Sogno di natale: Harmony Collezione
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Indaffarato milionario cerca compagna.
Indispensabile disponibilità sul lavoro... e sotto le lenzuola.
Per portare a termine un lucrosissimo affare con un cliente giapponese, che crede fortemente nei valori della famiglia, Spence Tyack si convince che farà una migliore impressione sul potenziale investitore presentandosi all'appuntamento con una compagna. Unirà, così, l'utile al dilettevole, concludendo l'affare e dividendo il proprio letto con una donna di suo gradimento senza complicazioni sentimentali. Peccato però che la settimana di lavoro alle isole Fiji sconvolga radicalmente questo progetto: Sadie Morrissey, infatti, la prescelta per il ruolo di accompagnatrice, si rivela essere un'inaspettata e piacevole sorpresa.
Anne McAllister
Autrice di grande versatilità, ha vinto il premio RITA per la letteratura romantica ed è acclamata dai fan di tutto il mondo.
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Anteprima del libro
Sogno di natale - Anne McAllister
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Boss’s Wife for a Week
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2007 Barbara Schenck
Traduzione di Silvana Mancuso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5891-759-6
www.eHarmony.it
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1
Era il lavoro d’ufficio a tenere Sadie Morrissey legata a Spencer Tyack: con lui non aveva speranze.
La Tyack Enterprises era un’azienda di sviluppo immobiliare di successo.
Spence avrebbe ottenuto il controllo del mondo intero, pensava a volte Sadie, se solo lei fosse stata in grado di cavarsela con tutto quel lavoro.
«Devi essere più veloce ad archiviare» le diceva sempre, con un sorriso smagliante, mentre sfrecciava in partenza per Londra, Parigi, Atene o New York.
«Assolutamente no» replicava Sadie puntuale, e gli lanciava una pallina di carta. Spence le rispondeva con un altro dei suoi sorrisi e le strizzava l’occhio.
Sadie resisteva al sorriso e all’occhiolino.
Resisteva anche a lui.
«Sono già abbastanza oberata di lavoro, grazie mille» gli faceva notare tagliente. «E non parlo solo di archiviare.»
Certo, lui lo sapeva bene. Sapeva che era Sadie il motore dell’ufficio.
Lo faceva apposta.
Non che lei se ne preoccupasse.
Fino all’anno precedente aveva avuto una buona ragione per rimanere a Butte. Voleva a tutti i costi prendersi cura dell’anziana nonna. Ma lei era morta sei mesi prima e, nonostante l’insistenza dei genitori, che vivevano in Oregon, e del fratello, Danny, che le prometteva colloqui di lavoro a volontà a Seattle, Sadie era rimasta.
Le piaceva Butte. Amava il Montana. Per lei, era il luogo più bello del mondo.
E le piaceva la sua vita, ciò che la riempiva. In gran parte il suo lavoro. Ma le stava bene così.
C’erano giorni in cui Sadie pensava che sarebbe dovuta nascere polpo. Ma perfino otto braccia non sarebbero bastate quel pomeriggio.
Il telefono stava già squillando quando aveva aperto l’ufficio alle 8 e 30 e non aveva smesso fino all’ora di pranzo. E, tra una chiamata e l’altra, Sadie aveva lavorato per definire un incontro di lavoro di Spence e dei suoi partner per un resort alle Fiji, la settimana successiva.
Trattandosi di gente sempre in movimento, era una vera sfida.
«Non vogliamo oziare» le aveva detto Spence, l’ultima volta che era stato a Butte. «Vogliamo solo andar lì, vedere il posto, fare due conti e, se tutto va bene, comprare.»
«Questo è quello che vuoi tu. Ma il signor Isogawa vuole che voi sperimentiate di persona la pace in cui state investendo.»
«La parte in cui stiamo investendo?» Spence aveva aggrottato le sopracciglia. «Non vogliamo solo una parte. Vogliamo essere soci in tutto il progetto.»
«Pa-ce» aveva sillabato Sadie paziente. «Si aspetta che voi andiate tutti lì per una settimana, per conoscervi, conoscere il posto, e che sia un’occasione per stare insieme alle vostre famiglie.»
«Io non ho una famiglia.»
«Allora diglielo. Lui ha il pallino del matrimonio e della famiglia. Mi ha detto che lavora per questo. Ma è convinto che a volte chi lavora troppo confonde le proprie priorità. Da qui la necessità di Nanumi. È un termine delle Fiji che significa ricordare» lo aveva informato.
