Dolci carezze per il milionario: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Theo Andreou è costretto a passare un periodo di riposo forzato in un'amena località della Cornovaglia. La sua noiosa convalescenza, però, si trasforma in qualcosa di molto più piacevole nell'istante stesso in cui incontra per la prima volta lo sguardo di Sophie Scott, la proprietaria della casa che ha affittato. Anche Sophie non è immune da quell'attrazione, ma nel suo cuore sogna qualcosa di più di un'avventura.
Cathy Williams
Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.
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Anteprima del libro
Dolci carezze per il milionario - Cathy Williams
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
At the Greek Tycoon’s Pleasure
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2006 Cathy Williams
Traduzione di Carla Ferrario
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-608-4
1
Con un sospiro frustrato, Timos Honor scrutò Theo al di sopra della montatura degli occhiali. Theo lo aveva fatto condurre lì a bordo del suo jet personale, ma non per questo avrebbe cambiato una virgola di quello che doveva dirgli.
«Sputa il rospo, Timos.»
«Non c’era bisogno di farmi venire fin qui...»
«Ce n’era eccome.» Theo strinse le labbra, in una smorfia di silenziosa accettazione di quello che sarebbe seguito. Aveva già ottenuto il parere dei migliori specialisti di Londra e tutti dicevano la stessa cosa. Timos, ottimo medico e vecchio amico di famiglia, non avrebbe fatto altro che confermare la diagnosi degli altri.
Theo però aveva bisogno di sentirselo dire da un amico, da qualcuno in grado di comprendere quello che aveva passato nell’ultimo anno e mezzo. Forse aveva solo bisogno di ascoltare la cruda verità avvolta da un velo di comprensione.
All’interno del suo lussuoso attico arredato con freddo minimalismo, Theo sorvegliava cupo l’uomo esile e gentile che gli stava di fronte.
«Le ossa del piede non si erano saldate bene e il secondo incidente ha peggiorato la situazione. Che cosa diavolo ti è saltato in mente di rischiare così?»
«Non sono andato a sciare sperando di sbattere contro un ostacolo, se è quello che pensi.»
«Sai benissimo che non è così.» Se Timos avesse avuto i capelli, certamente vi avrebbe passato le dita in un gesto esasperato. Vista la situazione, si limitò a battersi gentilmente la mano sulla testa calva. «Il primo incidente di sci su una pista nera era abbastanza, anche se mi rendo conto di che cosa ti abbia spinto a quel punto. Perdere Elena proprio poco prima del matrimonio... ce n’è abbastanza per far impazzire qualunque uomo. Ma è stato un anno fa e...»
«Quest’ultimo incidente non ha niente a che vedere con Elena» intervenne Theo, brusco.
Mentiva, e lo sapeva. Era uno sciatore provetto, e le imprudenze non avevano mai fatto parte delle sue abitudini. Nell’ultimo anno e mezzo però non aveva fatto altro che scontrarsi con il mondo, senza badare alle conseguenze. Si era dedicato al lavoro a ritmi disumani, lanciandosi a capofitto in affari rischiosi da cui era uscito intero solo grazie alla fortuna e al suo innato talento. Non si era mai fermato a pensare che avrebbe anche potuto fallire. La ricchezza, secondo lui, garantiva la libertà di rischiare. Dentro di sé però sapeva che non poteva continuare a vivere al limite, che doveva lasciarsi il passato alle spalle.
«Be’, questa è la mia diagnosi, per quel che vale: il tuo piede ha bisogno di tempo per guarire, devi smettere di sforzarlo. Questa volta hai proprio esagerato e se non ti metti a riposo le ossa non si salderanno nel modo giusto, costringendoti ad abbandonare qualunque sport. Non sto ad annoiarti con la minaccia della possibilità di ammalarti prematuramente di artrite... Se è quello che vuoi, ti consiglio di prendere il primo volo per la Val d’Isère e lanciarti a capofitto giù per un’altra pista nera.»
