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L ereditiera vagabonda
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E-book214 pagine4 ore

L ereditiera vagabonda

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815.

Fuggita dalla casa degli zii per evitare il matrimonio con un uomo che detesta, Lady Georgina Bridges è costretta a travestirsi da ragazzo e, per poter sopravvivere nei bassifondi di Londra, decide di darsi al furto. Peccato che la sua prima vittima sia l'aitante capitano Hernshaw, un abile agente segreto al servizio della Corona, che non tarda a scoprire che il monello dalla faccia sporca che l'ha derubato è in realtà un'incantevole fanciulla con modi da gentildonna. Ma come spesso succede le apparenze ingannano, e anche l'affascinante ufficiale non è esattamente quello che sembra: sia lui che Georgina nascondono infatti pericolosi segreti, che solo la forza dell'amore potrà rivelare.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2018
ISBN9788858986899
L ereditiera vagabonda
Autore

Anne Herries

Autrice inglese vincitrice di numerosi riconoscimenti letterari, ha iniziato a scrivere nel 1976 e ha ottenuto il suo primo successo appena tre anni dopo. Attualmente vive nel Cambridgeshire con il marito.

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    Anteprima del libro

    L ereditiera vagabonda - Anne Herries

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Homeless Heiress

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2008 Anne Herries

    Traduzione di Federica Isola Pellegrini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-689-9

    1

    Il capitano Richard Hernshaw aguzzò la vista nella minacciosa oscurità del vicolo alle proprie spalle e si accigliò. Qualcuno lo stava seguendo. Tutti gli istinti che aveva acquisito nel corso degli anni in cui aveva lavorato come agente segreto per il governo inglese si erano risvegliati. Sapeva di aver corso un rischio, acconsentendo di incontrare il suo contatto in una zona così malfamata, ma quel furfante non si sarebbe azzardato a mostrarsi altrove. Sebbene l’abboccamento si fosse svolto nel migliore dei modi e lui avesse ottenuto ciò che desiderava, aveva notato un’ombra da quando si era separato dal suo contatto. Chi lo stava seguendo e perché?

    Doveva conoscere la risposta a quelle domande. I documenti che aveva con sé potevano contenere la soluzione del mistero su cui stava indagando insieme ai suoi colleghi. Si temeva che fosse in atto un complotto per assassinare alcuni importanti membri del governo, perfino lo stesso Reggente, e lui era convinto che i nomi dei capi della congiura fossero menzionati nelle carte che aveva infilato nella tasca interna della giubba. Se l’individuo che lo stava pedinando ne era a conoscenza, lui avrebbe potuto perdere sia i documenti sia la vita.

    La miglior difesa è l’attacco, ricordò a se stesso. Girò l’angolo e si appiattì contro il muro, in attesa che il suo inseguitore lo raggiungesse. Come aveva previsto, un istante più tardi una piccola sagoma sbucò correndo da dietro l’angolo. Richard gli afferrò un braccio, serrandolo in una morsa d’acciaio.

    «Lasciatemi andare!» strillò una voce fra il risentito e lo spaventato. «Che cosa credete di fare?»

    «È proprio quello che stavo per chiederti io» ribatté lui, abbassando lo sguardo sulla faccia sporca di un monello di strada. «Mi stai seguendo da un certo tempo, ragazzo. Non mi piace essere pedinato, a meno che non ne conosca il motivo.»

    Il ragazzino tirò su con il naso. «Non intendevo farvi del male, signore» lo informò nel gergo dei bassifondi. «Lasciatemi andare, altrimenti vi prenderò a calci.»

    «Te ne pentiresti amaramente, in tal caso.» Richard esitò, allentando un tantino la stretta. Poteva darsi che un monello come quello volesse rubargli la borsa, ma non era certo il temibile avversario che aveva immaginato. Un sorriso gli stava sollevando gli angoli delle labbra quando il ragazzo gli si avventò contro, gli sferrò un calcio negli stinchi e si divincolò, dandosi alla fuga. «Accidenti a te!»

    Il capitano si accorse immediatamente di essere stato derubato.

    Ficcandogli la mano sotto la giubba, quel piccolo delinquente aveva estratto il plico un attimo prima di colpirgli la gamba con la punta dello stivale, inducendolo a mollare la presa. Richard si affrettò a corrergli dietro, imprecando contro la propria sventatezza, ma qualcosa di angelico nel viso del ragazzino gli aveva infuso una falsa sicurezza. Benché adesso il ladruncolo stesse correndo a perdifiato, grazie alle sue gambe assai più lunghe lui non avrebbe tardato ad acciuffarlo. Poi, a un tratto, ebbe un colpo di fortuna. Nella fretta, il monello non si era accorto delle verdure marce che costellavano il selciato. Mentre posava un piede su una sostanza viscida, scivolò a terra. Si stava rialzando più malconcio che mai quando lui lo raggiunse.

