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Seduzione veneziana: Harmony Collezione
Seduzione veneziana: Harmony Collezione
Seduzione veneziana: Harmony Collezione
E-book167 pagine2 ore

Seduzione veneziana: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Rosalie scopre di non essere in grado di rinunciare al bambino che porta in grembo da sette mesi come madre surrogata per una coppia italiana. Si reca così a Venezia nella speranza di chiarire la sua posizione e ottenere il loro perdono. Quello che scopre, però, la lascia di stucco: il tenebroso Alex Falconeri è vedovo... e non aveva idea che lei aspettasse suo figlio!

Alex non può lasciarsi sfuggire l'occasione di riconoscere il proprio erede. Tuttavia Rosalie è per lui una tentazione terribilmente dolce a cui non riesce a resistere. Dopo un matrimonio freddo e senza amore, Alex aveva giurato di non volersi sposare mai più, ma il destino a volte è in grado di sovvertire ogni regola.
LinguaItaliano
Data di uscita20 apr 2021
ISBN9788830527195
Seduzione veneziana: Harmony Collezione
Autore

Jennie Lucas

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Seduzione veneziana - Jennie Lucas

    successivo.

    1

    Paura. Panico. Rimorso.

    Rosalie Brown provò tutte quelle sensazioni, mentre fissava il suo pancione di sette mesi.

    Prese un profondo respiro. Aveva creduto di poter essere una madre surrogata per una coppia senza figli. Si era convinta che alla fine della gravidanza sarebbe stata in grado di consegnare senza problemi il bambino nelle braccia della sua vera, amorevole famiglia.

    Era stata una sciocca.

    Le lacrime le invasero gli occhi e avvolse protettiva le braccia intorno al pancione, il cuore stretto in una morsa.

    Negli ultimi sette mesi, mentre il bambino cresceva dentro di lei, lo aveva sentito muoversi e scalciare. Lo aveva visto attraverso le ecografie mensili e aveva preso l'abitudine di parlargli mentre passeggiava nella baia di San Francisco. Con il passare del tempo, mentre la nebbia invernale recedeva lasciando il posto al brillante sole primaverile, aveva iniziato ad amare quel bambino.

    Segretamente.

    Stupidamente.

    Strinse gli occhi. Stava attraversando un periodo davvero difficile quando aveva visto l'annuncio di una clinica della fertilità in cerca di madri surrogate. Profondamente in lutto, senza lavoro e oppressa dalla consapevolezza che non avrebbe mai più potuto fare ritorno a casa, quell'annuncio le era apparso come un miracolo, non solo qualcosa che l'avrebbe aiutata a pagare l'affitto per i mesi successivi, ma l'occasione di fare qualcosa di buono. Il modo migliore – l'unico modo – per superare il dolore e il senso di colpa.

    Così aveva incontrato l'aspirante madre, una bellissima, elegante donna italiana che le aveva parlato con le lacrime agli occhi di quanto il marito desiderasse diventare padre.

    «Per favore» aveva sussurrato in perfetto inglese, «sei la nostra unica speranza.»

    Per la prima volta dopo mesi, Rosalie non aveva provato solo disperazione. Aveva firmato il contratto quel giorno stesso.

    Solo qualche settimana più tardi, quando aveva iniziato a riemergere dalla nebbia del lutto che le aveva obnubilato i sensi, si era ritrovata ad avere alcuni ripensamenti. Si era resa conto che avrebbe dovuto rinunciare al proprio bambino, un bambino formato e cresciuto dentro di lei.

    Subito dopo il primo tentativo di inseminazione artificiale aveva compreso di aver commesso un terribile errore. Aveva capito di non poter essere una madre surrogata e aveva deciso di tirarsi indietro.

    Ma era già troppo tardi. Era rimasta incinta al primo tentativo e il contratto che aveva firmato l'avrebbe costretta a rinunciare al bambino.

    Per tutti gli ultimi sette mesi, Rosalie aveva cercato di convincersi che quel bambino non fosse veramente suo. Si era ripetuta che apparteneva a Chiara Falconeri e a suo marito, Alex. Era il loro bambino, non il suo.

    Il suo cuore e la sua anima, però, avevano continuato a pensarla in modo diverso finché, finalmente, la settimana precedente aveva ritirato il suo primo passaporto e prenotato un volo internazionale.

    Così adesso era a Venezia, con l'obiettivo impossibile di convincere la coppia a stracciare il contratto e lasciarle tenere il bambino.

    «Signora?»

    Alzò gli occhi sul giovane sorridente dalla maglietta a righe che le tendeva la mano per aiutarla a scendere dal vaporetto che fungeva da collegamento tra la città e l'aeroporto Marco Polo. Una folata di vento caldo le sollevò la gonna del prendisole giallo, stropicciato dopo il volo di quattordici ore. Sentì il piccolo traghetto ondeggiare sotto i suoi piedi, ma si chiese se non fossero lo stress e la mancanza di sonno a darle quel senso di vertigine.