Spence era rimasto indifferente. Le aveva lanciato uno di quei suoi sguardi scettici che Sadie conosceva fin troppo bene. E lei si era limitata a scrollare le spalle.
«Vedi tu. Ma ha detto che, se volete acquistare, vi vuole tutti lì per una settimana, mogli comprese, per provare di persona.»
Spence aveva spalancato gli occhi.
«Bene. Come vuole lui. Occupatene.»
E lei lo aveva fatto.
Oltre a organizzare il viaggio di tutti, peraltro sparsi ai quattro angoli del mondo, aveva anche dovuto rispondere alle domande di mogli sorprese che lamentavano di non andare mai in vacanza.
Leonie, la moglie di Richard Carstairs, per esempio, l’aveva chiamata ogni giorno chiedendole: «Ma è proprio sicura? E Richard lo sa?».
Sadie aveva continuato a rassicurarla. Cominciava a pensare che il signor Isogawa sapesse bene di cosa stava parlando.
E fu quando aveva sistemato tutto ed era passata a un altro contratto, che il telefono riprese a squillare.
Sadie chiuse gli occhi e pregò di avere pazienza.
In realtà non aveva bisogno di otto mani, pensò stanca. Otto orecchie non avrebbero guastato però.
«Tyack Enterprises» rispose, e dall’altro capo sentì una voce, che chiaramente non parlava l’inglese come prima lingua. Ma neanche l’italiano o il greco.
«Ah, Isogawa-san, konnichi wa. Che piacere sentirla!»
E lo era davvero. «Arrivano domenica. Ho tutti i dettagli qui davanti a me.»
Lo informò contenta e sorrise quando dall’altro capo lo sentì approvare allegro.
«Deve venire anche lei» le disse.
«Grazie. Mi piacerebbe» rispose Sadie sorridendo. Chi non vorrebbe trascorrere una settimana in un paradiso del Pacifico? «Ma ho del lavoro da fare.»
«Sarà così» aveva replicato il signor Isogawa. «Ma lei lavora troppo. Anche lei dovrebbe concedersi una vacanza. Una vita.»
E lui come faceva a sapere che non ne aveva una?
«Ne parli a Spence. Ci penserà lui.»
Spence non faceva vacanze. Figuriamoci se capiva la necessità degli altri. Ufficialmente, Sadie aveva due settimane all’anno. Non ricordava di averle mai prese.
«Chissà, un giorno forse» rispose al signor Isogawa. Quando si ghiaccerà l’inferno.
Eppure, chiusa la conversazione, continuava a pensare a ciò che le aveva detto.
Non riguardo ad andare alle Fiji...
Non c’era speranza. Ma forse doveva prendere in considerazione di andarsene. Cambiare. Per anni non aveva fatto altro che assicurare a se stessa di prosperare nella sua vita affaccendata.
Ma era davvero una vita?
Rob McConnell, l’uomo con cui usciva negli ultimi mesi, non la pensava così.
«Hai tempo solo per il tuo dannato lavoro» continuava a ripeterle. «Non tornerai giovane, Sadie.»
Di solito Rob non era così diretto, ma era stanco di aspettare. E aveva ragione, lei non sarebbe tornata giovane.
Aveva ventotto anni. Se doveva fare sul serio, era ora di cominciare.
E lei voleva farlo davvero, ma non con Rob.
Era questo il problema.
Forse doveva trasferirsi. Ci pensava da quando suo fratello Danny era venuto a farle visita da Seattle la settimana precedente, insieme alla moglie e ai gemelli di appena un anno.
Era stato uno shock vederlo nelle vesti di padre.
«Chi l’avrebbe detto che mi sarei sistemato prima di te» le aveva fatto notare la sera prima di partire. «Ma tu sei già sistemata, Sadie, non è così?»
«Cosa intendi?»
Lui aveva fatto una smorfia. «Sei sistemata come la sgobbona di Spence.»
«Non lo sono! Non essere ridicolo.»
«Non sono io il ridicolo qui, Sadie. È solo lavoro e niente divertimento. È così da sempre.»
«Mi diverto» aveva protestato Sadie.
«Quando lavori diciassette ore anziché diciotto? Al diavolo, sei peggio di Spence.»
«Abbiamo degli obiettivi!» lo aveva informato altezzosa.
«Spence li ha» l’aveva corretta Danny, duro. «Tu sei solo in attesa.»