    «Avete intenzione di farmela pagare?» piagnucolò il ragazzino. «Non ho fatto niente, signore. Lo giuro.»

    «Mi hai rubato una cosa.» Il capitano tese la mano. «Rendimela e non tentare un altro trucchetto del genere se non vuoi buscarle di santa ragione. Hai capito?» Lo rimise in piedi e lo scrollò. «Hai capito, ragazzo?»

    «Mi chiamo Georgie. Non mangio niente da giorni. Volevo solo un paio di monete. Se non mi aveste agguantato, non l’avrei fatto.»

    «No? Georgie, non è vero? Ebbene, se me l’avessi chiesto ti avrei dato uno scellino, ma adesso sarò costretto a consegnarti alle autorità.»

    Il ragazzo tirò fuori il plico e glielo restituì. Richard tornò a riporlo all’interno della giubba. Il sigillo era ancora intatto. Non avrebbe avuto alcun valore per chiunque non fosse in grado di decifrare il codice, ma non poteva avere la certezza che il monello non lavorasse per qualcuno.

    «Lasciatemi andare, signore» si lagnò di nuovo. «Non avevo mai fatto una cosa simile e ho fame.» Si strofinò la manica sotto il naso. «Non avevo cattive intenzioni.»

    «Avevi intenzione di derubarmi. Ma mi hai restituito il plico e, se hai fame, ti darò da mangiare.»

    «Datemi uno scellino e non vi procurerò altri guai, signore.»

    Richard stava per mettersi la mano in tasca, ma qualcosa lo indusse a esitare. Percepiva un che di falso nel monello, anche se al momento era incapace di comprendere di che cosa si trattasse.

    «No, non ti darò il denaro, ma ti offrirò del cibo. Andremo in una locanda che conosco. Non qui, non mi fido di ciò che servono in queste bettole. Ti condurrò in un posto in cui potremo entrambi consumare un buon pasto.»

    Il ragazzo parve incerto se accettare. Poi scrollò le spalle. «Va bene. Se lo desiderate, signore.»

    «Andiamo.» Richard tornò ad afferrargli il braccio. «E non cercare di fuggire, Georgie. Niente più brutti scherzi, hai capito? Queste carte sono importanti per me, mentre a te non servirebbero. Tenta di nuovo di rubarmele e non sarò tanto indulgente, la prossima volta.»

    «Piantatela con questa paternale.» Georgie lo guardò torvo. «E mi state facendo male al braccio. Non scapperò, vi do la mia parola.»

    Vibrava un tale inconsapevole orgoglio nella sua voce che Richard si insospettì. Avrebbe potuto giurare che Georgie, purché quello fosse il suo nome, non era un qualunque monello di strada. Ora che si erano lasciati i vicoli alle spalle e avevano imboccato una strada più illuminata, studiò il suo profilo. I sospetti che aveva nutrito erano fondati. O si sbagliava di grosso o quel ragazzo non era cresciuto nei bassifondi di Londra. Era fuggito da un collegio o da un padre dispotico? Anche il suo accento volgare era una finzione, dato che si era dimenticato di usarlo un paio di volte.

    «Dove vai a scuola?»

    «Non ci vado. Non ci sono mai andato.»

    Stava mentendo. L’intuito di Richard, in compenso, non mentiva mai. La sua curiosità si intensificò. Appariva chiaro che Georgie era poco più di un bambino e lui si sentiva in dovere di aiutarlo. Sapeva fin troppo bene in quali abissi di degradazione erano costretti a precipitare alcuni sventurati in quei vicoli maleodoranti. Un lampo di angoscia gli guizzò negli occhi al ricordo. Si rifiutava di pensarci adesso! Si era sepolto nel lavoro per dimenticare e non avrebbe permesso al passato di tornare a ossessionarlo.

    Le luci di una locanda rispettabile apparvero di fronte a loro e Richard si diresse verso la porta principale. Avvertendo il tentativo di resistenza del ragazzino, portò lo sguardo su di lui.

    «Non hai nulla da temere, Georgie. Anche se non sei abituato a simili posti, saremo serviti come si deve, non temere.»

    «Non ho paura. Non è necessario che continuiate a tenermi. Non scapperò. Non ho più paura di voi. E poi ho fame.»

    Richard studiò velocemente il suo viso mentre varcavano la soglia. Adesso riusciva a scorgere il profilo delicato e la carnagione chiara del ragazzino. Era talmente esile che era difficile attribuirgli un’età. In un primo momento aveva pensato che non avesse più di dodici o tredici anni. Alla luce più vivida dell’ingresso ne dimostrava almeno quindici.

    «Signore?» Il locandiere si fece loro incontro con un sorriso che si appannò notevolmente alla vista di Georgie. «Capitano Hernshaw, non è vero? Mi pare di aver avuto l’onore di servirvi altre volte.»

