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Piccanti incontri di lavoro: Harmony Collezione
Piccanti incontri di lavoro: Harmony Collezione
Piccanti incontri di lavoro: Harmony Collezione
E-book154 pagine4 ore

Piccanti incontri di lavoro: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

A LETTO COL CAPO - Un capo milionario...

Per il ricco sciupafemmine Gabriel Gessi, Rose non è mai stata altro che la sua segretaria. Ma quando la ragazza torna al lavoro dopo una lunga vacanza sfoggiando un incredibile cambio di look, Gabe decide che sedurla è l'unica cosa che gli interessa veramente.

Una volenterosa segretaria...

Rose si è sempre sentita attratta dal suo magnifico datore di lavoro, ma la ferma decisione di provare a dimenticarlo naufraga nel momento in cui lui le chiede di lavorare a stretto contatto su una meravigliosa isola caraibica.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2016
ISBN9788858948651
Piccanti incontri di lavoro: Harmony Collezione
Autore

Cathy Williams

Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.

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    Anteprima del libro

    Piccanti incontri di lavoro - Cathy Williams

    successivo.

    1

    Alle sette e trenta Gabriel Gessi era già seduto alla scrivania dell'ufficio, come d'abitudine, dopo mezz'ora di corsa su nastro, un'altra mezz'ora di nuoto in piscina, una rapida doccia e un'accurata rasatura. Così, era finalmente pronto a fronteggiare i contrattempi di una normale giornata di lavoro. Le uniche interruzioni a questa ferrea routine si verificavano in occasione dei viaggi oltremare, piuttosto frequenti, nei quali si faceva comunque scrupolo di iniziare la giornata in modo atletico.

    Anche nei passati tre mesi aveva fatto di tutto per non deviare da questa regola, ma la sua tranquillità era stata minata da una serie di irritanti questioni, che non si era mai aspettato di dover fronteggiare.

    Gabriel Gessi abitava il mondo etereo delle persone scandalosamente ricche, e dunque era poco abituato a occuparsi dei piccoli fastidi della vita quotidiana.

    Il fastidio numero uno aveva preso le sembianze di una giovane segretaria, riuscita chissà come a sembrare così efficiente da superare la selezione e farsi assumere come temporanea. Peccato che dopo una settimana si fosse rivelata un vero e proprio impiastro, sempre con le lacrime in tasca per colpa di certi misteriosi problemi con il fidanzato playboy.

    Gabriel non aveva tempo per ragazzine con problemi sentimentali, meno che mai se non sapevano far altro che piangere. Così aveva dovuto lasciarla a casa, e questo era stato il preludio a una lunga fila di mediocri aspiranti segretarie, che lo avevano quasi portato all'esasperazione.

    Anche adesso, a ripensarci, non riusciva proprio a capacitarsi che un simile esercito di incompetenti avesse potuto sperare in un buon lavoro come quello che lui aveva da offrire.

    Aveva licenziato l'ultima aspirante il precedente venerdì, con un gran sospiro di sollievo. Quest'ultima era rimasta anche più delle altre, ma solo perché lui aveva ricacciato in gola l'irritazione e chiamato a raccolta la pazienza. Ogni volta che le rivolgeva la parola lei accennava a un inchino, e parlava a voce così bassa da costringerlo a chiedere costantemente di ripetere, e a quel punto lei sussultava e rovesciava quel che aveva in mano. Il caffè. L'acqua. Il tè. C'era sempre qualcosa di liquido con cui innaffiare la moquette.

    Un'esperienza sgradevole, pensò Gabriel, ma ora per fortuna tutto sarebbe tornato alla normalità.

    Finalmente quella mattina aveva varcato la porta di cristallo brunito dell'ufficio senza il cipiglio degli ultimi tre mesi.

    Oggi sarebbe tornata Rose. La vita avrebbe ripreso il suo corso, e lui avrebbe di nuovo potuto dedicarsi senza problemi alla conduzione del suo impero.

    Naturalmente, non erano ancora le otto e non poteva pretendere che lei si trovasse già lì, nonostante la dedizione al lavoro. L'Australia non era esattamente dietro l'angolo e certo doveva riprendersi dal cambio di fuso orario. Rose non era abituata ai grandi viaggi. Per quanto Gabriel si occupasse di turismo e possedesse un certo numero di alberghi sparsi per il mondo, nei quattro anni in cui Rose aveva lavorato per lui lo aveva accompagnato all'estero pochissime volte e soltanto in Europa. Gabriel la preferiva ferma in ufficio, per essere sicuro che tutto filasse liscio anche in sua assenza.

