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Le promesse del duca: Harmony History
Le promesse del duca: Harmony History
Le promesse del duca: Harmony History
E-book245 pagine3 ore

Le promesse del duca: Harmony History

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Info su questo ebook

Liberated Ladies 1
Inghilterra, 1814
William Calthorpe è appena diventato Duca di Aylsham e ha preso possesso della residenza di famiglia nel Dorset, dove intende occuparsi personalmente della proprietà e dell'educazione dei fratelli minori. Suoi vicini di casa sono un vescovo e sua figlia Verity Wingate, una donna indipendente e sicura di sé con la passione per l'archeologia. In seguito a una delusione d'amore, Verity ha giurato che non si sarebbe mai sposata, ma le attenzioni che le riserva il duca la confondono fino a strapparle un bacio appassionato. La situazione si complica quando, in seguito a uno scherzo dei fratelli di William, lui e Verity sono costretti a passare una notte all'addiaccio. Per evitare uno scandalo, il duca la chiede in moglie, ma Verity ha imparato sulla propria pelle che le promesse di un uomo spesso nascondono ben altre intenzioni.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2019
ISBN9788830505889
Le promesse del duca: Harmony History
Autore

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Le promesse del duca - Louise Allen

    successivo.

    1

    Great Staning, Dorset. Primo maggio 1814

    William Xavier Cosmo de Whitham Calthorpe, quarto Duca di Aylsham – William per il nonno passato di recente a miglior vita, Will per se stesso e Sua Grazia per il resto del mondo – risaliva il dolce declivio dell'estremo limitare della sua nuova residenza e cercava una qualche serenità nella confortante certezza che tutto andava come doveva andare.

    Be', c'era la questione del tumulto che aveva lasciato in casa, ma era una battaglia che avrebbe affrontato più tardi, quando sarebbe rientrato a far colazione. Richiedeva una buona dose di pazienza e di disciplina. Di pazienza in abbondanza, soprattutto.

    Ora faceva quello che qualsiasi proprietario coscienzioso faceva ogni mattina: percorreva la sua tenuta per conoscerne i punti di forza e di debolezza. Era il duca, il che comportava obblighi precisi sia nei confronti della ciurma di indisciplinati fratellastri che scorrazzavano per casa, che degli oltre cento fittavoli dei fondi passati sotto la sua responsabilità.

    La vera dimora dei Duchi di Aylsham, a venti miglia da lì, era Oulton Castle ma, per quanto fosse in perfetto stato di conservazione, il castello era del tutto inadatto alla numerosa, movimentata famiglia che Will aveva da poco acquisito.

    Stane Hall, la proprietà in cui viveva adesso, era stata per anni nelle mani di ligi e fedeli fittavoli ma, con un sistema di drenaggio nuovo, la casa vedovile libera e la completa assenza di mura medievali e cannoni, al momento era più adatta a ospitarli. Non poteva che essere grato al fittavolo che aveva accolto senza obiettare la sua richiesta di ritirarsi per trasferirsi a Worthing.

    Will scacciò ogni altro pensiero per concentrarsi su quanto stava facendo. Aveva preso possesso della casa da sette giorni, ma era la prima mattina in cui riusciva a concedersi qualche ora per ispezionare le sue terre. Quello davanti a lui doveva essere il punto più a nord della proprietà.

    Controllò la mappa che aveva portato con sé. Con tutta probabilità i tratteggi ombreggiati indicati come antichi tumuli druidici dovevano raffigurare i sei dossi irregolari che sembravano inseguirsi come gobbe di dromedari. Il sole ancora basso alla sua sinistra proiettava lunghe ombre alla loro base, e la linea di confine, sulla mappa, sembrava correre lungo la cresta della sequenza di dossi.

    Non c'erano recinzioni, il che non era un bene. Le recinzioni erano importanti per definire i confini di una proprietà gestita nel migliore dei modi, e Stane Hall doveva essere perfetta.

    Un duca non può accontentarsi di niente di meno del meglio. Era stata una delle prime lezioni impartitegli dal nonno quando il terzo duca aveva strappato Will all'insopportabile caos che era diventata la sua vita con il padre George, Marchese di Bromhill. Una testa calda, a dir poco. Un irresponsabile. E anche lui deceduto da poco.

