Scottante verità: Harmony Destiny
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L'incidente che ha privato Belinda della memoria ha dato a Luc Tanner l'opportunità perfetta di vendicarsi. L'affascinante moglie non ricorda infatti di essere fuggita appena dopo essere diventata la signora Tanner, né il motivo per cui si sono sposati. E lui è deciso ad approfittarne.
Una passione che non si può spegnere.
Chi è quell'estraneo mozzafiato che la guarda come se fosse una sua proprietà? Davvero è suo marito? Belinda fatica a crederci, ma la passione sfrenata e istintiva che prova per lui non mente.
Yvonne Lindsay
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Scottante verità - Yvonne Lindsay
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Claiming His Runaway Bride
Silhouette Desire
© 2008 Dolce Vita Trust
Traduzione di Silvia Daffadà
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-041-4
1
Sua moglie?
Come poteva aver dimenticato una cosa simile?
Quel tipo era suo marito?
Belinda guardò negli occhi l’estraneo silenzioso, fermo accanto a suo padre, ai piedi del letto. Era alto e indossava abiti firmati che sembravano un po’ troppo grandi per la sua corporatura. Teneva la mano sinistra in tasca, mentre la destra era appoggiata sul pomolo di un lucido bastone nero.
Non conosceva neanche il suo nome. Come poteva essere sposata e non esserne consapevole? La paura le tolse il fiato.
Gli occhi scintillanti di lui non si staccavano dal suo viso: aveva un’espressione enigmatica, quasi... rabbiosa? I lineamenti duri rivelavano una volontà di ferro. Non pareva certo un uomo capace di tollerare stupidaggini.
Il respiro di Belinda si fece affannoso. Non lo conosceva nemmeno, come potevano pretendere che andasse a casa con un perfetto estraneo? Lanciò al padre uno sguardo impaurito. Dal sorriso con cui lui le rispose trapelava tensione. All’improvviso, il desiderio di lasciare l’Auckland City Hospital l’abbandonò.
Un pensiero inquietante l’assalì.
«Se sei mio marito, perché non sei stato qui accanto a me, come i miei genitori? Sono uscita dal coma già da due settimane.» Il suo tono di sfida risuonò cupamente nella stanza.
Belinda intercettò uno scambio di sguardi tra suo padre e l’uomo che affermava di essere suo marito.
«Allora?» insistette, i pugni piantati sulle coperte.
«L’incidente che ti ha fatto perdere la memoria ha causato danni anche a me» spiegò lui con calma. «Ma ora sono pronto per tornare a casa. Con te.»
Ma non le stava dicendo tutto. E quello che le taceva le provocava più ansia dell’apprendere che anche lui era stato ricoverato in ospedale. Era stata trattata con i guanti dai medici e dai genitori, fin da quando si era risvegliata: tutti erano disposti a darle risposte sulle sue condizioni di salute, ma nessuno pareva intenzionato a fornirle i dettagli dell’incidente che l’aveva fatta rimanere in coma per un mese. Durante le due ultime settimane, tra un test e l’altro, i dottori avevano cercato di capire il motivo della sua amnesia, ed erano giunti alla conclusione che non era stata causata direttamente dal colpo alla testa ricevuto durante l’incidente con la macchina. Li aveva sentiti parlare sottovoce di amnesia traumatica e di amnesia isterica.
Era stata soprattutto la seconda definizione a spaventarla. Era arrivata al punto, si chiese, di aver scelto di rimuovere una parte della sua vita, che per chiunque altro era piena di divertimento e passione? O aveva un buon motivo per voler dimenticare?
Guardò di nuovo lo sconosciuto. Ora capiva perché gli abiti non sembravano della sua taglia. Era stato ferito così gravemente da non potersi recare nella sua stanza? Forse la lunga permanenza a letto era la causa della sua estrema magrezza? Non aveva dubbi che fosse il tipo di uomo che prestava attenzione a ogni minimo particolare e che, in condizioni normali, i suoi abiti gli sarebbero andati a pennello.
Un altro pensiero le attraversò la mente. Avevano programmato che lasciassero l’ospedale insieme? Il desiderio di protestare l’assalì.
