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Il fascino dell'innocenza
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E-book231 pagine3 ore

Il fascino dell'innocenza

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1812 - Claire Davenport, costretta a scappare di casa per sfuggire a un matrimonio indesiderato, giunge nella campagna dello Yorkshire presso amici e subito deve affrontare una situazione imprevista. A soccorrerla è un aitante giovane, la cui aria enigmatica suscita in lei un certo interesse. Anche Mark non può dire di essere rimasto indifferente all'irresistibile combinazione di innocente bellezza e vivace intelligenza della ragazza. Ma l'amore sembra lontano dai suoi pensieri, almeno finché il pericolo non si affaccia con prepotenza nella sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita7 set 2017
ISBN9788858972595
Il fascino dell'innocenza
Autore

Joanna Fulford

Joanna Fulford’s two great passions as a child were horses and writing. Riding developed her love of and respect for the countryside – though it was sometimes seen at much closer quarters than anticipated – and writing allowed exploration of the inner landscape. But teaching was Joanna’s calling for many years, and she only left education to pursue writing full-time when it became a growing compulsion!

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    Anteprima del libro

    Il fascino dell'innocenza - Joanna Fulford

    1

    «Gartside! Si scende per Gartside!»

    La voce del vetturino destò Claire dal suo dormiveglia. Trasalì disorientata, e si accorse che la carrozza si era fermata. Non ricordava niente delle ultime dieci miglia di quel viaggio verso lo Yorkshire e non aveva idea di che ora fosse. Aveva i crampi, come se avesse viaggiato per mesi, anche se in realtà erano trascorsi solo tre giorni. Avrebbe avuto più di una ragione, dunque, per sentirsi sollevata all’idea di scendere da quel trabiccolo.

    «È la vostra fermata, signorina» annunciò il postiglione.

    Claire prese il bagaglio e scese di fronte a una piccola e umile locanda.

    «Potete dirmi quanto dista Helmshaw?» domandò all’uomo. «E quale direzione devo prendere?»

    «Cinque miglia.» Lui indicò un punto alla sua destra. «Da quella parte.»

    Osservando la vettura che si allontanava, Claire si sforzò di deglutire il groppo che le ostruiva la gola: con quel veicolo se ne andava anche ogni legame con la sua vita passata. Strinse la mano sulla borsa che conteneva tutti i suoi averi, quanto era riuscita a portare con sé, a parte i pochi scellini riposti nella reticella. Il resto dei risparmi l’aveva speso per il viaggio, per la carrozza e gli alloggi durante il tragitto. Il suo ultimo pasto era stato una frugale colazione all’alba e si sentiva affamata, ma dopo aver lanciato uno sguardo alla locanda e aver considerato il suo aspetto tetro e ben poco attraente, decise di non entrarvi. Preferì quindi mettersi in cammino, nella direzione che il vetturino le aveva indicato.

    Gartside era un paesino composto da un numero esiguo di case disposte lungo una via e con pochi, piccoli negozi. Fu oggetto delle occhiate curiose dei passanti, ma nessuno le rivolse la parola. Sentendosi a disagio, Claire proseguì, augurandosi di tutto cuore che Helmshaw si rivelasse un luogo più ospitale. Tuttavia aveva ancora cinque miglia da percorrere prima di giungere a casa di Ellen Greystoke, considerò tra sé. Non vedeva la sua istitutrice da sette anni, né c’era stata alcuna corrispondenza tra loro, a parte una lettera indirizzata a sua zia. Sette anni!, rifletté con un sospiro. Miss Ellen si sarebbe ricordata di lei? E l’avrebbe trovata al medesimo indirizzo? Cosa avrebbe fatto, se si fosse trasferita? Claire rabbrividì, rifiutando di contemplare una simile possibilità. Non aveva altro posto dove andare, niente denaro né prospettive di guadagno. Oltretutto, c’era sempre la possibilità che suo zio la rintracciasse.