    Ora, mentre aspettava che gli impiegati arrivassero, girò la poltrona di pelle verso l'immensa vetrata e ammirò il profilo della città che si stagliava contro il nitido azzurro di quel cielo di maggio.

    Negli ultimi tre mesi si era reso conto di quanto Rose gli fosse preziosa. Magari, rifletté, era il caso di concederle un aumento. O un'auto aziendale, anche se non riusciva a immaginarsela alla guida nell'orribile traffico londinese delle ore di punta. Lui di solito chiamava un taxi o viaggiava con l'autista. Ma Rose avrebbe potuto usare l'auto per uscire da Londra, ammesso che le capitasse, ogni tanto. Gabriel sapeva così poco della sua vita privata...

    Rimase così a pensare senza accorgersi che erano arrivate le nove, finché non la vide riflessa nella vetrata. Rose era ferma sulla soglia, alle sue spalle.

    Per un istante Gabriel si sentì prendere da una strana emozione, poi guardò l'orologio e si girò.

    Rose prese fiato ed espirò lentamente, per calmarsi. Anche prima del viaggio, quando lo vedeva tutti i giorni, Gabriel aveva sempre su di lei un effetto destabilizzante. Ora, dopo tre mesi di lontananza, per un attimo le sembrò quasi di svenire. Ma dal suo viso non trapelò nulla.

    «Sono le nove» osservò lui, aggrottando la fronte. «Di solito alle otto e trenta sei qui.»

    Il tono brusco la riportò alla realtà. Rose si avvicinò e si sedette sulla sedia davanti alla scrivania. «Non cambi mai, Gabriel» commentò. «Continui a ignorare le regole della buona educazione. Perché invece non mi chiedi com'è andato il viaggio?»

    «So già dalle mail che è andato tutto bene. E poi basta guardarti. Sei in gran forma, persino dimagrita.»

    Rose non poté evitarlo. Arrossì.

    Cercò di ricordarsi quel che le aveva detto sua sorella. Che doveva togliersi dalla mente un'infatuazione che era un attentato al buonsenso.

    Una cotta per un uomo maledettamente sexy, peraltro. Impossibile non sentirsi raggrinzire le dita dei piedi, guardandogli le curva delle labbra, la perfezione dei lineamenti, la diabolica armonia del corpo.

    «Sì, sono dimagrita» ammise con voce ferma, abbassando gli occhi sulla busta che aveva sulle ginocchia. «C'era caldo, e mangiavamo molte insalate. Mi dispiace che tu abbia avuto tanti problemi con le mie sostitute.» Preferì cambiare argomento, davanti a quegli occhi azzurri che la passavano da parte a parte. «Ero sicura che Claire andasse bene, altrimenti non l'avrei assunta. Che cos'è successo, invece?»

    Gabriel stava ancora riflettendo sulla trasformazione, e non era sicuro che gli piacesse ciò che vedeva. Era sparita la Rose paffuta, vista per l'ultima volta in tailleur blu e dolcevita bianco e al suo posto era apparsa una Rose magra e snella, con una dote di curve da far girare la testa. L'unico particolare rimasto uguale erano le scarpe a ballerina.

    «Non sapevo che tu fossi dotata di gambe» commentò ad alta voce.

    «Certo che ne sono dotata, Gabriel! Pensavi che volassi, da un ufficio all'altro?»

    «Le hai sempre tenute nascoste!» Lui si spostò rapidamente dalla sedia alla scrivania, si sedette sul bordo, e la soppesò con lo sguardo. «E che gambe, tra l'altro! Dovresti osservare un po' più di decoro, almeno qui in ufficio.»

    Rose lo guardò sorpresa.

    «Che cosa hai fatto ai capelli? Sono diversi.»

    «Io non ho fatto proprio niente ai capelli, Gabriel. Li ho solo tagliati, ma se potessimo lasciar perdere...» Giocherellò con la lettera. Doveva dargliela. Ma doveva rimanere lì mentre lui la leggeva?

    «Perché? Sono affascinato dalla trasformazione. Pensavo che dovessi aiutare tua sorella con il bambino. Non avevo idea che invece volessi solo ritoccare il look.»

    «Io sono andata ad aiutare Grace!»

    «E intanto ti sei messa a dieta ferrea, hai tagliato i capelli e sei stata in bikini tutto il giorno per abbronzarti...»

    Rose contò fino a dieci e si chiese che cosa avesse mai potuto vedere in un uomo tanto arrogante.

    «Hai mai avuto a che fare con un neonato, Gabriel?»