    «In un paio di occasioni, in effetti. Avete delle ottime costolette di agnello e uno squisito pasticcio di carne. Il mio giovane amico e io abbiamo appetito. Vogliamo quanto di meglio avete da offrire questa sera.»

    «Bene, signore. Desiderate cenare nella saletta?»

    «Sì, Goodridge, se è disponibile.»

    «Come preferite, signore. Vino o birra?»

    «Del vino per me. Potete preparare un cordiale per il ragazzo? È il figlio del mio stalliere. Mi ha dato una mano con i cavalli e temo che si sia ridotto in uno stato pietoso.»

    Un palese sollievo si dipinse sul volto del locandiere. «I bambini sono tutti uguali, signore.»

    Non appena furono soli nella saletta da pranzo privata, Georgie gli scoccò un’occhiata risentita. «Perché gli avete propinato quella menzogna?»

    «Ho ritenuto preferibile inventare una storia per impedirgli di sbrigliare troppo la fantasia» affermò Richard sorridendo. «Non voglio essere scambiato per uno che molesta i bambini. Qualora nutrissi anche tu dei sospetti al riguardo, puoi stare tranquillo. I miei gusti sono completamente diversi.»

    «Oh...» Georgie lo fissò un istante con i suoi occhi castani, occhi troppo saggi e ingenui nello stesso tempo. «Non ne dubito, signore. Ho già incontrato individui di quel tipo e voi non lo siete. Garantirò per voi, se le cose dovessero mettersi male.»

    «Grazie. Se avrò bisogno del tuo aiuto, te lo chiederò.»

    «Non è necessario che vi diate tante arie. Vi stavo solo...»

    «Grazie» ripeté Richard, un sorriso che gli aleggiava sulle labbra. L’atteggiamento assunto dal ragazzino in quel momento confermava ciò che stava pensando da un po’ di tempo. Non era un monello di strada. Ignorava perché avesse cercato di derubarlo e perché conducesse la vita grama che il suo aspetto indicava chiaramente. «Credo che noi due dovremmo dichiarare una tregua, finché non avremo finito di cenare.»

    Senza rispondere, Georgie si avvicinò al caminetto e tese le mani verso le fiamme, stropicciandosele come se solo allora si fosse reso conto di quanto facesse freddo all’esterno. Rimase in silenzio finché la porta non si aprì per far entrare la moglie del locandiere e una cameriera munite di due vassoi stracolmi.

    «Vieni a mangiare, ragazzo» lo sollecitò Richard. «Il cibo ha un profumo delizioso.»

    Lui si voltò e fissò a lungo i piatti prima di avvicinarsi al tavolo. Sedendo sulla panca, afferrò una costoletta di agnello e la mangiò con le mani, strappando la carne con i denti, denti troppo bianchi per un monello di strada. Terminata la prima, ne afferrò un’altra e la divorò alla stessa velocità, leccandosi l’unto dalle dita sottili e affusolate.

    «Basta così» lo ammonì Richard. «Adesso mangia adagio e come si deve. Se è vero che non tocchi cibo da giorni, ti sentirai male se ti ingozzi troppo e troppo in fretta. Assaggia il pasticcio di maiale, è squisito.» Ne tagliò una fetta per sé e vi aggiunse dei sottaceti.

    Georgie lo imitò. Si mise in bocca dei pezzetti di pasticcio, imburrando il pane. Aveva mani piccole, levigate, notò Richard. E, adesso che stava usando le posate, appariva chiaro che conosceva le buone maniere. Allorché sorseggiò il cordiale al limone, non diede l’impressione di avere difficoltà a riconoscerne il sapore.

    Lui sorrise fra sé. Il ragazzo apparteneva a una buona famiglia. Perché era scappato da casa per vagare nei bassifondi? Forse sarebbe valsa la pena di scoprirlo. Quando lo vide posare coltello e forchetta, mandò giù un sorso di vino e lo studiò in silenzio.

    «Va meglio?» gli domandò infine, inarcando le sopracciglia al suo cenno di assenso. «Vuoi parlarmene?»

    «Di che cosa?»

    «Il tuo modo di esprimerti è simulato. Non usi sempre il gergo dei bassifondi e ogni tanto te ne dimentichi. Dubito che tu sia cresciuto nei vicoli. Da dove vieni, Georgie?»

    «Volete davvero saperlo? Perché?»

    «Perché mi piacerebbe aiutarti, se posso. La vita del ladro non è adatta a un ragazzo come te. Sono convinto che tu sia fuggito da casa o dal collegio. Come mai?»

    «Sono scappato da...» Georgie si interruppe di colpo. «Non posso dirvelo. Non mi credereste.» Si alzò. «Grazie per la cena e...»

