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Milano che nessuno conosce
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E-book406 pagine3 ore

Milano che nessuno conosce

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Info su questo ebook

Luoghi misteriosi e storie insolite della città meneghina

Milano è una città nascosta, spesso poco conosciuta dai suoi stessi abitanti. A partire dalla forma che alla città fu data con la sua fondazione, passando per le architetture imprevedibili, ogni dettaglio nasconde dei segreti. Questo libro traccia un percorso ideale, articolato con l’intenzione di mettere in evidenza, contemporaneamente, le bellezze architettoniche e i riferimenti alla storia, alla cronaca, alla letteratura. Conoscere davvero Milano significa sfuggire alle traiettorie che la vita quotidiana ha tracciato come solchi profondi sull’asfalto delle strade. Luoghi come Porta Venezia, Palazzo Borromeo, il Tempio della Notte o il binario 21 della Stazione Centrale assumeranno quindi un nuovo significato agli occhi di chi guarda. Perché solo la consapevolezza di avere sotto mano dei tesori può rendere finalmente giustizia alla straordinaria storia di Milano.

La città e i suoi segreti raccontati attraverso fatti poco conosciuti e aneddoti misteriosi e affascinanti

Tra gli argomenti trattati:

Case e palazzi da scoprire
Piccoli grandi musei
Chiese e luoghi sacri
La Milano romana
Milano liberty
Sotto terra
Il lazzaretto “fantasma”
La Stazione Centrale nascosta
I rifugi antiaerei della Seconda guerra mondiale
Martesana: il naviglio “selvaggio”
Luoghi e personaggi
Viaggio nella street art
Oggetti architettonici non identificati
Angoli nascosti e curiosità
Viaggi nei paraggi
Paolo Melissi
è condirettore di «Satisfiction». Ha lavorato alle pagine culturali di varie testate nazionali ed è l’ideatore e l’organizzatore di Passeggiate d’Autore, ciclo annuale di esplorazioni urbane affidate a scrittori, poeti, giornalisti e studiosi.
LinguaItaliano
Data di uscita22 ott 2020
ISBN9788822744074
Milano che nessuno conosce

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    Anteprima del libro

    Milano che nessuno conosce - Paolo Melissi

    C’è ancora una Milano

    da esplorare?

    Particolare della veduta panoramica di Milano disegnata da Johann Friederich Probst nel

    xviii

    secolo.

    Milano è una città che, un po’ per vocazione un po’ per alcuni fatti ed elementi storici e urbanistici che hanno sensibilmente influenzato le modalità della sua crescita e della sua strutturazione, è per sua natura portata a nascondersi. Se si aggiungono a questa premessa anche le consuetudini e le pratiche sociali della cittadinanza milanese, si comprende ancora meglio come la città, nel corso dei secoli, abbia visto calare come un velo su molti elementi che la compongono. Ed è una tendenza sorta solo negli ultimi anni quella che vede i milanesi lanciati alla riscoperta della loro città, al di là delle consuete rotte turistiche, che hanno sicuramente il merito di esaltare – ma solo in piccola parte – il patrimonio storico, artistico e architettonico del capoluogo lombardo.

    Per scoprire davvero Milano, per conoscerla fino in fondo, è necessario quindi esplorarla, andare a scovare i suoi numerosi angoli di bellezza, seguendo itinerari irregolari, lasciandosi andare nel suo labirinto di sorprendenti percorsi. Per questo motivo, Milano che nessuno conosce è concepito come un lungo e articolato itinerario, irregolare e aggrovigliato, che idealmente vorrebbe percorrere, con le parole in previsione di farlo con i piedi, tutta la città.

    CASE E PALAZZI DA SCOPRIRE

    La pianta di Palazzo Borromeo.

