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A casa del conte
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E-book243 pagine3 ore

A casa del conte

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1822. Sola e in fuga, Isabelle Thomas ha bisogno di un lavoro e di una casa. Così, quando conosce il Conte di Lennox e lui le propone di diventare l'istitutrice della sua figlioccia, decide di accettare. I problemi, tuttavia, non tardano ad arrivare. L'incontro con la ragazzina è deludente, e alcuni pettegolezzi mettono in dubbio la sua reputazione. Infine, come se non bastasse, una sera il conte la bacia appassionatamente. Il rischio di innamorarsi di lui è molto alto, e Isabelle ha paura di rimanere delusa. Ma proprio quando sta per licenziarsi, si rende conto che fuori da quella dimora l'aspettano solo problemi e angosce. E lei si ritrova a dover scegliere tra la reputazione e il cuore.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2017
ISBN9788858969816
A casa del conte
Autore

Sarah Elliott

Nata in Pennsylvania, ha insegnato per alcuni anni nel Connecticut prima di trasferirsi a Londra, dove attualmente frequenta un corso di laurea in storia dell'arte. Il gioco delle parti è collegato a Il marchese libertino.

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    Anteprima del libro

    A casa del conte - Sarah Elliott

    1

    Londra, 17 maggio 1822

    Maledizione!

    William Stanton, Conte di Lennox, si drizzò sul sedile, massaggiandosi il capo. Era immerso in un sonno tranquillo, quando una brusca frenata della carrozza gli aveva fatto battere la testa contro il gancio di ottone che teneva aperte le tendine di velluto. McGrath, il cocchiere, stava protestando vivacemente con qualcuno che ostruiva loro il passaggio.

    «Che accidenti state facendo?»

    Will sporse la testa dal finestrino e allungò il collo per capire il motivo di quell’improvvisa fermata. A quanto pareva, un carro carico di verdure si era parato proprio di fronte a loro, e nel tentativo di sterzare per evitarli, aveva rischiato di ribaltarsi, perdendo metà del contenuto. In quel momento il fruttivendolo stava raccogliendo la propria merce con deliberata calma, recuperando a uno a uno cavoli e carote con un sorrisetto beffardo.

    Il conte sospirò e si lasciò andare contro il sedile, osservando la scena dal finestrino: la faccenda sarebbe andata per le lunghe. Era stato fuori città quattro giorni ed era molto felice di tornare a casa, anche perché quel viaggio non era stato programmato. Era tutta colpa di Miss Matilda Hume, la direttrice della Scuola femminile in cui studiava la sua figlioccia, Mary Weston-Burke. Dalla morte del padre, avvenuta tre mesi prima, la ragazzina era sotto la sua tutela, cosa che, a quanto pareva, implicava che, se lei decideva di mettere una salamandra nel tè del suo insegnante di francese, lui era costretto a intervenire.

    Era sinceramente convinto che Miss Hume avesse esagerato e che si fosse trattato soltanto di una birichinata. Come le aveva spiegato durante il loro incontro, la salamandra non aveva corso alcun rischio, dal momento che la tazza era vuota. Miss Hume, tuttavia, era preoccupata per Monsieur Lavelle. A sentir lei, all’uomo era quasi venuto un colpo apoplettico.

    Si augurava di essere riuscito a sistemare la questione: evidentemente Mary non era la ragazzina tranquilla e un po’ cagionevole di salute che gli era parsa quando avevano fatto quattro chiacchiere davanti a un tè. Al contrario, era piuttosto vivace.

    McGrath aveva deciso di tagliare attraverso i quartieri a est. Lungo le strade sconnesse si levavano edifici fatiscenti, e l’unica attività commerciale che prosperava nella zona parevano essere i pub. I curiosi si fermavano per osservare la carrozza con sguardi ostili.

    A un tratto Will notò una graziosa ragazza che procedeva di buon passo non lontano dalla vettura.