    I tentativi del vecchio duca di tirar su un erede irreprensibile si erano rivelati vani nel momento in cui il figlio, rimasto vedovo, aveva messo gli occhi sull'avvenente Miss Claudia Edwards, una scrittrice dal temperamento passionale, ardente sostenitrice di bizzarre teorie educative. La vita caratterizzata dalle eccentricità della coppia si era conclusa con la rovinosa caduta del marchese dal tetto su cui si era arrampicato per dimostrare la teoria secondo la quale un gentiluomo doveva essere in grado di svolgere qualsiasi mansione richiedesse ai suoi subalterni, compreso il lavoro manuale.

    Tre mesi più tardi Will faceva ancora fatica a scrollarsi di dosso l'irritazione che provava al pensiero che suo padre, un uomo a lui quasi sconosciuto, non avesse mai compreso di avere l'obbligo di fornire un'occupazione alle persone che vivevano nelle sue proprietà, e non di sostituirsi a chi riparava tetti per mestiere.

    Will era arrivato a sospettare che la consapevolezza di poter lasciare il titolo al nipote avesse consentito al vecchio duca di cedere le armi, e di porre fine alla lotta che da anni combatteva nei confronti di una debilitante malattia cardiaca.

    La perdita del nonno era uno dei tanti motivi per cui non era ancora pronto a perdonare suo padre. Era Marchese di Bromhill solo da cinque settimane quando si era visto piovere addosso il titolo di duca.

    Era avvenuto dodici settimane prima. Tre mesi. Ma il dolore per la perdita del nonno con cui aveva vissuto quattordici anni non si era affievolito.

    I duchi erano tenuti a osservare un periodo di lutto, ma non potevano parlare di cose come la perdita, la solitudine, soprattutto del timore di sentirsi inadeguati al ruolo che erano chiamati a ricoprire. Will si era chiesto spesso se anche il vecchio si fosse sentito così, quando aveva ereditato il titolo.

    No, il nonno non lo avrebbe mai ammesso, rifletté. E lui aveva imparato tutte le lezioni del suo predecessore, perciò aveva tutte le intenzioni di diventare perfetto. Inappuntabile. Proprio come suo nonno.

    Il che sarebbe stato più facile, con la moglie giusta al fianco.

    Il vecchio duca era stato categorico, al riguardo. E quella era una delle priorità assolute della lista che Will si era fatto mentalmente.

    Giusta, come attributo riferito a una moglie, significava di buona famiglia, graziosa, capace di procreare e di presentarsi in pubblico con la dovuta dose di affabilità. Un buon carattere, un adeguato livello di istruzione e una ragionevole dose di intelligenza erano, di certo, ben accetti.

    Idee poco convenzionali o stravaganti erano invece intollerabili, come lo era il comportamento della sua matrigna che, nonostante le teatrali esternazioni di dolore per la recente perdita del marito, si rifiutava ostinatamente di osservare le consuetudini che il lutto imponeva alle donne nella sua condizione.

    A lui, invece, il lutto avrebbe impedito di contrarre matrimonio per almeno quaranta settimane. Purtroppo...

    Tornò con la mente alla questione delle recinzioni. Avrebbe potuto portare con sé il suo amministratore in quel breve giro di perlustrazione, ma aveva preferito farsi una prima idea da solo, senza lasciarsi condizionare, o distrarre.

    E poi aveva finito per lasciarsi distrarre dai suoi problemi personali.

    Si rese conto di trovarsi ai piedi del più massiccio dei dossi, o dei tumuli, come venivano indicati sulla mappa.

    Si era vestito in modo adeguato a un'uscita in campagna: i logori stivali che indossava e il suo più vecchio paio di pantaloni gli consentivano di arrampicarsi senza problemi sul viscido terreno di quella collinetta.

    Scivolò sull'erba bagnata e rischiò di cadere un paio di volte, ma riuscì a raggiungerne la cima e a girarsi, per guardare la strada che aveva appena percorso. Da quel punto si aveva un'ampia visuale del parco, con lo scintillio del lago in lontananza. Un gruppetto di cervi che brucavano l'erba. Magnifici boschi cedui.