    Sono davvero numerosi i palazzi, gli edifici pubblici e privati milanesi che sfuggono a una conoscenza più ampia da parte dei cittadini. Eppure, in molti casi, nascondono sorprendenti bellezze artistiche e architettoniche che vale la pena di andare a scoprire non appena se ne presenti l’occasione. Un discorso che vale anche per gli splendidi cortili e giardini che questi edifici nascondono, oggetto tra l’altro di una recente riscoperta da parte dei cittadini grazie ad alcune iniziative mirate allo loro riscoperta. In molti casi, infatti, la possibilità di entrare in questi edifici è legata a speciali occasioni e a periodici eventi dell’anno.

    Palazzo Borromeo

    Nascosto in una delle zone più appartate del centro storico milanese, non tanto distante dall’affollata piazza Duomo, il Palazzo Borromeo è anche uno degli edifici più antichi della città di Milano. A distinguerlo, sulla facciata, compare il singolare stemma della famiglia Borromeo, composto da un cammello in una cesta con una corona e pennacchio di piume di struzzo.

    Questa dimora fu costruita, a più riprese fino a giungere all’aspetto definitivo, dalla ricca famiglia fiorentina dei Borromeo, appunto, che lasciò il capoluogo toscano nel xiii secolo per porre la sua sede in quello lombardo, sotto la protezione del duca Francesco Sforza. Il palazzo nacque a partire da un nucleo centrale munito di cortile interno, cui pian piano furono aggiunti diversi corpi di fabbrica collegati fra loro, diventando quella che può essere definita una sorta di cittadella gentilizia. Nel corso del tempo, i Borromeo entrarono in possesso di tutti i terreni che si estendevano intorno, fino alla cosiddetta Contrada Morigi, e del patronato della chiesa di Santa Maria Podone, posta esattamente davanti al palazzo, sull’altro lato dell’attuale piazza.

    Palazzo Borromeo, I giochi Borromeo (foto di Sailko su licenza Creative Commons 3.0 Imported).

    Tra l’altro, alla sua costruzione prese parte molto probabilmente l’architetto Giovanni Solari, ma non sappiamo con precisione per quale parte dell’edificio, nel 1450. Fu un luogo frequentato da artisti e da studiosi, e che ospitò una delle prime gallerie d’arte dell’epoca. I Borromeo, infatti, riservarono una grande attenzione alla bellezza, e adornarono il palazzo con notevoli opere d’arte. Danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, custodisce al suo interno un vero e proprio capolavoro pittorico. In fondo all’elegante cortile decorato con gli stemmi araldici dei Borromeo, si arriva alla sala – che purtroppo viene aperta raramente al pubblico – in cui è conservato il ciclo di affreschi denominato I giochi Borromeo. Svelati in seguito ad alcuni lavori di restauro, gli affreschi furono realizzati probabilmente da un pittore della scuola di Pisanello e di Masolino da Panicale, e da qualcuno attribuiti a Michelino da Besozzo, alla metà del Quattrocento. Gli affreschi, commissionati da Vitaliano Borromeo insieme ad altri oggi non più visibili, furono realizzati tra il 1445 e il 1450 dal cosiddetto Maestro dei Giochi Borromeo su tre pareti. Nonostante il decadimento dei colori e il deterioramento delle figure, il ciclo riesce ancora ad avere un grande impatto visivo, immergendo il visitatore nell’atmosfera della vita di corte, tra giochi e sfoggio di vesti sontuose e raffinate acconciature. Sulla parete sinistra è raffigurato il Gioco dei Tarocchi, che vede cinque giovani intenti in un gioco di carte. Quello della Palmata, invece, era un gioco aristocratico, una sorta di schiaffo del soldato, che veniva praticato soprattutto dai più giovani. Infine, sulla parete di destra, il Gioco della Palla, che vede come protagoniste le donne della famiglia, in un vero trionfo di eleganti abiti e splendide acconciature.

