Per un attimo di passione: Harmony Collezione
Di Maggie Cox
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Maggie Cox
Quando non è impegnata a scrivere o a badare ai figli, ama guardare film romantici mangiando cioccolato.
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Anteprima del libro
Per un attimo di passione - Maggie Cox
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Mistress on Demand
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2005 Maggie Cox
Traduzione di Cristina Proto
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-239-9
1
Sophie si era svegliata con il terribile presentimento che la giornata non sarebbe andata bene. Prima si era schizzata il dentifricio sul davanti del pigiama, poi aveva evitato per un soffio di rovesciare un’intera tazza di caffè sull’abitino snob che con riluttanza stava indossando per il matrimonio della sua amica Diana. D’accordo, non amava i matrimoni - li odiava, in realtà - ma Diana era la sua migliore amica, e dopo un anno tumultuoso in cui la sua volubile relazione con Freddie era proseguita a fasi alterne, il minimo che Sophie poteva fare era comparire e fare da testimone all’evento.
Ma la fortuna sembrava averla proprio dimenticata quel giorno. Aveva già compiuto tre quarti del tragitto in auto per raggiungere l’ufficio, quando c’era stato quell’orribile sibilo scoppiettante del motore, poi un rumore secco, infine... niente, come se alla fine l’auto avesse esalato l’ultimo respiro, raggiungendo la propria fine indecorosa al lato della strada. Sophie non aveva avuto altra alternativa che afferrare il cappotto e iniziare a incamminarsi a piedi. Non c’era nessuno che poteva chiamare in cerca d’aiuto perché - chi l’avrebbe mai detto? - aveva lasciato il cellulare sul tavolo dell’ingresso, insieme alla sua borsa, quando si era precipitata fuori dalla porta. Così non era neanche stata in grado di prendere un taxi.
Mentre si affrettava lungo i marciapiedi grigi di Londra, stringendo cupa il suo ombrello perché aveva piovuto tutta la mattina e stava ancora piovendo, convinta che le cose non potessero andare peggio di così, una lucente Rolls Royce nera le passò accanto prendendo in pieno una pozzanghera e inzuppandola. Raggelata e furente, mentre l’acqua fangosa sgocciolava sul cappotto color fulvo e trasformava le sue costose scarpe in tinta in una versione più scura e sporca del marciapiede, Sophie imprecò ad alta voce. Non una, non due, ma tre volte, in rapida successione, stizzita, dando sfogo con ogni frase alla sua indignazione.
Socchiudendo gli occhi, vide con sorpresa e soddisfazione che il maestoso veicolo aveva rallentato, per poi fermarsi a lato del cordolo. Senza la minima esitazione, si affrettò verso di esso, con il cuore martellante per la rabbia e il respiro teso, e con l’intenzione di far sapere quello che pensava a chiunque vi fosse a bordo. Se Sophie doveva arrivare al matrimonio della sua migliore amica con l’aspetto di chi aveva dormito in un acquitrino sotto il ponte di Waterloo, allora l’occupante di quella dannata Rolls Royce doveva sapere che lei avrebbe pregato perché la stessa cattiva stella perseguitasse anche la sua giornata.
Non dubitò neanche per un attimo che il proprietario dell’auto fosse un uomo. Solo un irresponsabile, insensibile idiota sarebbe deliberatamente passato su una pozzanghera quando poteva chiaramente vederla camminare sul marciapiede nei pressi. Ma quando raggiunse l’auto, scese un autista dai capelli argentati, palesemente mortificato.
«Sono così desolato, signorina. Andavamo di fretta e non ho visto quella maledetta pozzanghera, finché non era già troppo tardi.»
«Be’, anch’io vado di fretta, ma non per questo rovino la giornata di qualcun altro con la mia sbadataggine. Avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione! E ora cosa dovrei fare?» Le dita erano raggelate, strette intorno al manico dell’ombrello, e la pozzanghera che le aveva inzuppato le scarpe le stava trasformando i piedi in due blocchi di ghiaccio: non riusciva a impedire ai propri denti di battere.
«Torna in auto, Louis. Non ho tempo per questo. Siamo già in ritardo.»
