbiamo quella automatica. Preparo in un attimo il caffè e la cioccolata.»

    «Capisco...» mormorò Althea, con l’impressione di avere fatto la figura della sciocca. Come aveva fatto a pensare che in una cucina moderna come quella si usasse ancora la vecchia caffettiera?

    Mentre Clark si dava da fare, Teagan si sedette al tavolo ad aspettare la cioccolata. Il cane si accucciò in un angolo, mentre fuori continuava a nevicare. Fiocchi larghi scendevano dal cielo e si posavano sulla distesa candida e silenziosa che copriva la valle.

    Silenzio.

    Althea si guardò intorno, preoccupata dal fatto che in casa regnasse la stessa quiete che c’era all’esterno.

    Dopo avere finito di sistemare lo scatolame in dispensa come gli aveva ordinato suo padre, anche Jack si sedette al tavolo in silenzio, come sua sorella.

    «Posso aiutarti?» domandò di nuovo Althea. Abituata com’era ai modi allegri e turbolenti che i bambini e i ragazzi creavano a scuola, quell’atmosfera innaturale la metteva a disagio. Un’atmosfera che le ricordò alcuni orribili ricordi del passato...

    «No, grazie, sono abituato ad arrangiarmi» rispose Clark.

    Arrangiarsi a fare cosa? A preparare il pranzo?Ad avere dei figli così tranquilli e silenziosi? A occuparsi di loro in assenza della moglie e della governante?, si chiese Althea.

    Emily era malata ed essendo martedì, immaginò che a quell’ora la signora Beaumont fosse al lavoro. Con lei Jack e Teagan si comportavano in modo più vivace?

    Cinque minuti dopo Clark mise in tavola un vassoio con il pane e tutto l’occorrente per imbottirlo.

    «Serviti pure mentre io preparo il caffè e la cioccolata» disse ad Althea.

    «Prima preparo un paio di panini

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