    Palazzo Pozzobonelli-Isimbardi

    Entrando nel Palazzo Pozzobonelli si lascia il moderno shopping di via Torino per trasferirsi momentaneamente nel Rinascimento. Questo edificio, infatti, è uno degli esempi di architettura rinascimentale meglio conservati di Milano. La costruzione iniziò per volere di Bergonzio Botta, un dignitario della corte di Ludovico il Moro, negli ultimi anni del xv secolo, ma divenne di proprietà dei marchesi Pozzobonelli, che gli diedero il loro nome. E furono i Pozzobonelli a far decorare il cortile principale, dove è visibile lo stemma della famiglia, in cui compare un’aquila, e quello degli imparentati Isimbardi, in cui campeggiano tre stelle poste in diagonale. Tra il 1743 e il 1783 l’edificio fu sede dell’arcivescovo di Milano Giuseppe Pozzobonelli. Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale anche Palazzo Pozzobonelli, come tanti edifici del centro storico, fu danneggiato pesantemente dai bombardamenti, che ne distrussero gli interni in seguito a un violento incendio. Per questo motivo, la parte visibile più antica dell’edificio è proprio il cortile, una struttura in stile bramantesco, scandita da portici a tre arcate su ogni lato. Decorazioni in cotto e medaglioni in pietra raffiguranti imperatori romani testimoniano ancora l’eleganza di questa dimora nobiliare.

    I palazzi di via Cappuccio

    Via Cappuccio, che segue il tracciato del circo romano e il cui nome deriva dall’appellativo dato alle monache di clausura agostiniane del convento di Santa Maria Regina ad Virginum dette del Cappuccio, è una strada che conserva uno straordinario fascino antico. Questa via era anche conosciuta come Contrada dei Nobili per l’alta concentrazione di residenze di famiglie patrizie. Vediamo quali, seguendo l’ordine crescente dei numeri civici.

    N. 9 – Casa Cavigioli

    La costruzione della Casa Cavigioli, risalente al xvii secolo, fu progettata per ospitare diverse famiglie, dando vita a una sorta di condominio caratterizzato dalla presenza di diversi cortili interni. L’architetto Giovanni Greppi, nel 1925, ne curò il rifacimento degli interni, lasciando però integra la facciata. Il portale d’ingresso, asimmetrico rispetto alla facciata, reca un cartiglio sulla chiave di volta, ed è sormontato da un balcone decorato da parapetto in ferro battuto.

    N. 13 – Casa Radice Fossati

    In questo tratto di strada sorge l’edificio più antico, la duecentesca Casa Radice Fossati, che si distingue dagli altri per la facciata interamente realizzata con mattoni in cot-

    to a vista. Il suo fascino antico e austero allo stesso tem-

    po è arricchito solamente da un portale arcuato in terracot-

    ta e pietra, e da un androne decorato con soffitto a cassettoni.

    N. 15 – Palazzo Mapelli

    Purtroppo le ristrutturazioni neoclassiche hanno eliminato gran parte delle decorazioni rococò del palazzo, nato tra il xvii e il xviii secolo. Sulla facciata quindi è rimasto il bugnato liscio in stucco, con finestre coronate da timpani semicircolari.

    N.18 – Palazzo Lurani Cernuschi

    Il palazzo fu eretto dalla famiglia Castelbarco nel xvi secolo per poi passare ai Lurani Cernuschi. Pesantemente danneggiato durante la guerra, conserva l’originale facciata neoclassica e il cortile interno.

    N. 21 – Palazzo Cornaggia

    Sorto come Palazzo Castiglioni nel xiii secolo, l’edificio non conserva più nulla dell’antica costruzione, fatta eccezione per i resti di una finestra al piano terreno. Fu infatti completamente ricostruito nel Settecento, in stile neo-

    classico.

    Palazzo Archinto

    Palazzo Archinto fu costruito nel xvii secolo in via Olmetto su progetto di Francesco Maria Richini, e fu uno dei più importanti esempi di barocco lombardo fino alla sua distruzione, avvenuta nel corso di uno degli innumerevoli bombardamenti alleati su Milano, nell’estate del 1943. L’edificio fu ricostruito tra il 1955 e il 1967 dall’architetto Luigi Dodi, nel rispetto della sua struttura e del suo aspetto originario, purtroppo però andarono persi gli affreschi, realizzati da vari artisti tra cui Giovanni Battista Tiepolo.

