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Appuntamento con il capitano (eLit): eLit
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E-book304 pagine4 ore

Appuntamento con il capitano (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Quando Charlotte Gilpin, figlia di un ricco fabbricante di carrozze e lei stessa abilissima donna d'affari, viene rapita, il padre affida al capitano Alexander Carstairs, membro del Piccadilly Gentlemen's Club, il compito di ritrovarla. Dopo averla rintracciata su una nave diretta in India, Alex scopre che il mandante del rapimento è un dissoluto aristocratico inglese che spera di mettere le mani sul denaro dei Gilpin. Per liberare la giovane dalle sue grinfie, l'intraprendente capitano dovrà affrontare pericoli di ogni sorta, non ultimo il fascino che la bella Charlotte esercita su di lui...
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2017
ISBN9788858968802
Appuntamento con il capitano (eLit): eLit
Autore

Mary Nichols

Nata a Singapore, si è trasferita in Inghilterra giovanissima e prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura ha lavorato in ospedale, nella scuola e nell'industria. La ragazza di cristallo è collegato a La contessina ribelle.

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    Anteprima del libro

    Appuntamento con il capitano (eLit) - Mary Nichols

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Captain’s Kidnapped Beauty

    Harlequin Historical

    © 2012 Mary Nichols

    Traduzione di Maria Grazia Bassissi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5896-880-2

    1

    1765

    La riunione della Società per la ricerca e la cattura dei criminali, più comunemente nota con il nome di Piccadilly Gentlemen’s Club, stava volgendo al termine. Il circolo, diretto da Lord James Drymore, era costituito da agiati gentiluomini che si dedicavano alla tutela della legge e dell’ordine in una società che, a detta di tutti, era ormai priva di misura. Qualcuno li definiva cacciatori di ladri, eppure loro rifiutavano tale appellativo solo per via delle sue connotazioni poco simpatiche: i cacciatori di ladri erano sovente altrettanto corrotti dei criminali che cercavano di assicurare alla giustizia, mentre i membri del Piccadilly Gentlemen’s Club erano persone di indiscussa moralità e non accettavano neppure di venir pagati per i servizi che rendevano alla società.

    Quel giorno ciascuno aveva presentato una relazione sul caso del quale si stava occupando: il Visconte Jonathan Leinster stava dando la caccia, per il momento senza troppa fortuna, a due famigerati malviventi, evasi di prigione mentre erano in attesa del processo; Lord Harry Portman, specializzato nelle indagini sui falsari, spesso si avventurava nei quartieri più malfamati della città in cerca di informazioni e per sicurezza ricorreva ad adeguati travestimenti, anche se a guardarlo non lo si sarebbe mai immaginato. Aveva in tutto e per tutto l’aspetto di un damerino che frequentava esclusivamente l’alta società; Lord Cadogan Ashley era sulle tracce di una banda di contrabbandieri, coadiuvato dal cognato Ben Kingslake; infine, il capitano Alexander Carstairs aveva appena restituito la vittima di un rapimento alla sua famiglia senza che quest’ultima avesse dovuto sborsare un solo penny per il riscatto. Lo stesso Drymore collaborava con Lord Trentham, il Ministro della Corona che era anche promotore del circolo, al fine di mantenere l’ordine e la legalità tra una popolazione il cui scontento cresceva di giorno in giorno.

    «Vogliate accettare le mie condoglianze per la scomparsa di vostro zio e di vostro cugino.» Alla fine della riunione, James si rivolse ad Alex. «Perdere entrambi è stata una terribile tragedia.»

    «E felicitazioni per il vostro nuovo titolo» soggiunse Harry. «Siete diventato Marchese di Foxlees, nientemeno.»

    «Vi ringrazio» rispose Alex. «È stato un brutto colpo e quasi non riesco ancora a capacitarmi di quanto è accaduto. Vi assicuro che non mi sarei mai aspettato di acquisire il titolo di Pari e devo ammettere che non sono affatto sicuro che l’idea mi vada a genio.»

    «A me è accaduta la stessa cosa» interloquì Ashley. «L’erede era mio cugino, che morì in India, e suo padre, mio zio, subì la stessa sorte poco tempo dopo. Mi sono adattato con difficoltà alla nuova situazione ed ero anche in procinto di sposarmi.»

    «Be’, almeno io non ho moglie» osservò Alex.

