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Scacco matto a sua maestà: Harmony Destiny
Scacco matto a sua maestà: Harmony Destiny
Scacco matto a sua maestà: Harmony Destiny
E-book162 pagine2 ore

Scacco matto a sua maestà: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

È meglio avere ogni notte una donna diversa a disposizione o dedicarsi al vero amore? Vasco Montoya, sovrano di calda stirpe spagnola, non esiterebbe un attimo a incendiare trono e blasoni se questo significasse incontrare una donna per cui valga la pena lottare. Nonostante la sua carriera di incallito playboy, la sua ricerca in tal senso si è sempre rivelata vana. Fino a quando, per uno scherzo del destino, non è costretto a invitare - o meglio, rapire - la dolce Stella Greco. Malgrado il suo aspetto innocuo, però, anche lei ha delle ottime pedine da giocare e conosce più di una mossa per far cadere ai propri piedi il cuore di un uomo, o la corona di un re.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2018
ISBN9788858979877
Scacco matto a sua maestà: Harmony Destiny
Autore

Jennifer Lewis

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Scacco matto a sua maestà - Jennifer Lewis

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Claiming His Royal Heir

    Harlequin Desire

    © 2011 Jennifer Lewis

    Traduzione di Roberta Canovi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-987-7

    1

    «Tuo figlio è mio figlio.» L’estraneo allungò il collo per sbirciare in corridoio, cercando di vedere alle sue spalle.

    Stella Greco avrebbe voluto sbattergli la porta in faccia. Sulle prime aveva pensato che fosse un altro spogliarellista, come quello che l’amica Meg le aveva mandato per regalo alla sua festa a sorpresa, due anni prima. Ma l’espressione sul suo volto era troppo seria. Alto, con capelli scuri e ribelli che si arricciavano sul colletto della camicia, lineamenti bronzei e severi e occhi grigi come la pietra, riempiva il varco della porta come un fulmine a ciel sereno.

    E come un fulmine la colpirono le sue parole. «Che cosa vuoi dire... tuo figlio?» L’istinto da mamma orsa si scatenò contro l’intruso. «Chi sei?»

    «Il mio nome è Vasco de la Cruz Arellano y Montoya, ma all’estero mi faccio chiamare Vasco Montoya.» Sulla sua bocca sensuale comparve l’accenno di un sorriso, che però non bastò a rassicurarla. «Posso entrare?»

    «No. Non ti conosco e non è mia abitudine accogliere degli estranei in casa mia.» La paura le si arrampicò lungo la schiena; suo figlio non aveva un padre. Quell’uomo non aveva alcun diritto di trovarsi lì. Sarebbe stato sufficiente richiudere la porta...

    Furono raggiunti dai suoni di una nenia per bambini, che tradiva la presenza in casa del figlio. Stella si guardò alle spalle, sperando di riuscire a nascondere Nicky. «Devo andare.»

    «Aspetta.» L’uomo avanzò di un passo, e lei fece per chiudergli il battente in faccia. «Ti prego.» La sua voce si addolcì, piegò la testa da un lato. Un ciuffo di capelli scuri gli calò sugli occhi. «Magari potremmo andare a parlare da qualche parte.»

    «Questo non è possibile.» Non poteva lasciare Nicky solo in casa, e di certo non intendeva portarlo fuori, in compagnia di quell’uomo. Pregò che il piccolo non venisse a cercarla, gattonando lungo il corridoio; ogni istinto materno che possedeva la stava supplicando di chiudere l’uscio su quel viso troppo affascinante, ma evidentemente lei era troppo educata. E c’era qualcosa, in lui, che rendeva quel gesto quasi impossibile. «Per favore, va’ via.»

    «Tuo figlio...» Si sporse verso di lei e Stella colse un odore muschiato mescolato a quello della pelle del suo giubbotto vissuto. «Mio figlio...» I suoi occhi lampeggiarono. «... è l’erede al trono di Montmajor.»

    Pronunciò quelle parole come se fossero una proclamazione; lei probabilmente avrebbe dovuto trasalire per la sorpresa, ma tenne salda la presa sulla porta. «Non mi interessa. Questa è casa mia e se non te ne vai chiamo la polizia.» Alzò la voce, tradendo la propria ansia crescente. «Vattene.»

    «È biondo.» Inarcate le sopracciglia, stava di nuovo guardando oltre le sue spalle, e Stella si voltò di scatto, allarmata alla vista di Nicky che procedeva carponi lungo il corridoio con un ampio sorriso stampato in faccia.

    «A gu

    «Che cos’ha detto?» domandò Vasco Montoya piegandosi in avanti.

