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Verità e menzogne
Verità e menzogne
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E-book155 pagine1 ora

Verità e menzogne

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Info su questo ebook

Due occhi come quelli sono impossibili da dimenticare.
Marisa Somerville è una persona diversa da quella che era una volta. Sicura di sé, elegante e di successo, non ha più niente a che vedere con la donna impaurita e sottomessa che Rafe Peveril ha conosciuto sei anni prima. Ha persino un altro nome, ma lui riconoscerebbe quello sguardo da sirena e quelle labbra tentatrici anche dopo un milione di anni. Marisa potrà anche insistere di non sapere di chi lui stia parlando, ma non può certo negare quello che è sotto gli occhi di entrambi, la reazione dei loro corpi ogni volta che sono uno accanto all'altra.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788830519329
Verità e menzogne
Autore

Robyn Donald

Robyn Donald è nata sull'Isola del Nord, in Nuova Zelanda, dove tuttora risiede. Per lei scrivere romanzi è un po' come il giardinaggio: dai "semi" delle idee, dei sogni, della fantasia scaturiscono emozioni, personaggi e ambienti.

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    Anteprima del libro

    Verità e menzogne - Robyn Donald

    Copertina. «Verita' e menzogne» di Donald Robyn

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Stepping out of the Shadows

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2012 Robyn Donald Kingston

    Traduzione di Maria Elena Vaccarini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-932-9

    Frontespizio. «Verita' e menzogne» di Donald Robyn

    1

    Con il cuore che gli martellava nel petto più rumorosamente del motore in avaria del piccolo aereo, Rafe Peveril distolse lo sguardo dai finestrini rigati di pioggia, non riuscendo più a vedere la prateria sempre più buia di Mariposa sotto di loro. Alcuni secondi prima, subito dopo che il motore aveva iniziato a scoppiettare, laggiù aveva notato una capanna.

    Se fossero atterrati incolumi, probabilmente la capanna sarebbe stata la loro unica speranza di sopravvivere quella notte.

    Un’altra violenta raffica di vento colpì l’aereo. Il motore tossì un paio di volte, poi si spense. Nello strano silenzio, il pilota borbottò un miscuglio di preghiere e d’imprecazioni nella sua lingua madre, lo spagnolo, mentre si sforzava di mantenere stabile l’aereo.

    Se fossero stati fortunati, maledettamente fortunati, forse sarebbero atterrati più o meno intatti...

    Quando il motore riprese a scoppiettare, la donna accanto a Rafe alzò lo sguardo, con il volto pallido e i grandi occhi verdi colmi di paura.

    Grazie al cielo non strillava. Rafe le prese la mano e gliela strinse brevemente, poi la lasciò andare per spingerle giù la testa.

    «Si tenga forte» gridò, e la sua voce risuonò troppo forte nel silenzio improvviso quando i motori si fermarono di nuovo. La donna si abbassò e Rafe strinse i denti e si preparò allo schianto.

    Un sobbalzo improvviso, un fragore travolgente...

    E Rafe si svegliò.

    Sollevandosi a sedere di colpo, espirò bruscamente, osservando la stanza. L’adrenalina lasciò il posto al sollievo. Invece di riprendere conoscenza in un letto d’ospedale in Sud America, era a casa, nella sua stanza in Nuova Zelanda.

    Che diavolo...?

    Dovevano essere almeno due anni che non riviveva lo schianto. Cercò di ricordare che cosa avesse potuto causare quel sogno, ma la sua memoria, solitamente acuta, lo tradì.

    Di nuovo.

    In sei anni si sarebbe dovuto abituare al vuoto di memoria seguito allo schianto, ma sebbene avesse abbandonato ogni inutile tentativo di ricordare, quelle quarantotto ore svanite nel nulla lo contrariavano ancora.

    Un’occhiata all’orologio sul comodino gli disse che l’alba era troppo vicina per cercare di riaddormentarsi, anche se ormai non ci sarebbe riuscito in ogni caso. Aveva bisogno di spazio e di aria fresca.

    Fuori sulla terrazza inspirò profondamente, inebriandosi del profumo di salsedine, di fiori e di erba appena tagliata, mentre ascoltava il sommesso mormorio delle onde. Il ritmo del suo cuore rallentò e i ricordi tornarono nel passato a cui appartenevano. Il chiarore della luna che svaniva avvolgeva la casa in ombre misteriose e, all’orizzonte, il cielo e il mare si confondevano.

