Solo per un weekend: Harmony Collezione
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Sharon Kendrick
Autrice inglese, ama le giornate simili ai romanzi che scrive, cioè ricche di colpi di scena.
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Solo per un weekend - Sharon Kendrick
successivo.
1
Tutto iniziò con una lettera.
Megan la teneva tra le mani, studiandola attentamente. Doveva essere una lettera d'amore. La busta era di colore rosa e la calligrafia ben curata. Chi aveva scritto quella lettera aveva scelto una penna stilografica e un inchiostro non molto comuni.
Voltò la busta e sorrise. Era divertente pensare che il suo esigente capo fosse il destinatario di un'altra di quelle stravaganti missive!
Chi se lo sarebbe immaginato? Il signor no per eccellenza che riceveva lettere d'amore! Lo faceva apparire quasi umano.
Megan lavorava per Dan McKnight da più di tre mesi ed era felicissima. La società era in forte crescita, i colleghi giovani e dinamici e lo stipendio molto alto.
Nessun altro impiego nell'industria dell'informatica le avrebbe concesso tali privilegi, e lei ringraziava ogni giorno il cielo per aver ottenuto quel posto alla Softshare. I dipendenti erano per il novanta per cento uomini e per il dieci donne.
Questo dato avrebbe potuto rappresentare un paradiso per ogni ragazza, ma non era il suo caso. Gli uomini alla Softshare si somigliavano tutti nei modi e nel linguaggio, e non erano per nulla attraenti.
L'eccezione che confermava la regola era proprio Dan McKnight, il suo capo. Lui non apparteneva allo stereotipo dell'esperto di informatica, era un altro pianeta. La maggior parte dei colleghi non aveva nessun gusto nel vestire e si radeva di rado ma Dan passava dal barbiere ogni settimana, e suoi capelli non erano mai troppo lunghi o troppo corti.
La classica divisa alla Softshare era un paio di blue-jeans e una maglietta... per molti ma non per Dan. Con i capelli perfettamente pettinati all'ultimo grido, sembrava sempre uscito dalla copertina di un giornale di moda maschile.
Peccato che lei non lo trovasse attraente...
Diede un ultimo sguardo alla lettera e poi alzò gli occhi proprio quando la porta dell'ufficio si aprì ed entrò il suo capo. Si alzò in piedi immediatamente, nello stesso modo in cui era solita fare a scuola quando il preside entrava in aula.
Non c'era forse qualcosa in Dan che le ricordasse un preside? Forse era la sua severità, o la determinazione nell'ottenere sempre gli obiettivi che si imponeva giorno dopo giorno.
Era straordinariamente ben fatto e molto alto. I completi che indossava, sempre grigi, dello stesso colore dei suoi occhi, risaltavano il nero intenso dei capelli.
Soltanto la bocca sembrava stonare con l'aspetto così controllato di quell'uomo. Era troppo sensuale, troppo latina per appartenere a Dan McKnight.
«Dai, dimmi, com'è?»
La compagna di appartamento le faceva spesso questa domanda, ma Megan trovava difficile dare una risposta. C'era qualcosa nello sguardo di Dan che la inquietava.
Sapeva che non era sposato, che viveva in un quartiere esclusivo di Londra e che possedeva una delle menti più acute nel campo dell'informatica. Tutto qui, eccetto l'evidente fatto che fosse troppo ricco, troppo capace e troppo bello.
«Buongiorno, Dan» disse lei con gentilezza.
Lui la guardò come se si stesse concentrando per ricordare chi fosse quella donna che lo salutava e, dopo averle concesso un piccolo sorriso, chiuse la porta dell'ufficio alle sue spalle.
La nuova assistente gli piaceva. Piena di entusiasmo e di iniziativa, anche il suo modo di vestire era adatto al ruolo che ricopriva.
Oggi ne era il perfetto esempio. Quel paio di pantaloni beige e quel golfino di cotone leggero color crema che indossava, la rendevano elegante senza essere appariscente. Dan voleva che le sue collaboratrici fossero superefficienti e non troppo vistose, e Megan dimostrava entrambe queste qualità.
Alcuni dirigenti alla Softshare avevano commesso l'errore di scegliersi segretarie che sembravano attrici o modelle e Dan li aveva guardati con divertimento mentre i poveri cercavano di concentrarsi sul lavoro da svolgere piuttosto che su un paio di magnifiche gambe!
«Buongiorno, Megan» disse mentre appoggiava a terra una pesante ventiquattrore di pelle marrone.
«Buongiorno. Allora, com'è andata a teatro?» domandò lei.
Dan alzò le sopracciglia. Le aveva parlato dello spettacolo teatrale?
«È stato... piacevole.»
«Penso che il commediografo dovrebbe inginocchiarsi ai tuoi piedi, nell'udire questo giudizio» osservò Megan con un sorriso solare.
«Io sono stata a vedere quello spettacolo e l'ho trovato spaventoso.»
«Davvero? Che coincidenza...» rispose Dan senza mostrare il minimo interesse per quello che lei gli stava dicendo. Se Megan aveva un difetto, era sicuramente quello di chiacchierare troppo. Parlava spesso e di qualsiasi cosa. Voleva sapere l'opinione di Dan sulla musica, sui quotidiani e sulla situazione economica del paese.
E alcune volte, con grande sorpresa, lui si trovava a discutere con lei di questi argomenti! Piegò le labbra in una smorfia.
«Forse adesso è meglio se ci mettiamo al lavoro, non credi?»
Megan capì al volo che doveva chiudere la bocca, anche se non le era mai stato facile farlo. Forse perché era cresciuta in una numerosa e rumorosa famiglia.
«Vuoi che prepari un caffè?» chiese lei con entusiasmo.