    Durante gli ultimi tre giorni era stata la sua costante preoccupazione. Ogni volta che una carrozza si era approssimata alla vettura di posta, il cuore le si era stretto nel petto per il timore che potesse essere lui. Non avrebbe esitato a costringerla a tornare. Avrebbe cercato di sottometterla alla propria volontà, con qualunque mezzo.

    Al pensiero di ciò che avrebbe significato, le si rivoltava lo stomaco. Entro poche settimane lei sarebbe diventata la moglie di Lord Mortimer - un corpulento e stempiato baronetto le cui occhiate lascive l’avevano fatta rabbrividire di disgusto - sposata contro il proprio volere a un uomo abbastanza vecchio da sembrare suo padre. Il ricordo di quella proposta era ancora orribilmente vivido nella sua mente. Era stata lasciata deliberatamente sola con lui, quando di solito i suoi zii erano così ligi all’etichetta, e dopo pochi istanti Sir Charles le aveva preso la mano, dichiarando la sua passione ardente. Disgustata da quelle parole e dalle sue mani sudate che la trattenevano, Claire aveva cercato di liberarsi, solo per ritrovarsi intrappolata contro i cuscini del sofà. Ricordava ancora la detestabile sensazione della sua pancia che la schiacciava, aveva ancora nelle narici l’odore dolciastro della sua pomata per capelli e il fetido puzzo del suo fiato quando aveva cercato di baciarla. In qualche modo Claire era riuscita a liberare una mano e l’aveva colpito. Colto alla sprovvista, lui aveva allentato la presa, offrendole l’occasione di fuggire e rendendole chiaro, senza ombra di dubbio, che avrebbe preferito morire piuttosto che sposare un individuo simile. Suo zio non aveva accettato bene quel rifiuto.

    «Stupida ingrata!» l’aveva assalita. «Chi credi di essere? Sei convinta di poter ricevere una seconda offerta, altrettanto vantaggiosa?»

    Le sue proteste non erano valse a nulla.

    «Hai tempo fino a domani per cambiare idea e, parola mia, quando avrò finito con te mi implorerai di sposare Sir Charles, ragazzina.»

    Claire non aveva sottovalutato quella minaccia. Era fin troppo consapevole di ciò di cui lo zio era capace, quindi era scappata di casa quella notte stessa.

    Alcune voci la ridestarono dai suoi pensieri. Arrossì riconoscendo il gruppo di perdigiorno che aveva visto poco prima dalla carrozza. Dai loro abiti arguì che si trattava invece di lavoratori, anche se erano più sporchi e arruffati di quanto si sarebbe aspettata. A disagio mentre si sentiva addosso i loro sguardi, Claire continuò a camminare, determinata a ignorarli, quando uno di loro le bloccò la via. Tentò di aggirarlo, ma lui si spostò, tagliandole ancora la strada. Il giovane doveva avere una ventina d’anni, era più alto di lei di un paio di spanne e aveva una corporatura robusta. Come gli altri, indossava una giacca e un paio di braghe d’un marrone spento. Al collo portava un fazzoletto verde piuttosto sporco. Aveva i capelli chiari e lisci sotto un berretto malconcio, che facevano da cornice a un volto dalla barba incolta, labbra sottili e freddi occhi blu. Quegli occhi la stavano scrutando da capo a piedi, quasi non volessero perdersi neppure un dettaglio della sua persona, dal cappellino al pellicciotto, all’abito di mussola a fiori. Claire aveva scelto quegli indumenti perché erano piuttosto modesti, nel tentativo di evitare di attirare l’attenzione, ma erano comunque di ottima fattura.

    «Potete darci una moneta, signorina?»

    «Mi dispiace, non ho denaro con me.»

    «Giusto uno scellino.»

    «Mi rincresce, non posso davvero.»

    «Mi riesce difficile crederlo!»

    «Credete ciò che volete, dunque.» Claire cercò ancora di superarlo, ma di nuovo lui le si parò davanti.

    «E se dessi un’occhiata?»

    Prima che potesse fermarlo, lui afferrò la reticella. Claire tentò di riprenderla, ma lui la sollevò in aria. I suoi quattro compari, lì attorno, risero di gusto. Benché in preda al panico, Claire capì d’istinto che era meglio non mostrare loro di aver paura. Il ragazzo scosse la borsetta, facendo tintinnare il denaro. I suoi ultimi scellini!