Rimasero a fissarsi in silenzio. Timos aspettava che le sue parole facessero effetto e Theo rifletteva sul proprio comportamento, diventato incontenibile. Fu lui il primo ad alzare lo sguardo, torvo.
«Che cosa mi consigli?»
«Hai bisogno di riposo totale. Tua madre mi ha detto che dopo il primo incidente non ti sei mai fermato, tenendo dei ritmi insostenibili.»
«Mia madre tende a esagerare. Sono un uomo d’affari e stare seduti a guardare la televisione non manda avanti il lavoro.»
Timos scoppiò a ridere. «Potresti ritirarti domani mattina e vivere con il denaro che hai non solo per tutta la tua vita, ma anche per quella di qualcun altro. In ogni caso, non ti sto suggerendo di chiuderti in casa per i prossimi due anni, ma solo di rallentare il ritmo. Puoi sempre lavorare da qui.» Si guardò attorno, rabbrividendo all’idea di abitare in quell’appartamento, così freddo in confronto alla villetta alla periferia di Atene dove viveva con sua moglie. L’attico di Theo gli ricordava un mausoleo: freddo, rivestito di marmo, immacolato ma essenzialmente privo di vita. «Tre mesi di riposo farebbero molto per la tua guarigione.»
«Tre mesi!» esclamò Theo, sul punto di mettersi a ridere.
«Impara a delegare.» Timos si alzò in piedi e prese la valigetta dalla poltrona. «Un saggio sa capire quando è il momento di fermarsi.»
«E che cosa diavolo dovrei fare per tre mesi?»
Timos si strinse nelle spalle e lo guardò con gli occhi assorti. «Scegliti un hobby: dipingi, scrivi. Ritrova te stesso.»
Ma l’ultima cosa che Theo Andreou desiderava era ritrovare se stesso...
Pur avendo lottato per due settimane contro la prospettiva di rinchiudersi nel suo appartamento con un piede sollevato da terra, Theo fu costretto a riconoscere che era una battaglia persa.
Alle perle di saggezza del medico erano seguite le pressioni di sua madre perché la raggiungesse in Grecia. Non essendo riuscita a convincerlo, aveva minacciato di essere lei ad andare da lui in Inghilterra, per controllarlo. L’unico modo per farla recedere da quell’attacco a testa bassa era stato prometterle di lasciare Londra per un paio di mesi e trasferirsi in campagna, in qualche tranquilla cittadina dove avrebbe evitato la tentazione di fare un salto in ufficio al minimo problema.
Per questo quel giorno si trovava seduto nella sua Jaguar, alle spalle dell’autista, diretto in campagna.
Allontanò lo sguardo dal cielo imbronciato di ottobre, cercando di concentrarsi sulla brochure che teneva sulle ginocchia. Non aveva ancora visto il cottage che aveva affittato. I contatti erano stati presi dalla sua assistente personale, che aveva individuato un delizioso cottage in Cornovaglia, dove lui avrebbe goduto del necessario riposo.
Gloria, la sua assistente, aveva esaminato personalmente la casetta e preso accordi con una persona che a giorni alterni sarebbe passata per le pulizie. Un’altra avrebbe cucinato, cosicché a lui non sarebbe rimasto altro da fare che godersi il panorama, lavorare al computer e andare a letto presto.
La prospettiva di vivere a quel ritmo da convalescente bastava a fargli accapponare la pelle. Per fortuna esistono i computer portatili e i cellulari...
«Rallenti quando entreremo in città» ordinò all’autista, abbandonando la brochure e fissando fuori dal finestrino con aria scettica. «Voglio proprio vedere di quali attrattive godrò nei prossimi due mesi» borbottò scontrosamente.
Ed ecco davanti a lui la cittadina, aggrappata alle pendici della collina, un interessante miscuglio di edifici più o meno vecchi. Anche senza vederlo, sapeva che il fiume Dart scorreva dalle brughiere selvagge di Dartmoor fino a confluire nel mare, proprio sotto la città.
Quella vista pittoresca lo rassicurò. Almeno non era il paesino sperduto che temeva! Non mancavano caffè, ristoranti e negozi, simboli della civiltà. Gloria lo conosceva abbastanza da sapere che troppa natura per lui sarebbe stata una disgrazia e non un piacere...