    Di belle donne in vita sua ne aveva viste parecchie, per cui non si soffermava spesso a guardarle, tuttavia per questa fece un’eccezione, forse perché sembrava del tutto fuori posto in quella strada. Era più alta della maggior parte delle persone che la circondavano, uomini compresi. Le aveva solo intravisto il volto, ma non gli erano sfuggiti gli zigomi alti, le labbra carnose e la pelle chiara, che ben si accordava con i capelli rossi e ribelli raccolti sulla sommità del capo. Chissà dove stava andando?, si chiese. E cosa faceva in un luogo simile? Portava un grazioso abito di mussola stile impero, e aveva un’aria modesta e rispettabile, anche se forse un po’ severa.

    Will non era l’unico ad averla notata: al suo passaggio due uomini seduti a cavalcioni su un muretto, vestiti con pantaloni rattoppati e pesanti scarponcini da lavoro, girarono il capo. Lei tuttavia non parve accorgersi di loro e tirò dritto a testa alta.

    Dopo qualche istante si fermò e prese a guardarsi intorno nervosamente, come se stesse cercando qualcuno. Aveva posato ai suoi piedi la borsa di pelle che portava con sé e Will si sentì prendere dall’ansia. Anche a distanza era chiaro che molti occhi la stavano scrutando con interesse. Aprì la portiera della carrozza e attraversò la strada, facendo un cenno al cocchiere.

    Non sapeva come si sarebbe comportato, forse le avrebbe chiesto se aveva bisogno di aiuto... Non era saggio per una fanciulla andare in giro a piedi da quelle parti. Ma non fu abbastanza svelto. Si trovava a una decina di passi da lei, quando un ragazzo alto e robusto le balzò addosso, facendole perdere l’equilibrio. Senza indugio lei impugnò il manico della borsa, nello stesso momento in cui anche il suo aggressore faceva altrettanto, anche se con una forza assai superiore. Si contesero la borsa per pochi secondi, poi lui riuscì a strappargliela dalle mani, facendola sbilanciare e cadere all’indietro, prima di girarsi e scappare. Per sua sfortuna, tuttavia, l’individuo non prestò attenzione a dove stava andando. Dopo appena due falcate, infatti, si scontrò con una figura massiccia.

    Non appena Will lo prese per le spalle, il malvivente lasciò andare la borsa, e tutto il suo contenuto si rovesciò sul selciato.

    William era quasi due spanne più alto di lui e nel momento in cui abbassò lo sguardo scorse il terrore negli occhi del ragazzo. Allentò la pressione.

    «Sparisci» gli sibilò.

    Il ladro non si fece pregare e sparì. Will si accorse che la ragazza, inginocchiata ai suoi piedi, stava cercando di raccogliere le sue cose. Da quella posizione poteva vederne soltanto la nuca e il lungo collo: nella lotta lo chignon si era allentato e una ciocca di capelli le ricadeva sulle spalle. Si chinò per aiutarla.

    «Lasciate che...»

    Lei non replicò, limitandosi a infilare le cose nella borsa con maggiore sollecitudine. Lo sguardo di Will venne attirato da un oggetto, un piccolo astuccio rosso di marocchino, semiaperto, al cui interno era adagiata quella che sembrava una collana di perle. Si allungò per recuperarla, ma lei fu più veloce.

    «Non ho bisogno di aiuto, grazie» mormorò senza guardarlo. Chiuse la borsa in fretta e questa volta la fermò bene, per impedire altri incidenti. Aveva una voce calda e armoniosa, considerò lui, anche se il tono era decisamente ostile.

    Si raddrizzò impettita, imitata da Will, che tese una mano per aiutarla. Pur ignorandola, lei alzò gli occhi, e lui fu di nuovo colpito dalla sua avvenenza. Aveva labbra voluttuose dischiuse in un’espressione stupita e un naso piccolo punteggiato di lentiggini. Quando sollevò lo sguardo a incrociare i suoi occhi, Will si avvide che erano di un incredibile blu violetto e che lo stavano fissando con aria sorpresa.