    «Questi a me sembrano soldi» commentò lui strizzando l’occhio agli amici.

    «Restituitemeli.»

    Lui sorrise. «E se non lo facessi?»

    Claire gli scoccò un’occhiata truce. Non aveva corso tutti quei rischi per cadere vittima di un mascalzone! Sentì la rabbia montare dentro di lei e, all’improvviso, lo colpì alla guancia con tutta la forza che possedeva. «Ridammi la borsa, brutto zoticone!»

    Colto di sorpresa, il ragazzo lasciò andare la reticella, mentre i suoi amici trattenevano il fiato nell’attesa della sua reazione. Claire sollevò il mento. «Fuori dai piedi!»

    Lui però si riprese, e l’afferrò per un braccio. «Pagherai per questo, piccola cagna.»

    Claire lo fissò negli occhi. «Lasciatemi!»

    «Visto che non intendete darci neppure uno scellino, vorrà dire che mi prenderò da solo il mio pagamento.» Il giovane si guardò intorno. «Magari ne approfitteremo tutti, che ne dite, ragazzi?» Seguì un mormorio d’approvazione.

    Claire sentì lo stomaco contrarsi per la paura. «Lasciatemi andare!» ripeté.

    Cercò di divincolarsi, ma lui strinse ancor di più la presa. Disperata, gli tirò un calcio. Riuscì a fargli male e lo sentì imprecare, ma fu solo una vittoria temporanea. Nel giro di qualche istante venne trascinata in un vicolo. L’uomo la spinse contro il muro e le si premette contro, la mano che le esplorava il petto, tentando di insinuarsi sotto gli indumenti, il fiato contro il collo. Claire lottò ancora.

    «Sì, avanti, combatti! Mi piace ancora di più.»

    «Smettetela!»

    «Prima ti darò ciò di cui hai bisogno.»

    «Ehi, lascia qualcosa anche a noi, Jed» mormorò uno degli altri.

    «Ce n’è abbastanza per tutti. Aspettate il vostro turno.» Ci furono altre risate, e Claire gridò quando Jed cercò di sollevarle la gonna.

    «Lasciatela all’istante!»

    Udendo quel duro, gelido comando, il gruppo ammutolì. Poi tutti si voltarono verso il nuovo arrivato. Claire sentiva il cuore in gola mentre i suoi occhi cercavano di distinguere nella penombra il suo salvatore. Era più alto di tutti i presenti. Gli abiti che indossava erano simili a quelli dei suoi assalitori, ma le analogie si esaurivano lì. La sua giacca color castagna aveva visto tempi migliori, ma era pulita e in ordine, e rivelava un paio di spalle possenti. Il gilè, i pantaloni e gli stivali delineavano una figura atletica, senza un filo di grasso. I capelli scuri s’intravedevano appena, sotto il berretto. A ogni modo, era il suo volto a catturare l’attenzione, con i lineamenti marcati, il naso leggermente aquilino, gli zigomi ben cesellati e le guance rasate, che esibivano una cicatrice che gli correva sulla parte sinistra fino alla mandibola. Le labbra scolpite erano atteggiate in una linea severa che ben si accordava con l’espressione feroce dei suoi occhi grigi.

    Per un istante regnò il silenzio, poi Claire sentì che la stretta della mano di Jed si allentava. Con il cuore in gola fissò il nuovo arrivato, ma lui aveva lo sguardo rivolto altrove. I suoi occhi di falco erano puntati sull’aggressore.

    Jed sbuffò. «Non sono affari tuoi, Eden.»

    «Adesso lo sono, Stone.» La voce possedeva lo stesso accento dello Yorkshire degli altri, ma l’inflessione era d’acciaio.

    «Ci stavamo solo divertendo un po’, tutto qui.»

    «La signora non sembra condividere la vostra idea di divertimento.»

    «E a te cosa importa?»

