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Un libertino da amare: Harmony History
Un libertino da amare: Harmony History
Un libertino da amare: Harmony History
E-book222 pagine3 ore

Un libertino da amare: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1823
Da quando è stata introdotta in Società, Beatrice Dewey ha suscitato scalpore per il suo comportamento poco consono a una fanciulla di buona famiglia e ha rischiato di compromettere, oltre alla propria, anche la reputazione della sorella Elise. E quando Hugh Kendrick, l'uomo di cui era stata tanto innamorata in passato, torna dall'India e inizia a corteggiarla, un nuovo scandalo si profila all'orizzonte. Perché invece del matrimonio lui vorrebbe che diventassero amanti, e Beatrice sa perfettamente che legarsi a un famigerato libertino come lui significherebbe la rovina. Ma come può ignorare la dolcezza e le attenzioni che Hugh le riserva?
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2021
ISBN9788830528079
Un libertino da amare: Harmony History
Autore

Mary Brendan

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un libertino da amare - Mary Brendan

    Copertina. «Un libertino da amare» di Brendan Mary

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Rake’s Ruined Lady

    Harlequin Historical

    © 2014 Mary Brendan

    Traduzione di Mento Daniela

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-807-9

    Frontespizio. «Un libertino da amare» di Brendan Mary

    1

    «Certo che non capisco!» sbottò Beatrice Dewey, furente, fissando il fidanzato. «Come potrei comprendere il motivo per cui l’uomo che ero convinta di sposare dovrebbe prendere in moglie un’altra donna?» Si portò la mano alla fronte pallida, nel tentativo di calmarsi. «Adesso ripetetemi tutto e ditemi un’altra volta perché mai dovrei essere d’accordo con voi.»

    Colin Burnett sospirò, in preda alla disperazione. Cercò di prendere la mano di Beatrice, ma lei fuggì via, facendo frusciare il suo abito di mussolina dai colori pastello.

    «Parlate, Colin! Una spiegazione, mille spiegazioni, sono il minimo che dovreste darmi!»

    Dieci minuti prima Mrs. Francis, la governante dei Dewey, era entrata mentre Beatrice stava scrivendo una lettera e le aveva annunciato che il dottor Burnett desiderava vederla.

    Lei aveva raggiunto il fidanzato in salotto con un sorriso radioso che provava quanto fosse lieta della sua visita, ma il sorriso era svanito ancor prima che lui aprisse bocca. Dal suo contegno aveva capito che c’era qualcosa che non andava.

    Aveva affermato che il loro imminente matrimonio doveva essere annullato e neppure per un istante Beatrice aveva pensato che si stesse prendendo gioco di lei, ma Colin non era tipo da scherzare su cose importanti come quella, né apprezzava i toni melodrammatici. Sembrava amareggiato e a disagio, ma non addolorato come avrebbe dovuto essere.

    «Sapete che se potessi in qualche modo cambiare la situazione, lo farei senza esitare. Vorrei tanto che diventaste mia moglie, Beatrice, vi amo moltissimo...» le assicurò.

    «Mi amate? Non vi credo» lo interruppe lei. «Se mi amaste davvero non vi liberereste di me solo per vili ragioni di denaro!»

    «Non si tratta soltanto di denaro, mia cara» replicò lui con una punta di esasperazione, perché Beatrice sembrava non voler capire. «I Burnett sono baronetti dall’epoca di Guglielmo il Conquistatore. Se dovessi rinunciare, il titolo tornerebbe alla Corona con tutte le terre e i possedimenti della nostra famiglia. Come potrei spiegarlo ai miei parenti?»

    Beatrice scrollò le spalle, stizzita. Quell’uomo si preoccupava della sua famiglia, del titolo di baronetto, mentre le stava spezzando il cuore.

    «Mio zio aveva un carattere difficile» proseguì Colin, passandosi nervosamente una mano fra i folti capelli rossi. «È sempre stato un tipo eccentrico, ma se avessi sospettato per un solo istante che cosa aveva in mente, sarei andato da un avvocato per trovare un modo per eludere quella clausola del suo testamento.» Sospirò. «Invece, a questo punto, se non acconsento a esaudire le sue ultime volontà, perderò ogni diritto a ereditare.»

    «Così, invece di rinunciare a tutto e rimanere il medico di campagna che siete e di cui mi sono innamorata, manderete all’aria il nostro matrimonio soltanto per compiacere i capricci di un parente defunto che dall’aldilà pretende di decidere della vostra vita?»