    Nell’istante in cui i loro sguardi si incrociarono, Isabelle Thomas abbassò gli occhi, senza però riuscire a nascondere il rossore che dalla base del collo le era salito fino alla radice dei capelli fulvi. Si aspettava di trovarsi di fronte uno dei tanti tipi equivoci incrociati quel giorno per strada o, peggio ancora, l’uomo che, se non si sbagliava, l’aveva seguita per tutto il mattino e che era finalmente riuscita a seminare. Invece, a quanto pareva, il suo sguardo si era posato su un gentiluomo, e per di più incredibilmente attraente.

    Non sarebbe voluta essere così dura... Aveva solo temuto che quell’uomo volesse portare a termine ciò in cui il ragazzo aveva fallito. Maledisse tra sé la propria immaginazione, e quando risollevò gli occhi lui pareva essersi già scordato la sua rudezza.

    Sperava di trovarlo meno attraente a un secondo sguardo, invece restava irresistibile, anche se forse era un po’ troppo perfetto. Alto, le spalle larghe, i capelli biondi e un po’ arruffati e occhi di uno straordinario verde smeraldo. Era vestito in modo impeccabile, con brache scamosciate e una giacca color blu scuro. Lei invece era consapevole di apparire come un topolino che era appena sfuggito a un gatto randagio.

    Non aiutava il fatto che lui continuasse a fissarla, e ci mise un po’ per rendersi conto che le aveva chiesto qualcosa e che stava aspettando una risposta.

    «Mmh?»

    Will fece un passo verso di lei, forse pensando che fosse debole di udito. «Stavo dicendo che spero non siate ferita.» Il suo tono era pacato.

    «Sto... sto bene.»

    «Vi hanno preso niente? È vostro, quello?»

    Guardò in basso, dove un foglio fluttuava in una pozzanghera. Era suo, e l’indirizzo che vi aveva scarabocchiato con l’inchiostro nero si stava dissolvendo.

    «Oh!»

    Si lanciò per recuperarlo proprio nell’istante in cui anche lui si chinava, con il risultato che sbatterono la testa l’uno contro l’altro, al che si rizzarono subito tutti e due in piedi.

    «Scusatemi» mormorò Isabelle, a disagio.

    Will sorrise con aria desolata, e lei notò le fossette e i denti bianchi e perfetti. «È evidente che manchiamo di coordinazione» commentò. «Posso...?»

    Troppo in imbarazzo per protestare, Isabelle rimase ferma mentre lui recuperava il foglio e glielo passava. Pur essendo appena decifrabile, si potevano leggere soltanto le parole: 16 Litch. Per fortuna ricordava il resto. Litchfield Terrace numero 16. L’indirizzo a cui avrebbe trovato Josiah Fairly, che, a quanto le avevano detto, avrebbe offerto una somma accettabile per prendere in pegno le sue cose.

    «Si legge ancora?» chiese Will.

    «Sì... sì...» Lei si infilò il foglio in tasca. «Devo andare, grazie per avermi aiutato.» Fece per girarsi, quando sentì sul braccio la pressione di una mano calda e ferma. Lentamente sollevò lo sguardo.

    «Non dovreste aggirarvi in zone simili con quella borsa, se non volete essere aggredita un’altra volta» la ammonì. «Vi accompagno.»

    Isabelle sapeva che aveva ragione. Purtroppo non aveva avuto altra scelta. «Lasciatemi, signore.»

    A quel tono imperioso, sul volto di Will si dipinse un’espressione sorpresa, tuttavia le obbedì, muovendo un passo verso di lei. Nonostante fosse alta, doveva allungare il collo per guardarlo in faccia, cosa a cui non era abituata. «Ormai tutti qui intorno hanno capito che quella borsa contiene oggetti di valore. Nel caso teniate alle vostre cose, vi consiglio di accettare.»

    Isabelle si guardò intorno: davano indubbiamente nell’occhio, e li stavano osservando in molti. Se lui se ne fosse andato in quel momento, lasciandola sola, era plausibile che, nella migliore delle ipotesi, qualcun altro avrebbe tentato di derubarla. Sarebbe stata fortunata ad arrivare a casa sana e salva, tuttavia preferiva non essere accompagnata. Si stava recando a un banco dei pegni, e la circostanza era già sufficientemente umiliante.