Sadie si era girata per guardarlo. «E cosa dovrebbe significare questo?»
«Sai perfettamente cosa significa.»
«Ho un lavoro fantastico!»
«Ma ce l’hai una vita? E dai, Sadie. Tu sei quella che da piccola dava il nome ai bambini che avresti avuto. Hai quasi trent’anni ed esci appena con qualcuno!»
«Ne ho ventotto, e non quasi trenta! E Rob...»
«Non stai facendo sul serio con Rob McConnell. Altrimenti lo avresti invitato mentre io e Kel eravamo qui. Trovati qualcuno con cui fare sul serio. Sposati. Fatti la famiglia che hai sempre desiderato.» Le aveva buttato lì quelle parole come una sfida, e Sadie non poteva raccoglierla.
«Sto bene» aveva replicato ostinata.
«Come no, certo. Potresti trovare un lavoro ovunque. Vieni a Seattle. Kel ti farà conoscere tantissime persone. Credimi, sei sprecata con Spence.»
«Io non esco con Spence.»
«Grazie a Dio. Siamo amici, ma certo non è tipo da matrimonio, no?»
Non le aveva detto nulla che non sapesse già.
«Lavoro per lui, e questo è tutto.»
«Licenziati allora.»
«Non posso.»
«Perché no? Possiede forse la tua anima?»
«Oh, santo cielo. Certo che no!» Era diventata rossa in viso e sperava che Danny non se ne fosse accorto.
«Be’, questo lascia pensare. Lavori per lui da anni! Dal liceo.»
«Perché aveva bisogno di aiuto. Conosci Spence. Ha capacità enormi. Riesce a vedere oltre. Ma con il lavoro d’ufficio e i dettagli proprio non ce la fa.» E Sadie era sempre stata perfetta in entrambi. «E in ogni caso, me ne sono anche andata una volta, ricordi? Sono andata all’università.»
«Sì, e poi sei tornata, stupida. Tornata da lui.»
«Tornata al lavoro» aveva insistito Sadie. «Ho un ottimo stipendio e una percentuale sugli affari, santo cielo. Dove potrei andare e gestire un’azienda di livello internazionale come questa alla mia età? E continuare a vivere a Butte?»
«Oh, certo, questo è il massimo. Butte! L’ombelico del mondo e della cultura occidentale.»
Chiaramente era tutt’altro.
«Non essere sarcastico e non denigrare questa città.» Sadie era stata fredda. «È casa mia. Spence non la denigra, e avrebbe più ragioni di te per farlo.»
Lei e Danny avevano avuto un’infanzia felice, con genitori affettuosi e stabili. Spence no.
Se era sopravvissuto, non era grazie ai suoi genitori, questo era certo.
Sadie ricordava il nonno di Spence come una persona affettuosa e gentile, ma era morto quando Spence aveva dieci anni. Da allora la sua vita era stata un inferno.
Il padre alcolizzato non era stato in grado di tenersi un lavoro, e tornava a casa solo raramente per litigare con la moglie o prendersela con Spence. E l’amarezza della madre trovava un facile bersaglio nel loro unico figlio.
«Sei proprio come tuo padre!» Sadie l’aveva sentita urlare qualche volta.
Non lo era neanche lontanamente.
A differenza del padre, Spence era sempre stato motivato, e anche quando era una sorta di delinquente alle scuole superiori, era determinato a essere il peggiore delinquente del branco.
Era stato un assistente sociale a rimetterlo in riga, facendo leva sul ricordo del nonno. Da allora Spence aveva deciso di rendere il nonno orgoglioso di lui. Di diventare il miglior uomo possibile.
Era andato a lavorare ovunque. Perfino in miniera.
A ventidue anni era stato in grado di chiedere il suo primo finanziamento.
Ed era stato allora che aveva assunto Sadie per far ordine nel caos dei suoi documenti, nel suo autocarro. Non aveva un ufficio allora.
«Non posso sprecare soldi in un ufficio» le aveva detto molto semplicemente.
Nel giro di un anno aveva acquistato un edificio, poi due.
Nell’ultimo anno di liceo, Sadie aveva avuto finalmente un ufficio tutto suo. Spence aveva perfino comprato una ridicola targhetta con scritto Ufficio di Sadie.
Si era infuriato quando gli aveva detto che sarebbe andata all’università in California.
«Ti ho dato un ufficio» aveva protestato. «Pensavo che avresti lavorato per me!»
«Non per sempre» aveva replicato lei.
Perché non