    La rabbia stava prendendo il posto del dolore. Beatrice era sul punto di scoppiare in lacrime. Non si sarebbe umiliata fino al punto di supplicare il suo fidanzato di sposarla. Se davvero Colin aveva intenzione di lasciarla per diventare il marito di sua cugina Stella, come aveva disposto lo zio baronetto nel testamento, non valeva la pena di insistere. Era evidente che non aveva capito niente di lui, lo aveva reputato una persona ben diversa e si era sbagliata, benché si ritenesse alquanto abile nel giudicare il carattere altrui.

    «Se avete davvero deciso di compiacere le richieste di vostro zio per ereditare il suo titolo e la sua fortuna, non c’è altro da dire» mormorò. «Vi chiedo soltanto di essere voi a spiegare a mio padre perché abbia sprecato tempo e denaro per i preparativi del nostro matrimonio» aggiunse, volgendo altrove lo sguardo perché lui non si accorgesse che aveva gli occhi pieni di lacrime.

    «Naturalmente rimborserò le spese che ha sostenuto» la informò Colin in tono asciutto.

    Cercò di nuovo di prendere la mano di Beatrice, ma lei la ritrasse con un brivido di disgusto.

    «Adesso andatevene, vi prego.»

    «Per favore, Beatrice, non voglio che mi detestiate... Non lo sopporterei...»

    «Io sono costretta a sopportare molto di più, da parte vostra. Non avete il diritto di chiedermi qualcosa, dopo avermi fatto sprecare tre anni della mia vita e aver distrutto le mie speranza per il futuro. No, non vi odio, Colin...» Beatrice si sentiva debole, come se fosse sul punto di svenire. «In realtà vi compiango per aver permesso a qualcun altro di scegliere per voi. Non immaginavo che sareste stato capace di tanto egoismo.»

    Lui divenne paonazzo. «Devo lasciarvi proprio perché non sono un egoista» si giustificò. «Ho dei doveri verso la mia famiglia...»

    «E non ne avete verso di me?» strillò Beatrice.

    Ormai era troppo tardi, però, e lo sapeva. Anche se Colin ci avesse ripensato, le cose non sarebbero più state le stesse, fra loro. Come erano state soltanto un quarto d’ora prima, quando si era sentita eccitata alla notizia del suo arrivo, e si era sistemata il vestito e pettinati i capelli, prima di scendere per chiedergli di restare a cena da loro.

    E anche per lui era tutto cambiato. Non le avrebbe mai perdonato di aver preteso che rinunciasse al titolo e ai beni dello zio se avesse deciso ugualmente di sposarla, e il suo risentimento avrebbe finito per far fallire il loro matrimonio.

    «Ho sbagliato a donarvi il mio cuore, ma ora che me l’avete restituito soffrirò di meno sapendo che eravate ben diverso da come credevo» concluse lei, ferendo profondamente il suo orgoglio. «Mio padre è nel suo studio. Andate da lui e fate ciò che ritenete giusto. Non è ricco e ha speso tutti i suoi risparmi per comperarmi l’abito da sposa.»

    «Mio zio aveva cinquantacinque anni, apparentemente era sano o, almeno, non ci ha mai parlato di una sua malattia. Se fosse stato più anziano o infermo, mi sarei informato sul suo testamento» cercò ancora di spiegare Colin, impedendo a Beatrice di uscire dal salotto.

    «Vi siete già giustificato a sufficienza. Non c’è bisogno che vi tratteniate. Spero che troviate soddisfacente la vostra nuova posizione sociale. Ecco, tenete» aggiunse, togliendosi l’anello di granati dal dito. «E adesso, per favore, lasciatemi passare.»

    Colin si irrigidì al tono gelido di Beatrice, ma prese l’anello e se lo infilò in tasca.

    «Anch’io sto soffrendo... Non vi dimenticherò mai...»

    Beatrice uscì e chiuse la porta prima che lui potesse aggiungere altro. Avrebbe atteso in camera sua che Colin andasse dal padre.

    Walter Dewey avrebbe avuto bisogno del suo conforto, dopo aver appreso la notizia. Era stato felice all’idea che il dottor Burnett, il medico di famiglia, diventasse anche suo genero. Colin aveva detto che lo avrebbe risarcito economicamente e Beatrice sperava che il padre non fosse così orgoglioso, o adirato, da rifiutare.

    Sua sorella Elise sarebbe stata sconvolta dalla notizia. Viveva a Londra, nel quartiere di Mayfair, da quando aveva sposato il Visconte Blackthorne, il quale possedeva una residenza favolosa a Upper Brook Street. Aveva anche insistito perché lei e il padre andassero a vivere con loro, ma Walter aveva sempre rifiutato, dichiarando che solo la vita in campagna faceva per lui.