Solo al suono di quella voce fredda e autoritaria Sophie lanciò uno sguardo verso il finestrino posteriore dalla parte del passeggero. Scorgendo capelli biondo grano dal taglio accurato e occhi dall’espressione dura, sentì un brivido scorrerle lungo la schiena che non aveva niente a che fare con l’umidità che la stava affliggendo. L’ordine che l’uomo aveva dato all’autista, impartito come se non gli importasse un accidente di quello che era successo a Sophie, le fece ribollire il sangue.
«Come osa?» gridò. «Sono qui zuppa fino al midollo, con il completo rovinato dalla sua stupida auto che ha deciso di attraversare una pozzanghera grande quanto il Tamigi, e tutto ciò a cui sa pensare è se stesso e il suo personale benessere? Be’, spero che oggi sia per lei la peggiore giornata della sua vita! Non ha neanche il fegato di scendere ad affrontarmi, vero? Figuriamoci delle scuse!»
«Signorina... lasci che la aiuti. Sono sicuro che possiamo darle un passaggio dovunque sia diretta. Potremmo...»
Mentre il mortificato autista faceva del suo meglio per riparare all’ignoranza del suo capo, la porta del passeggero all’improvviso si aprì e l’uomo seduto all’interno scese a osservare Sophie con evidente disprezzo. Era molto alto, e già la sua altezza e l’ampiezza delle spalle, sotto l’elegante soprabito nero, avrebbero dovuto intimidirla. Occhi verdi, due smeraldi perfetti, trasparenti e acuti, la studiavano senza la minima emozione. Nessuna.
«Che cosa pretende da me? Non avrebbe dovuto camminare così vicina al cordolo, e indossare quelle ridicole scarpe con questo tempo. Deve biasimare solo se stessa.»
Ridicole scarpe? Lanciando un’occhiata veloce ai sandali color crema, aperti davanti e con tacchi alti, comprati solo per rispetto al matrimonio della sua amica, Sophie scoppiava quasi di rabbia.
«Come osa? Il tipo di calzature che porto non è assolutamente affare suo! Si dà il caso che debba presenziare a un’occasione speciale... Non che anche questo sia affar suo. Dovevo forse prevedere che qualche idiota mi sarebbe passato accanto quasi affogandomi? Ha un bel coraggio, sa?»
«Ripeto... che cosa vuole da me? Vuole che le rimborsi le scarpe o le paghi la lavanderia? Cosa? Si sbrighi a dirmelo così posso riprendere la mia strada. Ho già perso tempo prezioso qui ad ascoltarla urlare come una pescivendola.»
Aveva un accento particolare, si rese conto Sophie. Olandese forse? Comunque fosse, aveva osato definirla pescivendola solo perché si era difesa e non gli aveva permesso semplicemente di risalire in auto e andarsene senza fargli sapere i suoi sentimenti.
Vedendolo estrarre il portafogli e sfilare qualche banconota, quasi sbiancò. «Non voglio il suo maledetto denaro! Non le è passato semplicemente per la testa che sarebbero bastate delle scuse gentili? Mi dispiace per lei, sa? Va in giro sulla sua auto costosa, si nasconde dietro i finestrini fumé, comportandosi come se governasse il mondo! Be’, vada per la sua strada, signor chiunque-lei-sia, e Dio non voglia che arrivi in ritardo al suo prezioso appuntamento!»
Sul punto di girarsi sui tacchi alti, Sophie fu colta di sorpresa nel sentire la mano dell’uomo improvvisamente stretta al proprio polso.
«Se non vuole il mio denaro allora forse un passaggio per la sua destinazione potrebbe essere appropriato. Louis può lasciare prima me, e poi accompagnare lei. Sarebbe sufficiente?»
Sophie liberò la mano con uno strattone e lo fissò con evidente sfida. «In mancanza di scuse un passaggio sarà sufficiente, date le circostanze.» Mordendosi il labbro per bloccare un più educato grazie che minacciava di chiudere il suo breve discorso, Sophie richiuse l’ombrello gocciolante e, dietro invito dell’uomo, precedette il suo riluttante ospite nell’elegante interno dell’auto.
Mentre lui si sistemava il più lontano possibile da lei all’altra estremità del sedile, si morse deliberatamente le labbra e fissò lo sguardo fuori dal finestrino. Forse pensava di prendersi qualcosa di contagioso?
