Una favola lunga tre notti: Harmony Collezione
Di Robyn Donald
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Info su questo ebook
Robyn Donald
Robyn Donald è nata sull'Isola del Nord, in Nuova Zelanda, dove tuttora risiede. Per lei scrivere romanzi è un po' come il giardinaggio: dai "semi" delle idee, dei sogni, della fantasia scaturiscono emozioni, personaggi e ambienti.
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Anteprima del libro
Una favola lunga tre notti - Robyn Donald
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
His Majesty’s Mistress
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2008 Robyn Donald Kingston
Traduzione di Cecilia Bianchetti
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-853-3
1
«Mi raccomando, divertiti!» ripeté per l’ennesima volta Maura all’aeroporto di Auckland.
«Certo!» rispose Giselle Foster sorridendo.
La sua madrina la spinse dolcemente verso l’uscita. «Devi tornare senza occhiaie, con le spalle dritte e un bel colorito. Hai lavorato troppo, senza prenderti mai una vacanza, e la polmonite è stata un avvertimento.»
«Sono sempre stata pallida, è Leola la gemella con la pelle perennemente dorata. E qualcuno deve pure mandare aventi Parirua» replicò Giselle sulla difensiva, controllando la carta d’imbarco.
Maura le lanciò un’occhiata penetrante. «Solo perché appartiene alla tua famiglia da secoli non significa che tu debba fartene carico» osservò.
«Ma a me piace» dichiarò Giselle.
«Lo so, lo so» sospirò Maura. «Ti piace fin troppo, ma non ricominciamo. Cerca di dimenticare allevamento, bestiame e mutuo per le prossime due settimane.»
Come se fosse facile! Ma Giselle annuì. «Okay.»
«Forse all’inizio troverai Coconut Bay troppo rumorosa e mondana, cerca di abituarti a poco a poco, fai follie, flirta con i bei ragazzi e ridi tanto!» Maura abbracciò e baciò la figlioccia. «Però riposati tutti i pomeriggi» aggiunse in tono severo. «Voglio rivederti in piena forma.»
Giselle ricambiò l’abbraccio. «Grazie per avermi regalato la vacanza, prometto che non sprecherò nemmeno un minuto.»
Ma dopo soli tre giorni dei quattordici che doveva trascorrere sull’isola di Fala’isi, Giselle era pronta a tornare in Nuova Zelanda. Il posto era stupendo e il resort brulicava di attività, anche troppe. Quell’eterna allegria sembrava forzata, anche un po’ patetica; i cocktail variopinti non l’attiravano più di tanto, e non aveva nessuna intenzione di imbarcarsi in un’avventura da vacanza.
Non poteva neanche stare in spiaggia a prendere il sole: la sua pelle candida aveva bisogno di protezione, quindi doveva mettersi all’ombra dopo ogni nuotata.
Evitare la folla era impossibile, a meno di non chiudersi in camera, ed erano tutti così amichevoli che si sentiva un’ingrata a desiderare solitudine e silenzio.
Per questo noleggiò una piccola barca a vela per fare un giro attorno a un’isola di sabbia bianchissima, circondata da acque di smeraldo, ricordando con gratitudine un professore del liceo che aveva insegnato a un gruppo di studenti entusiasti i rudimenti della vela.
La quiete era interrotta solo dal fruscio delle palme, e persino le onde che di solito s’infrangevano rumorose contro la barriera corallina sembravano silenziose. Giselle tirò in secco la barca, pregustando la solitudine e ammirando in lontananza una laguna tanto azzurra da sembrare dipinta. Non c’era nessun altro in vista.
Si sistemò all’ombra degli alberi con il cesto da picnic. Lì, di sicuro, sarebbe stata sola. «Perfetto» mormorò, stendendo l’asciugamano e togliendosi il pareo. Prese dalla borsa la macchina fotografica digitale, un altro regalo di Maura, scattò qualche foto dell’oceano che arrivava fino a Tahiti, un’immensa distesa interrotta solo da uno yacht.
Infine si sdraiò e aprì il suo libro. Al resort vendevano solo rotocalchi pieni di pettegolezzi, non certo la sua lettura preferita. Per fortuna c’era anche una piccola biblioteca, doveva aveva trovato l’ultima opera del suo autore prediletto. Dedicare tempo alla lettura per Giselle era un vero lusso.
Si perse in un mondo di fantasia e poco dopo si svegliò, con un sussulto, udendo delle voci.
Trattenendo il fiato sbirciò attraverso il fogliame che la separava dalla spiaggia. Ancorato oltre la barriera corallina c’era un panfilo, dalle linee così perfette ed eleganti che le strappò un’esclamazione ammirata.