    Per la precisione, tuttavia, va detto che di tutti gli affreschi un tempo presenti, l’opera del Tiepolo presso il palazzo, oggi si conserva una medaglia ad affresco di Vittorio Maria Bigari, conservata nell’ex Sala del Consiglio, mentre un ampio resto di affresco del Tiepolo è custodito presso le Civiche Raccolte del Castello Sforzesco. All’esterno si presenta con una facciata piuttosto austera, mentre si è conservato il cortile originario, con un elegante porticato affacciato sul giardino, e un secondo cortile dove è visibile anche una torre medievale, in realtà costruita nel 1830, e una bella pianta di glicine. Da notare anche la splendida cancellata, realizzata nel 1910 su progetto di Giuseppe Bagatti Valsecchi, gli stemmi della famiglia Visconti e una lapide, scolpita da Adolfo Wildt, dedicata ai dipendenti dei Luoghi pii elemosinieri caduti in guerra.

    Villa Mirabello

    Appartata com’è, in una zona urbana compresa tra la Maggiolina e il cosiddetto Villaggio dei Giornalisti, Villa Mirabello è un capolavoro dell’architettura del Quattrocento, che sembra spuntare fuori in maniera del tutto inaspettata e sorprendente. Infatti, è sufficiente avvicinarsi al suo perimetro, gettare lo sguardo oltre la cancellata che la separa dalla strada, per avere l’impressione di essere trascinati in un’altra epoca. Villa Mirabello è una grande dimora, frequentata anche dai Visconti, posta in aperta campagna e destinata a luogo di delizie, che si caratterizza per una struttura ricoperta di mattoni rossi, finestre in cotto e ampi e ariosi cortili interni a loggiato. Nella struttura, esempio eccelso di villa-cascina quattrocentesca, spiccano il cortile circondato dal loggiato e la cappella, che reca ancora tracce degli antichi affreschi. Nel 1468 risultava proprietà di Pigello Portinari, un nobile fiorentino che fece costruire la celebre Cappella Portinari presso la basilica di Sant’Eustorgio. Successivamente, passò alla famiglia Landriani, di cui oggi è visibile lo stemma su un grande camino che si apre nella sala maggiore, e nel febbraio del Cinquecento ospitò Ludovico il Moro. Poi passò ai Marino, la ricca famiglia genovese che, tra l’altro, fu promotrice della costruzione di Palazzo Marino, in piazza della Scala, oggi sede del Comune di Milano, per poi entrare in un periodo di decadenza e rovina, durante il quale fu utilizzata per usi agricoli. Per fortuna, nel 1891 la villa fu riscoperta dall’architetto Beltrami come straordinario esempio di stile architettonico lombardo, e recuperata grazie all’Istituto dei ciechi di guerra nel 1920, che ne fece la propria sede.

    Da qualche tempo, infine, è tornata a essere visibile alla cittadinanza ed è meta di visite organizzate. Una curiosità: la villa era chiamata dal popolo mangiabagaj, ovvero del mangiabambini, a causa della presenza del classico biscione che reca nelle fauci un bambino, appunto.

    Villa Mirabello (foto di Arbalete su licenza Creative Commons 3.0 Imported).

    Palazzo Landriani

    La famiglia Landriani fu anche proprietaria del palazzo di via Fiori Oscuri, a Brera, che da essa prese il nome. L’edificio fu costruito sicuramente prima del xvi secolo dalla famiglia Bossi, che poi ebbe modo di venderlo ai subentranti Landriani nel 1531. Il palazzo fu ricostruito in seguito a un terribile incendio che lo distrusse nella prima metà del Cinquecento. Nel xvii secolo fu possesso degli Imbonati, nel 1880 passò in possesso del Demanio, che vi pose la sede dell’Accademia scientifico-letteraria. Osservando la facciata del palazzo è possibile individuare l’originaria parte cinquecentesca, posta a sinistra, mentre quella settecentesca si trova a destra. Entrando nell’edificio, si accede a un porticato di stile bramantesco, scandito da colonne di ordine corinzio, all’interno del quale una parete era impreziosita dagli affreschi di Bernardino Luini, oggi conservati presso la vicina Pinacoteca di Brera. Al suo interno si conservano gli affreschi della Sala del Centenario, attribuiti a Cesare Cesariano, che compongono un importante Ciclo astrologico. Questa opera, ispirata all’Astronomicon di Igino – pubblicato nel 1482 – comprende una serie di segni zodiacali caratterizzata da alcune differenze rispetto a quella che comunemente conosciamo e utilizziamo.