    La risposta fu un grosso pugno che colpì Stone alla mandibola. L’impatto gli fece perdere l’equilibrio e finire nel fango del vicolo. Prima che riuscisse a riprendersi, uno dei compari di Jed cercò di colpire a sua volta Eden con un calcio. Lui gli bloccò la gamba tra le ginocchia e gli mollò un pugno nello stomaco che lo fece piegare dal dolore. Prima che potesse attaccarlo, Eden colpì con un pugno anche il terzo, facendolo finire nel fango accanto a Stone. Nel vedere che fine avevano fatto i loro compari, gli altri due si tirarono in disparte. Eden scoccò loro uno sguardo carico di rabbia, poi si avvicinò a Claire.

    «Siete ferita, signorina?»

    «No... io... io sto bene» gli assicurò lei, sperando che la voce non le tremasse troppo.

    «Bene. Allora lasciate che vi scorti sulla vostra strada.» L’uomo gettò uno sguardo agli altri, come per sfidarli a fare un passo, ma nessuno si mosse. Notando la reticella a terra, Eden la raccolse. In quel mentre, Stone si rialzò, massaggiandosi la mandibola, il sangue che gli colava dal labbro.

    «Avrai quello che ti meriti, Eden. Te lo giuro!»

    Gli occhi grigi dell’uomo si fecero ancora più duri. «Non vedo l’ora, Stone.»

    Poi, prendendo con delicata fermezza il gomito di Claire, la trasse via da quella scena.

    Per alcuni minuti camminarono in silenzio, e lei gliene fu grata perché in quel modo poté riguadagnare il proprio autocontrollo. Tremava da capo a piedi per la consapevolezza del pericolo cui era appena scampata. In più, era terribilmente imbarazzata per essere stata colta in una situazione simile. Le fanciulle rispettabili non viaggiavano senza chaperon, e non si sarebbero mai trovate in circostanze simili, alla mercé di bruti come quelli. Si sentì avvampare. Chissà che opinione si era fatta di lei quello sconosciuto?

    Scoccò un’occhiata al suo salvatore, ma il bel volto dell’uomo non tradiva alcuna emozione. Né si era azzardato a farle un commento di qualsiasi tipo. Continuarono a camminare in silenzio finché non furono lontani dalla locanda. Claire continuava a sentire la sua mano calda appena sotto il gomito. Era piacevole, ma allo stesso tempo la metteva a disagio. La vicinanza con quell’uomo non era un pericolo, rifletté. Anzi, era sua debitrice. Lo guardò di nuovo.

    «Grazie, signore. Vi sarò grata per sempre per ciò che avete appena fatto.»

    I suoi occhi grigi indugiarono su di lei. «Non ho compiuto altro che il mio dovere, signora.»

    Claire lo fissò sorpresa: l’accento dello Yorkshire era scomparso per lasciare spazio alla dizione modulata che rivelava la sua appartenenza a una classe sociale ben superiore a quella che i suoi abiti suggerivano.

    «Chi erano quegli uomini?»

    Eden scosse il capo. «Nient’altro che feccia. Non vi daranno più fastidio.» Si fermò. «Posso chiedervi dove siete diretta?»

    «A Helmshaw.»

    «Un bel pezzo di strada, da qui.»

    «È vero, ma la carrozza pubblica non ci arriva.»

    «Eravate sul postale?»

    «Sì.»

    «Da sola?»

    Claire si sentì avvampare. «Come vedete.»

    «La vostra famiglia vive a Helmshaw, forse?»

    «No, mi sto recando in visita a un’amica.»

    «Che a quanto pare non vi sta aspettando» arguì lui riprendendo a camminare. «Oppure vi sareste date appuntamento alla fermata.»

    Non sapendo cosa dire, Claire rimase in silenzio. Qualche minuto più tardi raggiunsero un bivio. Lui si fermò e si girò a guardarla.

    «Laggiù c’è la strada che porta a Helmshaw. Vi accompagnerei, ma ho affari importanti che richiedono la mia presenza qui. Comunque, non credo che incontrerete altri problemi.»

    Lei si sforzò di offrirgli un sorriso tremulo. «Ne sono certa. Siete stato molto gentile, signore.»