A pochi metri da lei c’erano due persone: un uomo alto e abbronzato, in camicia e bermuda da bagno, e una donna con un bikini che copriva appena le sue considerevoli grazie. Lui le stava spalmando sulla schiena la crema solare, operazione che a lei piaceva moltissimo, almeno a giudicare dai movimenti sinuosi e dai mormorii di piacere.
Forse, al suo posto, anche lei avrebbe fatto le fusa, pensò Giselle osservando l’uomo.
Aveva la testa leggermente chinata di lato e il sole gli illuminava il viso arrogante.
Giselle deglutì, con la gola improvvisamente secca. Era davvero magnifico: snello, possente e abbronzato.
Disse qualcosa alla sua compagna che, girando la testa, gli lanciò un’occhiata sexy, appoggiandosi a lui.
Ma l’uomo si alzò con un movimento armonioso e si guardò attorno.
Giselle si nascose, avendo realizzato con orrore che quei due stavano per fare l’amore. O forse l’avevano appena fatto? In ogni caso non voleva fare da spettatrice. Mentre cercava di allontanarsi, ruppe con un piede un legnetto, e l’uomo sentì qualcosa.
Tuttavia restò immobile, e Giselle osservò la donna. Sembrava vagamente familiare, anche mentre lanciava al suo compagno, come avrebbe detto Maura, un’occhiata di aperto invito. Ma lui non abboccò e dopo un istante si alzò anche lei.
Lo sconosciuto continuò a scrutare l’interno dell’isola, e Giselle ebbe il terrore di essere colta nello sgradevole ruolo della guardona.
Ma in fondo nessuno era a corrente della sua presenza, no? E il rumore del legnetto spezzato non poteva essere udito fino alla spiaggia!
No, forse i due avevano solo capito che quello non era il posto adatto per fare l’amore. Molto meglio rifugiarsi nella privacy del loro splendido yacht.
Giselle li vide allontanarsi con un sospiro. La sua vita frenetica non le lasciava né il tempo né la voglia di socializzare, ma a volte sognava di incontrare un principe azzurro.
Non certo un tipo come quello, pensò. Era bello da morire, ma uomini come lui erano merce rara e di sicuro non erano interessati a donne che lavoravano in un allevamento. Potevano avere qualunque ragazza, bella, elegante, proprio come le modelle dei giornali che vendevano al resort.
Pochi istanti dopo un motoscafo si dirigeva verso l’isolotto a tutta velocità.
«Ricchi e famosi» mormorò Giselle alzando le spalle. A parte lo yacht costosissimo, la coppia aveva l’aria sicura che solo i potenti possedevano.
Appartenevano a un altro mondo, e per un attimo li invidiò. Con un sorriso ironico, alzò la macchina fotografica per scattare un’immagine del panfilo.
«No, mia cara. Dammi qua!» Giselle si girò di scatto, mentre qualcuno le toglieva di mano la macchina.
Alzò il viso e incontrò un paio di occhi blu scuro, simili al colore del cielo a mezzanotte, che esprimevano collera pura, incastonati in un viso ancora più bello di quanto le fosse sembrato a prima vista.
L’uomo la sovrastava, e anche se indossava una camicia di lino bianco, la sua pelle abbronzata era evidente e turbò Giselle nel profondo.
Se l’avesse toccata si sarebbe accesa come una torcia, pensò agitata.
«Me la renda subito!» balbettò.
«No» replicò lui, passando rapidamente in rassegna le foto scattate.
«Che cosa diavolo crede di fare?» insistette Giselle.
«Controllo» spiegò lui, prima di mettersi in tasca la macchina.
A giudicare dall’accento, non doveva essere inglese. Pur trasudando sessualità, continuava a fissarla in viso, senza occhiate furtive al bikini o alle gambe.
«Non ha nessun diritto...» sbottò Giselle. «A lei non ho fatto foto.» Accidenti, ma così gli faceva capire di averlo osservato!, si rimproverò arrossendo.
«Chi sei? Da dove vieni? Che cosa vuoi?» Gli occhi dell’uomo erano due schegge di ghiaccio.
«Sto al Coconut Bay Resort» spiegò lei con il cuore in gola, sotto quel fuoco di domande. «Ho diritto di stare qui quanto lei.»
«Motukai, quest’isola, è privata» replicò lui a denti stretti. «Al resort non avrebbero dovuto permetterti di venire qui.»
«Nessuno me l’ha proibito.»
«Avevi detto che saresti venuta qui?»