    Anche Beatrice aveva preferito restare nell’Hert-fordshire, con il fidanzato che viveva nei pressi di St. Albans. Si chiese se Colin si sarebbe trasferito subito a Londra, dopo il matrimonio, per godere con la moglie di ciò che rimaneva della stagione mondana.

    Agli occhi del mondo Beatrice, ormai venticinquenne, non era certo più una debuttante. Quasi tutte le sue amiche erano sposate e avevano dei figli. Invece Stella Rawlings, la cugina di Colin, che non aveva mai incontrato, doveva avere almeno sette anni meno di lei e aveva appena debuttato in società.

    Beatrice si svegliò perché qualcuno aveva bussato piano alla porta della sua stanza. Si era addormentata sul copriletto, aspettando che il dottor Burnett se ne andasse, dopo aver visto suo padre. Si alzò e andò ad aprire, gli occhi ancora gonfi perché aveva pianto, prima di dormire.

    «Papà!» esclamò, costernata. «Non saresti dovuto venire fin qui!»

    Era troppo debole per salire le scale.

    «Mr. Francis ti ha aiutato?» gli domandò Beatrice, ma Walter Dewey fece un gesto di insofferenza mentre entrava nella camera della figlia, appoggiandosi al bastone.

    «Norman è andato a cacciare qualche coniglio per la cena» le spiegò. «Che cosa vuoi che sia salire qualche gradino in confronto a quello che stai soffrendo tu, mia cara?»

    Walter si accomodò sulla poltrona accanto alla finestra e sollevò lo sguardo verso il volto pallido della figlia. Scosse il capo, quasi fosse incapace di trovare le parole per consolare Beatrice.

    «Il dottor Burnett se n’è andato?» domandò lei con voce stanca.

    «Sì, ma non prima che gli avessi detto cosa penso di lui.»

    Beatrice cadde in ginocchio accanto alla poltrona dov’era seduto il padre e prese con affetto le sue mani rugose.

    «Non devi preoccuparti, papà» gli assicurò. «Mi riprenderò in fretta...»

    «Il tuo cuore ha sempre dimostrato di essere molto forte, in certe occasioni.»

    Non era la prima volta che un uomo la faceva soffrire, ma in precedenza il motivo era stato che il corteggiatore non possedeva abbastanza denaro per sposarla. Stavolta, invece, era accaduto l’esatto contrario. Il suo fidanzato l’aveva lasciata proprio perché aveva ricevuto una cospicua eredità.

    «Se quel dannato Sir Donald avesse aspettato ancora un po’ a morire, avresti fatto in tempo a diventare Mrs. Burnett!»

    Beatrice era bella, più della sorella minore, la quale tuttavia aveva sposato un visconte e viveva a Londra. A differenza di Beatrice, Elise si era innamorata una volta soltanto, ma aveva scelto bene.

    In passato, due uomini erano stati ammaliati dai capelli d’oro e dagli occhi azzurri di Beatrice, ma erano stati talmente poveri da non potersi permettere una moglie squattrinata quanto loro.

    Lì, in campagna, lontano dalla vita di società, era quasi impossibile trovare un altro aspirante per la sua mano. Il dottor Burnett era sembrato un dono del cielo, ma neppure lui era quello giusto. Gli anni passavano e sarebbe stato sempre più difficile trovare un marito, per quanto a venticinque anni fosse ancora bella come lo era stata a sedici. Aveva una carnagione perfetta, i capelli biondi lucidi e folti, la figura snella ma con le curve al posto giusto, e la vivacità del suo spirito era tale da attirare qualunque uomo. Perfino una fanciulla così meravigliosa, però, poteva rimanere zitella, se il padre non aveva i mezzi per provvedere alla sua dote.

    Elise aveva sposato un ricchissimo visconte, il quale aveva dichiarato di non volere alcuna dote dal suocero. Purtroppo Beatrice non era mai stata tanto fortunata da incontrare un uomo così disinteressato e Colin Burnett, che era sembrato la soluzione dei loro problemi, alla fine si era rivelato il peggiore di tutti.

    «Credi davvero che Burnett ignorasse la clausola del testamento di suo zio?» domandò Walter.

    «Penso sia stato sincero, almeno in quello. Di certo ha mentito quando ha dichiarato di amarmi ancora e che non mi avrebbe mai dimenticata.»

    Il padre si mostrò ancora più afflitto.

    «Spero si sia offerto davvero di rimborsarti il denaro che hai già speso per il nostro matrimonio, come mi aveva detto» aggiunse Beatrice.