    «Non è stato niente, Miss...»

    «Claire Davenport.»

    Lui le strinse la mano che gli offriva e le fece un inchino. Per un breve istante, Claire sentì il calore del suo tocco attraverso il guanto.

    «Addio, Miss Davenport.»

    «Addio, Mr. Eden. E grazie ancora.»

    Lui le passò la borsa, poi si toccò la punta del cappello con una mano e si voltò. Avvertendo un’ingiustificata sensazione di rimpianto, Claire rimase a osservare l’alta figura che si allontanava. Con ogni probabilità non si sarebbero mai più incontrati, ma sapeva che non l’avrebbe dimenticato.

    Come il suo salvatore aveva previsto, Claire non ebbe altri problemi durante il tragitto, eccetto il tonante temporale estivo che iniziò una mezz’ora più tardi. La strada non le offriva alcun riparo, e nel giro di pochi minuti si ritrovò bagnata fino al midollo. Fu con un certo sollievo che intravide le prime case del villaggio. Chiese informazioni, e le indicarono un’abitazione di pietra grigia, circondata da un grazioso giardino. Claire si fermò al cancelletto, lo stomaco sottosopra per l’apprensione. Inalò a fondo e s’incamminò per il sentiero, quindi tirò la corda della campanella. Le venne ad aprire una cameriera, la quale, nel vedere le condizioni di Claire, ormai bagnata fradicia, la informò: «Il dottore non è in casa».

    Rabbrividendo, Claire rimase immobile. «È Miss Greystoke che sto cercando, non il dottore.»

    «Chi è, Eliza?»

    Il cuore di Claire sobbalzò. La donna che aveva proferito quelle parole indossava un abito elegante color lavanda. Era diversa da come la ricordava, eppure tutto in lei era familiare, dai capelli castano chiaro agli occhi blu, che la stavano scrutando con apprensione.

    «Claire?» domandò stupita. «Oh, mia cara, sei proprio tu!» Un sorriso si dipinse sul volto della donna.

    «Miss Greystoke...»

    «Che magnifica sorpresa! Ma perché resti qui sulla porta? Vieni dentro, ti prego.»

    Fin troppo felice per quell’accoglienza, Claire entrò e si ritrovò tra le braccia di Ellen Greystoke, sentendosi al sicuro per la prima volta dopo diversi giorni. «Signore del cielo, sei gelata! Dobbiamo farti togliere subito questi vestiti bagnati. Poi prenderemo il tè, così mi racconterai tutto.»

    Claire venne scortata al piano di sopra, in un’accogliente camera da letto, dove le vennero forniti acqua calda e asciugamani, quindi fu lasciata sola. Tremando, si tolse il cappellino e gli abiti infradiciati. Era un piacere liberarsi di quegli indumenti e potersi lavare i capelli. Dopo averlo fatto, indossò un vestito pulito. Era uno dei due che era riuscita a portare con sé. Senza pensarci, toccò il medaglione che portava appeso al collo. Era il solo gioiello che possedeva, l’unico legame che ancora aveva con i suoi genitori. Da sua madre aveva ereditato i riccioli castani, gli occhi nocciola e i delicati lineamenti del viso. Anche suo padre era stato scuro di capelli e di bell’aspetto. Non era difficile capire perché i suoi genitori fossero stati attratti l’uno dall’altra, o perché Henry Davenport avesse disobbedito alla sua famiglia per sposare una giovane la cui dote ammontava a poche centinaia di sterline.

    La bontà non era una merce che si potesse monetizzare, rifletté. Nonostante tutto, il loro matrimonio era stato felice. Claire aveva splendidi ricordi dei suoi primi anni di vita, le giornate erano state piene di sole e di risate, e i suoi genitori l’avevano molto amata. In quel momento quel periodo della sua esistenza le apparve irreale, quasi un sogno.

    Un’epidemia di tifo aveva messo fine a tale felicità. Il primo ad ammalarsi era stato il padre, seguito subito dalla moglie, e la febbre se li era portati via a distanza di tre giorni l’uno dall’altra.

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