    Richard allungò subito una gamba per impedirgli di passare. «Adesso risiediti e dimmi la verità.»

    «No! Potreste obbligarmi a...» Quando Georgie tentò di schivarlo, Richard balzò in piedi e lo afferrò. A causa di quel brusco movimento, il sudicio berretto gli scivolò dalla testa e una lunga capigliatura scura gli ricadde sulle spalle, incorniciando un volto decisamente femminile. Lui annuì compiaciuto. Sapeva che c’era qualcosa di strano. Quello non era un esile fanciullo, ma una ragazza! E come tale doveva trattarla. «Oh!» Con un’imprecazione oscena, Georgie tentò di nascondersi i capelli. «Maledizione! Mi avevate promesso di lasciarmi andare.»

    «E lo farò, se mi darete una risposta soddisfacente. Chi siete e come mai vivete in quella squallida zona della città?»

    Lei si lasciò sfuggire un pesante sospiro. «Mi chiamo Georgie Brown e lavoravo come cameriera personale di una signora» ribatté, lasciandosi ricadere sulla panca. «Sono scappata perché il figlio della mia padrona non smetteva di infastidirmi. Continuava a tentare di baciarmi e... be’, non potevo più restare in quella casa, perciò ho preso alcuni dei miei vecchi abiti e sono fuggita.»

    «Dovete pur avere dei parenti disposti ad accogliervi.» Lei scosse il capo. «Amici? Un’altra datrice di lavoro?» continuò Richard.

    «Non potevo chiedere delle referenze, perché lei non me le avrebbe date, dicendo che era tutta colpa mia.» Georgie strinse le mani in grembo. «Non avete idea di che cosa significhi essere alla mercé...» Un singhiozzo le salì alla gola.

    «Per quale ragione vi aggirate per le strade tentando di derubare la gente? Non potete certo desiderare un’esistenza del genere per il vostro futuro.»

    Georgie si sforzò di non piangere. «Avevo del denaro, ma me l’hanno rubato appena sono arrivata a Londra. Pensavo di cercarmi un lavoro e avevo quanto bastava per tirare avanti in modo decente, ma...» Le lacrime le rotolarono sulle guance. Se le asciugò con la manica, rigandole di sporcizia. «Dopo che mi hanno rubato la borsa, non sapevo che cosa fare e nessuno era disposto a darmi del cibo o del denaro.»

    «Quindi avete pensato di diventare una ladra per guadagnarvi il pane? Purtroppo, avete scelto me come vostra prima vittima... o non sono stato la prima?»

    «Ho rubato della frutta da una bancarella e un fazzoletto a un anziano gentiluomo, che poi ho venduto. Non guardatemi in quel modo. Avevo fame!»

    «È vero» convenne Richard. Pur intuendo che non gli stesse dicendo l’intera verità neppure adesso, era disposto ad assecondarla, per il momento. «Siete certa di non avere dei parenti? Se abitano in campagna, potrei aiutarvi a recarvi da loro.»

    Georgie esitò per la frazione di un secondo, poi scosse la testa. «Lasciatemi andare adesso. Mi avete offerto la cena, ma mi avevate promesso di lasciarmi andare.»

    «Non ho il potere di trattenervi. Tuttavia, conosco una persona che potrebbe ospitarvi. È una donna anziana e le occorre qualcuno che si prenda cura di lei.»

    «Sarebbe interessante.» Georgie lo fissò con aria dubbiosa. Appariva chiaro che non si fidava di lui. «Non so.»

    «Be’, io me ne vado» ribatté lui, alzandosi e gettando sul tavolo alcune monete per la cameriera. «Potete venire con me o andarvene per la vostra strada. Decidete voi.»

    Georgie non rispose, ma Richard notò che lo aveva seguito fuori dalla saletta da pranzo e stava aspettando ad alcuni passi di distanza che lui pagasse il locandiere. Si impose di non guardarla mentre usciva in strada e si soffermava sotto un lampione. Stava girando sui tacchi allorché alcuni gentiluomini si avvicinarono alla locanda. All’improvviso, avvertì la pressione del corpo di Georgie contro il proprio, come se si stesse nascondendo da qualcosa o da qualcuno. Non pronunciò una parola finché non si furono allontanati a sufficienza, ma la vide gettarsi diverse occhiate nervose da sopra la spalla.

    «Che cosa c’è? Che cosa vi ha spaventata dopo che abbiamo lasciato la locanda?»

    «Parlavate sul serio quando avete detto che mi avreste aiutata a raggiungere la campagna?»

    «Non dico mai quello che non penso.»

    «Allora... devo lasciare Londra. Non posso rimanere ora che...» Lei fece un profondo respiro. «Aiutatemi, per favore. Sono terrorizzata.»

    «Lo vedo. Volete spiegarmene il motivo?»

    Lei si limitò a

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