    Si morse il labbro inferiore, in preda all’indecisione. Cercò di assumere un tono sicuro, ma si rese conto di non riuscirci. «Il posto in cui vado non è vicino, immagino che abbiate di meglio da fare.»

    Will parve accorgersi della sua esitazione, e quando parlò il suo tono non ammetteva repliche. «Non ho niente da fare, quest’oggi» le assicurò. «Possiamo prendere la mia carrozza, è dall’altra parte della strada.»

    Isabelle si girò a guardarla e notò che doveva essere stata da poco riverniciata con un bel verde brillante, lo stesso colore della livrea del cocchiere, e che era tirata da due bai ben spazzolati, che aspettavano impazienti di ripartire. La portiera era decorata da uno stemma sormontato da una corona da conte.

    Santo cielo! Non era solo bello, ma anche ricco, e con tutta probabilità in possesso di un titolo.

    «Il vostro cocchiere sta facendo amicizia» osservò tagliente guardando l’uomo che discuteva con il conducente di un carro. Adesso era più decisa che mai a non farsi accompagnare. Le restava un po’ di orgoglio, forse non molto, abbastanza però da voler evitare che quell’uomo assistesse alla vendita delle sue cose.

    Lui sorrise di nuovo e Isabelle si pentì di aver arrischiato una battuta. «McGrath adora discutere. Ancora un po’ e finiranno per sfidarsi a duello. Andiamo?» Le tese un braccio.

    Isabelle lo fissò per un istante e si incamminò nella direzione opposta. Doveva sbarazzarsi di lui in fretta, e il banco dei pegni non doveva essere così lontano. «Non mi sembra prudente. Vi sono molto grata per il vostro aiuto, ma posso fare da sola.»

    Lui l’affiancò, tenendo il suo passo con lunghe falcate. «Comprendo benissimo la vostra riluttanza ad accettare un passaggio, però vi assicuro che è molto più saggio che andare a piedi. Potremmo rischiare di venir derubati entrambi.»

    «Non dovete venire con me» dichiarò lei con freddezza.

    Will sospirò. «Sarei tentato di lasciarvi qui, ma la mia coscienza non me lo consente. Avete ragione a dubitare» riprese dopo un istante. «Io non mi fiderei di un tizio incontrato per caso da queste parti.»

    «Appunto. Cosa ci fate voi da queste parti?» Sapeva che suonava come un’accusa, ma quella non era certo la zona adatta a una carrozza simile. E perché era così interessato a lei? Il braccio cominciava a dolerle sotto il peso della borsa e lui non accennava ad allontanarsi. Con un sospiro spazientito posò la borsa a terra e incrociò le braccia al petto, aspettando la risposta.

    A quanto pareva, però, lui trovava comica la sua irritazione. «Stavo rientrando a casa» rispose sorridendo, «quando mi sono accorto che stavano per derubarvi. Non potevo stare a guardare, non credete?»

    «Oh.» Isabelle raccolse la borsa e si rimise in marcia, sentendosi un po’ in colpa per essere stata brusca. Anche se quell’uomo era esasperante, non fosse stato per lui in quel momento si sarebbe trovata in guai ben peggiori. «Vi... vi sono grata per aver bloccato quell’uomo e vi chiedo scusa per essere stata maleducata, però vorrei davvero andare da sola. Non desidero farvi perdere altro tempo.»

    Pur annuendo, lui non parve tener conto delle sue parole. Continuò a camminare al suo fianco per qualche istante, prima di tenderle la mano. «Permettete che mi presenti. Sono William Stanton, Conte di Lennox. Vi prego, però, non chiamatemi milord.»

    «Non lo farò.»

