Magia parigina con il capo: Harmony Jolly
Di Susan Meier
5/5
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Info su questo ebook
Quando Jake McCallan scopre che Avery Novak - la donna con cui ha passato momenti di vera passione - è incinta, è più che mai deciso a far parte della vita sua e del suo bambino. Ma non è facile per una persona come Avery, indipendente e con una difficile storia alle spalle, dare fiducia a uno degli uomini più ricchi e impegnati di New York.
Un viaggio a Parigi li trasporta in una dimensione parallela, dove il progetto di una vita insieme appare a entrambi come la cosa più naturale al mondo, ma al ritorno niente sembra più così scontato. Il segreto è fare in modo che la magia parigina torni a prendere il sopravvento sulla quotidianità newyorkese.
Susan Meier
Americana dell'Iowa, riesce a conciliare i suoi interessi con la famiglia e l'attività di scrittrice.
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Magia parigina con il capo - Susan Meier
successivo.
1
Jacob McCallan raggiunse a grandi falcate il silenzioso atrio d'ingresso della Waters, Waters & Mont-gomery – lo studio legale che seguiva la sua famiglia – con Pete Waters, l'alto e dinoccolato socio più anziano.
«Allora, come sta tua madre?»
Jake guardò Pete, non sorpreso dalla domanda. Il padre era mancato cinque mesi prima e tutti si preoccupavano di sua madre. «Sta cercando di riprendersi. Alcuni giorni sono meglio di altri.»
«Gira voce che ha tenuto l'ultima riunione del consiglio di amministrazione.»
Jake fece una smorfia. Nessuno avrebbe dovuto saperlo, ma Pete aveva fonti ovunque. Jake scelse le parole con cautela. «Ha provato.»
«Provato?»
«È arrivata in riunione dicendo che non era pronta a essere messa da parte e che avrebbe assunto il ruolo di mio padre come vicepresidente del consiglio di amministrazione. L'ho portata fuori dalla stanza e, in privato, le ho spiegato che lo statuto societario nomina l'amministratore delegato come vicepresidente.»
«Tu.»
Annuì. «Io. Le ho detto che se fossimo andati contro il regolamento, avremmo rischiato di essere citati in giudizio dagli azionisti.»
«E lei come l'ha presa?»
«Era un po' confusa. Ci è rimasta male. Penso che fosse convinta che assumere il ruolo di vicepresidente le avrebbe dato qualcosa da fare adesso che mio padre non c'è più.»
Pete prese un lungo, lento respiro e lo emise in uno sbuffo. «Dev'essere difficile per lei.»
Le impalcature degli imbianchini ingombravano la parte finale del corridoio privato dell'ufficio di Pete. Lui indicò a destra. «Facciamo il giro lungo.»
Il giro lungo li costrinse a passare davanti alle scrivanie degli impiegati, intenti a battere in modo frenetico sulle tastiere dei computer o con la cornetta del telefono attaccata all'orecchio, e a costeggiare l'archivio. Una parete a vetri rivelò pile di documenti – più sottili adesso che molte pratiche erano state salvate nei computer – e cinque macchine fotocopiatrici.
Jake corrugò la fronte e rallentò il passo. Ma quella di fronte a una delle fotocopiatrici non era Avery Novak?
La ragazza rossa era di spalle. Ma un uomo non può dimenticare dei capelli del genere, soprattutto se gli sfiorano il petto durante l'amore.
Si impose di continuare a camminare. Qualche mese prima, lui e Avery avevano iniziato una relazione, che lei aveva interrotto dopo tre settimane. Erano stati come dinamite a letto. Ma fuori dalle lenzuola? Non avrebbero fatto altro che discutere di politiche e principi aziendali se Jake avesse abboccato alle sue provocazioni. Quella donna era incredibilmente testarda e disprezzava le persone ricche.
Non importa quanto l'attrazione tra loro fosse stata esplosiva. Quando aveva pensato al futuro, aveva visto se stesso nel consiglio di amministrazione con accanto un'Avery sempre pronta a criticare il suo stile di vita privilegiato e, in generale, a comportarsi come se lui fosse Maria Antonietta e lei una contadinotta piena di problemi. Molto meglio che fosse finita. Il suo unico rimpianto era non essere stato lui a interrompere il loro rapporto.
Jake e Pete erano quasi alla fine della lunga parete a vetri, quando lei si girò. Non appena li vide, spalancò i suoi grandi occhi verdi. Aprì la bocca e si affrettò ad abbassare il documento sul suo addome. Ma era troppo tardi. Jake aveva visto il suo ventre.
E che ventre!
Doveva essere almeno al quinto mese di gravidanza. Forse al sesto. E loro non si erano frequentati proprio cinque o sei mesi prima, a febbraio?