    L'aria che si andava riscaldando portava con sé il gradevole profumo dei fiori selvatici pronti a sbocciare, misto a quello pungente del letame sparso di recente in un campo poco lontano.

    Chissà se la casa era visibile, da lì?

    Provò a fare un passo indietro per avere una visuale più ampia, ma il terreno sembrò franare sotto il suo piede. Mancando l'appoggio, Will perse l'equilibrio, cadde e rotolò giù trasportato dal terreno misto a sassi.

    Atterrò pesantemente sull'osso sacro. Terra e sassi continuarono a piovergli sul capo, dal quale era volato via il cappello, che continuò a rotolare fino ad arrestarsi accanto alle ginocchia di una giovane donna accovacciata ai piedi della collinetta.

    La giovane aveva una lunga treccia di capelli color caramello su una spalla, grandi occhi scuri... E un teschio in mano?

    Fu a quel punto che qualcosa di affilato lo punse sulla natica sinistra.

    Non vi fu alcun segnale premonitore: solo una lunga ombra che le cadde addosso, mentre un corpo massiccio rotolava giù verso lo scavo.

    Con uno scatto felino Verity si sporse ad afferrare il teschio e se lo strinse al petto, tirandosi indietro, mentre l'uomo rotolava lungo il pendio e si arrestava, con una secca imprecazione.

    Un istante più tardi si ritrovò a fissare un giovane dai capelli chiari, due occhi azzurri che si serrarono per proteggersi dalla luce, e labbra serrate in una lunga linea diritta. Sembrava contrariato, a dir poco.

    Gli abiti, per quanto semplici e adatti a un'uscita in campagna, erano costosi, ma imbrattati in modo irreparabile. Abiti costosi e adeguati...

    Sì, forse aveva capito con chi aveva a che fare.

    Il viso di lui si contrasse in una smorfia di dolore, e Verity temette di comprenderne il motivo. «Temo vi siate seduto su un dente, signore.»

    Non era così che ci si rivolgeva a un duca, ma non erano stati presentati, giusto?

    Gli occhi azzurri di lui si socchiusero mentre lui sollevava la natica sinistra, infilava una mano sotto le code del soprabito e tirava fuori... un'intera mascella? «Un dente, avete detto? Uno solo?»

    Lo sguardo del duca si spostò sull'oggetto che Verity stringeva. «Quello invece sembrerebbe un teschio, signora. Un teschio umano.»

    «Esatto.» E cos'altro poteva essere? «La mascella ha subito danni? Intendo dire... Vi siete fatto male?» Non era forse il modo più gentile di chiedere a un duca se la sua natica fosse stata ferita dai resti di quell'antico bretone, e strappargli di mano la mascella per assicurarsi che fosse intatta era fuori discussione.

    «Niente di grave, madame. Mi scuso per il mio linguaggio scurrile di poco fa.»

    Sarebbe stato più facile affrontarlo, se avesse mostrato un accenno della collera che di sicuro doveva provare, rifletté Verity.

    Invece, dopo quell'unica imprecazione, quell'uomo appariva perfettamente padrone di sé, come se fosse impegnato in una tranquilla conversazione in un salotto signorile. Lo vide allungare una gamba, come per alzarsi.

    «No!» esclamò. E ordinò a se stessa di moderare il tono. «Vi prego, restate dove siete, o danneggerete lo scavo. Datemi il tempo di sistemare tutto.» Depose il teschio nella cesta di paglia che aveva preparato e allungò la mano prendere la mascella, che mise al sicuro. Quindi raccolse la gonna intorno alle caviglie e si tirò in piedi.

    Il duca, da gentiluomo qual era, aveva distolto lo sguardo. Probabilmente era troppo contrariato per considerare l'idea di sbirciare.

    Lo vide alzarsi in piedi con sorprendente agilità e un movimento elegante.

    Era il giovane duca, comprese Verity. Non ancora trentenne. Fisico asciutto. Prestante.

    Suo cugino Roderick le aveva parlato di lui. Per anni era stato semplicemente Lord Calthorpe, l'uomo noto per il suo comportamento del tutto irreprensibile in ogni circostanza.

    Gli avevano persino affibbiato un nomignolo: Lord Impeccabile.

