Salvata dal dottore: Harmony Bianca
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Quando il dottor Ethan Conway porta il cane di suo figlio alla clinica veterinaria di Kate Foster, si accorge subito che tra loro si è innescata una chimica speciale. Quello che succede poco dopo, però, cambia completamente il corso degli eventi.
Kate viene aggredita da uno sconosciuto e tratta in salvo da Ethan. Le era già successo in passato, e ne era rimasta traumatizzata; questa volta però al suo fianco c'è un uomo che ha appena conosciuto ma di cui sente di potersi fidare. Lui e suo figlio le stanno vicino e, col passare dei giorni, Kate si accorge di essere entrata a far parte di quella piccola, preziosa famiglia. Ma solo quando riuscirà a fare i conti con il proprio passato potrà andare incontro a un futuro ancora tutto da scrivere.
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Salvata dal dottore - Annie Claydon
successivo.
1
Era capitato spesso al dottor Ethan Conway di salvare delle vite. E purtroppo gli era capitato altrettanto spesso di avvertire quella straziante sensazione d'impotenza quando si rendeva conto che non c'era nulla da fare.
E Jeff non era solo un cane. Era il cane di Ethan.
Il docile e massiccio Terranova aveva più di novant'anni, se misurati in anni umani. Nelle ultime settimane la vecchiaia aveva avuto il sopravvento sul suo fedele amico, e anche se la cosa non avrebbe dovuto sorprenderlo, era comunque stato difficile accettarlo.
«Tranquillo, Jeff. Vedrai che tra un attimo sarà qui.»
Ethan parcheggiò nel piazzale davanti all'ambulatorio veterinario e si voltò verso il suo cane. Jeff sollevò lo sguardo quando sentì pronunciare il suo nome ed Ethan allungò la mano per accarezzargli la testa. Jeff era con lui da nove anni, gli era stato accanto nei momenti più belli come in quelli più brutti, e il pensiero di perderlo lo faceva stare terribilmente male.
È normale che ti faccia soffrire.
Le parole della graziosa veterinaria dai capelli rossi che aveva visitato Jeff la settimana precedente gli risuonavano ancora nella testa. Lui aveva tentato di spiegarle che, tutto considerato, il suo Terranova non stava poi così male, ma lei aveva subito stroncato con uno sguardo la sua spavalderia.
Un'altra vettura entrò nel parcheggio e i fari dell'auto lo accecarono per un istante. Il mezzo si fermò esattamente sulla riga che separava due posteggi e un attimo dopo Kate Foster scese e si affrettò a raggiungere l'auto di Ethan.
«Dopo la sistemo meglio...» gli disse sorridendo mentre Ethan abbassava il finestrino. «Aspetti da molto? Mi dispiace, ma l'ultima visita mi ha impegnata più del previsto.»
«Non preoccuparti, sono io in anticipo. E comunque voglio ringraziarti per esserti resa disponibile anche a quest'ora di sera.»
Kate fece un cenno con la mano per fargli capire che non importava, ma Ethan sapeva che quel giorno lei era stata molto presa. Gliel'aveva riferito la segretaria dello studio poco prima. Ma nonostante ciò, adesso, gli pareva piena di energia, tanto che dovette spostarsi bruscamente di lato quando lei infilò la testa nell'abitacolo per osservare Jeff.
«Ciao, Jeff. Come te la passi, amico?»
Jeff batté allegramente la coda sul sedile e alzò il capo. Kate sorrise all'animale, e subito dopo Ethan rispose alla sua domanda. «Da quando l'hai visitato la settimana scorsa, sta meglio. Gli ho somministrato il farmaco regolarmente.»
«Bene. Portiamolo dentro così gli do un'occhiata.»
Kate aprì la porta dell'ambulatorio e aspettò che Ethan sganciasse la bardatura di sicurezza del cane e la raggiungesse. Jeff entrò lentamente e, dopo che la porta si fu richiusa, lei andò ad aprire il suo studio, lasciandosi dietro una scia di aria fresca e profumo floreale.
«Portalo pure dentro...» lo invitò Kate dopo aver acceso la luce, ed Ethan si piegò per prendere in braccio il grosso cane e posarlo sul lettino. «Lascialo pure lì e siediti vicino a lui. Se non ricordo male, l'ultima volta non gli era piaciuto stare sul lettino, o sbaglio?»
Aveva visitato Jeff solo una volta, ma se lo ricordava ancora. Ethan si sedette sulla panca che correva lungo un lato della stanza e Jeff si distese accanto a lui, appoggiandosi ai piedi di Ethan.
«Puoi aspettare solo un attimo? Vado a prendere la mia borsa in auto.» Sorrise scrollando le spalle e lui si sentì per un istante più sollevato. «Forse dovrei anche parcheggiare meglio. Mi dicono sempre che le righe bianche sono lì per un motivo.»
«Non ti preoccupare per noi. E chiamami se hai bisogno di aiuto per fare manovra.»
