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Complice il destino: Harmony Collezione
Complice il destino: Harmony Collezione
Complice il destino: Harmony Collezione
E-book156 pagine2 ore

Complice il destino: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Cinque anni. Tanto è passato dall'ultima volta in cui Hope Sanderson, commessa dal corpo mozzafiato, ha visto Keir Carmichael, giovane e affascinante banchiere. Dire addio al suo primo, vero amore non era stato certo facile. Ma adesso lui è rientrato, quasi per caso, nella sua vita, varcando la soglia della gioielleria in cui lavora. E proprio nel giorno del suo ventitreesimo compleanno. Felice per questo inatteso regalo, Hope è decisa a giocarsi al meglio le sue chances. Anche se...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2016
ISBN9788858947173
Complice il destino: Harmony Collezione
Autore

Robyn Donald

Robyn Donald è nata sull'Isola del Nord, in Nuova Zelanda, dove tuttora risiede. Per lei scrivere romanzi è un po' come il giardinaggio: dai "semi" delle idee, dei sogni, della fantasia scaturiscono emozioni, personaggi e ambienti.

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    Anteprima del libro

    Complice il destino - Robyn Donald

    pezzi.

    1

    Keir Carmichael?

    «Grazie, signora.» Hope attese finché la cliente ebbe firmato la ricevuta della carta di credito prima di alzare gli occhi ambrati per sbirciare furtivamente la porta, dove l'uomo stava aspettando, se si può dire aspettare, quando la sua impazienza raggelava l'intero negozio.

    Era Keir Carmichael.

    Sbattendo le palpebre, Hope riportò l'attenzione al bancone, ma non poté fare a meno di rivolgergli un'altra occhiata, notando la sua espressione corrucciata davanti a una collana la cui totale assenza di gusto era pari soltanto alla bruttezza.

    All'esterno, sotto il caldo sole australiano, i vacanzieri schiamazzavano, salutavano, e ridevano: una colonna sonora a dir poco ironica per il panico che le si era insediato nello stomaco. Nonostante l'abito di sartoria, in Keir non c'era nulla di elegantemente rifinito. Un metro e novanta di mascolinità, con spalle ampie, gambe lunghe e fianchi snelli, che proiettava intorno a sé un'aura di assoluto dominio.

    «Ecco qui.» L'accento aristocratico della cliente non nascondeva la sua impazienza.

    «Grazie.» Forzando le parole attraverso la gola serrata, Hope restituì la carta che fu subito inserita in un costoso portafoglio di pelle e quindi in una borsa di Prada. Niente anello, notò Hope senza volere.

    La donna ricambiò il sorriso di Hope, prese il pacchetto e si avviò verso la porta.

    «Visto?» esordì quando ebbe raggiunto Keir, con voce sufficientemente alta affinché Hope la sentisse. «Non c'è voluto molto, no?»

    L'uomo che l'aveva aspettata le rivolse un'occhiata gelida. Hope tentò di controllare la propria smorfia, ma lui parve percepirla, perché sollevò il viso di scatto e la fissò per un breve attimo.

    Fu come essere passata ai raggi X.

    Anche se Keir Carmichael era scuro, capelli neri e pelle olivastra, il suo sguardo era dello stesso grigio incolore del gelo in un'alba di pioggia; la percorse con una dolorosa indifferenza che la ferì fin nelle ossa.

    Non l'aveva riconosciuta. Invece che sollevata si sentì a pezzi, scavata dalla tensione e da un'amara, cocente delusione.

    Quando se ne furono andati, la donna aggrappata al suo braccio, Hope rilasciò il respiro che aveva trattenuto. Non devi più scappare da lui, si disse mentre riponeva le stupende spille, ciascuna delle quali costava più di quanto avrebbe guadagnato in un mese, nel tentativo di calmare i propri nervi. Fissò lo sguardo sul koala d'oro con brillanti per occhi, poi sul fiore selvatico guarnito di zaffiri di Queensland: frivoli oggetti costosi che un ricco poteva regalare alla propria signora, o moglie, come souvenir.

    Keir Carmichael era comparso proprio la mattina del suo ventitreesimo compleanno: che brutti scherzi riesce a volte a giocare, il destino! Eppure, con sua profonda umiliazione, Hope era lieta di avere indossato per l'inaspettata occasione una camicetta di seta color crema che metteva in risalto la sua pelle, e una gonna nera sufficientemente corta per rivelare due gambe perfette.