    Roddy glielo aveva scritto diciotto mesi prima, in una delle lettere nelle quali le raccontava tanti spassosi aneddoti.

    Suo padre, il marchese, è un eccentrico, a dir poco, e la sua matrigna è una nota intellettuale. Quindi sarà stato un sollievo, per lui, essere portato in salvo dal nonno, che lo ha preso con sé quando Calthorpe era solo un ragazzino.

    Il vecchio duca è quanto di più rigido si possa immaginare riguardo ai doveri che il suo rango gli impone, ma pare che Calthorpe non faccia alcuna fatica ad adeguarsi. Un giorno sarà il duca più inamidato di tutto il regno. Ha persino affrontato un duello da vero gentiluomo. Una signora era stata insultata, lui è intervenuto, ha lanciato il guanto allo screanzato, poi gli ha sparato mancando volutamente il bersaglio e se n'è andato dopo una stretta di mano all'avversario. E non ne ha fatto parola con nessuno.

    Non so cosa ne penserai tu, ma per me è addirittura disumano.

    Verity invece era persino riuscita a strappargli un'imprecazione, oltre a rovinare i suoi vestiti costosi e gli stivali. E a bucargli un'aristocratica natica.

    Una natica che doveva essere perfetta, a giudicare dal modo in cui la fasciavano i pantaloni... Ma cosa andava a guardare?

    Decise di attendere che lui si congedasse prima di tornare ai suoi reperti. «Immagino vi stiate chiedendo cosa sto facendo.» Oltre a fingere di non fissare con sdegno la gonna semplice, gli stivaletti allacciati e la giacca di tweed che una ragazza di buona famiglia non avrebbe dovuto mai indossare. Buon Dio, ma che fine aveva fatto il cappello di paglia?

    «Confesso di essere sorpreso di trovare qualcuno intento a saccheggiare il mio monumento druidico» rispose lui in tono cortese ma senza un accenno di sorriso. «E ancor più sorpreso di scoprire che a farlo sia una signora.»

    Verity aprì la bocca, ma subito la richiuse. Era davvero tentata di rispondere per le rime a quell'uomo... fin troppo educato. Davvero un esempio di garbo squisito. Sì, sarebbe stato interessante riuscire a strappargli un'altra imprecazione, o un mezzo sorriso, o a fargli ammettere che sì, aveva cercato di sbirciarle le caviglie mentre si alzava.

    Il suo comportamento era inappuntabile, eppure Verity sarebbe stata pronta a scommettere che il duca disapprovava lei e trovava bizzarro e quantomeno fuori luogo il suo modo di occupare il tempo.

    Dio, che orrore! Una donna impegnata in un'attività che la costringe a usare il cervello e a sporcarsi le mani! È la fine della civiltà! No, dico, dove andremo a finire?

    «Mi duole contraddirvi, signore, ma non è il vostro monumento. È il nostro monumento. Sono stata molto attenta a scavare solo sul nostro versante del tumulo. Non sono del tutto convinta che vi sia un qualche legame con i druidi, e di certo non lo sto saccheggiando. Questo è uno scavo eseguito seguendo i moderni canoni dell'archeologia. Se mai foste interessato, sarei felice di mostrarvi tutta la documentazione.» Verity scoprì i denti, scoccandogli il sorriso affabile che un tempo riservava ai tè organizzati nella residenza del vescovo, prima che suo padre si ritirasse.

    Il duca era un uomo intelligente, ne era convinta: avrebbe intercettato il sarcasmo velato che si nascondeva dietro quel sorriso.

    Il contrasto tra le sue parole e il sorriso lo indusse infatti a socchiudere gli occhi. «Il vostro lato? Questa terra appartiene a voi?»

    Verity indicò un paletto conficcato sulla cresta del monticello. «Quello è ciò che resta della vostra recinzione.»

    Lui serrò le labbra, forse interpretando le parole di Verity come una critica al modo in cui gestiva le proprietà. «Avrei dovuto presentarmi subito.» Si sfilò i guanti, tirò fuori un fazzoletto di lino bianco con cui si ripulì le dita e le porse la destra. «Io sono Aylsham.»

