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Il libro dei viaggi nel tempo di Milano
Il libro dei viaggi nel tempo di Milano
Il libro dei viaggi nel tempo di Milano
E-book473 pagine6 ore

Il libro dei viaggi nel tempo di Milano

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Info su questo ebook

Ci sono molti modi di raccontare una città come Milano: un luogo frenetico e vitale, in cui la storia antica si fonde con la continua spinta verso il futuro. Questo libro racconta la vita passata di Milano attraverso i luoghi e i personaggi che l’hanno popolata. Dalla preistoria fino all’Unità d’Italia, Bruno Pellegrino ci conduce per mano in un affascinante viaggio nel tempo, alla scoperta degli avvenimenti più significativi di ogni epoca della città, dei personaggi che li hanno vissuti e dei luoghi che li hanno ospitati. Dall’epoca romana alle Signorie, dal Medioevo ai periodi di dominazione straniera: un racconto ininterrotto fatto di palazzi illustri e personalità storiche, adornato da una squisita rappresentazione degli usi e costumi della vita quotidiana di allora: un libro perfetto per ogni amante di Milano e per tutti coloro che desiderano apprendere qualcosa di più sulla storia di questa grande città.

Una straordinaria galleria di luoghi, personaggi e aneddoti per raccontare la Milano più antica e curiosa

Tra gli argomenti trattati:

• Milano preistorica, etrusca, gallica
• Il pantomimo Pilade e i combattimenti nell’arena
• Il foro: cardi e decumani
• Le cinte murarie: porte e pusterle
• Milano da municipio romano a capitale dell’impero
• La Milano di Ambrogio
• Milano barbarica e longobarda
• Le rogazioni e il brefotrofio di prete Dateo
• Milano vescovile
• Le case caminate e le prostitute del compito
• Il broletto fondato da Oldrado e la piazza dei Mercanti
• Milano viscontea
• La città ai tempi di Bonvesin de La Riva
• Il campanile di San Gottardo e il primo orologio sonoro
• Milano repubblicana e sforzesca
• Santa Maria delle Grazie e il Cenacolo
• Aspetto di Milano sotto la dominazione spagnola, l’austriaca e la francese
• La Milano risorgimentale

Per rivivere Milano in prima persona: dall’antichità fino ai giorni nostri. Avventure incredibili che, come per magia, faranno immergere il lettore in un mondo lontano
Bruno Pellegrino
È nato a Napoli nel 1936, ma ha vissuto a Milano dal 1940. Oltre ad aver lavorato come medico per quarant’anni, ha collaborato come giornalista pubblicista con numerosi quotidiani nazionali come «La Voce», «Libero», «Il Giorno» e «Avvenire» (per il quale ha curato la rubrica settimanale «Vecchia Milano»), e per periodici come «La Martinella di Milano» e «Dove».
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2021
ISBN9788822745910
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    Anteprima del libro

    Il libro dei viaggi nel tempo di Milano - Bruno Pellegrino

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    753

    Dello stesso autore:

    Keep calm e passeggia per Roma

    Il giro di Roma in 501 luoghi

    I love Roma

    Roma perduta e dimenticata

    Il romanzo della grande

    as

    Roma

    Prima edizione ebook: ottobre 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l.

    ISBN 978-88-227-4591-0

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica a cura di Punto a Capo, Roma

