Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Una cura chiamata amore: Harmony Bianca
Una cura chiamata amore: Harmony Bianca
Una cura chiamata amore: Harmony Bianca
E-book160 pagine2 ore

Una cura chiamata amore: Harmony Bianca

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Rose:
Come archeologa sono abituata a scavare in profondità per riportare alla luce i tesori più antichi. Allora come mai non riesco ad arrivare alla radice delle mie paure per scioglierle e lasciarmi finalmente andare? Eppure sarebbe così facile, specialmente con un uomo come Matteo, attraente, generoso e sensibile, soprattutto con mio figlio. Forse quest'isola saprà regalarmi un po' della sua magia e aiutarmi a credere in un futuro migliore.

Matteo:
Apparentemente i nostri mondi sono lontanissimi e inconciliabili, ma quando io e Rose siamo insieme tutto sembra possibile. L'alchimia che ci unisce è un dono raro e, anche se sono consapevole che il nostro tempo in questo paradiso terrestre sta per scadere, tutto quello che desidero è che lei torni a sorridere di nuovo. Insieme a me.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ago 2018
ISBN9788858985977
Una cura chiamata amore: Harmony Bianca

Leggi altro di Annie Claydon

Autori correlati

Correlato a Una cura chiamata amore

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Una cura chiamata amore

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Una cura chiamata amore - Annie Claydon

    successivo.

    1

    L'edificio brillava bianco nel sole e una fila di alte palme annunciava che questo era un luogo di una certa importanza. Rose Palmer strinse la mano di suo figlio, attraversò l'ampia porta d'ingresso e si trovò in una spaziosa area d'accettazione, gradevolmente fresca dopo l'afa del pomeriggio.

    Un palazzo come quello mostrava intenzione. Come archeologa, Rose sapeva che gli edifici offrono uno sguardo su ciò che una comunità considera importante. I soffitti alti e le linee pulite erano una chiara dichiarazione che il lavoro che si svolgeva tra quelle mura era vitale e serio.

    Tenne stretto a sé William, per paura di perderlo in mezzo alla piccola folla di persone che attraversava l'atrio. Non riusciva a vedere un bancone dell'accettazione, perciò decise di chiedere a qualcuno.

    «Scusi...» Una donna in camice bianco si fermò e sorridendo le chiese qualcosa in italiano.

    «Inglese.» Rose porse il pezzo di carta che la sua amica Elena le aveva dato, con i dettagli dell'appuntamento di William scritti in italiano.

    «Ah, sì...» La donna lesse il biglietto e fece un ampio sorriso a William. Rose si stava abituando al modo in cui i siciliani riservavano i loro sorrisi più brillanti ai bambini piccoli.

    «Terzo piano.» La donna fece un gesto verso l'ascensore e poi ci ripensò. Estrasse dalla tasca del camice una penna e un pezzo di carta e sempre sorridendo a William disegnò qualcosa. Infine, le porse una mappa disegnata a mano, alzò il pollice e due dita e indicò di nuovo l'ascensore.

    Rose annuì e sorrise, prima di ringraziare in un italiano esitante. William salutò con la mano e insieme alla madre entrò in ascensore.

    Al piano superiore i corridoi erano meno grandi e più funzionali. Rose seguì le indicazioni e si trovò in una piccola e confortevole sala d'attesa. L'addetta al ricevimento prese in consegna la sua impegnativa e le fece cenno verso la fila di sedie.

    Rose si sedette nell'angolo più lontano. Avrebbe preferito tornare in Inghilterra per quella visita, ma Elena e suo marito non avevano sentito ragioni. Tutti gli archeologi che lavoravano agli scavi erano coperti da un'assicurazione sanitaria privata e questo ospedale era uno dei migliori. Avevano fissato l'appuntamento per lei e richiesto un traduttore, e William sarebbe stato in buone mani. Rose era un'ospite sull'isola e rifiutare sarebbe equivalso a un atto di scortesia imperdonabile per la cultura siciliana.

    Qualcuno rise, e Rose alzò lo sguardo. Un uomo stava chiacchierando con la receptionist. Il viso di lei era animato, e il suo sorriso era di quelli studiati per compiacere un bell'uomo. E anche per i rigorosi standard dell'isola, quest'uomo era davvero bello. Alto e con i capelli scuri che sfioravano il colletto della camicia, pelle liscia e olivastra, zigomi alti e labbra che sembravano fatte per sorridere. Rose non riusciva a vedere i suoi occhi, ma per qualche ragione li immaginava color cioccolato.