    «Lo avevo intuito, Vostra Grazia.» Verity si strofinò una mano sulla gonna, prima di porgergliela. «Miss Wingate.» Gli concesse una stretta brevissima. «Mio padre è il vescovo di Elmham, attualmente in pensione. L'attuale sede del vescovato è sul confine della contea, ma il vecchio palazzo appartiene a mio padre, che lo ha acquistato dopo l'emorragia cerebrale che lo ha costretto a ritirarsi. Lo reputavano troppo antiquato per le attività vescovili, mentre noi ci siamo molto affezionati.»

    Stava blaterando, e comprenderne la ragione non le era di alcun aiuto. Aveva di fronte non solo un altezzoso aristocratico, ma un uomo molto attraente. Che riusciva, purtroppo, a metterla a disagio.

    Verity sapeva di essere in parte responsabile della rovinosa caduta del duca, ma era assolutamente impresentabile, e non aveva idea di come comportarsi.

    «Miss Wingate, avevo giusto intenzione di concedermi il piacere di far visita a vostro padre, domani. Se la sua salute lo consente, è chiaro.»

    Perché sono infastidita?, si domandò lei mentre rispondeva che suo padre sarebbe stato felice di riceverlo e che il pomeriggio era forse il momento migliore per fargli visita.

    Perché mi importa della sua opinione. E questo mi fa infuriare. Il fatto che il duca avesse un bel paio di spalle larghe, il mento volitivo, due splendidi occhi azzurri e un sorriso – ammesso che fosse capace di sorridere – che immaginava affascinante, non era un motivo valido per pendere dalle sue labbra.

    Verity aveva giurato solennemente a se stessa che, per quanto fosse in suo potere, non avrebbe mai commesso l'errore di pendere dalle labbra di un uomo.

    Mai più, almeno. Aveva sperimentato sulla sua pelle, in passato, che poteva costare caro.

    Il duca si guardava intorno, e a un tratto parve accigliarsi. «Siete sola, Miss Wingate? Non vedo la vostra cameriera.»

    «Il mio fattore verrà a prendermi alle otto.» Lei guardò la posizione del sole. «Tra poco. Se volete scusarmi, sistemo lo scavo per metterlo in sicurezza.»

    «Posso esservi di aiuto?»

    «No» rifiutò lei, asciutta. «Intendo dire... Non vi disturbate, Vostra Grazia. Se potete spostarvi da quella parte, al riparo dalle superfici appuntite e taglienti del terreno... Sì, proprio lì, perfetto.»

    E piantala, sciocca!, si rimproverò mentre prendeva il pennello e scostava pulviscolo e detriti. Non è perfetto. È solo un gentiluomo di bell'aspetto. E non fingere di non ammirare quel fondoschiena che si intravede sotto le code del suo soprabito...

    Sì, insomma, spalle larghe, fisico asciutto, glutei sodi, gambe lunghissime... Doveva pur esserci qualcosa di imperfetto, nel Duca di Aylsham!

    Un trapestio di ruote sulla ghiaia del sentiero preannunciò l'arrivo di Tom, il quale si arrestò a debita distanza dallo scavo, secondo le istruzioni ricevute. Li raggiunse a piedi, con il cappello in mano.

    «Buongiorno, signore. Miss Wingate.»

    «Questo è il Duca di Aylsham, Tom. Possiamo andare. Per favore, riporta gli arnesi sul carretto e poi vieni a prendere anche questa scatola, che va maneggiata con attenzione.»

    Will rimase dov'era finché il carretto non fu ripartito. Recuperò il cappello e scrollò alla meglio il fazzoletto di lino. Entrambi sembravano irrimediabilmente insudiciati. Ma chissà, forse Notley, il suo cameriere personale, sarebbe riuscito a operare una delle sue magie.

    Tornò sui propri passi, ansioso di rimettere i piedi sul suolo di sua proprietà prima di ripensare a quanto era appena accaduto.

    Soprattutto a Miss Wingate: un vero maschiaccio. Tutto il contrario di quel che avrebbe dovuto essere la figlia di un vescovo della Chiesa di Inghilterra.

    Accelerò il passo e cercò una scorciatoia per tornare a casa.

    Vestita come una contadina, senza cappello, né guanti, una semplice treccia adagiata su una spalla e le mani nella nuda terra, pronta

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