Kate ridacchiò ed Ethan pensò che parcheggiare regolarmente non doveva proprio essere una delle abilità di Kate. Nel lavoro era precisa e scrupolosa, ma tutto il resto tradiva il suo spirito squisitamente ribelle.
Udì il rumore della porta d'ingresso che si chiudeva. Poi il silenzio fu interrotto dal debole ronzio del motore dell'auto. Poi si sentì un colpo secco e di nuovo silenzio.
«Vado a vedere se le serve aiuto, Jeff.»
Ethan spostò delicatamente Jeff dalle sue gambe e si alzò in piedi. In quel mentre, un urlo improvviso gli fece drizzare i peli sulla schiena.
No... Non un urlo, piuttosto un grido di battaglia... Il suono incoerente dello sforzo cieco e della determinazione. Ethan corse verso la porta e, imprecando, uscì brancolando nell'oscurità.
Si guardò intorno sforzandosi di vedere nel buio, e tutt'a un tratto scorse l'auto di Kate parcheggiata regolarmente e poco distante lei che si dibatteva per sfuggire a un'ombra scura che le stringeva il braccio.
«Ehi! Lasciala andare!» gridò Ethan. La sagoma scura si bloccò per una frazione di secondo e Kate approfittò di quell'attimo di esitazione per sferrare un pugno al suo aggressore spostandogli il cappuccio che aveva in testa. Ed Ethan lo vide in faccia.
Era giovane, probabilmente sui vent'anni, capelli scuri, corti. Quei dettagli si archiviarono automaticamente nella mente di Ethan mentre si avvicinava a loro, gridando ancora con forza.
Era chiaro che con quella reazione Kate si era messa in pericolo, ma aveva agito d'istinto e anche adesso non sembrava intenzionata a tirarsi indietro. Sferrò un altro pugno al ragazzo, ma lui lo scansò e con una spinta la scaraventò a terra.
Ethan udì Kate lanciare un gemito di dolore, ma il ragazzo, non contento, le sferrò un ultimo calcio nel costato prima di fuggire.
«Kate...» Si era rialzata e si stava muovendo verso la macchina. «Kate, è tutto a posto» provò a tranquillizzarla lui mentre la raggiungeva.
Ma lei non sentì le sue parole. Ethan aveva già visto quella scena parecchie volte: persone così terrorizzate da non riuscire ad accettare l'aiuto di nessuno. Allora alzò le mani in segno di resa.
Lei barcollò verso l'auto, gli occhi sbarrati e i riccioli rossi che sfuggivano dallo chignon dietro la nuca. Ethan cercò di fermarla, chiedendosi se stava per salire in auto e andare via, ma poi vide che sembrava interessata solo alla parte posteriore del veicolo.
«Va tutto bene adesso, Kate. È scappato.»
«Se n'è andato veramente?» Quelle poche parole parevano intrise di panico. «Sei sicuro?»
«L'ho visto salire su un furgone che si è dileguato in un attimo.» Ethan fece un passo in avanti e lei gli si gettò tra le braccia.
Lui la sentì tremare leggermente, e così la strinse forte a sé.
Era... quasi bello. Forse la cosa più bella che gli fosse capitata da molto tempo. Le accarezzò piano i capelli, cercando di concentrarsi su ciò che doveva fare in quel momento. Offrirle conforto. Attenzione. Perché era giusto così.
«Ti hanno aggredita.» Ethan represse l'impulso di dirle che adesso andava tutto bene, perché non era sicuro che fosse davvero così. «Sei ferita?»
«No...» Sentiva le sue mani che gli stringevano la felpa. «Non credo.»
«Entriamo che ti do un'occhiata.» La spinse delicatamente verso la porta dell'ambulatorio, ma lei oppose resistenza e si divincolò.
«Scusa... Sto bene. Devo prendere la borsa.» Kate lo guardò con aria contrita, passandosi la manica della giacca sul viso striato di lacrime. Con il telecomando aprì l'auto, sollevò il portellone del baule e scostò una coperta che nascondeva una cassetta chiusa. Poi infilò una mano nella tasca della giacca, prese un mazzo di chiavi e cercò quella giusta. Quando alla fine la trovò, cercò di infilarla nella serratura della cassetta, ma le tremavano talmente le mani che non riusciva a inserirla nella fessura.
«Lascia, faccio io.» Ethan allungò la mano, ma si bloccò di colpo quando la vide ritrarre il braccio con lo sguardo velato dal panico.
«Sì... scusa, grazie.» Gli porse le chiavi e lui aprì la cassetta. All'interno c'era una borsa in cui con molta probabilità teneva i farmaci.
Ethan avrebbe voluto che smettesse di scusarsi e gli permettesse di abbracciarla di nuovo e confortarla. Tuttavia capì che quel desiderio di stringerla a sé era molto egoistico.
«È per difendere questa che hai reagito?» Ethan le porse la borsa e lei se la portò al petto, annuendo.
«Avrei potuto lasciare che si prendesse l'auto» gli disse, «ma non sopportavo che la borsa finisse nelle mani sbagliate.»