    «Oh, se è per questo, si può rimediare in fretta, amico mio» affermò Harry, togliendosi un invisibile granello di polvere dalla sua immacolata manica. «Presto o tardi, ogni membro del Piccadilly Gentlemen’s Club si arrende all’amore.»

    Lui scosse il capo. «Non io, potete starne certo. Ho già abbastanza da fare a cercare di capire qualcosa negli affari di mio zio. Ed è una vera fortuna che al momento non abbia alcun caso da seguire.»

    «Anche a questo si può porre rimedio» intervenne Jonathan.

    «Possiamo permetterci di concedere un po’ di libertà ad Alex affinché sistemi i suoi affari» stabilì James con un sorriso.

    A quel punto si alzarono in piedi, calzarono i cappelli e uscirono dalla casa di Lord Trentham, nella quale si tenevano le riunioni, trovandosi immersi nel traffico di Piccadilly. A quel punto si separarono e ciascuno andò per la propria strada.

    Alex si incamminò a piedi verso Long Acre, dove si trovava una rinomata fabbrica di carrozze. Aveva intenzione di noleggiarne una per raggiungere il Norfolk, dove si trovava la dimora che aveva ereditato. Non vi si recava da anni, principalmente perché suo zio e suo cugino vi risiedevano di rado. Erano stati uomini di mare, proprio come lui, il suo defunto padre e il nonno. Lo zio, fratello maggiore di suo padre, aveva acquistato Foxlees Manor quando la moglie, dopo aver trascorso metà della vita a seguirlo in giro per il mondo, aveva dichiarato di averne avuto abbastanza di viaggiare e di vivere in posti torridi e privi di qualsivoglia comodità e aveva deciso di restare a casa.

    Non per questo il marchese aveva rinunciato ai viaggi; aveva il mare nel sangue e, quale comandante di una nave della Compagnia delle Indie Orientali, dalla sua passione ricavava anche considerevoli profitti. Al termine di ogni viaggio si limitava a trascorrere un po’ di tempo con la moglie e il figlio, Harold, fino al giorno in cui anche lui aveva deciso di seguire le orme paterne. La marchesa era morta poco tempo dopo e da allora lo zio e il cugino di Alex avevano soggiornato di rado a Foxlees Manor. Quando non erano per mare, infatti, preferivano vivere nella loro residenza di città in Mount Street.

    Qualche tempo prima una tempesta aveva causato il naufragio della loro nave al largo del Capo di Buona Speranza; lo zio e il cugino erano morti e Alex si era ritrovato marchese e proprietario della dimora di Mount Street e della tenuta di Foxlees. Benché non si fosse aspettato una simile circostanza e neppure l’avesse desiderata, doveva ammettere che la casa di città era di gran lunga più confortevole dell’appartamento da scapolo nel quale aveva vissuto fino ad allora.

    Prima di ereditare titolo e beni, il capitano Alexander Carstairs, membro del Piccadilly Gentlemen’s Club, aveva enormemente apprezzato la vita che conduceva, grazie alla quale poteva realizzare il proprio desiderio di avventure con la consapevolezza che stava facendo qualcosa di utile per la società. Conduceva un’intensa vita sociale e aveva molti amici... Cos’avrebbe potuto volere di più dalla vita? Tuttavia il titolo di marchese e la proprietà di una distante tenuta di campagna comportavano responsabilità alle quali non poteva certo sottrarsi.

    Lasciò Newport Street e attraversò la strada. Ormai aveva raggiunto Long Acre e doveva soltanto trovare Gilpin’s, la fabbrica di carrozze.

    «Il Conte di Falsham non ha pagato gli interessi neppure questo mese, papà.» Charlotte Gilpin alzò gli occhi dal libro contabile sul quale stava annotando delle cifre. «L’ultima volta che gli ho scritto per sollecitarlo l’ho avvisato che, se non avessimo ricevuto almeno una parte della somma che ci deve, l’avremmo portato davanti al giudice. Non si è neppure degnato di rispondere.»

    Il conte aveva acquistato due carrozze un paio d’anni prima, una splendida vettura da città del valore di duecentonovanta sterline e un phaeton da settantadue. Aveva concordato con Mr. Gilpin un pagamento dilazionato, con relativi interessi da pagare ogni mese. Nei sei mesi successivi aveva pagato puntualmente il cinque per cento di interessi sul prestito, poi più niente. Charlotte, che teneva la contabilità della fabbrica, gli aveva scritto ogni mese per ricordargli il debito, ma il conte aveva ignorato tutti i solleciti.