La risposta fu fredda. «Non per me. Ho appena fatto colazione.»
«Oh, d'accordo. Guarda che cosa è arrivato per posta questa mattina» disse rimanendo seduta alla scrivania e alzando la mano che reggeva la busta rosa.
«Mmh...?» chiese lui, con aria assente.
«È una lettera.»
Dan fece una pausa mentre appendeva la giacca di fine lino all'attaccapanni. Diede un rapido sguardo alla lettera, da lontano.
«Lo vedo che è una lettera!»
«Un'altra lettera» sottolineò Megan.
«Buttala nel mio cestino.»
Megan non riuscì a trattenersi. Qualcuno aveva preparato quella lettera con cura e Dan non si degnava neppure di aprirla. «Non hai intenzione di leggerla?» chiese sorpresa.
Lui si voltò, negli occhi grigi apparve un lampo di irritazione. Quella ragazza parlava come se fosse sua madre. «Scusa?»
«Ho notato altre lettere con la stessa calligrafia e tu...»
«E io, che cosa...?» la interruppe lui.
«Non ti sei neppure preoccupato di leggerle» concluse Megan.
«Ti sbagli» la corresse Dan scuotendo la testa, «dire che non mi sono preoccupato di leggerle presuppone il fatto che io sia stato negligente e scorretto. Invece io ho volontariamente scelto di non aprirle.»
La curiosità di Megan crebbe, si domandava chi fosse il mittente di quelle buste misteriose.
«Posso allora chiederti perché?»
Dan la fulminò con lo sguardo.
«No, non puoi chiederlo! Tu vieni pagata per assistermi non per interrogarmi! Quindi ti consiglio di aprire immediatamente l'agenda ed elencarmi gli appuntamenti di oggi! E metti quella lettera nel mio cestino.»
Quel tono non piacque a Megan. Pensò al suo stipendio e convenne che fosse meglio non andare oltre. Si nascose dietro un educato sorriso di convenienza.
«Certamente. Questa mattina c'erano due messaggi dal Giappone nella segreteria telefonica e poi, prima che tu arrivassi, hanno telefonato dalla Repubblica Ceca. Un funzionario del governo ha urgenza di parlare con te. Dovresti richiamarlo appena possibile.»
«Lo farò.» Dan si avvicinò alla finestra e guardò fuori: il parcheggio sottostante era occupato da una dozzina di macchine di grande cilindrata, tra quelle c'era anche la sua.
«Qualcos'altro?»
«Devi incontrare Sam Tenbury per discutere di una eventuale sponsorizzazione da parte della Softshare per un torneo di tennis. Pranzerete insieme.»
«Dove?»
Megan sorrise, sicura di sé. Aveva chiesto a un collega quale fosse il più esclusivo ristorante della città. Anche se Dan McKnight era l'uomo più pignolo del mondo, non avrebbe potuto non accettare la sua scelta.
«Ho prenotato al Riverside Restaurant.»
«Cancella la prenotazione.»
«Ma...»
«Cancellala!» ripeté lui incrociando lo sguardo perplesso di Megan. «Ho troppe cose da fare per perdere tempo ad ascoltare camerieri che mi propongono piatti raffinati e si aspettano un applauso a fine pranzo!»
Megan aggrottò le sopracciglia. «Fanno soltanto il loro dovere, secondo me» rispose.
«Sì, lo so» disse lui accennando un sorriso.
«Vorrei solo che non interferissero col mio! E poi è il tipico ristorante dove gli uomini portano le loro amanti...»
«E tu come lo sai?» domandò Megan curiosa.
«Si vede proprio che tu non sei mai stata in quel ristorante...»
«Hai ragione, non ci sono mai stata, ma ha un'ottima reputazione.»
«E non la merita! Il cibo è mediocre e i prezzi sono eccessivi per il servizio che offrono. Non voglio perdermi in un menu troppo ricco e avere il bicchiere continuamente rimboccato da un cameriere che mi sta alle spalle. Oggi non devo sedurre nessuno!»
«Beh, Sam Tenbury sarà contento!» scherzò lei di rimando.
Dan le lanciò uno sguardo di rimprovero. «Voglio solo pranzare e parlare di affari.»
«Giusto!» convenne Megan, «ma io non conosco altri ristoranti nella zona. Tu hai qualche suggerimento?»
«Potremmo mangiare qui.»
Megan si vide per un istante andare e venire dall'ufficio, portando vassoi di panini e bibite. Dan non poteva chiederle tanto.
«Intendi dire... qui in ufficio?»
Lui la guardò con perplessità. «No, non qui» rispose sarcastico, «non voglio avere la scrivania piena di briciole! Intendo dire che potremmo pranzare nella piccola sala da pranzo riservata ai dipendenti.»
«Oh, capisco...»
«Povero Sam Tenbury» pensò Megan. Si aspettava certamente di essere portato in un posto esclusivo e invece...
«Come preferisci. Cancellerò la prenotazione. Spero solo che il nostro cliente non rimanga deluso.»
«Deluso... perché dovrebbe? Dovresti conoscere ormai la filosofia della nostra compagnia. Da quanto tempo lavori per noi? Da più di un mese, vero?»
«Più di tre mesi» lo corresse lei pensando se Dan lo stesse facendo apposta oppure no. Quell'uomo aveva il potere innato di sminuire le persone che gli stavano accanto.
«E...» iniziò lui sedendosi alla scrivania, «che cosa hai imparato fino ad adesso?»
Lei si sentì come una bambina a cui era stato chiesto di ripetere le tabelline di fronte al maestro. «Che la sobrietà è la base della nostra azienda» rispose lei senza esitare. «Che i nostri dirigenti viaggiano in classe economica e non danno importanza