    «Ehm... signorina?» Le si accostò un giovanotto, leggermente sudato, con un sorriso esitante, i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Chiaramente a disagio, si rilassò un po' solo quando Hope lo accolse con un caldo sorriso. «Quella collana in vetrina... le false perle... quanto costa?»

    «Non sono false» lo corresse con gentilezza. «Temo proprio che siano vere.» Gli comunicò il prezzo.

    Il giovanotto fece una smorfia. «Fuori della mia portata» borbottò. «Grazie.»

    In strada, davanti alla vetrina, una ragazza stava osservando la stessa collana con occhi deliziati appena nascosti dai folti capelli.

    «Pensa che la sua amica vorrebbe provarla?» gli domandò Hope seguendo l'impulso.

    «Non posso permettermela» considerò però il giovanotto, allontanandosi.

    Hope allargò ancor più il suo sorriso. «E allora? I bei ricordi non costano niente.»

    Lo sguardo del ragazzo non nascose lo stupore e con un veloce cenno del capo si precipitò fuori nel sole abbacinante. Quando vide il viso della ragazza illuminarsi, Hope provò una piccola fitta al petto. Era mai stata tanto giovane? No, nemmeno da bambina.

    Chloe, l'altra commessa, si avvicinò di un passo. «Quei ragazzi non possono permettersi nemmeno la polvere di questo negozio» valutò a bassa voce.

    «Ma ricorderà per sempre che aspetto aveva con quella collana.» Hope prese la chiave della vetrina da sotto il bancone. «E magari un giorno potrebbe diventare la moglie di un miliardario e compiere un pellegrinaggio sentimentale per venire qui a fare acquisti.»

    «Non sarà facile, finché va in giro coi surfisti» rispose Chloe con acido pessimismo.

    I due giovani entrarono nel negozio e Hope aprì la vetrina. Ma quando si voltò con quelle splendide perle tra le mani incontrò lo sguardo gelido dell'uomo che pochi istanti prima l'aveva ignorata.

    Tuttavia, la totale indifferenza era stata rimpiazzata da uno sguardo indagatore.

    Il terrore che l'assalì era soverchiante, stupido e immotivato, poiché non era più l'ingenua e romantica adolescente che stava affogando nei travagli del primo amore.

    Si incollò alle labbra un sorriso e, ignorando il martellare del proprio cuore, posò la collana su un panno di velluto nero. «Si chiamano Blue Broome, perché vengono da Broome, nell'Australia occidentale, e hanno dei riflessi vagamente azzurrati. Vediamo come ti stanno.»

    Cinque interminabili minuti più tardi, dopo che la ragazza si fu ammirata nello specchio con un'espressione solenne e allo stesso tempo incredula, i due sorrisero e ringraziarono con calore. Poi, ridendo, si presero per mano e se ne andarono, liberi, giovani, innamorati... invidiabili.

    «Puoi portare qui quelle perle, per favore?» L'improvvisa richiesta di Chloe la costrinse a voltarsi.

    Irrigidita, con l'espressione controllata, eseguì l'ordine sotto gli occhi imperscrutabili di Keir, che non tradivano alcun segno di riconoscimento.

    «Il signor Carmichael vorrebbe dare un'occhiata alla collana» la informò passando lo sguardo dall'uno all'altra. «Potresti mostrargliela tu, per cortesia?»

    Con movimenti studiati Hope la posò sul bancone. «Sono un assortimento ideale» prese a recitare. «Ci sono voluti più di dieci anni per trovare tutte...»

    «Mi piacerebbe vederle indossate» la interruppe Keir.

    Quattro anni prima aveva ventisei anni ed era perfettamente consapevole dell'impatto della propria voce profonda e strutturata, con una sicurezza enfatizzata da una punta di sensualità che lo caricava di un senso di pericolo, come l'occhiata di un lupo in una landa artica. Ora quella potente carica virile era supportata da un'autorità intensa quanto una tempesta, da una crudeltà che lo rendeva temuto e rispettato.

    «Provale» insistette con tono perentorio, gettando un'occhiata di ghiaccio a Chloe che si allontanò con discrezione.

    Tutto in lei si ribellò con furia all'ordine e per un attimo considerò l'idea di gettargli la collana addosso e suggerirgli di provarla lui stesso, ma fortunatamente il buonsenso ebbe la meglio, ricordandole un episodio accaduto quando aveva tre anni. Si era arrampicata su una sedia della cucina e aveva aperto la porta del frigorifero per spiare nelle sue proibite profondità; scopertala, il padre le aveva schiacciato la manina contro la parete gelata, tenendola ferma finché il ghiaccio non le aveva bruciato la pelle.