«No, non verrò a casa con te. Non ti conosco neppure!» esclamò con voce stridula, impaurita.
Gli occhi dell’uomo si ridussero a due fessure, e un muscolo della mascella vibrò leggermente.
«Io sono Luc Tanner e tu sei Belinda Tanner, mia moglie» dichiarò in tono grave. «È ovvio che verrai a casa con me.» Annuì in direzione del padre di lei. «Pensi che lui ti permetterebbe di seguirmi, se mi considerasse un pericolo per la sua preziosa figlia? Sta’ tranquilla, mi conosce bene.»
Il suo tono nascondeva qualcosa, anche se Belinda non capiva di che si trattasse. Però fu sufficiente a farle provare un brivido lungo la schiena. Inclinò la testa per scacciare quella sensazione. Le parole dell’estraneo – di Luc, si corresse – avevano senso, ma un tarlo ammonitore si era annidato nella sua testa.
«Perché non posso andare a casa con mio padre?» domandò. «Almeno fino a quando non mi sarà tornata la memoria.» Stava cercando di aggrapparsi a qualsiasi scusa. E lo sapeva.
«E se la memoria non ti tornasse più? Dovremmo dimenticarci del nostro matrimonio? Delle promesse che ci siamo scambiati?»
Il tono della sua voce la fece rabbrividire. Era una domanda sensata. E se non avesse recuperato quei mesi persi? E perché, nonostante ricordasse molto altro, non aveva alcuna memoria della loro relazione e del matrimonio? Dell’amore che a quanto pareva, li aveva uniti?
Si sentì attraversare il corpo da una sensazione indefinibile. Avevano condiviso momenti di intimità? Doveva essere per forza così. Anche ora il suo corpo reagiva alla sua presenza, con un fremito che la sua mente non voleva accettare. Era un uomo molto attraente, nonostante una certa freddezza che sembrava indossare come il mantello di un guerriero. Erano stati insieme, godendo l’uno dei profumi e dei piaceri dell’altro? Aveva afferrato saldamente quei corti capelli color biondo sabbia, mentre lo teneva stretto a sé?
La voce di quell’uomo aveva l’effetto del velluto sulla pelle, mentre cambiava tattica per cercare di convincerla a seguirlo. «Belinda, so che sei intimorita, ma io sono tuo marito. Di chi altro puoi fidarti se non di me? Ce la faremo insieme e, se non riuscirai a recuperare i tuoi ricordi, ne costruiremo di nuovi.»
Nuovi ricordi. Perché al solo pensiero, il suo cuore si sentiva scosso dallo spavento?
Implorò il padre con lo sguardo. «Papà?»
«Andrà tutto bene, tesoro. Sai che io e tua madre avevamo programmato di viaggiare un po’. Abbiamo rimandato il viaggio a causa dell’incidente, ma ora che tu e Luc state bene, possiamo partire. Vai a casa con tuo marito, figliola. Tutto si sistemerà.»
Era solo la sua immaginazione, o il padre aveva pronunciato quelle parole con eccessiva enfasi?
«Il dottore ha detto che puoi essere dimessa. È ora di tornare a casa.» Luc allungò verso di lei la mano sinistra, dalla quale proveniva il bagliore di un anello d’oro. Un anello che lei doveva avergli messo al dito, dichiarando il suo amore per lui davanti ai testimoni.
Abbassando lo sguardo, Belinda realizzò che la sua mano sinistra era spoglia. Non c’era neanche il solco che una fede nuziale avrebbe dovuto lasciare.
Luc aveva seguito il suo sguardo. «Ah, sì, certo, i tuoi anelli!» esclamò. Infilò la mano dentro il taschino della giacca ed estrasse due anelli. Quindi si avvicinò al bordo del letto zoppicando. «Lascia fare a me.»
Le sue dita erano sorprendentemente calde. Le si avvolsero intorno alla mano in una stretta gentile, ma senza dubbio possessiva. Qualcosa di perverso dentro di lei la incitò a liberarsi di quel contatto. Come ad anticipare il suo gesto, lui strinse la presa, mentre la aiutava ad alzarsi in piedi.