«No» ammise Giselle sincera. In realtà intendeva spingersi più in là, ma a metà strada aveva notato l’isolotto e aveva cambiato idea. «Se vuole che nessuno ci venga metta dei cartelli di Proprietà Privata» aggiunse accalorandosi.
«Non è necessario» replicò lo sconosciuto con incredibile arroganza. «Lo sanno tutti che Motukai è mia. Perché hai fotografato lo yacht?»
«Era così bello!» spiegò Giselle, più calma.
«Certo, uno yacht bianco sulla laguna turchese, le palme, il rumore delle onde... il perfetto quadro tropicale» confermò lui ironico. «Per caso vuoi salire a bordo a dare un’occhiata?»
Benché tentata, lei scosse la testa. «No, grazie, non la conosco e il suo modo di fare non m’ispira fiducia.»
Bastò un breve sorriso a farle mancare il fiato. Pura dinamite: intimo, divertito e colmo di sfida. Giselle ebbe un tuffo al cuore.
Pur non avendo molta esperienza, riconobbe l’attrazione fisica che la colpì come un pugno al plesso solare, facendole strani effetti in altre parti del corpo.
Prima o poi doveva succedere, pensò, ma non illuderti: userà questa tattica con tutte le donne che incontra.
«Touché» ammise lui con voce sexy, trasudando fascino e sicurezza. «L’aiuto a riportare le sue cose sulla barca.»
In altre parole, la buttava fuori. «Non mi serve il suo aiuto» borbottò Giselle piccata. «Faccio da me.»
Ma l’uomo si chinò e prese l’asciugamano e il pareo, mentre Giselle guardava allibita la sua piccola barca a vela ancorata al motoscafo. Della donna di prima non c’era traccia.
«Guardi che riesco benissimo a tornare indietro» affermò brusca.
«Arrivare qui è stato facile» replicò lui alzando le spalle. «Ma ora non ha più il vento a favore.»
Insopportabile pallone gonfiato! «Lo so, non è la prima volta che vado a vela.»
Lo sconosciuto le lanciò un’occhiata che la colmò di irritazione. Sapeva benissimo l’effetto che aveva su di lei, e non si faceva scrupoli.
«Viene dalla Nuova Zelanda, vero?» chiese.
«E questo che cosa c’entra?»
«Si rilassi, era solo un commento! I suoi compatrioti di solito sono ottimi velisti» osservò lui ironico, entrando in acqua. «Su, salga sul motoscafo.»
«Sono perfettamente in grado di rientrare da sola» si ostinò Giselle, cercando di mantenere la calma.
Ma l’uomo non cedette. «Invece rientrerà con me» ordinò perentorio. «Non mi piacciono i guardoni e voglio scoprire perché nessuno le ha detto di stare alla larga da quest’isola.»
«Voglio tornare con la mia barca» si ostinò Giselle.
«E io invece voglio accompagnarla» concluse lui, con un tono che non ammetteva repliche. La sollevò di peso e la depositò sul motoscafo, e quando la raggiunse il suo peso fece vacillare l’imbarcazione.
«Accidenti a lei!» urlò Giselle, più sconvolta dalla propria reazione che dall’iniziativa del suo inaspettato compagno di viaggio.
Aveva i nervi tesi e incandescenti come fili elettrici e non riusciva più a formulare un pensiero coerente.
Le sue proteste furono interrotte dal rombo del motore. Rimase dov’era, obbedendo all’ordine del suo accompagnatore, muta e imbarazzata.
Quel tipo sembrava un pirata arrogante, autoritario e insopportabile. Chi diavolo credeva di essere, il padrone di Coconut Bay?
Di sicuro non aveva paura di niente, nemmeno di essere accusato di aggressione e rapimento.
Giselle girò la testa, rifiutandosi ostinatamente di guardarlo, finché, facendosi strada tra i bagnanti con grande prudenza, il suo sequestratore raggiunse la spiaggia dell’isola.
I sospetti di Giselle aumentarono quando vide il comitato di accoglienza che li aspettava: il responsabile delle barche, il direttore del resort, e un paio di altre persone dall’espressione volutamente neutra.
Quell’uomo doveva essere davvero importante, e la conferma arrivò quando spense il motore e scese dal motoscafo con un balzo. «Qualche problema?» chiese sollecito il direttore.
«No» rispose lui disinvolto, tendendo la mano a Giselle con gesto imperioso per farla scendere.
Lei entrò in acqua con aria regale.
In tono ironico, l’uomo spiegò di avere visto l’ospite del resort, la signorina...
«Giselle Foster» lo informò