    Bruno Pellegrino

    Il libro dei viaggi

    nel tempo di Milano

    Avventure incredibili

     che, come per magia,

    faranno immergere il lettore in un mondo lontano

    marchio-front.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Introduzione

    Milano preistorica

    Milano etrusca

    Milano gallica

    Reperti gallici emersi dal sottosuolo

    Milano romana

    Avanzi di edifici romani

    Il pantomimo Pilade e il gladiatore Urbico

    I templi pagani

    Il Foro: cardi e decumani

    La Zecca, il mercato e i banchi dei mercatores

    Le mura repubblicane: porte e pusterle

    Milano da municipio romano a capitale dell’impero

    Museo Archeologico

    La Reggia, sede di imperatori romani

    Il Campidoglio, la Via Porticata e l’Arco Quadrifronte

    Il Circo e le Terme

    Le Mura massimianee e il Granaio

    Edifici privati tardoantichi

    Milano cristiana

    I sette martiri della Chiesa milanese

    I vescovi di Milano

    La Milano di Ambrogio

    Le basiliche ambrosiane

    La morte di Ambrogio

    Milano non è più capitale d’Occidente

    Panegirico di Ausonio dedicato a Mediolanum

    Le basiliche preambrosiane e il palazzo imperiale

    La vita intellettuale

    Milano barbarica

    Milano longobarda

    Le chiese di San Carpoforo e di San Giorgio al Palazzo

    Santa Maria al Cerchio e Santa Maria Beltrade

    Toponimi d’origine longobarda

    Milano franca

    Monastero di Sant’Ambrogio e basilica di Santa Maria Maggiore

    Prato Centenaro e Santo Stefano in Centenariolo

    Le rogazioni e il brefotrofio di prete Dateo

    Milano vescovile

    Berengario e le scorrerie degli Ungari

    Il Brolo e il Broletto dell’arcivescovo

    Capitanei, valvassori e cives: Ariberto d’Intimiano e il Carroccio

    Le case caminate e le prostitute del Compito

    L’Uomo di Pietra e le sue sentenze

    Milano comunale

    Il circuito delle mura comunali. I trentasei stendardi cittadini

    La piazza dei Mercanti e il nuovo Broletto o Palazzo della Ragione

    La chiesa di San Sepolcro e il portale di Casa Radice Fossati

    La basilica di Sant’Ambrogio e l’omonima pusterla. Le chiese di Sant’Ambrogio e San Lorenzo

    Chiesa di San Simpliciano

    I mestieri nella Milano comunale

    Milano torriana

    Napo della Torre (con tanto di campana)

    Milano lastricata

    Milano viscontea

    La città ai tempi di Bonvesin de La Riva

    Il campanile di San Gottardo e il primo orologio sonoro

    Il più terribile dei Visconti, Bernabò, e il più astuto, Gian Galeazzo

    Il più folle dei Visconti: Giovanni Maria

    Le leggi suntuarie: proibito portare perle

    L’ultimo e il più ambiguo dei Visconti: Filippo Maria

    Milano repubblicana

    Milano sforzesca

    Due giganti del Rinascimento: Bramante e Leonardo

    Aspetto della città sotto gli Sforza

    Il Castello e la Ca’ Granda

    La Cappella Portinari e il tiburio del Duomo

    Santa Maria delle Grazie e il Cenacolo

    Edilizia civile nell’età sforzesca: le case Fontana-Silvestri e Castani, Bigli e Borromeo, Vimercati e Grifi

    Edilizia religiosa nell’età sforzesca: le chiese di San Pietro in Gessate e di Santa Maria della Pace, del Carmine e di San Marco, Incoronata e San Cristoforo

    La Trivulza, San Gottardo e Loggia degli Osii

    Palazzo Panigarola

    La Crisi del Ducato. Gli ultimi Sforza

    La casa natale di Pio iv e palazzo Viscontini

    Milano spagnola

    La Spagna alle prese con le mire espansionistiche dei Savoia e di Luigi xiv

    Aspetti di Milano sotto la dominazione spagnola

    Carlo Maria Maggi e i suoi epigoni. Il Cerano e gli altri pittori della Controriforma

    I monatti

    L’attentato a san Carlo

    Santa Maria della Passione e la Certosa di Garegnano

    Il cardinal Federico

    Le chiese di Santa Maria del Castello e di San Vittore

    Il Lazzaretto e il sopravvissuto chiesolino di San Carlo

    San Sebastiano, la Rotonda dell’ospedale e l’arco di Porta Romana

    I capolavori del Ricchino: San Giuseppe, Santa Maria alla Porta e il palazzo di Brera

    Il Seminario Maggiore, palazzo Toscanini e la colonna del Verziere

    Chiesa di Santo Stefano e Palazzo di Giustizia. La Malastalla

    Il campanile di Sant’Antonio, Sant’Eufemia, l’ex chiesa di San Paolo e la colonna di Sant’Elena

    Sant’Angelo, San Fedele e Santa Maria dei Miracoli

    Santa Maria Podone, la statua di san Carlo e la chiesa di San Tommaso

    Il Palazzo dei Giureconsulti e le Scuole Palatine. Le Poste e il telegrafo di Santa Maria del Paradiso

    I palazzi Marino e Spinola. La chiesa di San Raffaele

    La casa degli Omenoni

    La chiesa di Sant’Alessandro e le Scuole Arcimbolde

    Milano austriaca

    Palazzo Trivulzio e le tre punte di diamante: Casa Cusani, Litta e Sormani

    Belli dentro e sobri fuori: i palazzi Dugnani e Clerici

    Le case Gallarati-Scotti, Mainoni e Litta-Cusini. La chiesa di San Giorgio

    Casa Ovazzi e il Salotto della contessa Maffei

    Casa Belgioioso e Palazzo Ducale

    La Canobbiana e i palazzi Greppi, Serbelloni e Mellerio. Il convento di Santa Sofia e la chiesa di Santa Maria Relogi

    Palazzi Morando, Isimbardi e Diotti

    Chiese pudiche: San Pietro Celestino e Santa Maria dei Crociferi

    La Scala

    San Bernardino alle Ossa o dei Morti, ultima dimora dello sventurato Alessandrino

    Il Museo del Risorgimento e la chiesa di San Francesco di Paola. La caserma Teulié