    «Serve aiuto con la borsa?» chiese educatamente il giovane in un inglese incerto.

    «No» rispose, sistemandosi la borsa che costituiva tutto il suo bagaglio sulla spalla. «Grazie.» Era l'unica parola che conoscesse in italiano, fatta eccezione per parole come spaghetti o gelato.

    «Ciao, bella.» Avvertì gli occhi del giovane su di sé mentre percorreva la passerella. Con quell'enorme pancione, ovviamente, non era davvero bella. Probabilmente gli uomini italiani chiamavano in quel modo tutte le donne, in una sorta di caloroso segno di rispetto. Quel Paese le piaceva già.

    Le sarebbe piaciuto ancora di più se fosse riuscita a convincere la coppia italiana a lasciarle tenere il bambino.

    Seguì la folla di turisti che si addentrava in città, oltre affascinanti localini all'aperto e negozi che vendevano vetri dai colori vivaci e maschere veneziane, senza riuscire a liberarsi della sensazione di vuoto che le opprimeva il petto. Venezia, la città dei sogni, La Serenissima.

    Era cresciuta in una piccola fattoria nel nord della California, fino a quando non si era trasferita nella vicina San Francisco per lavoro. Non aveva mai immaginato di poter viaggiare fin dall'altra parte del mondo.

    Era abbagliata dai fiabeschi edifici rinascimentali, dai romantici balconi affacciati sui canali scintillanti come diamanti sotto il caldo sole italiano.

    Stringendo gli occhi, scosse la testa con un sospiro. Non era il momento di perdersi in sogni a occhi aperti di aperitivi all'aperto in locali dal sapore esotico. Era in Italia per un motivo ben preciso: convincere i Falconeri a lasciarle suo figlio.

    Doveva riuscirci. Doveva. Rosalie si concentrò sulla mappa del telefono, dove aveva salvato l'indirizzo riportato sul contratto. Si lasciò la folla che riempiva piazza San Marco alle spalle e svoltò in una stradina tranquilla, poi in un'altra, attraversò uno stretto ponte di pietra e sbucò nella tranquilla piazza Falconeri.

    A ogni passo, si sentiva più sudata e trasandata. Aveva incontrato Chiara Falconeri solo una volta, nella clinica in California, ma non aveva mai incontrato il marito. In ogni caso, sapeva che difficilmente Alex Falconeri l'avrebbe chiamata bella come il ragazzo di poco prima. Non dopo che Rosalie gli avesse detto di non volergli più cedere suo figlio.

    Si fermò davanti a un cancello di ferro battuto che interrompeva un alto muro di pietra, alle cui spalle si intravvedevano un giardino ricco di vegetazione e, più in fondo, un palazzo dalle fattezze antiche. Era arrivata a destinazione. Per un attimo esitò, le ginocchia tremanti, poi pensò alla disperazione che l'aveva portata fino a lì. Sistemandosi la borsa sulla spalla, suonò il campanello.

    Una voce fredda risuonò attraverso il citofono. «Sì?»

    A disagio nel parlare con un muro di pietra, balbettò: «Uhm... Vorrei vedere... parlare con il signore e la signora Falconeri, per favore».

    «Il signor Falconeri?» L'uomo sembrò scandalizzato. «Ha un appuntamento?»

    «No, ma sono sicura che vorranno vedermi.» Almeno così sperava.

    Un verso dubbioso, sprezzante. «E lei chi sarebbe?»

    «Sono... Sono Rosalie Brown. La loro madre surrogata. Aspetto il loro bambino.»

    All'altra estremità del citofono calò un silenzio di tomba.

    «C'è nessuno?» Chiese Rosalie dopo un po'. Ancora nessuna risposta. «Per favore, sono venuta fin qui dalla California. Se potesse chiedere alla signora Falconeri, lei potrebbe spiegare...»

    Si udì un ronzio e il cancello si aprì di colpo. Rosalie si fece avanti esitante.

    Il cortile ombreggiato, silenzioso e lussureggiante rivelava un mondo diverso rispetto al resto di Venezia, affollata e senza alberi. Il canto di numerosi uccelli le fece compagnia mentre attraversava il piccolo giardino fino a una porta di legno intagliato. Stava per bussare, quando la porta si aprì silenziosamente e comparve un uomo dai capelli bianchi, leggermente incurvato su se stesso, che sembrava avere almeno centocinquant'anni.

    «Si accomodi.» Rosalie riconobbe la voce secca di poco prima. Sotto le folte sopracciglia bianche, lo sguardo dell'uomo cadde sul suo pancione.

    «Uhm... Grazie.» Nervosa, entrò nell'atrio e avvertì con sollievo l'aria condizionata raffreddare la sua pelle surriscaldata. Si morse il labbro inferiore, poi chiese, esitante: «È lei il signor Falconeri?».