Poi le infilò la fedina di platino, incastonata di diamanti tagliati a baguette. Mentre la luce sopra la sua testa faceva risaltare le pietre, Belinda cercò di frenare il tremore che la scuoteva. Aveva la sensazione di essere stata appena catalogata come una proprietà Tanner. L’immagine di Luc che le infilava l’anello al dito in un altro luogo e in un altro momento le riempì la mente, insieme a una sensazione di déjà vu.
Cercò di aggrapparsi a quell’emozione, alla fugace consapevolezza di quel tempo perso, ma l’immagine si dileguò velocemente così come era arrivata, lasciandole una sensazione di vuoto e di solitudine.
Belinda tornò in sé mentre le lunghe dita di Luc le infilavano un altro anello accanto a quello nuziale. Le dimensioni e la bellezza della pietra la lasciarono senza fiato.
«L’ho... l’ho scelto io?»
Le sopracciglia scure di Luc si avvicinarono, rendendo la sua espressione ancora più severa. «Non ricordi neanche questo? Per un attimo ho pensato di sì.»
In qualche modo si era reso conto che, mentre le infilava la fede nuziale, Belinda aveva avuto uno sprazzo di memoria. E l’idea che lui potesse leggerle nella mente era sconcertante, forse ancor di più della consapevolezza che non riusciva a ricordare assolutamente niente di lui.
«No» sussurrò lei. «Non ricordo niente.»
«Ho commissionato quest’anello per te il giorno che ti ho incontrato.»
«Il giorno che ci siamo incontrati? Ma come...?» Belinda alzò gli occhi verso di lui, sorpresa.
Luc sostenne il suo sguardo. «Quel giorno ho capito che saresti stata mia moglie.»
La risata di lei suonò forzata alle sue stesse orecchie. «E io ho avuto voce in capitolo?»
«Belinda.» Luc pronunciò ogni sillaba del suo nome con estrema dolcezza, come fosse una carezza. «Prima mi amavi. E mi amerai ancora.»
Si portò la mano di lei alla bocca e le baciò le nocche. Le sue labbra erano sorprendentemente fresche e le fecero provare un fremito inatteso. Chissà come sarebbe stato se lui l’avesse baciata? Forse avrebbe liberato i ricordi intrappolati nella sua mente?
Luc la tirò a sé, e il suo calore penetrò i vestiti leggeri di lei, fino alla pelle. Belinda si ritrasse quanto bastava per interrompere lo snervante contatto che aveva già fatto andare il suo battito alle stelle. Il corpo di lui le sembrava sconosciuto, ma al tempo stesso l’attraeva. Sicuramente, se erano stati sposati, e se si erano conosciuti intimamente, non avrebbe dovuto avere dei ricordi di qualche contatto fisico impressi nella mente?
«L’elicottero sta aspettando» riprese lui. «Non possiamo occupare la pista d’atterraggio dell’ospedale troppo a lungo.»
«Elicottero?» si stupì lei. «Non andiamo in macchina? Dove siamo diretti?»
«La tenuta di Tautara è a sudovest del lago Taupo» spiegò lui. «Forse tornare là potrebbe far scattare qualcosa nella tua memoria.»
«Lago Taupo... Ma è a quasi quattro ore di macchina da qui. E se...?» La sua voce si interruppe disperata. Proprio così: e se...? Se i timori che assalivano gli angoli reconditi della sua coscienza fossero diventati insopportabili, non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarla.
«E se?» la incalzò Luc, un’espressione implacabile sul viso.
«Niente.» Belinda reclinò leggermente la testa, in modo che la sua folta capigliatura le coprisse il viso, per nascondere le lacrime che le erano salite improvvisamente agli occhi. Avrebbe voluto gridare di lasciarla in pace, che si trattava di un gigantesco errore, ma le parole non le uscivano di bocca. I dottori le avevano detto che, al momento opportuno, la memoria sarebbe tornata e che avrebbe dovuto smettere di cercare di forzare gli eventi, ma in quel momento lo spazio vuoto nella sua mente minacciava di sopraffarla.
«Bene. Andiamo, allora.»
Belinda fece due passi con Luc, poi a un tratto si bloccò, facendolo vacillare. Notò che usava il bastone per riacquistare stabilità. Si era completamente ristabilito? Aveva