    Henry Gilpin sospirò. «Sai che detesto denunciare i clienti al magistrato» dichiarò. «È una rovina per la loro reputazione. Non appena la voce comincia a circolare, i creditori si precipitano a Londra da ogni angolo del paese per bussare alla loro porta. Non dimentichiamo che il conte mi ha presentato a suo cugino, il quale invece paga con la puntualità di un orologio.»

    «Secondo me Sua Signoria conta proprio sulla vostra gratitudine per avervi reso questo favore.»

    Henry sogghignò. «Suppongo tu abbia ragione. Bene, mandagli un’altra lettera e sii arcigna. Concedigli altri sette giorni di tempo per rispondere, aggiungendo che se non lo farà, questa volta dovrà presentarsi davanti al giudice.»

    Non che Henry Gilpin avesse bisogno di denaro, dato che grazie alla fabbrica era uno degli uomini più facoltosi del paese, ma il fondamento della sua ricchezza risiedeva nella sua pragmatica natura di commerciante che non poteva certo permettere l’accumularsi di debiti ingenti. Non gli dava alcun fastidio sapere che i clienti gli dovevano dei soldi, a condizione che pagassero gli interessi. Per essere sicuro che lo facessero, si faceva rilasciare dai suoi debitori un’obbligazione pari al doppio di ciò che gli dovevano al fine di tutelarsi, nel caso non onorassero i pagamenti. L’obbligazione era garantita da beni personali, a volte perfino dalle loro tenute di campagna.

    Charlotte, seduta alla scrivania, si guardò intorno. Con il passare degli anni la fabbrica si era ampliata parecchio e ora ospitava l’officina in cui venivano assemblate le carrozze, le fornaci per le lavorazioni metalliche e i vari laboratori, per la costruzione di telai e cabine, per ruote e annessi, per la verniciatura, per i rivestimenti, oltre al reparto progettazione, agli uffici e ai capienti magazzini per il legname, perlopiù mogano, pino, larice, e per i grossi rotoli di stoffe e pizzi destinati al rivestimento degli interni. Per farla breve, nell’azienda di suo padre c’era tutto il necessario per la fabbricazione e l’allestimento dei più svariati modelli di carrozze. In ogni reparto lavoravano numerosi operai, per un totale di circa duecento persone.

    Charlotte era l’unica donna e se era riuscita a lavorare lì era solo perché aveva convinto suo padre a forza di suppliche. Henry Gilpin non aveva figli maschi, anzi, aveva soltanto lei, che un giorno avrebbe ereditato l’azienda. Conosceva ogni dettaglio della produzione, amava le schermaglie commerciali, l’odore della vernice e quello del metallo caldo, si appassionava a osservare le nuove carrozze che prendevano forma grazie alle abili mani degli artigiani e niente le dava più soddisfazione che vedere le espressioni compiaciute dei loro clienti davanti a un veicolo realizzato a regola d’arte. Da quando sua madre era morta, Gilpin’s era diventata la ragione di vita di suo padre e anche della sua. Le futili riunioni mondane il cui unico scopo era far incontrare scapoli appetibili e fanciulle da marito non facevano certo per lei.

    «Non occorre che ti occupi della fabbrica» aveva detto suo padre la prima volta che Charlotte gli aveva chiesto di andare a lavorare con lui a Long Acre. «Un giorno ti sposerai e tuo marito imparerà il mestiere.»

    «E se non accadesse?»

    «Cosa dici? Sei erede di una notevole fortuna e basterebbe questo per assicurarti un ottimo partito, anche se non fossi così graziosa.»

    «Graziosa, papà?» aveva ripetuto Charlotte.

    «Sei il ritratto della tua cara mamma, che Dio l’abbia in gloria. Puoi permetterti di essere esigente. Vorrai un titolo, naturalmente, e più alto sarà meglio sarà. Non ho figli maschi che possano diventare dei gentiluomini, ma sono deciso a fare di te una signora.»

    «Se non sono una signora, allora che cosa sono?» aveva domandato lei con un sorriso scherzoso. «Un ermafrodito?»

    «Non essere sciocca. Intendevo dire una dama titolata, perlomeno una contessa, una viscontessa, una baronessa... Io posso frequentare i nomi più altisonanti del paese e tu avere accesso a tutti i migliori salotti della città, se solo volessi, ma questo non fa di noi degli aristocratici, un privilegio che toccherà alla prossima generazione.»