    «Sì.»

    «Hai accettato, vero, papà?» Esitò un istante, prima di aggiungere: «È il minimo che quell’odioso individuo possa fare, non gli avrai risposto di no, mi auguro».

    «Niente affatto!» esclamò il padre. «Ammetto di aver avuto la tentazione di dirgli di andarsene all’inferno insieme al suo denaro, ma il cielo sa se abbiamo bisogno di quei soldi. La giustizia divina provvederà a lui, Burnett avrà quello che si merita per averti trattato così, figlia mia.»

    «C’è posta per me?»

    Elise Blackthorne si alzò dal tavolino da toletta quando vide arrivare la cameriera con il vassoio d’argento della posta. Frugò eccitata fra le buste, ignorando quelli che sembravano inviti a balli e ricevimenti per cercare l’unica lettera che le interessasse davvero, quella che arrivava dall’Hertfordshire, dove vivevano suo padre e sua sorella.

    La trovò, ma si stupì che l’indirizzo fosse stato scritto dal padre, invece che da Beatrice.

    «Va’ pure, Maria. Non avrò bisogno di te per un’ora o due» disse alla cameriera. «Il visconte ha già fatto colazione?»

    «Non ancora, è andato nelle scuderie, milady. Devo mandargli un valletto con un vostro messaggio?»

    Elise scosse il capo. Avrebbero fatto colazione insieme, prima che suo marito uscisse per seguire i propri affari. Anche lei doveva uscire, quella mattina, per andare dalla sarta a provare il vestito di raso azzurro che si era fatta confezionare per il matrimonio di Beatrice.

    Nelle sue ultime lettere la sorella maggiore le aveva fatto un rapporto accurato sui preparativi per le nozze imminenti. Una sarta locale le stava preparando l’abito da sposa. Mrs. Garner aveva aperto la sartoria a St. Albans e serviva la famiglia Dewey da oltre dieci anni, anche se Walter Dewey non aveva mai avuto molto denaro per provvedere al guardaroba delle due figlie.

    «È arrivata posta?» domandò la voce profonda di suo marito Alex, che era entrato in quel momento nella stanza.

    Vide la lettera in mano alla moglie e riconobbe la calligrafia del suocero.

    «Novità?» domandò, baciando Elise sulla guancia e cingendola con un braccio.

    «Devo leggere la lettera, Alex... Ti prego, non adesso...» supplicò il marito, ma lui la stava già baciando.

    Elise protestò ridendo, ma le piaceva essere baciata di prima mattina.

    «La colpa è tua» si giustificò lui. «Cosa dovrebbe fare, un povero marito, quando trova la moglie ancora in camicia da notte?»

    «Tutto ciò che vuole» rispose lei.

    «Hai sempre la risposta giusta, amore mio» fu il parere di Alex.

    La prese in braccio e, senza perdere altro tempo, la portò verso il letto e la depose sulle lenzuola.

    C’era ancora tempo, prima di colazione, e sarebbe stato un peccato sprecarlo per leggere una lettera, pensò il visconte Blackthorne. Elise non ebbe alcuna difficoltà a condividere l’opinione del marito.

    2

    «Un tempo non riuscivo a liberarmi di te, adesso devo prendere un appuntamento per vederti?» domandò Alex Blackthorne al suo migliore amico.

    Hugh Kendrick smise di radersi e si voltò verso il visconte.

    «Sai benissimo che avrei preferito venire con te, ma ho promesso a Gwen che questo pomeriggio l’avrei accompagnata a Epsom, alle corse.»

    Alex si lasciò cadere su una poltrona di pelle nella camera da letto dell’amico, non prima di aver permesso al valletto di togliere l’elegante giacca che il suo padrone aveva gettato con noncuranza sullo schienale.

    «E poi non cercheresti la mia compagnia se tua moglie non si trovasse fuori Londra, non è così?» gli domandò Hugh, tamponandosi le guance con un asciugamano.

    «Verissimo.»

    Si sentiva solo da quando Elise era partita per l’Hertfordshire, per far visita al padre e a Beatrice. Era davvero strano che Walter Dewey le avesse scritto per chiederle di andare subito da loro, ancora prima del matrimonio della sorella maggiore.

    Alex si sentiva anche un po’ in colpa, per non aver permesso alla moglie di leggere subito il messaggio paterno, quando lo aveva ricevuto, ma immediatamente dopo averlo letto, Elise aveva dichiarato che sarebbe partita senza alcun indugio.

    Lui, ovviamente, si era offerto di andare con lei,

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