    Solo un uomo così impeccabile poteva indossare quella giacca. Color crema, ovviamente di lino, su chiunque meno perfetto sarebbe sembrata sgualcita, ma su di lui era come se ogni piega fosse stata scelta con cura e stile per mettere in mostra le ampie spalle e i fianchi stretti.

    Improvvisamente lui si voltò, guardando dritto verso di lei. I suoi occhi erano davvero marroni. Come cioccolato fondente al settanta per cento di cacao. Rose abbassò lo sguardo, imbarazzata per essere stata colta nell'atto di fissarlo.

    «La signorina Palmer?» L'uomo si avvicinò e prese posto su una sedia di fronte a lei. Anche la sua voce faceva pensare al cioccolato.

    «Signora» precisò lei. Anche se era nubile, preferiva essere chiamata così dal momento che aveva un figlio. «Uhm... lei parla inglese?»

    Lui sorrise e Rose sentì le orecchie bruciare. «Sì, parlo inglese. Mi chiamo Matteo Di Salvo e sono qui in qualità di traduttore per il dottor Garfagnini, lo specialista pediatrico che vedrà William oggi.»

    Il suo inglese era chiaro e quasi privo di accento, anche se il ritmo cadenzato della sua voce rendeva il suono esotico e seducente. In realtà, tutto in quell'uomo era seducente.

    Rose trasse un respiro, cercando di concentrarsi sugli aspetti pratici. «Grazie. Dunque lei è l'interprete dell'ospedale?»

    «No, sono un medico. Il nostro interprete è occupato con alcuni turisti inglesi al pronto soccorso» spiegò con una scrollata di spalle. «Il dottor Garfagnini ha qualche minuto di ritardo e speravo di cogliere l'occasione per conoscere un po' William.»

    Bello e gentile. Inoltre, parlava inglese. Quest'uomo era un po' troppo perfetto per essere vero.

    «Grazie mille, dottor Di Salvo. L'apprezzo.» Rose ricordò che una stretta di mano era la prassi in queste circostanze, e tese il braccio.

    «Matteo, per favore...» La carezza delle sue dita era seducente quanto il resto del corpo.

    «Rose.» La stretta di mano le procurò un fremito inatteso e lei la ritirò in fretta, circondando le spalle del figlio col braccio.

    «Ciao, io sono William» esordì il bambino. Aveva imparato qualche parola di italiano nelle ultime tre settimane, e i suoi sforzi erano sempre accolti con approvazione.

    Matteo non fece eccezione e tese la mano anche al bambino. «Ciao, William. Il tuo italiano è molto buono. Bravo.»

    «Molto buono...» William ripeté le parole e poi decise di restituire il complimento. «Il tuo inglese è molto buono

    Rose increspò le labbra, pronta a scusarsi per il figlio, ma non fu necessario perché Matteo sorrise e annuì. «Grazie. Ho vissuto a Londra.»

    «Io vivo a Londra!» cinguettò William con gioia.

    «Davvero? Per che squadra di calcio tifi?»

    «Per i Tufnell Park Cheetahs. Sono i migliori.»

    Nessuno aveva mai sentito parlare del Tufnell Park Cheetahs all'infuori della manciata di sostenitori che si alzavano la domenica mattina per vederli giocare nel parco locale, ma Matteo annuì come se approvasse con tutto il cuore quella scelta.

    «E quanti anni hai?» Era impossibile dire se le domande di Matteo fossero solo un modo per passare il tempo, o se stesse conducendo una sorta di test. Rose sospettava che fossero vere entrambe le cose.

    William contò sulle dita. «Uno, due, tre... quattro. E quattro giorni» rispose in inglese.

    Matteo annuì. «Quattro. E quattro giorni» tradusse. Poi ascoltò mentre William ripeteva le parole e sorrise. «Molto bene.»

    Non c'era niente di sbagliato con la memoria di William, o il suo uso del linguaggio. Era un bambino brillante, e non mostrava nessuna delle inibizioni di Rose nel parlare italiano ogni volta che si presentava l'occasione. A preoccupare Rose era l'atteggiamento del figlio nelle ultime tre settimane.

    «Puoi scegliere qualcosa, se vuoi.» Matteo indicò un angolo della sala dove era stata sistemata una grossa scatola piena di giochi per bambini. Rose si chiese se fosse un altro test, ma anche così, Matteo era abilmente riuscito a farlo sembrare un gioco per William, che corse verso i giocattoli. La receptionist sorrise e lo raggiunse, pescando nella scatola e offrendogli una macchina giocattolo. William l'accettò con evidente piacere.