    Il pilota di Mariposa era morto nell’impatto, ma miracolosamente sia lui sia la moglie del direttore dell’estancia erano sopravvissuti con ferite di lieve entità: un colpo alla testa per lui e apparentemente niente di più serio di alcuni lividi per lei.

    Con qualche difficoltà, evocò l’immagine della donna, una persona insignificante, poco più di una ragazza. Sebbene avesse trascorso la notte prima dello schianto all’estancia, la donna si era tenuta nell’ombra mentre lui e il marito parlavano d’affari. Tutto ciò che ricordava erano quegli straordinari occhi verdi in un viso altrimenti scialbo. A parte quelli, era una donna comune.

    Con un nome comune: Mary Brown.

    Non ricordava di averla vista sorridere. Non c’era da stupirsi. Una settimana prima del suo arrivo all’estancia, aveva appreso la notizia dell’improvviso colpo apoplettico della madre e della conseguente paralisi. Non appena l’aveva saputo, Rafe si era offerto di riportarla con sé nella capitale di Mariposa e organizzare un viaggio per la Nuova Zelanda.

    Rafe si accigliò. Come diavolo si chiamava il marito?

    Con un senso di sollievo, gli tornò in mente. David Brown, un altro nome comune. Era stato lui il motivo del suo viaggio a Mariposa. Aveva infatti rimandato il suo rientro a Londra per verificare di persona se l’agente di Mariposa avesse avuto ragione e se davvero David Brown non fosse stato all’altezza della situazione.

    Sicuramente la risposta di Brown alla sua offerta di accompagnare in Nuova Zelanda la moglie l’aveva sorpreso.

    «Non sarà necessario» aveva dichiarato bruscamente David Brown. «È stata ammalata e non ha bisogno dell’ulteriore stress che comporta il dover badare a una storpia.»

    La mattina dopo, tuttavia, l’uomo aveva cambiato idea, probabilmente dietro insistenza della moglie, e quella sera lei aveva seguito Rafe nella prima tappa del viaggio.

    Un’ora dopo il decollo erano stati sorpresi da un vento di straordinaria violenza, seguito da una pioggia così fredda che la donna aveva incominciato a rabbrividire. E i motori dell’aereo si erano spenti per la prima volta.

    Se non fosse stato per l’abilità del pilota, probabilmente sarebbero morti tutti.

    Naturalmente! Ecco che cosa aveva suscitato quel sogno sei anni dopo.

    Rafe inspirò bruscamente, ricordando l’e-mail spedita dal suo ufficio di Londra e arrivata poco prima che si coricasse. E per la prima volta da che era una sua dipendente, la sua efficiente assistente personale aveva commesso uno sbaglio. Nessun messaggio, solo la foto di un giovanotto bruno che ostentava orgogliosamente un tocco e un diploma. Divertito, Rafe aveva risposto con un punto di domanda.

    La sera prima non ci aveva fatto caso, ma il ragazzo somigliava moltissimo al pilota.

    Rafe si voltò e si diresse verso l’ufficio, accese il computer e attese spazientito che si avviasse. Quando vide un’altra e-mail, sorrise ironicamente.

    La sua assistente aveva scritto: Mi dispiace per la svista. Ho appena ricevuto una lettera dalla vedova del pilota di Mariposa. Sembra che lei abbia promesso al figlio maggiore un colloquio con l’organizzazione quando si fosse laureato. Foto del bel ragazzo in tocco allegata. Fisso un incontro?

    Così questo spiegava il sogno. Il subconscio di Rafe aveva subito collegato le cose. Si era sentito in obbligo verso la famiglia del pilota morto e aveva deciso di aiutarla.

    Rispose di sì alla mail, poi tornò in camera per vestirsi.

    Era splendido ritrovarsi a casa dopo uno snervante viaggio durante il quale aveva attraversato diversi paesi africani. A parte il sesso e il concludere ottimi affari, non c’era niente che gli piacesse di più di una cavalcata sulla spiaggia sul suo cavallo baio all’alba di una giornata estiva.

    Forse gli avrebbe fornito l’ispirazione per il regalo che doveva comprare quel giorno, un regalo di compleanno per la sorella adottiva. Rafe sorrise. Gina aveva le idee chiare su quali fossero i doni più adatti a una giovane donna.

    «Sarai anche un riccone» l’aveva minacciato il giorno precedente, «ma non osare incaricare la tua segretaria di acquistarmi qualcosa di vistoso e luccicante. Non porto quella roba.»