    La garçonnière di Radetzky alla Villa Reale

    Gli scaloni d’onore

    Milano francese

    La Corte Reale e l’Arena civica

    L’Arco della Pace e quello di Porta Nuova

    L’Atrio di Porta Ticinese e il Foro Bonaparte

    La facciata del Duomo, il Naviglio di Pavia e il Trofeo del Fuentes

    Milano risorgimentale

    Piazza della Scala e il monumento a Leonardo

    Palazzo Greppi, il museo Poldi Pezzoli e le meridiane

    Casa Manzoni e l’arco di Porta Garibaldi

    Le case Lucini-Passalacqua e Orsini. Palle di cannone nel cortile dei Borsani-Dossi e una scala del Cinquecento in quello dei Carcassola

    La casa del Porta e il suo monumento a guardia delle oche

    Il Collegio Longone, futura sede del liceo Parini e della Questura. Casa Borromeo d’Adda e il monumento a Cavour

    Palazzo Tarsis e il popolare Vesteron

    La Rotonda di San Carlo e i palazzi Reina, Archinto e Rocca-Saporiti

    I caselli di Porta Venezia e le sue neglette sculture

    I Giardini Pubblici e lo Zoo, ineffabile svago dei fanciulli d’un tempo

    Alli benigni lettori

    Bibliografia

    Tu bello Thebas

    Tu sensu vincis Athenas

    ("Tu nelle armi Tebe,

    tu nella saggezza vinci Atene")

    Alla cortese portinaia della casa al n. 2
    di via Santa Maria Valle, che un Ferragosto di tanti anni fa
    mi aprì il cancello che dava adito alla desolata strettoia
    in cui riconobbi l’ultima traccia, illividita e consunta,
    dell’antico vicolo di Sant’Alessandrino,
    scomparso di nome, ma non di fatto.

    Introduzione

    La storia di Milano, come peraltro quella di ogni città, è una lunga successione di fatti di cui i monumenti sono un po’ le pietre miliari e senza dei quali la storia stessa rischierebbe di sembrarci meno credibile e interessante. Si pensi, tanto per fare un esempio, all’episodio dei patrioti che nella prima delle Cinque Giornate del 1848, mentre risalivano il Monte Napoleone, si videro la strada sbarrata dagli austriaci e furono costretti a rifugiarsi in casa Vidiserti, al n. 21. Ancora esiste, pur se mutata di nome, quella dimora e nel visitarne l’ampia corte neoclassica porticata su due lati par quasi di udire le urla degli insorti tra il crepitio delle fucilate miste ai rintocchi delle campane a martello. È come se la storia riemergesse dal passato suscitando in noi inaspettate suggestioni.

    A loro volta i monumenti perdono gran parte del proprio valore se sradicati dal contesto storico in cui furono concepiti. Così, le sedici Colonne di San Lorenzo – l’avanzo romano in vista più famoso della Milano romana – quanto ci guadagnerebbero se potessero tornare in fregio a quel tempio di Cibele, da cui furono asportate all’inizio del v secolo: unico reperto scampato al furioso incendio che distrusse il sacro edificio, dagli studiosi localizzato nei pressi di piazza Santa Maria Beltrade.

    Ne consegue che i monumenti accreditano la storia e dalla storia medesima ricevono prestigio. Concetto questo a cui si ispira il presente libro che si propone di ripercorrere le tappe fondamentali dell’epopea cittadina: dalle origini all’età romana, dal Medioevo alle signorie e alle dominazioni straniere, fino al Risorgimento. Con l’unificazione, infatti, le vicende di Milano sono assimilate a quelle del Paese.

    Di ciascuna epoca sono state ricercate le testimonianze sopravvissute all’ombra della moderna edilizia. Vale a dire, chiese venerande e palazzi nobiliari.

    Una particolare attenzione abbiamo riservato alla vita quotidiana dei milanesi nel corso dei secoli, alle trasformazioni economico-sociali e all’ambiente scientifico e culturale della città con la schiera di letterati e artisti che l’hanno illustrata nel tempo.

    Il tutto inframmezzato da box in cui, a caratteri più piccoli, sono state riportate spigolature e curiosità relative ai vari periodi presi in considerazione. Già, perché in questa sorta di cavalcata fra le vicende della storia con la S maiuscola, c’è parso opportuno tirare ogni tanto le briglie per concedere al lettore brevi pause di colore.

    Milano preistorica

    Milano, al pari di Venere, è nata dal mare. Già, un mare che decine e decine di milioni di anni fa ricopriva le nostre pianure, sommergendo laghi e fiumi, valli e montagne. E di quest’ultime si vedeva solo qualche cima. Poi le acque si ritirarono e i monti così riemersi mostrarono lungo i loro pendii tappeti di conchiglie fossili, le ammoniti: molluschi cefalopodi che erano un tempo vissuti nei fondi marini.