Quando la portiera si richiuse l’uomo esclamò con voce brusca e riluttante: «Può dire a Louis dove deve andare non appena sarò sceso».
Non credendo necessaria una risposta, Sophie diede un’occhiata all’orologio, poi tornò a fissare le strade piovose di Londra. Non poté fare a meno di domandarsi se Diana l’avrebbe mai perdonata di essere arrivata in ritardo al suo matrimonio, e soprattutto in quelle condizioni.
Alcuni minuti dopo, quando la Rolls Royce silenziosamente si fermò di fronte a un edificio a lei familiare, con ampi scalini semicircolari che portavano alle doppie porte d’ingresso, Sophie aggrottò le sopracciglia confusa. Non aveva ancora detto a Louis dove stava andando, quindi com’era possibile che si fosse appena fermato davanti allo stesso ufficio di stato civile dove Diana si sarebbe sposata con Freddie? Quando vide l’adone biondo accanto a lei aprire la portiera, si accigliò di nuovo. «Aspetti un minuto. Io devo scendere qui. Sto andando al matrimonio della mia amica.»
«Sta andando al matrimonio di Diana Fitzwalter?» le chiese lui.
Come lo sapeva? E, più esattamente, come conosceva Diana? Sophie si raggelò, mentre la conclusione più ovvia si faceva lentamente strada nel suo cervello. Era diretto anche lui al matrimonio di Diana?
«Conosce Diana?»
«È la mia assistente personale, quindi è ovvio che la conosca.»
Quell’uomo era dunque Dominic Van Straten? L’imprenditore edile miliardario per cui Diana lavorava? L’uomo che, secondo la sua amica, trovava difficile sorridere anche quando il valore delle sue azioni erano appena andati alle stelle, rendendolo ancora più ricco? Ma perché diamine Diana lo avrebbe invitato quando Sophie e uno degli amici di Freddie avrebbero dovuto essere gli unici testimoni perché la coppia voleva tenere la cosa sottotono?
Persino la sua estroversa e sicura amica aveva ammesso con Sophie che quell’uomo la intimidiva, e che l’unica ragione per cui rimaneva a lavorare per lui era il suo stipendio, molto più alto della media, che le permetteva uno stile di vita molto confortevole.
Sentendo le gambe prive di forza, Sophie scese dall’auto dietro di lui per finire di parlare. «Be’, io sono l’amica di Diana... Sophie.»
Dominic non sorrise. Né si presentò. Le pieghe leggere che incorniciavano la bocca severa rimasero ostinatamente immobili, senza il minimo accenno di un gesto sorpreso o conciliativo. Be’, che cosa si aspettava? L’uomo era caloroso come un taglio di carne appena estratto dal congelatore.
Infilandosi le dita tra le corte ciocche umide dei capelli, Sophie guardò l’orologio, rendendosi conto che erano già in ritardo di cinque minuti per la cerimonia, e sentendosi al momento priva di ogni piacere o speranza di un piacevole pomeriggio. Nell’atrio vennero salutati da una Diana raggiante, ma ansiosa, e dal suo affascinante fidanzato, Freddie Carmichael.
«Sophie! Grazie a Dio! Cosa diamine ti è successo?» Gli occhi di Diana si spalancarono increduli nell’esaminare le macchie scure sul cappotto fulvo di Sophie e il fango sparso sulle calze e le scarpe color crema.
Lanciando un’occhiata veloce al suo opprimente e al momento silenzioso compagno, Sophie scrollò le spalle. «L’auto si è rotta e sono dovuta venire a piedi. Ma te lo racconto dopo. Non è ora di entrare?»
«Infatti. Oh Dio, mi sento nervosa! È un piacere vederti, Dominic. Sono felice che tu sia riuscito a venire con un così breve preavviso. È incredibile che il miglior amico di Freddie abbia preso l’influenza, ma è stato bello da parte tua sostituirlo. Vogliamo entrare? Credo che l’ufficiale ci stia aspettando.»
Per tutta la commovente cerimonia, a Sophie sembrò che Dominic non esprimesse la minima emozione. Neanche un sorriso. Dovette ammettere che la sua presenza la innervosiva tremendamente. Quando entrambi poi dovettero firmare il certificato di matrimonio in qualità