Fece un rapido calcolo.
Poteva essere il suo bambino. Suo figlio.
Jake guardò di nuovo Avery. La sua figura non era cambiata molto. Anzi, era più bella, più femminile. La ricordò sexy e ricoperta di schiuma nella doccia, la visione dell'appena scoperta rotondità del suo addome, gli scatenò un'emozione selvaggia. La realtà che in quel pancione potesse esserci suo figlio lo investì come un autoarticolato, scatenandogli una sensazione di panico. Suo padre era stato un pessimo genitore e lui non aveva idea di come sarebbe dovuto essere un buon padre. Come avrebbe dovuto comportarsi...
Cosa stava pensando? Non poteva essere suo figlio. Avery gliel'avrebbe detto, no?
Lui e Pete finalmente superarono la stanza dell'archivio. Pete stava ancora parlando della madre di Jake. «Capisco che il suo stato emotivo sia vacillante, ma tu devi impedire il suo coinvolgimento nell'attività dell'azienda.»
«Veramente, sto pensando di affidarle un incarico.»
«Cosa?» Pete si fermò.
E anche Jake smise di camminare. «Ha perso il marito.» Un movimento nella stanza dell'archivio attirò la sua attenzione e lui sollevò lo sguardo in tempo per vedere Avery allontanarsi di corsa. Gli si chiuse la gola. Un nodo gli contrasse lo stomaco. Perché scappare via da lui se quello non era suo figlio?
Per imbarazzo?
Forse. Doveva essere questo.
Magari aveva paura di essere giudicata perché aveva trovato un altro uomo ed era rimasta incinta subito dopo avere chiuso con lui. Perché quello non poteva essere suo figlio... Altrimenti glielo avrebbe detto.
Jake si posizionò di fronte a Pete. «Mia madre sta soffrendo. Sta cercando un motivo per andare avanti nella vita. Voler diventare il vicepresidente del consiglio di amministrazione dimostra il suo desiderio di fare qualcosa. Perché non affidarle un incarico?»
«Perché è stata un'esponente decorativa dell'alta società per quarant'anni e non ha le capacità per fare altro.» Pete sospirò. «Jake, permetterle di lavorare qui renderebbe solo la tua vita difficile. Ci sono modi migliori per aiutarla a gestire il dolore che averla tra i piedi.»
«Non sono d'accordo. Forse lei ha delle capacità che non conosciamo. O forse non vuole nemmeno un lavoro. Almeno se glielo chiedo, si sentirà considerata.»
«Penso che te ne pentirai.»
«Forse. Ma devo farlo comunque. Oggi partirà per una settimana a Parigi. Pensavo che se prima del volo le offrissi qualcosa da fare, si tirerebbe su di morale. Così le sue amiche riusciranno a tirarla fuori dalla depressione più facilmente.»
«Sei sicuro che partirà?»
«Lei e le sue amiche trascorrono la prima settimana di settembre a Parigi da decenni.» Indirizzò un breve sguardo alle sue spalle, ma Avery era sparita. «Sono certo che sente la necessità di stare in compagnia e partire. E poi, si svolgerà un ballo di beneficenza nel weekend al quale parteciperò anch'io quest'anno. Non si perderà la mia prima volta lì e la possibilità di presentarmi alle sue amiche.»
«E se la tua offerta di lavoro la colpisse così tanto da rinunciare all'evento?»
«Una condizione per venire a lavorare con noi sarà concedersi prima la settimana a Parigi.»
Pete scrollò le spalle come se accettasse a malincuore la decisione di Jake.
Raggiunsero l'ufficio di Pete, e Jake diede un'ultima occhiata dietro di sé. Ancora niente Avery, ma gli si strinse ugualmente il petto.
Mentre Pete continuava a fare discorsi noiosi su come soddisfare le richieste nel testamento di suo padre, Jake realizzò tre cose. Numero uno, Avery era abbastanza indipendente da avere il diritto di non dirgli del bambino. Numero due, se quel bambino era davvero il suo, lui era nei guai. Non aveva idea di come essere un genitore e avrebbe avuto bisogno di tutto il tempo che aveva a disposizione per imparare a esserlo prima della nascita. Il che significava, numero tre, che avrebbe dovuto affrontare lei.
Quel giorno stesso.
Avery non tornò a casa prima delle nove quella sera. Gli impiegati di uno studio legale svolgevano non solo il lavoro d'ufficio: per fare carriera si offrivano di smaltire la mole di incarichi lasciati in giro dagli altri. Prima di restare incinta, lottava per avere degli impegni extra. Partecipava a tutte le riunioni a cui le fosse consentito, e s'impegnava a essere parte di ogni caso importante. Aveva un programma, dei grandi obiettivi e si era concessa un periodo di cinque anni per acquisire l'esperienza necessaria per avviare il suo studio legale una volta tornata a casa, in Pennsylvania. S'infilava ovunque le fosse possibile.