    Provate a recarvi in piazza del Duomo e sbirciate il pavimento dei Portici settentrionali. Lo compongono luminose lastre di marmo provenienti dalle cave delle Prealpi lombarde e tinteggiate di grigio con tenui sfumature giallo rossastre. Ma se prestate un po’ d’attenzione vedrete qua e là trasparire i profili di conchiglie di varia forma e grandezza.

    Non vi basta? Allora sappiate che un centinaio d’anni fa, trivellando il terreno nei pressi dell’Arena civica allo scopo di realizzare un pozzo per l’acqua potabile, si trovarono a molti metri di profondità conchiglie fossili e gusci calcarei di foraminiferi, ordine di protozoi che si chiamano così perché detti gusci presentano fori (in latino foramina) per la fuoriuscita degli pseudopodi e sono gli stessi che depositandosi sui fondi marini contribuiscono a formare i fanghi abissali.

    Portiamoci ora ai giorni nostri. Da uno di quei pozzi proviene l’acqua che alimenta una fontana di granito in viale Byron. Ha essa la forma di un prisma a otto facce, ciascuna traforata da una cannella che sbuca dalla bocca di un paffuto paggetto scolpito nella pietra. L’acqua ha il sapore di quella di casa nostra, ma l’odore è decisamente di uova andate a male. Il che le ha meritato il titolo di acqua marcia, mentre la fontana si dice sulfurea per via delle minime tracce di zolfo presenti nell’acqua medesima e responsabili del caratteristico olezzo. E siccome vi si rinvenne anche del manganese, da qualche anno è comparso accanto al manufatto un cartello ammonitore di non potabilità.

    Roba da mandare in crisi i tanti milanesi di vecchio stampo che erano soliti abbeverarsi a questa fonte e che ora non possono più farlo. Addio perciò alle quattro chiacchiere scambiate col vicino tra un brindisi e l’altro. Un brindisi con quell’acqua che poi si portavano a casa in bottiglioni e recipienti di plastica. Già, perché ad essa la tradizione attribuiva il potere di prevenire i calcoli renali oltre che l’accumulo di acido urico nel sangue e, quindi, la gotta.

    Ma, come direbbe il don Ferrante manzoniano, «…questo non ha che far con noi». Riprendiamo perciò da dove eravamo rimasti. Ritiratosi il mare che invadeva la pianura lombarda, trascorrono milioni di anni, ed ecco comparire i primi mammiferi, e poi l’uomo; dapprima l’Homo erectus e poi, circa duecentomila anni fa, l’Homo sapiens che sempre con maggiore audacia s’industria per contendere agli altri mammiferi, gli animali per intenderci, il territorio. All’inizio vive di caccia e pesca; poi, col Neolitico – dall’8000 al 3000 a.C. – impara a coltivare il terreno, a produrre farina macinando il grano e a ricavare da quella il pane. Prende a lavorare il rame e quindi, dal 3000 al 1000 a.C., il bronzo (rame + stagno). Finché, intorno al 1200 a.C., eccolo alle prese col ferro.

    Agli inizi del secolo scorso, scavandosi le fondamenta della Banca d’Italia, si rinvennero a pochi metri di profondità, tra le vie Armorari e Moneta, frammenti di ossa, di molari e di zanne dell’elefante preistorico. Analoghi resti riaffiorarono in una cava di sabbia fuori Porta Ticinese e in un’altra presso una vecchia cascina che sorgeva nel paesino di Calvairate il quale, se potesse rinascere, andrebbe a incastonarsi tra i viali Umbria e Molise, giusto là dove oggi una breve strada di tal nome ne tramanda la memoria.

    Quanto ai primi uomini, li vediamo aggirarsi tra il folto di boschi inospitali che se non altro li riparano dalle intemperie, dai miasmi delle paludi, ma non dagli assalti di belve feroci. Vivono, come s’è detto, di caccia e di pesca. A tale scopo traggono dalla pietra le punte per le loro frecce e strumenti dentati per staccare dagli alberi lembi di corteccia da intrecciare a mo’ di reti. Di ciò sono testimonianza gli arnesi litici riaffiorati nel 1888 in piazza Missori, nei pressi della chiesa di San Giovanni in Conca: nove piccole selci, punte di freccia e frammenti di lame. Lo stesso dicasi per gli strumenti preistorici risalenti a poco meno di cinquemila anni fa e rinvenuti tra le viscere di piazzale Dateo: asce e mole di pietra con cui frantumare il grano.