    «Niente. Sono solo suoni indistinti.» Perché la gente si aspettava che un bimbo di un anno appena si esprimesse in frasi coerenti? Cominciava a stancarsi delle persone che le chiedevano perché non parlasse ancora; ogni bambino ha i propri tempi per svilupparsi. «E comunque non sono affari tuoi.»

    «Invece sì.» Lui tenne gli occhi fissi su Nicky, l’ombra della sua figura imponente che superava la soglia.

    «Perché?» La domanda le sfuggì dalle labbra prima che potesse bloccarla; la risposta bloccò il fiato in gola.

    «Perché è mio figlio.»

    Stella deglutì. Avrebbe voluto negare, ma non poteva, non con fondatezza. «Che cosa te lo fa credere?»

    «Gli occhi» rispose l’uomo senza distogliere lo sguardo. «Hanno il colore dei Montoya.» Nicky lo stava fissando con quei grandi occhi grigi che lei aveva cercato di attribuire alla nonna materna. Stella li aveva color nocciola.

    All’improvviso il bimbo si lanciò in avanti, tese una mano e afferrò un dito di Vasco. I lineamenti dell’intruso si piegarono in un sorriso deliziato. «È un piacere fare la tua conoscenza.»

    Stella era riuscita a prenderlo in braccio e stringerlo a sé prima ancora di completare un respiro.

    «Ga la la.» Nicky accolse l’estraneo con un sorriso, il che non fece che peggiorare le cose.

    «Questa è una grave invasione della mia privacy. Della nostra privacy» protestò Stella stringendo il figlio al petto. Un orribile presentimento alla bocca dello stomaco le diceva che quello era veramente il padre di suo figlio. Abbassò la voce. «La banca del seme mi ha assicurato che l’identità del donatore era confidenziale e che le informazioni della mia pratica non sarebbero mai state trasmesse a nessuno.»

    I loro sguardi si incrociarono e quello dell’uomo era grigio come l’oceano e altrettanto fiero. «Quando ero giovane e stolto ho fatto molte sciocchezze che ora rimpiango.»

    Nicky avrebbe avuto il diritto di contattare il padre, una volta maggiorenne, ma le era stato assicurato che il donatore non poteva fare altrettanto. «Come mi hai trovato?» Voleva che suo figlio fosse solo suo, con nessun altro intorno che avesse delle pretese e creasse dei problemi.

    Vasco inclinò la testa. «Una bella mancia nelle mani giuste può far scoprire molte cose.» Aveva un vago accento spagnolo, una sottile inflessione nella voce calda. Di sicuro sapeva come girava il mondo ed era convinto di avere il diritto di piegare le regole a proprio piacimento.

    «Ti hanno rivelato il nome delle donne che hanno comprato i tuoi campioni?»

    Lui annuì.

    «Potrebbero aver mentito.»

    «Ho visto i registri.»

    Oppure poteva mentire a lei in quel momento. Perché voleva Nicky? Il figlio si agitò tra le sue braccia, protestando perché voleva essere messo a terra, ma lei non osava lasciarlo libero. «Potrebbe non essere tuo. Ho provato con diversi donatori.» Si aggrappò al bambino; adesso era lei che stava mentendo, perché era rimasta incinta al primo tentativo.

    Vasco sollevò il mento. «Ho visto anche i tuoi registri.»

    «Questo è oltraggioso» commentò allora lei arrossendo. «Potrei fare causa all’istituto.»

    «Potresti, ma questo non cambia i fatti.» Vasco abbassò gli occhi su Nicky e il suo sguardo duro si intenerì. «Questo è mio figlio.»

    Le salirono le lacrime agli occhi. Possibile che una bella giornata si fosse trasformata di botto nel peggiore degli incubi? «Devi aver generato molti figli grazie alla banca, magari centinaia. Va’ a cercare gli altri.» Si stava arrampicando sugli specchi.

    «Non c’è nessun altro.» Vasco non sembrava capace di togliere gli occhi da Nicky. «Questo è l’unico. Per favore, posso entrare? Non è una conversazione da sostenere per strada» le domandò quindi con tono pacato, rispettoso.

    «Non posso lasciarti entrare. Non ho idea di chi tu sia e tu stesso hai ammesso di avermi trovato grazie a delle informazioni ottenute illegalmente.» Raddrizzò le spalle, e Nicky si divincolò di nuovo tra le sue braccia.

    I suoi grandi occhi grigi la stavano implorando. «Rimpiango il mio errore e vorrei porre rimedio.»