    Charlotte era scoppiata a ridere. «Non correte, papà. Non sono ancora sposata. E se non mi andasse a genio nessuno degli scapoli titolati? Potrei innamorarmi di un uomo della classe media, una persona come voi, che io possa rispettare.»

    «Bah!» era stato il commento di suo padre. «Innamorarsi è un passatempo molto sopravvalutato e non garantisce la felicità, anzi, spesso causa proprio il contrario. Se proprio devi innamorarti, accertati che l’interessato sia degno di te. E comunque avrà un titolo, a costo di comprargliene uno, anche se preferirei piuttosto che avesse alle spalle una famiglia onorata.»

    «Potrei decidere invece che preferisco restare sola e conservare la mia indipendenza. Voi avete bisogno di qualcuno che vi aiuti a mandare avanti l’azienda e io adoro questo lavoro. Mi dispiacerebbe troppo vederlo mandare in rovina da un genero con le mani bucate che non capisce quanto sia importante.»

    «Allora dovrai prestare molta attenzione nella scelta del tuo compagno. Non sarò sempre qui a darti dei consigli.»

    «Sapete che non voglio sentirvi parlare in questo modo, papà. Avete davanti ancora una lunga vita.»

    Alla fine suo padre aveva ceduto. Ogni giorno uscivano dalla loro dimora a Piccadilly e si recavano a Long Acre, dove Charlotte aiutava il contabile a tenere i registri, un incarico che le dava molte soddisfazioni. Lo preferiva decisamente al restarsene in casa con il solo compito di essere decorativa, leggere, ricamare, fare visite e ascoltare gli ultimi pettegolezzi. Inoltre in quel modo imparava a poco a poco il funzionamento dell’azienda. Se le fosse stato permesso, avrebbe fatto molto di più.

    La loro conversazione relativa al debito del conte venne interrotta da un grido e da un forte schianto provenienti dall’officina principale. Padre e figlia uscirono a precipizio dall’ufficio per andare a vedere cosa fosse successo.

    Ai piedi delle scale che portavano al piano superiore, Joe Smithson stava cercando faticosamente di rimettersi in piedi. Le scale erano ampie e avevano una ringhiera staccabile. Infatti le cabine delle carrozze venivano fabbricate al primo piano e, una volta ultimate, gli operai le calavano di sotto servendosi di grosse funi. Joe Smithson era caduto mentre era impegnato in una di quelle operazioni. Una volta Charlotte aveva proposto di trasferire la produzione dei telai al pianterreno, ma suo padre aveva obiettato che tutti gli operai addetti alla lavorazione del metallo, i verniciatori, i tappezzieri e in generale coloro che si occupavano degli accessori avrebbero dovuto spostarsi al primo piano. Come avrebbero fatto a svolgere il loro lavoro se le carrozze che dovevano rifinire si trovavano al piano di sotto? Lei era stata costretta a riconoscere che si trattava di una valida argomentazione. Quel giorno nel laboratorio del primo piano era stato ultimato il telaio di una carrozza da città e Joe stava preparando il suo trasferimento al piano terra, per cui aveva rimosso la ringhiera.

    Charlotte e suo padre si slanciarono verso l’operaio, ma qualcuno li precedette: un forestiero alto, entrato dall’ingresso che dava sulla strada, raggiunse Joe una frazione di secondo prima di loro. Si chinò e mise una mano sulla spalla dell’uomo per impedirgli di muoversi.

    «State fermo» gli ordinò. «Prima che vi alziate in piedi è meglio verificare se avete riportato dei danni.»

    «Sì, Joe, state dove siete» confermò Charlotte mentre gli altri operai si accalcavano intorno a loro. «Manderemo a chiamare un medico.»

    «Non ce n’è bisogno, Miss Charlotte» protestò Joe. «Non mi sono fatto niente, sono solo un po’ scosso. Non appena avrò ripreso fiato mi sentirò come nuovo.»

    Il forestiero si inginocchiò vicino al giovane operaio e cominciò a tastargli braccia e gambe. Quando gli toccò la caviglia sinistra, Joe trasalì.

    «Non è rotta, ne sono sicuro» affermò il nuovo arrivato rivolto a Henry, il quale, preoccupato, allungava il collo per accertarsi delle condizioni del suo dipendente. «Ma se fossi in voi lo farei visitare da un medico, per precauzione.» Si passò le braccia di Joe attorno al collo e lo rimise in piedi, poi se lo caricò su una spalla. «Dove devo portarlo?»