    «Perché l'ha portato qui oggi?» Matteo si rivolse a Rose.

    Rose cercò qualcosa nella sua borsa. «Il mio amico l'ha scritto per me in italiano. Non è facile da spiegare...»

    «Grazie, ma preferirei che me ne parlasse con parole sue, prima.» Lui prese il foglio che gli porgeva, ma senza guardarlo. «L'istinto di una madre è qualcosa che prendiamo sul serio.» Un altro ostacolo che lui sembrava aver appena eliminato col calore del suo sguardo.

    «Ecco, William vede le cose, ma a volte non sembra capire ciò che vede. Il che è strano, perché di solito è molto sveglio.»

    «E questo ha iniziato ad accadere di recente?»

    «Ho cominciato a notarlo nelle ultime tre settimane, da quando siamo qui in Sicilia. Sono preoccupata che possa aver battuto la testa a mia insaputa, o che sia una conseguenza del volo.»

    «E il suo comportamento?»

    «Si sente molto frustrato quando fa degli errori, ma in generale sembra felice.»

    «E questo è un fatto nuovo? Potrebbe trattarsi di un problema che ha da tempo ma che si è reso più evidente in un ambiente nuovo?»

    «Non saprei davvero cosa dire. Non l'ho mai notato, prima.» Rose cercò di ignorare il familiare senso di colpa. Non era di alcuna utilità in quel frangente e Matteo stava solo esplorando tutte le possibilità.

    «Dove abitate? Lei lavora qui o è in vacanza?» Matteo sembrava osservare William con la coda dell'occhio. Il bambino stava giocando allegramente con la receptionist, facendo correre la macchinina sulla scrivania.

    «Sono un'archeologa, e mi trovo qui per degli scavi. Uno dei miei colleghi italiani ha preso in affitto una grande casa qui a Palermo e ha invitato me e William a stare con lui e la sua famiglia. Sua moglie Elena si prende cura di William e dei suoi figli mentre io sono al lavoro.»

    «È una madre single?»

    «Sì.» Rose strinse le mani. Faceva del suo meglio, ma sapeva di non poter dare a William tutta l'attenzione di cui aveva bisogno. Mostrare le proprie carenze a quell'uomo la mise più che mai a disagio.

    «Come si comporta col cibo? Immagino che la cucina locale non gli sia molto familiare.»

    «In effetti, non mangia nulla senza prima annusare il cibo e spesso vi immerge le dita. Mi sforzo di riproporgli i piatti che gli piacciono, ma lui non sembra riconoscerli e ogni volta rifà la prova con le dita.»

    Matteo annuiva lentamente, come se quelle informazioni avessero un senso per lui. Tuttavia, non sembrava incline a condividere i suoi pensieri con Rose. Anzi, si scusò con lei e si avvicinò alla scrivania della reception, unendosi nel gioco con le macchinine.

    Dopo aver giocato per qualche minuto con William e aver sfoderato il suo fascino con la segretaria, tornò da una Rose impaziente di capirci qualcosa.

    «Le sue conclusioni?» esordì.

    Lui si strinse nelle spalle. «Sto solo ammazzando il tempo fino a quando il dottor Garfagnini sarà pronto per vedere William.»

    Rose fu costretta a desistere. Era chiaro che aspettarsi una diagnosi in sala d'attesa non era visto di buon occhio da nessuna parte del mondo. «Va bene, aspetterò. Nel frattempo, mi potrebbe ripetere il nome del medico un po' più lentamente, per favore? Non vorrei pronunciarlo male.»

    Proprio come indicava il suo nome, quella donna era una rosa. Pelle liscia e diafana, con occhi di un azzurro brillante, capelli biondi lunghi fino alle spalle, che di tanto in tanto lei risistemava dietro l'orecchio. Matteo avrebbe voluto toccarla, per sentire la consistenza setosa della sua pelle e dei capelli.

    La sua preoccupazione per il figlio era evidente. Sembrava che gli stesse dicendo tutta la verità, ma dietro il suo sorriso dolce lui intuiva che gli stesse nascondendo qualcosa. Forse era rilevante, o forse no e in ogni caso la psicologia infantile non era il suo campo di specializzazione e doveva lasciare che fosse il dottor Garfagnini a fare la diagnosi.

    «Mi parli del suo lavoro.» Matteo si sedette, lasciando una sedia vuota tra loro due.

    «Si tratta di un progetto congiunto fra tre università, la mia a Londra, una a Roma e una qui. Stiamo scavando un sito in collina.»

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1