Poi aveva iniziato a frequentare Jake.
Era stato uno sbaglio. Lo aveva saputo fin dal primo giorno. Il padre di Avery era finito in prigione per un reato che non aveva commesso, e perché il suo datore di lavoro ricco sfondato aveva usato denaro e influenza per calpestare il sistema giudiziario. E il padre non aveva potuto permettersi un'assistenza legale per combatterlo. Era stato questo il motivo per cui lei era diventata avvocato, per imparare a essere la miglior portavoce di quelle persone che non potevano pagare cinquecento dollari per un'ora di difesa da reati che non avevano commesso. Non poteva frequentare un uomo che faceva parte della stessa classe sociale di quello che aveva mandato suo padre in carcere.
Non importava quanto fosse sexy Jake, lui aveva una vita privilegiata. Viaggiare in limousine, prendere l'elicottero privato per raggiungere il Maine e mangiare aragosta, dormire in un attico controllato dalle guardie di sicurezza... tutto questo le ricordava che le persone come Jack ignoravano cosa fossero la vita reale, le sofferenze, le lotte... la normalità.
Non voleva che il suo bambino – o bambina – si sentisse smarrito, sballottato tra autisti, domestiche e tate. Non voleva che crescesse pensando che i soldi ti davano il diritto di sentirti superiore agli altri.
Non voleva nemmeno rischiare delle conseguenze se Jake avesse scoperto che suo padre era un ex detenuto. Avrebbe potuto chiederle di restare a New York, o anche pretendere la custodia del bambino. E allora lei non avrebbe potuto proteggere suo figlio dalla follia della vita dei McCallan.
Così, aveva preso la decisione di tacere a Jake che era incinta. E subito aveva provato una sensazione di sollievo, mista alla gioia di diventare mamma. Con Jake fuori scena, Avery era pronta a diventare un genitore. Certo, questo aveva cambiato i suoi progetti. Sarebbe ritornata in Pennsylvania due anni prima di quanto avesse programmato, senza la sufficiente esperienza, ma si sarebbe adattata. Desiderava quel figlio abbastanza da stravolgere la sua vita in qualunque modo si rendesse necessario.
Scalciò dai piedi le scarpe che di solito usava in ufficio, gettò la sua ventiquattrore su una sedia e si diresse in camera.
Qualcuno suonò alla porta.
Chiuse gli occhi e imprecò. «Dannazione.»
Avrebbe potuto ignorare il trillo, ma le venne il sospetto che potesse trattarsi di Jake McCallan, che era stato seduto in una limousine sulla strada di fronte casa sua, ad aspettare che rientrasse. L'aveva vista quella mattina. Aveva notato il suo pancione. Aveva di sicuro fatto i calcoli, arrivando alla conclusione più ovvia.
Il campanello suonò di nuovo.
Avery andò alla porta, allontanando le sue paure. Gli imprevisti facevano parte della vita di ogni avvocato, e lei era pronta ad affrontarli. La sua prima scelta poteva essere stata quella di non dirgli della gravidanza, ma questo non significava che lei non avesse già stilato un piano di riserva, un piano B. Jake era uno snob superpreciso e organizzato, e lei era sicura che non avrebbe voluto nel suo mondo un bambino piagnucolone che sporcava centinaia di pannolini. Tutto quello che doveva fare era ricordargli che un figlio avrebbe stravolto la sua vita perfetta e ordinata, così si sarebbe tirato indietro.
Chiedendosi come un uomo tanto serio e rigido potesse essere così bravo a letto, raggiunse la porta e l'aprì.
«Jake. Che piacere vederti.»
Era un piacere lui. Aveva i capelli neri, corti, tagliati alla perfezione, ma delle ciocche ricadevano disordinate, rendendolo sexy e interessante. I suoi occhi blu, sempre così seri, le facevano venire voglia di sparare battute sciocche a raffica pur di farlo ridere. E il suo fisico era un capolavoro. Allenarsi tre volte a settimana lo faceva sembrare un dio greco. E il sesso? Spettacolare. Solo il pensarci le rese le ginocchia molli e le tolse il fiato.
Jake indicò la sua pancia. «È mio figlio, vero?»
Avery spalancò la porta, invitandolo a entrare. «Ciao anche a te. Non c'è niente di meglio che fare due chiacchiere per scaldare l'atmosfera.»
Lui restò immobile. «È inutile perdersi in giri di parole. Non abbiamo niente da dirci. Voglio sapere se intendi negare che quello che