    «In ufficio» rispose Henry, facendo strada. Charlotte mandò il fattorino a chiamare il dottore, prima di seguirli.

    Quando raggiunse l’ufficio trovò Joe sistemato su una sedia, con suo padre che gli si affaccendava intorno e lo sconosciuto che si spolverava la giacca. L’uomo alzò lo sguardo quando lei entrò nella stanza.

    Il suo aspetto la lasciò senza fiato. Non era certo bassa di statura, eppure lui la superava di tutta la testa. Era abbronzato e aveva delle piccole rughe intorno agli occhi, come se passasse molto tempo all’aria aperta a scrutare l’orizzonte. Un marinaio, pensò. La sua supposizione venne confermata quando lui si inchinò.

    «Capitano Alexander Carstairs, al vostro servizio, signora» si presentò, piegando con eleganza una gamba. Una gamba molto ben fatta, non poté fare a meno di osservare Charlotte.

    «Vi ringrazio per la vostra sollecitudine, capitano. È una fortuna che steste passando da queste parti.»

    «In realtà non stavo passando, stavo entrando proprio qui quando il vostro operaio è caduto. Non è pericoloso tenere delle scale così alte senza un corrimano?»

    Henry cominciò a spiegare il motivo per cui la ringhiera era stata rimossa e quando il capitano si voltò verso di lui per ascoltarlo, Charlotte ebbe l’occasione di osservarlo meglio. Portava un completo blu scuro di lana ruvida, ma dal taglio superbo, un lungo panciotto azzurro con delle grosse tasche e i bottoni d’argento, una camicia bianca e una cravatta di mussolina dello stesso colore dal nodo impeccabile. Anche le calze erano bianche e aveva delle fibbie d’argento sulle scarpe. Oltre a essere molto alto, aveva spalle ampie e fianchi snelli. Le sue mani erano forti e capaci. Lo sguardo di lei risalì verso la testa. Non portava la parrucca e aveva i capelli scuri e lunghi, legati sulla nuca da un nastro nero. Poco ma sicuro, non era un damerino. L’uomo si voltò di nuovo verso di lei e il respiro le si mozzò in gola. Aveva degli occhi molto penetranti, a metà strada tra il verde e il marrone, che sembravano guardarle dentro come se la sua pelle e la sua carne fossero diventate trasparenti e lui potesse vedere certi segreti dei quali Charlotte non sospettava neppure l’esistenza.

    «Mia figlia, Miss Charlotte Gilpin» la presentò Henry. «A volte le piace venire a vedere il suo vecchio genitore che lavora.»

    Alex si inchinò un’altra volta. «Lieto di conoscervi, Miss Gilpin.»

    «Onoratissima, capitano.» Avrebbe dovuto dire due paroline al padre sulla condiscendenza con cui l’aveva presentata al forestiero, pensò. Le piace venire a vedere il suo vecchio genitore... Mai sentita una sciocchezza più grossa. «Che cosa possiamo fare per voi?»

    «Devo fare un viaggio e sono venuto a noleggiare una carrozza adeguata.»

    «Siamo senza dubbio in grado di accontentarvi.» Lei sostenne il suo sguardo, facendogli capire che non era un’insignificante ragazzina come suo padre aveva voluto presentarla e che anzi faceva parte dell’azienda, ma dovette esercitare su di sé un fiero controllo. Presentarsi come efficiente donna d’affari mentre il suo cuore si stava comportando in modo assai poco professionale, saltando e sbattendo contro le costole, era un’impresa piuttosto ardua. «Avete in mente qualcosa di particolare?»

    Il dottore arrivò prima che il capitano potesse rispondere e, non essendoci abbastanza spazio per tutti in ufficio, Charlotte lo condusse fuori, nell’officina principale, lasciando suo padre con il medico e l’infortunato. Il capitano esitò, lanciando una lunga occhiata a Henry che osservava il medico intento a visitare Joe, prima di decidersi a seguirla.

    «Ebbene» riprese lei voltandosi a guardarlo. Aveva riacquistato il controllo. «Ditemi, che cos’avete in mente?»

    «Non dovremmo aspettare vostro padre?»

    «No. Pensate che non sia in grado di occuparmi di una faccenda tanto semplice come il noleggio di una carrozza?» Aveva parlato con un accenno di asprezza e questo le servì per dissolvere le ultime tracce di disagio.