    Rafe le aveva fatto notare che la sua assistente di mezza età si sarebbe offesa sentendosi definire segretaria, e aveva aggiunto che non avrebbe avuto alcuna difficoltà a scegliere personalmente il regalo.

    Gina aveva riso e gli aveva dato un colpetto sul braccio. «Oh, sì? Allora perché mi hai chiesto di consigliarti il regalo d’addio per la tua ultima fidanzata?»

    «Era il regalo di compleanno. E, se ricordo bene, hai insistito tu per vederlo» l’aveva contraddetta Rafe.

    Gina aveva inarcato un sopracciglio. «Naturalmente. Quindi è stata solo una coincidenza se hai rotto il fidanzamento una settimana dopo?»

    «È stata una decisione consensuale» aveva risposto Rafe in tono di ammonimento.

    La sua vita privata era solo sua. Per il momento intendeva solo divertirsi senza causare dolore a nessuno e così sceglieva di frequentare giovani e sofisticate donne che solleticassero la sua mente e ancora di più i suoi sensi. Prima o poi comunque avrebbe fatto sul serio e si sarebbe magari anche sposato. Un giorno, senza fretta.

    «Be’, immagino che i diamanti l’abbiano aiutata a guarire un po’ le sue ferite» aveva commentato cinicamente Gina, abbracciandolo prima di salire in macchina per tornare ad Auckland. Aveva acceso il motore, poi aveva aggiunto con noncuranza dal finestrino: «Se cerchi qualcosa di diverso, il negozio di regali di Tewaka ha una nuova proprietaria. Ora ci sono delle cose veramente belle».

    Rafe sapeva riconoscere un’allusione, così alcune ore più tardi si diresse verso la cittadina sul mare a venti chilometri dalla fattoria.

    Entrato nel negozio, si guardò intorno. Gina aveva ragione, il locale era stato rifornito con stile e buongusto. Osservò con apprezzamento della biancheria sexy ma non volgare esposta con discrezione, sandali frivoli perfetti per qualunque bambina di quattro anni che sognasse di essere una principessa, alcuni eccellenti oggetti artistici in vetro della Nuova Zelanda. Oltre agli indumenti, c’erano gioielli e ninnoli, e anche alcuni libri e quadri.

    «Posso esserle d’aiuto?»

    Rafe si voltò, guardò negli occhi la commessa e gli mancò il terreno sotto i piedi. Occhi verdi dalle ciglia lunghe e folte lo riportarono di colpo al suo sogno.

    «Mary?» domandò senza riflettere.

    Questa donna era tutt’altro che ordinaria e un’occhiata rivelò che non portava anelli sulle lunghe dita. Sebbene gli occhi fossero di un verde identico, erano luminosi e affascinanti, non spenti.

    La donna abbassò le ciglia e Rafe avvertì un lieve ma deciso ritrarsi.

    «Mi dispiace... ci siamo già incontrati?» gli chiese con voce vivace e sicura, totalmente diversa dal tono esitante che avrebbe avuto Mary Brown. Poi sorrise. «Ma non mi chiamo Mary. Marisa... Marisa Somerville.»

    In effetti la bellissima signorina Somerville era un uccello del paradiso paragonata all’incolore signora Brown. A parte la coincidenza del colore degli occhi, e il fatto che i nomi iniziassero con la stessa lettera, questa donna non somigliava affatto a quella incontrata a Mariposa.

    Rafe le tese la mano. «Mi scusi, per un attimo l’ho scambiata per qualcun’altra. Sono Rafe Peveril.»

    «Piacere, signor Peveril.» Nonostante il battito di ciglia, la stretta di mano della donna era ferma e sicura come la voce.

    «Quasi tutti mi chiamano Rafe.»

    Lei non finse di non sapere chi era, ma gli occhi e la voce non tradirono alcuna emozione. «Preferisce guardarsi in giro, o posso esserle d’aiuto?»

    Non gli aveva dato il permesso di chiamarla per nome, cosa che interessò e divertì leggermente Rafe. «Mia sorella compirà presto gli anni, e da come mi ha parlato del suo negozio, immagino che qui abbia visto qualcosa che le piace. Conosce Gina Smythe?»

    «Tutti a Tewaka conoscono Gina.» Sorridendo, la donna si voltò verso una parete. «E sì, posso dirle che cosa le piace.»

    «Gina non è certo nota per la sua timidezza» commentò con sarcasmo Rafe, apprezzando la grazia con cui quella donna si muoveva.

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