    Siamo tra la fine del Neolitico e il principio dell’Eneolitico o Età del bronzo. Vi troviamo tutta un’umanità che ha imparato ad accendere il fuoco battendo una pietra sull’altra, a ripararsi dai fiumi che improvvisamente straripano, oltre che a proteggersi dalle belve costruendo su palafitte le proprie abitazioni, fatte di tronchi d’albero, paglia e fango. E intanto realizza vasi e ciotole d’argilla per conservare cibi e bevande, mentre apprende a trarre dal legno e dai canini inferiori dei cinghiali pettini, collane e gli altri arnesi che servono per adornare i propri indumenti costituiti da fibre vegetali, ma anche per forgiare armi con cui difendersi da genti ostili o dalle fiere. Almeno fin quando questi antichi nostri progenitori non imparano a fondere i metalli. Tale fase storica si concluderà circa tremila anni fa.

    È oramai l’Età del bronzo. Sono costituite da questo metallo le suppellettili rinvenute nel 1869 all’interno delle tombe presso la Cascina Cattabrega nell’attuale via Trasimeno, che allora e fino al 1921 si trovava nel Comune di Crescenzago, poi inglobato in quello di Milano. Il sepolcreto, scoperto per la precisione in un podere di tal Arnaboldi, rivelò un’ascia di bronzo a doppio taglio, alcune lame deformate e qualche vaso di terracotta che purtroppo andò poi disperso. Tutte suppellettili cosiddette di transizione perché segnano il passaggio dall’Età del bronzo a quella del ferro.

    In quegli stessi anni, a sud della Ripa di Porta Ticinese e sul prolungamento di via Carlo D’Adda, da una cava di argilla da mattoni presso la Cascina Ranza alla Barona emersero, a nemmeno due metri di profondità, numerosi manufatti risalenti a un periodo che va da 3000 a 2500 anni fa. Si trattava di un ripostiglio di oggetti in bronzo: coltelli-asce, punte di lancia, lame di spada e di pugnale.

    All’Età del ferro, dalla fine cioè del secondo millennio a tutto il primo, appartiene il corredo funebre che si rinvenne tra il 1886 e 1887 scavando nel giardino dell’ospedale di Sant’Antonino, già situato nella zona del Policlinico, all’altezza del n. 37 di via Francesco Sforza. Analogo ritrovamento si era avuto intorno al 1870 in località Bettola, a circa cinque chilometri fuori di Porta Vittoria. E, cioè, recipienti di terracotta, spade arrugginite e tre bracciali in bronzo.

    Erano collocabili, infine, nel periodo compreso tra il vi e v secolo a.C. i fermagli di bronzo, le punte di ferro e una singolare moneta d’argento che emersero a sei metri di profondità in via San Protaso sotto il pavimento della chiesa che nel 1931 si volle demolire per far posto a un istituto bancario.

    Milano etrusca

    Sebbene i sepolcreti dianzi citati testimonino che il territorio della nostra città fosse già abitato in età preistorica da genti di diversa provenienza come Liguri, Umbri e Veneti, è solo a partire dal iv secolo a.C. che si forma un nucleo urbano di una certa consistenza. E ciò accade quando la popolazione primitiva deve subire la grande migrazione di Galli insubri.

    E tuttavia, ancor prima di costoro la vasta pianura da cui sboccerà Milano aveva visto provenire dal Sud della penisola il grande popolo degli Etruschi (ca. 500 a.C.). Sono genti caratterizzate da spiccato attivismo. Regolano il corso delle acque, diradano le boscaglie, prosciugano le paludi, creano nuove strade, incrementano l’agricoltura, favoriscono le attività commerciali oltre alla diffusione dell’alfabeto e della scrittura.

    Che siano provetti artigiani lo dimostra il leggendario carro a quattro ruote scoperto alla Ca’ Morta presso Como. Quel carro però non sarebbe mai nato senza la geniale invenzione della ruota che viene loro attribuita o da essi stessi introdotta fra noi. Che a comandarli fosse il mitico Ocno non si sa con certezza, ma è sicuro che essi si stabilirono ben presto nella zona attorno alla futura Milano fondando la dodicesima delle loro città, quella Melpum che molti studiosi identificano con l’odierna Melzo, ultima e più avanzata delle loro roccaforti.

    Ma esistette mai una Milano etrusca? Non bastano certo ad attestarlo i due vasi di terra argillosa e nera ritrovati in via Santa Maria Segreta o la lucerna in terracotta proveniente dalle viscere di via Filangieri. E neppure la famosissima eppur mitica scrofa semilanuta, cioè metà porco e metà pecora, allegorica fusione della civiltà pastorale degli Umbri con quella agricola degli Etruschi, da cui un tempo si riteneva derivasse l’etimo di Mediolanum (medio lanae). 

    Bassorilievo della scrofa semilanuta nella seconda arcata sul fianco settentrionale del palazzo della Ragione (foto di M.casanova su licenza CC BY-SA 4.0).