    «No, grazie. Ho sempre cercato di evitarlo.»

    «Lo immaginavo, altrimenti sapresti che l'abbronzatura non è compatibile con la cura di un bebè.»

    «Tua sorella non lo avrà appioppato a te per tutto il tempo!»

    «Non è una cosa da... appioppare. È un bambino, un bambino bellissimo. Lo hanno chiamato Ben.» Le si addolcì la voce, mentre ricordava le sensazioni che aveva provato tenendolo tra le braccia. Sensazioni che avevano rafforzato ancora di più la sua decisione di lasciare la comoda nicchia in cui per troppo tempo si era adagiata. Sua sorella Grace, di due anni più vecchia, era ora una donna felice. Guardando lei, Rose si era fatta il quadro di ciò che le sarebbe successo se non avesse dato una rapida sterzata alla sua vita. Tra due anni, all'età di sua sorella, se continuava a struggersi per un uomo che al massimo l'avrebbe apprezzata come segretaria, non avrebbe avuto né un bambino tra le braccia né un marito amorevole, e lei non era di certo il tipo di donna capace di farsi bastare il lavoro. Un velo di tristezza le appannò la voce mentre raccontava dell'Australia. Il marito di Grace, Tom, era ortopedico e non poteva passare notti in bianco, se voleva dare il meglio nel suo lavoro. Per questo, erano state Rose e Grace a darsi il cambio la notte, quando il piccolo Ben si svegliava. Un impegno faticoso, ma del quale lei aveva assaporato ogni istante.

    Gabriel l'ascoltò appena. Di certo prima o poi anche lui avrebbe avuto figli, dopotutto era di origini italiane, ma per il momento non avrebbe potuto importargliene di meno di un minuscolo essere umano dall'altra parte del globo.

    Piuttosto, era la creatura che aveva davanti, a interessarlo e a rimescolargli il sangue. Ma Gabriel non intendeva rendersi ridicolo, per questo con uno sforzo tornò a sedersi dietro la scrivania e cercò di fermare l'attenzione su quel che lei gli diceva del piccolo Ben e delle sue poppate notturne. Non le aveva mai visto negli occhi un'espressione tanto dolce.

    «Spero che questo viaggio non ti abbia messo in testa strane idee» commentò accigliandosi all'improvviso.

    Rose trasalì. «Prego? A che cosa ti riferisci?»

    «A una segretaria modello che decide all'improvviso di tuffarsi nelle gioie della maternità. Questa faccenda dei figli è contagiosa, lo so.»

    «Oh, andiamo, Gabriel!» Rose si sentì prendere da una grande irritazione. Dovette farsi forza per mantenere salda la voce. «Lo sai? E come?»

    «Ho due sorelle e un fratello, e le mie sorelle hanno i bambini più o meno della stessa età. So per certo che le donne si sentono prendere dal sentimento materno ogni volta che entrano in contatto con un neonato.»

    Rose guardò quel viso straordinariamente sexy e non la stupì la scarsa considerazione per le categorie neonati e neomamme. Lui era un uomo che per il momento teneva l'idea del focolare il più lontano possibile dalla mente. Gli bastava schioccare le dita per avere tutte le donne che voleva, perché mai avrebbe dovuto complicarsi la vita con un figlio?

    «Non ho alcuna intenzione di diventare mamma a breve» gli disse freddamente. «Credo che una donna debba trovare un buon compagno, prima di affrontare un passo così impegnativo.»

    Quella semplice frase gli disse di più di quanto avesse mai saputo, su di lei. Lo aveva sempre dato per scontato, ma ora aveva la conferma che non c'erano uomini nella sua vita. La cosa gli procurò uno strano e sottile piacere.

    «E tu non l'hai ancora trovato?» arrischiò, nonostante le leggesse sul viso la voglia di troncare l'argomento.

    Rose arrossì. Si sarebbe schiaffeggiata per quella involontaria crepa nella sua armatura. Era sempre riuscita a non dirgli niente della sua vita privata, perché d'istinto lo considerava un pericolo. Gabriel aveva la capacità di ammaliare anche le tigri, figurarsi che cosa avrebbe fatto se avesse saputo della sua infatuazione.

    Non che adesso avesse ancora importanza. Ricordarsene la fece sentire molto meglio.

    «Pare di no» rispose con naturalezza. «Le storie vanno e vengono. In questo momento sono in pausa di riflessione.» Gustò l'espressione di incredulità che gli lesse negli occhi. Poi sorrise, stropicciò l'angolo della busta e cercò

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