Partita finale: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
BLACKSTONE & HAMMOND - Due famiglie. Una rivalità che dura da oltre trent'anni. Un potere prezioso, inattaccabile e splendente come un diamante. Non faccio promesse che non posso mantenere.
Dalla loro prima e unica volta insieme, Matt Hammond non ha più potuto scordare Rachel Kincaid, né impedirsi di desiderarla ancora. Un'ossessione, quasi come la sua ferma volontà di distruggere l'impero dei Blackstone e riscattare il nome di famiglia. Ormai è a un passo dal realizzare il suo obiettivo, per questo maledice il destino che ha riportato Rachel da lui, proprio quando la sua concentrazione dovrebbe essere massima. Come tata del figlioletto di Matt dovrà vivere insieme a loro. Un tormento per l'affascinante milionario che è abituato a ottenere tutto ciò che desidera. Peccato che, per la prima volta, non sa cosa vuole.
Yvonne Lindsay
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Partita finale - Yvonne Lindsay
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Jealousy & A Jewelled Proposition
Silhouette Desire
© 2008 Dolce Vita Trust
Traduzione di Rita Pierangeli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-551-3
www.harlequinmondadori.it
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1
Matt Hammond era solo.
Compose il codice di accesso al caveau della House of Hammond e si rese conto che, in quei giorni, essere solo era una delle costanti della sua vita. Perfino Lionel Wong, spina dorsale dell’azienda e di solito l’ultimo a uscire ogni sera, se n’era già andato a casa. Matt indugiò nel silenzio, gustando la soddisfazione che derivava dal fatto di trovarsi lì.
La sensazione era sempre quella di tornare a casa. Una sensazione che, negli ultimi mesi, aveva imparato a pregustare durante le troppo frequenti spedizioni oltreoceano.
Posò la cartella sulla scrivania e si lasciò cadere sulla poltrona di pelle. La stanchezza si era impadronita di ogni cellula del suo corpo, ma lui si rifiutava di ammetterlo, così come insisteva a ignorare il vuoto interiore. Erano stati sei mesi infernali. Quand’è che la vita gli avrebbe concesso una tregua? Accantonò quella domanda. Non aveva tempo per la vacuità della retorica. Ogni giorno rappresentava una sfida, e lui le avrebbe affrontate e vinte tutte. Vincere era l’unica cosa che gli restava.
Prese il fascio di messaggi che la segretaria gli aveva lasciato sulla scrivania e una ruga gli solcò la fronte vedendo lo stesso nome che si ripeteva più volte.
Jake Vance. O, nella sua altra identità, James Blackstone, il famoso erede scomparso e alla fine tornato trionfalmente in seno alla sua famiglia.
Matt accartocciò i messaggi e li lanciò nel cestino della carta straccia.
Non aveva nessuna voglia di parlare con un Blackstone, sia che portasse quel nome per scelta o per altre ragioni. Quella famiglia era responsabile di aver dispensato infelicità in abbondanza. Traditori o ladri, tutti, nessuno escluso, fino a Kimberley Blackstone. Ora signora Perrini, si corresse. Il suo era stato il più amaro dei tradimenti. Si era aspettato di più dalla cugina. Negli ultimi dieci anni era diventata il suo braccio destro ma, alla fine, si era comportata né più né meno come suo padre. E pensare che lei aveva creduto di poter sanare la rivalità tra gli Hammond e i Blackstone.
La rabbia che gli ardeva dentro minacciò di affiorare in superficie ma, con il consueto autocontrollo, lui la dominò. Avrebbe ottenuto soddisfazione. Tutto quello che i Blackstone avevano fatto, e l’elenco era lungo, avrebbe ricevuto la giusta punizione.
Matt si appoggiò allo schienale e unì le punte delle dita sotto il mento. Ormai non mancava molto, e sarebbe stato lui a tirare le fila. Un Hammond al comando, così come avrebbe dovuto essere prima che Howard Blackstone, con i suoi metodi privi di scrupoli, defraudasse la famiglia delle sue proprietà in Australia. Blackstone aveva fatto fortuna prendendo quello che voleva, soprattutto dagli Hammond, ma aveva superato ogni limite quando si era preso Marise. Matt aveva giurato sulla sua tomba che gliel’avrebbe fatta pagare. Malgrado Vincent Blackstone si fosse rifiutato di vendergli il suo pacchetto azionario, ormai non c’era niente che i Blackstone potessero fare per fermarlo. Persone di sua fiducia avevano contatto i piccoli azionisti offrendo incentivi sufficienti a convincerli, e adesso era vicino al successo.
Esaminò di nuovo la scrivania. Ancora nessun messaggio da parte di Quinn Everard. Si era aspettato che il broker fosse ormai in possesso di solidi indizi per rintracciare l’ultimo diamante della collana dei Blackstone, una gemma che avrebbe dovuto far parte del patrimonio della sua famiglia. Forse i contatti di Everard non erano così efficienti come lui aveva creduto.
Con un sospiro, Matt aprì la cartella e ne estrasse un contratto. L’ombra di un sorriso gli incurvò le labbra. Ormai in possesso del consenso dei distributori della Nuova Zelanda, poteva mettere a punto il lancio della sua personale collezione di gioielli.