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    La stessa che in forma di rozza scultura si trova murata nella seconda arcata sul fianco settentrionale del palazzo della Ragione, e par che dica di non essere etrusca e neppure celtica o romana, ma semplicemente medievale, dissotterrata chissà dove, chissà quando e da chi.

    Milano gallica

    Sul finire del iv secolo a.C. una grande migrazione di Galli insubri segna la fine dell’egemonia etrusca nella pianura padana. A darle il colpo di grazia furono tra il 396 e il 390 due sonore sconfitte. Addirittura lo storico Cornelio Nepote (99-24 a.C.) racconta, con scarsa attendibilità a onor del vero, che ciò avvenne lo stesso giorno: mentre Veio veniva espugnata dai Romani di Furio Camillo, Melpum dovette cedere ai Galli Senoni.

    Tale avvicendamento genera un forte regresso in ogni campo. I nuovi venuti mostrano di disprezzare una civiltà di gran lunga superiore alla loro e impongono il proprio potere in tutta la valle del Po con una furia distruggitrice che non risparmia nulla e nessuno. Solo l’arte e l’agricoltura promosse dagli Etruschi vengono in parte assimilate dai Celti. Così, l’usanza di far affluire i prodotti della campagna alla città, la quale ne faceva provviste dando in cambio manufatti.

    «Una città assai vasta e popolatissima», assicura Plutarco (46/48-125/127 d.C.), anche se nettamente ridimensionata negli usi e nei costumi rispetto a quelli dei raffinatissimi Etruschi. Basterà osservare – riferisce Plinio – che mentre costoro conoscevano letto, tavole e seggiole, i rudi Galli dormivano per terra. E poi le loro case erano ancora capanne di legno, tenute assieme con paglia e fango. Non solo. I pavimenti avevano l’asperità della terra battuta. Quanto ai traffici, nulla a che fare con la complessità di quelli Etruschi che riuscivano a raggiungere col commercio le lontane regioni del Reno e del Danubio, scavalcando disinvoltamente la fascia alpina.

    In compenso, con l’arrivo dei Celti viene incrementato l’allevamento del bestiame, specialmente di pecore e suini. Per cui spetterebbe piuttosto a essi che non agli Etruschi l’adozione dell’immagine della scrofa come simbolo della loro città, un po’ come sarà la lupa per i Romani. «Lanigerae suis ostentantia pellem», scriverà Claudiano sul finire del iv secolo d.C. alludendo all’uso dei Galli di affiggere sulle porte delle loro città una pelle di maiale.

    Rimangono ignoti i motivi che indussero i feroci immigrati a scegliere come propria sede un territorio piatto e paludoso come la pianura padana, senza l’abbraccio di un fiume o il sorriso di fertili colline. Ma forse la ragione risiede in quel nome celtico che diedero al capoluogo prescelto, lo stesso con cui avevano chiamato tanti altri centri d’Oltralpe da essi fondati nel loro incessante peregrinare e che i Romani latinizzarono in Mediolanum, cioè luogo di mezzo (da medio e da lanus, quest’ultimo corruzione di planus, piano o pianura). E difatti la nuova e definitiva sede dei Galli sta nel bel mezzo di un territorio posto tra l’Adda e il Ticino, il Po e le Prealpi; centro strategico degli scambi commerciali fra Est e Ovest, nevralgico incrocio di strade provenienti da ogni zona della Padania.

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    Ma dove sorgeva la città dei Galli? La tradizione – meglio sarebbe dire la leggenda – vuole che il nucleo primitivo avesse forma grossomodo circolare e fosse compreso tra l’attuale piazza del Duomo e la via Andegari. Già, perché il nome di tale via, secondo alcuni fantasiosi studiosi, deriverebbe da andegavium che in celtico significava biancospino, con allusione alla odorosa siepe di tale arbusto con cui i Galli avrebbero recinto quell’agglomerato di villaggi che costituì la primitiva Mediolanum.

    In realtà il toponimo della strada – che, staccandosi dalla via Verdi, procede sinuosa verso est piegando a zampa di cane nel suo ultimo tratto prima di sboccare nella via Manzoni – deriverebbe dal titolo di una famiglia di origine teutonica, detta appunto degli Andegardi o Undegardi, che vi avrebbe dimorato in epoca medievale.

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    Dove oggi è la nostra Cattedrale pare campeggiasse il tempio di una divinità gallica – che Polibio (220-120 a.C.) identifica con la greca Atena o, se preferite, la romana Minerva – nel quale erano le sacre insegne guerresche dei Galli, dette Immobili. Tempio sulla cui area sorgerà agli albori del iv secolo d.C. la paleocristiana basilica vetus e, da questa, nell’anno 836 quella di Santa Maria Maggiore, antenata del Duomo.