    Una strana tenerezza minacciò di avere il sopravvento sul suo buon senso, e Stella la ricacciò da dov’era venuta. Chi era quell’uomo per giocare coi suoi sentimenti? Con quell’aspetto, probabilmente era abituato a donne che facevano qualunque cosa lui desiderasse. Eppure, lei non riusciva a chiudere la porta.

    «Come si chiama?»

    La domanda, posta con un dolce sorriso rivolto al bambino, la colse di sorpresa. Stella esitò. Rivelargli il suo nome gli avrebbe dato il diritto di usarlo, quasi fosse un invito. Ma se fosse stato davvero il padre... che diritto aveva, lei, di mandarlo via?

    «Posso vedere un documento?» Stava tergiversando e lo sapevano entrambi. Un uomo che poteva permettersi di pagare per delle informazioni in teoria strettamente riservate, poteva anche permettersi di pagare per dei documenti falsi. Tuttavia, lei aveva bisogno di tempo per pensare.

    Vasco si accigliò, quindi recuperò dalla tasca posteriore una molletta per banconote. Ne estrasse un tesserino, che si rivelò essere una patente della California. «Pensavo venissi da Mont...» Qual era il nome che aveva detto?

    «Montmajor. Ma ho vissuto a lungo negli Stati Uniti.»

    Studiando la fotografia, Stella riconobbe una versione più giovane e meno scafata dell’uomo che si trovava di fronte. Il nome stampato era effettivamente Vasco Montoya.

    Certo, di quei tempi si poteva comprare una patente falsa con facilità, perciò quel documento non dimostrava niente. All’epoca lei non aveva saputo il nome del donatore, quindi non aveva alcuna certezza.

    Gli amici le avevano riso in faccia quando aveva confessato come voleva concepire un figlio. Poi si erano preoccupati e le avevano suggerito senza tanti fronzoli di andare a trovarsi un uomo. Ma lei aveva voluto evitare una simile complicazione, e a quel tempo, la banca del seme era stata la soluzione più sicura.

    «A quale banca del seme hai fatto la donazione?» Magari lui stava bluffando.

    L’uomo riprese la patente dalle sue dita tremanti e la rinfilò in tasca. «Westlake Cryobank

    Stella deglutì. La struttura era quella. Non l’aveva detto a nessuno, nemmeno alla sua migliore amica, così tutta la procedura era stata più facile da dimenticare. Ora si ritrovava davanti un maschio alto e imponente che le stava ributtando tutto in faccia.

    «Lo so che non mi conosci. Non sapevo come avvicinarti se non presentandomi di persona.» La sua espressione era quasi contrita, accompagnata da una gestualità tipicamente mediterranea. «Mi dispiace averti scioccato e vorrei tanto poter rendere le cose più semplici» proseguì, poi si passò una mano tra i capelli. «Conosci il mio nome. Ho costruito la mia fortuna grazie alle miniere di pietre preziose; ho uffici e impiegati sparsi in tutto il mondo.» Dalla mazzetta estrasse un bigliettino da visita, che lei accettò con estrema esitazione.

    Vasco Montoya, Presidente

    Corporazione Mineraria Catalana

    Catalana. L’aggettivo la colpì. Parte del motivo per cui aveva scelto quel particolare donatore risiedeva nelle origini iberiche. Al tempo le era sembrato un tratto esotico e affascinante, il sapore della vecchia Europa e di una ricca cultura con un glorioso passato nella letteratura. Era sempre stata stregata da quel genere di cose.

    E quegli occhi erano inconfondibili, lo stesso grigio pietra, con una punta di blu oceano, del figlio.

    «Non voglio farti del male, voglio solo conoscere mio figlio. Da madre, sono certo che tu possa immaginare cosa si provi ad avere un figlio, da qualche parte, senza averlo mai visto.» Di nuovo il suo sguardo si fissò su Nicky, e il suo volto fu attraversato da emozioni potenti. «È come se parte della tua anima si aggirasse per il mondo senza di te.»

    Stella provò una stretta al cuore. Le sue parole la commossero, e nella sua voce intuì la verità. Come poteva negare al figlio il diritto di conoscere il padre? L’atteggiamento di Vasco si era ammorbidito, insieme al suo tono. I suoi istinti materni non le gridavano più di buttarlo giù dagli scalini sbattendo la porta; anzi, quello che provava in quel momento era un altrettanto intenso istinto di aiutarlo. «È meglio che entri.»

    Vasco chiuse la porta d’ingresso e seguì Stella Greco lungo il corridoio fino a un soggiorno soleggiato con il pavimento ricoperto di numerosi giocattoli colorati e un divano beige dall’aria molto comoda.

    Fu scosso da sensazioni indescrivibili. Era venuto spinto dal senso del dovere, desideroso di

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