    Palazzo Acerbi

    Corso di Porta Romana n. 3: qui sorge il Palazzo Acerbi, edificio che, nel 1577, fu di proprietà di Pietro Maria Rossi, conte di San Secondo, per poi passare – nel 1615 – a Ludovico Acerbi, ricchissimo marchese e senatore milanese, che lo fece ristrutturare completamente seguendo lo stile barocco che andava per la maggiore in quel periodo. Alla facciata austera corrisponde, al suo interno, l’eleganza e il lusso di saloni in marmo riccamente decorati, statue e opere d’arte. Come vuole la tradizione, il palazzo è conosciuto anche come dimora del diavolo. Secondo la leggenda, infatti, il popolo aveva incominciato a considerare il marchese come il diavolo in persona dal 1630, durante l’infuriare dell’epidemia di peste descritta da Alessandro Manzoni nei I Promessi sposi. In quel periodo Acerbi avrebbe continuato a spendere ingenti somme di denaro non solo per rendere più bello il palazzo, ma anche per allestire sontuose e sfarzose feste alle quali invitava tutti i nobili che non erano ancora scappati fuori città per sfuggire alla pestilenza. Per chi passava davanti al suo palazzo era possibile sentire suoni e voci delle feste in corso. Quando la peste abbandonò Milano, lasciandola nel caos, ci si rese conto che in casa Acerbi nessuno era stato colpito dal male, né tanto meno chi vi era entrato come ospite. Un motivo in più per considerare il padrone di casa il diavolo in persona. Va detto tuttavia che, quando scoppiò l’epidemia di peste del 1630, Acerbi era già morto da diversi anni. Qualche secolo dopo, per la precisione nel 1848, durante i moti che sconvolsero la città, una bombarda austriaca esplose un colpo in direzione del palazzo: oggi rimane infissa nella facciata una palla di cannone.

    Palazzo Isimbardi nel Settecento in un’incisione di Marc’Antonio Dal Re.

    Palazzo Isimbardi

    Il palazzo della Provincia, in corso Monforte, è anche conosciuto come Palazzo Isimbardi. Si tratta di un edificio storico, la cui fondazione risalirebbe al xv secolo, presso cui avrebbe abitato Cicco Simonetta, il consigliere di Francesco Sforza. Originariamente era un’elegante dimora di campagna, dal momento che sorgeva fuori dalle mura cittadine, in una zona chiamata Viridarium, e considerata il giardino di Milano. Alcuni documenti testimoniano che il palazzo passò dai Pallavicino ai Taverna, diventando una dimora suburbana, per poi essere ampiamente ristrutturato. Nel 1607, vi trovò rifugio Gian Paolo Osio, l’amante della monaca di Monza ricercato per diversi omicidi, ma fu fatto assassinare a tradimento dai padroni di casa. Osio fu prima tramortito a bastonate e poi murato vivo in una nicchia. E sarebbe suo il fantasma che ancora oggi si aggirerebbe nei sotterranei del palazzo. I passaggi successivi videro protagonisti i Lambertenghi e poi gli Isimbardi. Fu grazie a questi ultimi che il palazzo divenne anche un centro di studi scientifici, ospitando tra l’altro un gabinetto di mineralogia e una raccolta di strumenti e carte nautiche. Benché oggi sia un edificio pubblico, Palazzo Isimbardi rimane ancora una meta poco conosciuta dagli stessi milanesi. Il suo portale barocco e il cortile interno a quadriportico sono ben visibili dall’esterno, ma è il suo cuore a rimanere ancora nell’ombra. Sono gli interni, infatti, a meritare l’attenzione, grazie a un notevole patrimonio di decorazioni e di affreschi, tra cui il Trionfo di Francesco Morosini realizzato da Giovanni Battista Tiepolo e Il gioco dei Visconti firmato da Francesco Hayez. La Sala degli Affreschi ospita sei grandi dipinti murari, provenienti da una villa di Vaprio d’Adda nel 1941, ma tre andarono distrutti durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ci sono poi la raccolta di orologi antichi, una grande tela cinquecentesca di Bernardino Campi, l’Atrio dei Mappamondi e la Biblioteca. Senza dimenticare il Giardino, che nell’Ottocento fu rimaneggiato all’inglese. Da segnalare, inoltre, che adiacente al palazzo sorge la cosiddetta Torre delle Sirene, il rifugio antiaereo voluto da Mussolini e riconoscibile dall’esterno per la sua forma cilindro-conica.