    Quanto alle Immobili, erano grandi bandiere con fregi in oro che si utilizzavano solo in guerra dispiegandole al vento. Venivano infisse al suolo nel campo di battaglia, e guai a toccarle! Al loro cospetto, prima dello scontro, i combattenti dovevano giurare che avrebbero difeso con onore le proprie case e la famiglia; che mai le avrebbero abbandonate al nemico e che perciò non era a essi consentito di indietreggiare oltre il punto dove stavano piantate.

    Tanto eroismo non valse quando tra il 225 e il 222 a.C. la loro furia si scontrò con l’inesorabile macchina da guerra dei Romani che, varcato il Po, li sconfissero tra il Chiese e l’Oglio. Sarà poi la volta di Milano a essere aggredita.

    Reperti gallici emersi dal sottosuolo

    Di tali bellicose lotte rimane come estrema, suggestiva testimonianza la lunga spada di ferro che fu scoperta nel sottosuolo di Malnate nel 1889 tra le ceneri di chi l’aveva eroicamente impugnata (accanto si trovò un braccialetto di vetro) ed era morto nell’ultimo scontro col nemico. Spada detta antropoide perché riproduce nell’impugnatura sembianze umane: una testa dai lunghi capelli raccolti alla nuca, un abbozzo di braccio e di due gambe, con nel mezzo tre sporgenze simboleggianti il tronco. Reperto che si custodisce nelle Raccolte civiche e che, unitamente ai corredi funebri dianzi citati presso l’ex ospedale di Sant’Antonino e alla Bettola, è tra le più significative testimonianze celtiche che si conservino.

    Per finire, in piazza Fontana nel 1936 emerse un ripostiglio di monete: quasi 600 dramme di ben sette tipi che interessavano un periodo compreso tra la metà del iii secolo e gli inizi del ii a.C. Il che indurrebbe a pensare che già allora esistesse a Milano una Zecca, chissà dove.

    Ma com’erano fisicamente questi Galli insubri? Di altezza superiore alla media, corpulenti e di colorito sanguigno, avevano occhi azzurri e capelli biondo rossicci, spesso legati dietro il capo. Qualche estremo discendente lo si può ancor oggi ravvisare in certi artigiani brianzoli, alti e massicci, dal bel faccione roseo, gli occhi chiari e chioma biondiccia. E, in più, una spiccata esuberanza di carattere.

    Non si sposavano prima dei venti anni, avevano diritto di vita e di morte sulle mogli e sui figli che, appena nati, tuffavano nei corsi d’acqua per renderli forti e coraggiosi. Obbedivano ciecamente ai druidi, che erano severissimi sacerdoti riuniti in un collegio gerarchicamente suddiviso in tre ordini: i druidi veri e propri che sovrintendevano ai sacrifici, consigliavano i maggiorenti e assicuravano la giustizia; i bardi o vati cantori; gli indovini, che predicevano il futuro ed esercitavano la magia e la medicina.

    L’accenno al braccialetto di vetro prima menzionato e trovato nella tomba del guerriero in quel di Malnate ci ricorda che i combattenti portavano collane, monili, cinture elegantemente intarsiate e adornavano d’oro le loro armi. Armi che furono dapprima le frecce, la fionda e le spade spuntate; a cui in seguito si aggiunsero la corazza, lo scudo, l’elmo e gli schinieri. Questi ultimi due reperti vennero altresì rinvenuti, unitamente ad un grande vaso cinerario, un avanzo di carro e una situla in bronzo, nella tomba suddetta. La quale, al pari di tutti i luoghi di sepoltura di tale civiltà, non era che una semplice cavità scavata nel terreno a circa due metri di profondità. Sul fondo questi reperti stavano sotto un mucchio di grossi ciottoli e pezzi di carbone che rivelerebbero come presso i Celti fosse praticata la cremazione, usanza forse ereditata dai Liguri.

    Milano romana

    Conclusa vittoriosamente la prima guerra punica che consentì loro di annettere all’Italia peninsulare le due isole maggiori, i Romani pensarono bene nel 225 a.C. d’impossessarsi anche della valle del Po. E così, appena tre anni dopo, i consoli Gneo Cornelio Scipione e Marco Claudio Marcello raggiungono a marce forzate Mediolanum che assediano e quindi espugnano. Ma la conquista dura poco giacché, non appena Annibale (247-183 a.C.) coi suoi Cartaginesi discende dalle Alpi nella pianura padana, i Galli si alleano con lui e così i Romani devono in tutta fretta lasciare la città per accorrere in aiuto dell’Urbe. Purtroppo in Umbria, sulle sponde del lago Trasimeno, subiscono una terribile sconfitta. L’anno è il 217.

    Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.) racconta che nella rovinosa battaglia sarebbe stato proprio un gallo insubre, tal Ducario, ad assalire e uccidere il console romano Flaminio dopo averlo apostrofato come colui che aveva «sterminato le nostre truppe e saccheggiato la nostra città coi campi d’attorno»: un’evidente allusione alla conquista di Milano avvenuta pochi anni prima e propiziata soprattutto dalla perfetta macchina da guerra dei Romani e dalla maggiore efficacia delle loro armi. Già, perché i Galli non erano in grado di temprare il ferro. Ben lo sapeva Roma che aveva proibito ai suoi mercanti di vendere spade, lance e giavellotti nella valle del Po. Divieto che si ammorbidì molto fino a cessare del tutto col passar del tempo, giacché per i Romani i buoni affari dovevano sempre viaggiare di conserva con la potenza guerresca.

    Per più di un secolo i Galli mediolanensi si mostrarono alquanto ostili verso i nuovi dominatori e cambiarono atteggiamento solo quando nel 49 a.C. riuscirono a ottenere la cittadinanza romana. Un bel salto di qualità perché voleva dire che finalmente aveva raggiunto l’uguaglianza civile e politica dei suoi abitanti la città più importante della provincia, ora chiamata Gallia Cisalpina.

    A segnare il confine tra l’Italia e la Cisalpina era un fiumiciattolo che scorreva nell’attuale provincia di Forlì-Cesena, il Rubicone, il quale acquisì un grande significato storico dopo che Cesare, di ritorno dalle Gallie, lo ebbe oltrepassato arditamente con una sola legione nella notte tra l’11 e il 12 gennaio del 49 a.C. per muovere verso Roma che conquisterà solo dopo aver sconfitto Pompeo a Farsalo il 9 agosto dell’anno seguente.

    Il condottiero si considerava un grande amico dei milanesi fin da quando un paio d’anni prima, rientrando dalle Gallie, era stato accolto nella nostra città con entusiastiche manifestazioni di giubilo. La folla in quell’occasione lo accompagnò festante per le strade adorne di fiori, mostrandogli i figli alti sulle braccia, offrendo vittime in sacrificio e allestendo banchetti nei crocicchi. E chissà che tra gli accorsi a rendergli onore non ci fosse anche il giovane Virgilio (70-19 a.C.), calato dalla natia Andes a Mediolanum per approfondirvi gli studi di retorica.

    Avanzi di edifici romani

    La Milano che Cesare ha conosciuto non è più un modesto agglomerato di case in gran parte fatte di legno e paglia, ma cominciano a spuntare qua e là domus che hanno l’impronta dei palazzi di Roma. Doveva essere molto elegante quella di cui avanza una significativa testimonianza nel giardino del Museo Archeologico di corso Magenta 15. Sono i resti di una dimora del i secolo d.C.

    Coevo il pavimento con cornice musiva che già decorava una casa in via Morigi e fu ricomposto nell’atrio della moderna abitazione al n. 2/a.

    Più antica e risalente alla tarda età repubblicana era certo la domus di cui vennero riportati alla luce notevoli reperti nel primo tratto di via Necchi.

    Il fervore edilizio che anima Mediolanum in questo periodo si estende soprattutto agli edifici pubblici e religiosi. Tra i primi vediamo sorgere il Teatro (fine del i secolo a.C.) di cui restano sotto il palazzo della Borsa ampi tratti di fondamenta costituite da grossi ciottoli di fiume tenuti assieme da un duro impasto di calce: il tutto – e ciò vale in genere per i fabbricati più ragguardevoli della città – sostenuto da palafitte di rovere rese necessarie dalla natura acquitrinosa del sottosuolo. La cavea, contenente due ordini di gradinate riservate agli spettatori (ne poteva ospitare ottomila), aveva forma semicircolare con un diametro di 95 metri e un’altezza di 20. Era compresa tra la via Meravigli e piazza degli Affari, con la curva esterna disposta lungo le vie San Vittore, detta appunto al Teatro, e delle Orsole. Semicircolare era altresì l’orchestra, destinata in genere a personaggi importanti, mentre la scaena, preceduta dal palcoscenico (pulpitum), ostentava come sfondo un’alta struttura che aveva l’aspetto di una facciata di palazzo. Scena che se per incanto dovesse riapparire si situerebbe all’incirca presso lo sbocco nella piazza dell’odierna via Gaetano Negri.

    Nella calda stagione, al fine di proteggere il pubblico dai raggi del sole, si usava distendere sulla cavea dei tendoni (velaria o lintea) che poi a fine rappresentazione venivano accuratamente ripiegati e custoditi in appositi locali nei pressi del teatro. Di uno di tali magazzini nel 1949 emerse dal sottosuolo della piazzetta dei SS. Pietro e Lino un tratto in muratura con mattoni in parte disposti a lisca di pesce (opus spicatum) in corrispondenza di un muro divisorio dell’istituto bancario che tuttora occupa il lato orientale della piazza suddetta. La memoria di tali tendoni sopravvisse nell’attributo di un’antica

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