L’automobile lasciò il centro dirigendosi verso sud e lo sguardo di Theo si posò sulla figura slanciata di una giovane che chiudeva la porta di un piccolo ufficio che dava sulla strada.
Il cuore cominciò a battergli all’impazzata. Da dietro, quella donna ricordava Elena: stessa figura sottile e stessi capelli dritti, lunghi fino alle spalle.
Con il grande autocontrollo che lo distingueva, scacciò quei ricordi dolorosi e riprese a concentrarsi sul percorso.
L’agente immobiliare non aveva esagerato. Il cottage era incantevole proprio come appariva sul dépliant. Alle quattro e mezza del pomeriggio la luce che si affievoliva donava una tonalità dorata al giallo dei muri. Il giardino, di discrete dimensioni, era tenuto alla perfezione e il sentiero che portava alla casa sembrava uscito da un libro di fiabe per bambini. Sua madre, che non condivideva la sua predilezione per l’ultramoderno, lo avrebbe apprezzato.
«Lasci pure l’automobile alla stazione, Jimmy.» Scese dalla macchina e, con l’aiuto di un bastone, un oggetto che trovava ridicolo e superfluo, si avvicinò alla porta d’ingresso con le chiavi in mano. «Prima di andarsene porti dentro le valigie, per favore. Non ho bisogno d’altro.»
«Dovrei assicurarmi che sia tutto in ordine...»
Theo gli risparmiò un’occhiataccia. Da quando il resto del mondo aveva deciso di trattarlo da incapace? «Posso cavarmela da solo. La persona di servizio sarà qui tra meno di un’ora per controllare se ho bisogno di qualcosa.» Cercò di ammorbidire la durezza della voce con un sorriso. «Davvero, non ho più bisogno di lei. Porti la macchina alla stazione, se dovesse servirmi andrò a prenderla.»
Rimasto solo, si lasciò cadere sul divano e si guardò attorno.
Eliminato il suono per lui confortevole di automobili e sirene, il silenzio risultava opprimente. Imprecando contro la decisione di cedere alle pressioni di Timos e di sua madre, si chiese come sopravvivere nei mesi successivi.
Gli sembrava di sentire la mancanza persino della vita mondana di Londra, che aveva sempre considerato una spiacevole perdita di tempo, ma che gli permetteva di tenersi in contatto con qualcuno.
Salì le scale imbronciato, sul punto di fare qualcosa che non aveva mai fatto in vita sua, come disfare da sé le valigie, quando squillò il campanello.
Dall’altro lato della porta, Sophie Scott si strinse nella giacca. Il suo broncio faceva perfettamente il paio con quello di Theo.
Era la prima volta che affittava il cottage da quando aveva traslocato, due mesi prima, e quella situazione non le piaceva affatto, proprio come aveva immaginato.
Aveva fatto in modo di rendere i locali il più possibile anonimi, ma era difficile cancellare tutte le tracce della vita felice che vi aveva trascorso insieme a suo padre, a partire dai libri, per i quali non era riuscita a trovare posto nel piccolo appartamento sopra l’ufficio.
Sentendo i passi pesanti che si avvicinavano alla porta, si tese, inquieta.
Il sorriso di circostanza che cercava di incollarsi sulle labbra rischiava di trasformarsi da un momento all’altro in un ghigno sinistro, perciò ponderò di nuovo le parole pronunciate dall’avvocato: il denaro le era necessario, quindi, se non voleva vendere il cottage, doveva almeno affittarlo.
Avrebbe guadagnato bene, specialmente d’estate, perché la Cornovaglia era una destinazione turistica molto appetibile.
Quando la porta si spalancò e l’uomo apparve sulla soglia, la mente di Sophie si paralizzò.
Alto più di un metro e novanta, non aveva niente in comune con l’immagine del greco panciuto di mezza età che si era fatta: incarnava piuttosto l’assoluta perfezione maschile. I capelli corvini, spinti indietro sulla