    «Io?» L'anziano si schiarì la gola. «Mi chiamo Collins, sono il maggiordomo. Il conte è il mio datore di lavoro.»

    «Conte?» ripeté lei, confusa.

    «Alexander Falconeri è il Conte di Rialto» spiegò l'uomo. «Strano che lei non sappia chi sia, visto che dice di portare in grembo suo figlio.» La sua voce indicava chiaramente che dubitava di quell'affermazione.

    «Oh.» Fantastico. A quanto pareva il padre di suo figlio era un nobile di qualche tipo. Come se avesse bisogno di sentirsi più insicura di quanto non fosse già. Sollevò la testa ad ammirare gli affreschi sul soffitto, sopra l'antico lampadario di cristallo.

    «Da questa parte, signorina Brown.» Il maggiordomo la condusse lungo un ampio corridoio fino a un salone riccamente decorato con mobili in stile Luigi XIV, un enorme ritratto a olio sopra il camino in marmo e grandi finestre che si affacciavano su un canale.

    «Aspetti qui, per favore.»

    Dopo che se ne fu andato, Rosalie si aggirò nervosamente per il salone, incerta su cosa fare, dove sedersi o guardare. Un posto del genere non aveva nulla a che fare con il minuscolo appartamento di San Francisco che condivideva con altre tre ragazze, o con la fattoria della sua famiglia nel nord della California, piena zeppa di mobili vissuti, accumulati nel tempo e in nessun modo coordinati tra loro.

    Tutti molto infiammabili però, come si era scoperto...

    Provò un moto di nausea e scacciò quel pensiero. Si costrinse a concentrarsi esclusivamente sull'ambiente intorno a lei. Anche quei mobili sembravano essere stati tramandati di generazione in generazione, ma in modo molto diverso da quello della sua famiglia. Lì dentro ogni sedia, ogni tavolo sembravano avere un valore inestimabile – fissò un antico sofà dorato – ed essere molto, molto scomodi.

    Con un sospiro, alzò gli occhi sul ritratto sopra il camino. L'uomo nel dipinto, senza dubbio un antenato di Falconeri, la guardava con un disprezzo ancora più evidente di quello del maggiordomo. Questo posto non fa per te, sembrava dirle il ghigno dell'uomo. Rabbrividendo, concordò con lui. Non faceva nemmeno per il suo bambino.

    Non poteva permettere che suo figlio crescesse in un museo simile. Raccolse la borsa che aveva posato ai suoi piedi. Di recente aveva scoperto che la maternità surrogata era illegale in Italia. Cosa che Chiara e Alex Falconeri ovviamente sapevano, quando avevano deciso di rivolgersi a una clinica californiana.

    Il pensiero di usare quell'informazione a proprio vantaggio non le piaceva. Non sapeva nemmeno se ne sarebbe stata capace. Non aveva mai minacciato nessuno in vita sua.

    Ma pur di tenere con sé il suo bambino...

    «Chi è lei e che cosa vuole?»

    Rosalie si voltò di scatto a quel basso ringhio e si trovò di fronte un uomo, immobile sulla porta.

    Era alto, aveva spalle larghe e un fisico scolpito, folti capelli scuri e occhi neri come la notte, tanto intensi che quando li posò su di lei sembrarono trafiggerla da parte a parte. Rosalie afferrò il bordo della mensola del camino per sostenersi, le gambe a un tratto troppo deboli.

    «È... è lei Alex Falconeri?» gracchiò.

    L'uomo strinse gli occhi, entrò nella stanza e si fermò proprio di fronte a lei. Era completamente vestito di nero, dalla punta lucida delle scarpe di pelle al colletto inamidato della camicia, un abbigliamento rigido e formale che sembrava perfetto per un palazzo come quello ma totalmente in contrasto con i colori e il calore del sole di fine maggio che inondava la città.

    «Non ha risposto alla mia domanda.» Lo sguardo dell'uomo era un'arma, che la inchiodava sul posto. «Chi è lei? E cos'è la ridicola storia che ha raccontato al mio maggiordomo?»

    Come poteva non riconoscerla immediatamente? Si erano forse rivolti a più surrogate? Batté più volte le palpebre, stupita. «Sono Rosalie. Rosalie Brown.»

    «Bene. Rosalie, Rosalie Brown» la schernì. «È uno scherzo? Sostiene davvero di essere incinta di mio figlio?»

    «Come?» chiese sconcertata. «Sa che è così.»

    «E come potrebbe essere successo?» commentò con disprezzo, intrecciando le braccia. «Non ho mai tradito mia moglie in tre anni di matrimonio, nemmeno quando lei...» Si interruppe, serrando la mascella.

    Rosalie lo guardò a bocca aperta. «Ho visto la sua firma sul contratto di maternità surrogata.»

    «Contratto?» ringhiò lui. «Di cosa parla?»

    Era possibile che non

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