    Sperava di riuscire a non apparire turbata. Fino a pochi anni prima non sarebbe stata così intimidita dal suo titolo; benché non fosse mai stata all’altezza di un conte, aveva un po’ di soldi e una famiglia apparentemente rispettabile. Era cresciuta in una bizzarra casa di mattoni, circondata da sentieri con la ghiaia e giardini coperti d’erba, su cui si arrampicava un glicine. Non aveva mai acquistato vestiti all’ultima moda e anche se era di ottima fattura e abbastanza costoso, il semplice abito che indossava in quel momento era un perfetto esempio del suo modo pratico di vestire. Non aveva mai avuto motivo di vergognarsi.

    Poi le cose erano cambiate. Una squallida via aveva sostituito il giardino, e gli abiti, oltre che fuori moda, erano divenuti anche logori. Quello che portava aveva alle spalle varie stagioni e un imprecisato numero di rammendi.

    «Adesso tocca a voi presentarvi» replicò Will scrutandola in volto.

    Lei si fermò per rispondergli, abbattuta e frustrata. «Isabelle Thomas.»

    «Piacere di conoscervi, Miss Thomas. Lasciate che vi porti la borsa.»

    «No, grazie.»

    Era riuscita a provocarlo, si rese conto, perché quando parlò lui aveva l’aria offesa. «Vi garantisco che non voglio rubarvi niente, ma sembra pesante.»

    «No.» Lei rafforzò la presa.

    Lui sospirò a fondo e, dopo un istante di incertezza, cominciò a frugarsi nel panciotto.

    Isabelle si girò a guardarlo, un po’ allarmata. «Cosa fate?»

    «Visto che insistete a dubitare di me, cerco il mio orologio.»

    «Perché?»

    «Faremo un patto, Miss Thomas. Io vi porto la borsa e voi terrete l’orologio. Così sarete sicura che non scapperò con le vostre cose.» Le tese l’orologio, poi, visto che lei non si muoveva, glielo mise sul palmo e le chiuse le dita. «Adesso potete darmi la borsa.»

    Non sapeva come rifiutare l’offerta, tuttavia non voleva che lui l’accompagnasse. «Mi conoscete appena, signore. Potrei scappare con il vostro orologio.»

    «Vi prenderei» ribatté lui con un sorriso sornione. «Vi consiglio di non mettermi alla prova.»

    Non ne dubitava. Con un sospiro, Isabelle gli allungò la borsa. Con le braccia doloranti si infilò l’orologio in tasca. Non si sarebbe mai sognata di rubarglielo, non solo perché gli credeva, ma anche perché non era ancora caduta così in basso.

    «Non farei mai una cosa simile» ribadì lei riprendendo a camminare. «Non sono una ladra.»

    «Mi fa piacere. Posso chiedervi cosa tenete in questa borsa? Dal peso direi che si tratta di pietre.»

    Lei impallidì. «Se dovete lamentarvi...»

    «Non sto facendo niente del genere.»

    «Non l’aprite.»

    «Non ne ho l’intenzione» rispose lui irritato. «Guidatemi, Miss Thomas.»

    Lei si guardò nervosamente intorno, sperando di ricordare le indicazioni che le avevano fornito. Le aveva scritte su un foglio, ma fermarsi per strada a guardarle l’avrebbe fatta apparire confusa e vulnerabile. Doveva girare in una di quelle vie...

    «Mmh, qui a sinistra. Credo.» Imboccò titubante un vicolo, che dopo circa trenta passi incrociò un’altra strada. Sul vecchio cartello sbiadito si leggeva Litchfield Terrace. Girò a destra.

    «E comunque dove mi state portando?» le chiese lui. Era una domanda lecita, visto che Litchfield Terrace appariva particolarmente inospitale. Era stretta e non pavimentata, e vi si affacciavano squallide abitazioni che avevano tutta l’aria di essere abbandonate, non fosse stato per l’acuto strillo di un bambino che uscì da una finestra rotta e un topo che strisciava lungo le case, fiutando alla ricerca di avanzi di cibo.

    «Siete voi che avete insistito per accompagnarmi» puntualizzò lei. «Posso proseguire da sola.»

    «È fuori questione.»

    Isabelle era consapevole che stava parlando seriamente. Cominciò a rallentare il passo, agitata. Da un momento

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