Per mesi aveva lavorato sodo alla realizzazione di una linea che riproducesse gioielli antichi e c’era finalmente riuscito. Uno doveva prendere le proprie soddisfazioni dove gli capitava, Matt ricordò a se stesso, soprattutto in una vita come la sua che gliene aveva concesse ben poche negli ultimi tempi.
A proposito di soddisfazioni, quella sosta in ufficio tornando a casa dall’aeroporto gli era costata quella di mettere a letto suo figlio, Blake. Matt diede un’occhiata al suo Patek Philippe e fece una smorfia. Già, era ormai troppo tardi, ma gli restava sempre la mattina.
Per quanto squallido fosse diventato il suo matrimonio prima della partenza di Marise per l’Australia, gli aveva quanto meno lasciato suo figlio. La morsa del vuoto intorno al suo cuore divenne ancor più stretta. Non voleva nemmeno prendere in considerazione l’idea che Blake non fosse figlio suo. Essendo stato lui stesso adottato, sapeva che l’amore creava tra padre e figlio legami più stretti di quelli di sangue. Ma il dubbio continuava a tormentarlo.
Era Howard Blackstone il vero padre di Blake?
Avvertì una stretta alle viscere a quel pensiero. Marise era stata sempre affascinata dalla famiglia Blackstone. Ma la sua morte, cinque mesi prima, nella stessa sciagura aerea in cui era perito il patriarca dei Blackstone, aveva sollevato più domande che risposte. Una in particolare: che cosa diavolo ci faceva con Howard Blackstone?
Matt lottò di nuovo con la collera che minacciava di esplodere. Howard Blackstone. Si tornava sempre a lui. Ma non più. Entro la fine del mese, il suo piano si sarebbe realizzato e lui avrebbe avuto la sua vendetta.
Scrisse un appunto per la segretaria, quindi lasciò l’ufficio, diretto a casa. Domani era un altro giorno. Doveva ancora superare la notte, che sarebbe stata fin troppo lunga e solitaria.
L’illuminazione del giardino diffondeva aloni dorati sul viale lavato dalla pioggia mentre Matt varcava il cancello di ferro della casa di famiglia, nell’esclusivo quartiere di Devonport, ad Auckland. Per lo meno i paparazzi avevano finalmente tolto l’assedio. Cinque mesi prima non riusciva a fare un passo senza che qualcuno gli mettesse sotto il naso un microfono o una telecamera.
La formalità dei giardini era stata l’orgoglio e la gioia di sua madre. Matt non aveva ancora accettato la decisione dei suoi di ritirarsi in una vicina casa di riposo dopo l’infarto che aveva colpito suo padre. Ma loro avevano insistito che ormai toccava a lui e alla sua famiglia abitare in quella che era stata la loro villa.
Bella famiglia. Una moglie che aveva sofferto di nostalgia in pratica dal primo giorno del loro matrimonio e che non aveva esitato ad abbandonare il marito e il figlioletto. Matt non glielo avrebbe mai potuto perdonare, soprattutto non dopo che era finita tra le braccia di Howard Blackstone.
Matt posteggiò la sua Mercedes-Benz nel garage e spense il motore. Di fianco c’era ancora la Porsche Cayenne di sua moglie. Doveva liberarsene ma, come per altre questioni meno urgenti, continuava a rimandare.
Aveva detto a Rachel, la tata provvisoria di Blake, di usarla, ma lei aveva preferito servirsi dell’utilitaria di sua madre, insistendo che, una volta legato nel suo sedile, Blake sarebbe stato altrettanto al sicuro. Alla fine, Matt aveva preferito arrendersi alla sua richiesta. Anche se sapeva, per esperienza personale, che cedere alle richieste di Rachel Kincaid era una debolezza che significava guai con la G maiuscola.
Nella casa regnava il silenzio. Percorse il corridoio, diretto alle scale, con l’intenzione di passare a controllare Blake. Sarebbe riuscito a orientarsi nel buio più completo; era superfluo che Rachel o sua madre, la governante, lasciassero le luci accese per lui.
Un lieve rumore attirò la sua attenzione mentre passava accanto al soggiorno. I suoi occhi si posarono su una figura addormentata sul divano.
Rachel.
I folti capelli castani erano raccolti in una treccia, ma diversi riccioli ne erano sfuggiti e facevano da cornice al suo volto a forma di cuore. In quel momento, sembrava di dieci anni più giovane dei suoi ventotto. In realtà era cambiata ben poco dal maschiaccio che stava sempre alle costole sue e di suo fratello, Jarrod. Niente di paragonabile alla giovane donna dall’aria sofisticata alla quale lui aveva fatto da cavaliere al ballo studentesco, la sera in cui aveva scoperto che lei aveva raggiunto una nuova maturità. Aveva tradito la sua innocenza, mortificando la propria libidine, e aveva tradito la sua fiducia. Non sarebbe successo mai più.
Lei si agitò di nuovo, come se sentisse di essere osservata, prima di rannicchiarsi sui soffici cuscini. La felpa era salita sopra la cintura dei jeans e lasciava intravedere le curve voluttuose del suo corpo. Le labbra erano morbide e carnose, appena socchiuse, come in attesa