    Palazzo Clerici

    Nel cuore di Milano, a pochi metri di distanza dalla Galleria Vittorio Emanuele II e dal Duomo, in quella che nel Seicento veniva chiamata la Contrada del prestino dei Bossi, sorge la dimora che appartenne alla potente e ricca famiglia Clerici, originaria di Como. La costruzione del palazzo risale al 1653, su un terreno appartenuto ai Visconti di Somma Lombardo, per poi passare in seguito ai Clerici. Il palazzo, rimaneggiato nel Settecento, raggiunse il suo massimo splendore durante la vita di Antonio Giorgio Clerici, che incaricò numerosi artisti di abbellire la già elegante e sfarzosa dimora. L’edificio si sviluppò intorno al cortile d’onore e al giardino, vide sbocciare tutta la bellezza della Galleria degli Arazzi con gli affreschi di Giovanni Battista Tiepolo, e si arricchì di una sontuosa scalinata a tre rampe, impreziosita da figure antropomorfe, che portava al piano nobile, dove si apriva il prestigioso Salone da ballo, fornito di apposite balconate su cui si collocavano i musicisti. Divenne così una delle più eleganti e sfarzose magioni della città, e legò ulteriormente la sua fama anche alla preziosa collezione d’arte, che comprendeva tele di Tintoretto, Veronese e Guido Reni.

    L’ambiente più ricco e artisticamente rilevante, quindi, divenne la cosiddetta Galleria grande o Galleria degli Intagli, un salone lungo ben ventidue metri, con le pitture del soffitto, gli arazzi delle pareti e il lavoro di ebanisteria dello zoccolo ligneo. Gli affreschi furono commissionati al veneziano Giovanni Battista Tiepolo, che dipinse la corsa del carro del Sole, preceduta da Ermes, in un cielo abitato dalle divinità olimpiche, e attorniato da creature terrestri e animali simboleggianti i continenti. Il ciclo di raffigurazioni è aperto dal mito di Proserpina e da un gruppo di Dioniso, con una coppia di cammelli a rappresentare il continente asiatico. A seguire l’America, simboleggiata da un pellerossa munito di arco e faretra, e una ragazza dalla candida carnagione che simboleggia i colonizzatori inglesi. Chiude la scena Teti, la regina dell’oceano. In un angolo, poi, compare l’allegoria delle arti, dove un vecchio che regge la tavolozza con i colori rappresenta anche un autoritratto dell’autore. Sull’altro lato del salone spicca l’allegoria dell’Africa, rappresentata da una proboscide e dalle zanne di un elefante, su cui sta un soldato romano, mentre un africano tiene al guinzaglio un levriero, e poi quella dell’Europa, dove si distingue un guerriero, probabilmente Perseo, e poi Poseidone e un cavallo che potrebbe rimandare a Pegaso. Subito dopo, compare il ratto di Venere, con il carro guidato da Saturno rapitore. L’ultima allegoria è quella dei fiumi.

    Lo zoccolo ligneo è attribuito all’ebanista Giuseppe Cavanna, e ricopre le pareti per un’altezza di ottanta centimetri con una sequenza di riquadri dipinti oro su bianco che rappresentano nel loro insieme una narrazione epica: la Gerusalemme liberata. Infine, gli arazzi

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