Ethan la vide fare una smorfia, e immaginò che fosse sul punto di scusarsi ancora, così la bloccò.
«Forse sei stata un po' troppo coraggiosa, ma non posso dire che io mi sarei comportato diversamente.» In più di un'occasione aveva visto come andavano a finire aggressioni come quelle, eppure, anche se non approvava la reazione di Kate, ne capiva le ragioni. «E comunque hai fatto bene a gridare per chiamare aiuto» le ricordò subito dopo.
«Ho solo fatto un po' di rumore. Non pensavo che qualcuno mi sentisse. Grazie per essere accorso.» Sollevò lo sguardo su di lui e sorrise. Sorrise davvero, come se davanti a sé avesse una specie di eroe, e non solo un uomo con un passato movimentato che non era mai riuscito a trovarsi al posto giusto nel momento giusto.
«Sono felice di averti aiutata.» Ethan le cinse le spalle con un braccio e lei gli si accoccolò accanto, e lentamente si diressero verso l'ingresso dell'ambulatorio.
Probabilmente lui non pensava di aver compiuto un gesto straordinario, invece si era precipitato fuori dall'ambulatorio per aiutarla. Ethan Conway era diverso dagli altri uomini. Era affidabile, se mai avesse avuto voglia di usare ancora quella parola...
E se adesso avvertiva il desiderio di sentirsi stretta dalle sue braccia, era solo a causa dello spavento. Presto quella sensazione sarebbe svanita e lui sarebbe diventato uno come tanti altri, solo un po' più gentile, ma niente di più.
Eppure Ethan non sembrava volerla lasciare. La seguì verso l'armadietto dei medicinali e le rimase accanto mentre disponeva i farmaci sui ripiani, poi tornarono insieme nella stanza accanto dove Jeff sonnecchiava tranquillo senza essersi mosso.
«Prima visito Jeff e poi chiamo la polizia.» Kate aveva bisogno di tornare alla normalità. Non voleva pensare agli occhi azzurri di Ethan. Né alla cadenza del suo accento, morbida come le colline dello Yorkshire che si scorgevano da ogni parte di quella città.
«No. Prima ti preparo una tazza di tè e poi chiamo la polizia» ribatté lui.
L'idea non le dispiaceva, ma a pensarci bene si era già fin troppo appoggiata a lui. Non voleva che pensasse che stesse male.
«Non ti preoccupare...» Kate si sentiva pulsare il braccio, dal gomito fino all'estremità del pollice. «In effetti, però, una tazza di tè non mi dispiacerebbe.»
Ethan inarcò le sopracciglia, sorpreso che avesse accettato senza discutere. «Sei sicura di stare bene?»
«Certo, ho solo voglia di un po' di tè. Il bollitore è dietro il bancone della reception.» Kate pensò che lui ci avrebbe impiegato cinque minuti a prepararlo, e nel frattempo lei avrebbe avuto modo di controllarsi il braccio. «Latte e tre cucchiaini di zucchero, per favore.»
Lui annuì. «Ti senti forse mancare?»
«No, mi piace berlo molto dolce, il tè» gli spiegò tranquilla. E appena lo vide uscire dalla stanza, si sfilò lentamente la giacca e tirò su la manica della camicia. L'avambraccio cominciava a gonfiarsi e, anche se non c'erano ferite, era molto arrossato. Kate aprì il rubinetto dell'acqua fredda e fece una smorfia quando infilò il braccio sotto il getto.
Riusciva a muovere le dita. Non parevano esserci fratture. Di solito lei aveva a che fare con cani, gatti o cavalli, ma in fondo un osso rotto era un osso rotto, e non faceva molta differenza che fosse di un uomo o di un animale. Probabilmente il gonfiore sarebbe passato nel giro di qualche ora.
«Non dirlo a nessuno» sussurrò a Jeff mentre si asciugava il braccio e tirava giù la manica. Si sedette accanto al terranova che si stirò pigramente appoggiandole il capo in grembo e sbavandole sui pantaloni.
«Sì, lo so che dovrei dirglielo, ma non mi piace che qualcuno si preoccupi per me.» Era certa che Ethan si sarebbe allarmato, e non voleva ritrovarsi ad ammettere che le piaceva che si prendesse cura di lei.
Un attimo dopo lui arrivò con la tazza di tè, l'appoggiò sulla scrivania e le scostò una sedia. «Mettiti comoda. Non preoccuparti per Jeff.»
Kate lo fissò. Non era di Jeff che si preoccupava, ma della propria reazione alla testarda determinazione di Ethan di prendersi cura di lei.
«Sono un medico» continuò lui. «Hai fatto una brutta caduta e quel tipo ti ha sferrato un calcio nelle costole. Voglio solo assicurarmi che tu stia bene.»
Dannazione! esclamò Kate tra sé. Da quando in qua i medici erano eroi affascinanti dagli occhi azzurri e i capelli biondi? Probabilmente