    Ora si trovava imprigionata dallo stesso senso di impotenza e smarrimento. Con la gola secca, vergognandosi come se le fosse stato ordinato di spogliarsi, afferrò la collana con mani tremanti e la passò sopra la testa. Il respiro le si bloccò nei polmoni quando incontrò i suoi occhi fissi in un'espressione indecifrabile.

    «Sono della sfumatura sbagliata» considerò quindi Keir con tono indifferente. «Con quella pelle e quei capelli hai bisogno di perle che abbiano una tonalità calda.»

    Un ardore sensuale, residuo del tempo in cui la minima occhiata da parte di quell'uomo le mandava in subbuglio l'intero sistema nervoso, lottò con l'ira e l'orgoglio. Riadagiò le perle sul velluto. «Deve provarle la donna per cui intende acquistarle» puntualizzò secca.

    «Grazie...» rispose, e aggiunse: «Hope».

    Il suo cuore piombò a terra. Dopo un attimo di shock, sollevò gli occhi cercando un po' d'ironia, trovando invece una calma impassibile. «Sei sempre stato bravo a fare i giochetti, Keir, ma qual è lo scopo di questo?»

    «Hai finto di non riconoscermi.» Attese con devastante cortesia, mentre lei scartava risposte insensate. Dopo un lungo momento che si trasformò in imbarazzo, riprese: «Quindi chi è che stava giocando, Hope?».

    Colta alla sprovvista, nascose nervosa le mani sotto il bancone. «Pensavo non volessi essere riconosciuto» si giustificò, sperando di suonare educata e credibile. «Potresti essere in vacanza... privatamente.»

    La bocca di lui si arcuò in un sorriso equivoco ed enigmatico. «Puoi fare di meglio. Perché dovrei non voler essere riconosciuto da una bella donna?»

    Hope mandò disperati SOS telepatici all'altra commessa, ma Chloe proseguì con studiato distacco nel riporre i collier d'oro.

    In contrasto con l'attività e il movimento per la strada, nel negozio regnava una calma irreale. Tutto ciò che Hope sentiva era il pulsare del proprio sangue nelle vene e l'avvertimento della propria coscienza a scappare il più in fretta possibile da quella situazione.

    «Sei cambiata» considerò Keir. «Quella bellezza adolescenziale e innocente si è trasformata in una bellezza solare. I tuoi capelli hanno i riflessi dorati del miele di manuka, quasi lo stesso colore dei tuoi occhi.» La scrutò con ostentazione, senza nascondere un puro apprezzamento maschile, e il corpo di Hope, umiliandola, rispose al richiamo.

    «Anche tu sei cambiato» tagliò corto.

    Il suo sorriso rimase intonso. «Quattro anni fa eri carina, Hope, ma ora sei splendida. Persino la tua pelle sembra seta colore miele pallido. Sarà il sole australiano... o è un uomo?»

    La domanda, posta senza alcun accento, si insinuò tanto subdola nelle sue difese che rispose senza pensare. «No.» Nessun uomo, mai. In qualche modo Keir aveva annullato la sua attrazione verso l'altro sesso, tanto che si irrigidiva non appena un uomo la sfiorava. Forse perché era stata tanto giovane quando si era innamorata, o forse perché quell'amore era stato crudelmente tradito.

    «Hai intenzione di fermarti a vivere a Noosa per sempre?»

    «Finché avrò questo lavoro.» Il tono freddo, quasi divertito, era riuscito a nascondere le sue emozioni? «Suppongo tu sia in vacanza.»

    «Per una settimana. Dobbiamo vederci e aggiornarci sugli ultimi quattro anni.» Occhi come il ghiaccio la analizzarono con la diretta concentrazione di un tagliatore di diamanti che si appresta a operare su una pietra da un milione di dollari.

    Hope si sentì mancare. Perché non aveva scelto di lavorare in un bar affollato? Il silenzio del negozio la stava uccidendo, ed era una preda troppo facile.

    Keir Carmichael avrà anche avuto una carica sensuale che era ancora in grado di intontirla, ma era un traditore che le aveva deliberatamente distrutto la vita.

    «Non penso che sia una buona idea» rispose con un sorriso.

    «Perché?»

    «Perché non abbiamo niente in comune. Non l'abbiamo mai avuto.» Eccetto l'azienda del padre.

    «Non la pensavi così, quattro anni fa» considerò Keir abbassando le ciglia fin quasi a nascondere gli occhi.

    Nelle orecchie le risuonarono le parole che gli aveva sentito dire a

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