    «D’accordo...» Il capitano esitò davanti alla sua espressione di sfida.

    «Sono una femmina, quindi inutile? È questo che stavate per affermare?»

    «Oh, non c’è alcun dubbio che siate una femmina... Quanto all’essere inutile, non sono davvero in grado di dirlo.» Gli occhi di lui la canzonarono, con un effetto sconcertante. Si stava prendendo gioco di lei? Ebbene, non gliene importava proprio niente.

    «Per vostra informazione» ribatté, «frequento questa fabbrica da quando ho imparato a camminare e tengo anche la contabilità. Quindi potete stare certo che so quello che faccio. Parlatemi del vostro viaggio. Andrete lontano? Avete fretta? Come saranno le strade, sconnesse o ben tenute? Viaggerete solo o ci saranno altri passeggeri con voi? E quanto bagaglio dovrete caricare?»

    «Vi servono tutte queste informazioni per noleggiarmi una carrozza che mi porti nel Norfolk?»

    «Ah, così avete risposto almeno a una delle mie domande» rispose Charlotte con un sorriso inteso a disarmarlo. E che raggiunse in buona parte il suo scopo. «Probabilmente anche a un’altra. Credo che in quella parte del paese le strade siano particolarmente dissestate.»

    «Touché.» Lui ricambiò il sorriso. I suoi lineamenti si addolcirono e Charlotte si rese conto all’improvviso che non tutte le rughe che aveva intorno agli occhi erano dovute al vento e al sole, ma alcune erano anche dovute a un’indole allegra. Il suo cuore riprese a battere in maniera irregolare e lei dovette fare un respiro profondo per recuperare il dominio di sé.

    «Vi serve una carrozza capace di trasportare diversi passeggeri e relativo bagaglio, oppure un veicolo più leggero e quindi più veloce?»

    «Per una parte del viaggio potrei avere un altro passeggero con me» spiegò il capitano. «E poco bagaglio. D’altra parte, siccome le strade che portano nel Norfolk hanno fama di essere spaventose, mi occorre una carrozza robusta in grado di reggere gli scossoni di un viaggio veloce.»

    «Andata e ritorno, oppure intendete fare diverse volte avanti e indietro dalla capitale?»

    «Ha importanza?»

    «Se noleggiate una carrozza, dovrete restituirla entro il termine stabilito. Se vi serve per un lungo periodo può venire a costare di più che acquistare un equipaggio. Abbiamo in vendita diverse vetture di seconda mano, se volete posso mostrarvele. Oppure, se non avete fretta, siamo in grado di costruirne una adatta alle vostre esigenze. Su richiesta forniamo anche i cavalli.»

    «Non ditemi che siete un’esperta di cavalli.»

    «So riconoscere un buon animale.»

    «Immagino siate una brava amazzone.»

    Lei non fece commenti. «Nel cortile abbiamo un’ottima carrozza che potrebbe fare al caso vostro. Il proprietario l’ha restituita per comprare un modello più recente. Volete darle un’occhiata?»

    «Sì. Posso vedere quello che avete da offrire mentre aspettiamo Mr. Gilpin.»

    Charlotte fu infastidita dal suo atteggiamento, ma non era la prima volta e non sarebbe stata neppure l’ultima che i clienti la trattavano con condiscendenza, come se fosse appena uscita da scuola e dovesse essere assecondata. Aveva ventidue anni; molte sue coetanee erano sposate da tempo e avevano già una tribù di figli. In effetti, il suo unico rimpianto era non poter godere delle gioie della maternità.

    Lo condusse fuori, attraversò il cortile nel quale poteva trovare posto almeno una dozzina di carrozze ed entrò in un altro grande edificio, un deposito con diversi veicoli: eleganti carrozze da città e da viaggio, phaeton, landò grandi e piccoli, calessi e calessini e perfino una magnifica berlina. Alcuni erano sobri, altri riccamente decorati, ma tutti indistintamente portavano il marchio di fabbrica di Henry Gilpin: erano meticolosamente rifiniti e raffinati.

    «Questo è un veicolo molto robusto» affermò lei indicando una carrozza da viaggio verde bosco, decorata semplicemente con delle righe verde chiaro intorno al profilo del telaio e nei cerchi delle ruote. Era lucidissima ed elegante senza tuttavia risultare appariscente.

    Il capitano ci girò attorno, saggiò la funzionalità delle

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