Tradito da un bacio: Harmony Collezione
Di Julia James
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Julia James
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Anteprima del libro
Tradito da un bacio - Julia James
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Purchased for Revenge
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2006 Julia James
Traduzione di Maria Elena Vaccarini
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-005-0
Prologo
Alexei Constantin si accomodò sul sedile di cuoio scuro della grossa e lucente auto nera che l’aspettava accanto al marciapiede. L’autista in uniforme chiuse la portiera, si sistemò al volante e, avviato il motore, si immise nel traffico mattutino di Londra.
Per un attimo, Alexei rifletté sulla facilità con cui ormai dava per scontati quei lussi e accettava la lunga strada che aveva percorso nei quindici anni da quando era partito per il porto sull’Adriatico, il giorno del suo diciottesimo compleanno, un adolescente pelle e ossa con nient’altro che i vestiti che aveva indosso e i suoi ardenti occhi scuri.
Ora, quegli occhi scuri non ardevano più. Erano velati.
Imperscrutabili.
Sistemandosi contro la comoda imbottitura di cuoio, Alexei prese il primo giornale del fascio che era stato sistemato sul sedile accanto al suo, andando alla pagina delle notizie economiche. Lanciò un’occhiata alla caratteristica carta rosa del Financial Times.
Hawkwood: si stringe l’assedio dell’AC International annunciava il titolo.
Alexei lesse rapidamente l’articolo, con il viso che non rivelava nessuna emozione. Con la stessa rapidità, diede una scorsa agli altri giornali. Soltanto uno lo fece indugiare.
C’era una foto, scattata in occasione di un evento mondano e posta accanto a un altro articolo sulla battaglia dell’AC International per l’acquisizione della Hawkwood Enterprises. Lo sguardo di Alexei si fermò sull’immagine.
Giles Hawkwood.
L’uomo dominava la foto, così come cercava di dominare qualunque altra cosa. Era in abito da sera e il viso familiare, con il caratteristico naso prominente, era incorniciato dai folti capelli grigi. Dimostrava tutta la sua età, pensò Alexei, fissando per un momento il viso dell’uomo che era oggetto dello spietato assedio che stava conducendo. Infine il suo sguardo si spostò sulle altre persone nella foto.
C’erano due donne ai lati di Hawkwood. Una era della stessa generazione, anche se il bel viso era perfettamente conservato. La nobile Amabel Hawkwood, figlia del sesto visconte di Duncaster, guardava il mondo con espressione altera. Alexei si chiese causticamente se appariva altrettanto altera nella discreta clinica di disintossicazione che, stando alle dicerie, frequentava abitualmente.
Il suo sguardo si spostò sull’altra donna, alla sinistra di Hawkwood.
Non guardava la macchina fotografica, ma era girata verso qualcun altro che non appariva nella foto.
Alexei socchiuse gli occhi.
C’era ben poco da vedere, a parte le spalle nude, i lunghi capelli biondissimi e il luccichio dei diamanti ai lobi delle orecchie. Ma Alexei sapeva chi era.
Eve Hawkwood, venticinquenne e unica figlia di Giles Hawkwood.
La sua bocca assunse una piega cinica.
Come l’aristocratica madre, Eve Hawkwood era un sofisticato membro dell’alta società, che accompagnava il padre agli eventi mondani come quello a cui era stata scattata la foto. Grazie al denaro del padre, Eve Hawkwood poteva passare la vita gironzolando per tutte le località lussuose del mondo, acquistando tutti i vestiti che voleva e spassandosela per tutto il tempo.
Non aveva bisogno di dedicarsi a cose umili come il lavoro.
Solo che, stando sempre alle dicerie, in realtà Eve Hawkwood lavorava per vivere.
Se si poteva definire un lavoro.
Correva voce che Giles Hawkwood, un uomo che otteneva ciò che voleva con qualsiasi mezzo, non fosse contrario a sfruttare tutte le risorse disponibili. Non soltanto aveva sposato la nobile Amabel per la sua condizione sociale, accettando la sua ben nota debolezza che la teneva sempre più spesso lontana dalle scene, ma non era nemmeno contrario ad approfittare al massimo della giovinezza e della bellezza della figlia.
Alexei fissò la foto. Sebbene non si vedesse chiaramente il viso di Eve Hawkwood, il mento sollevato e le spalle diritte le davano un’aria simile a quella della madre: altera, remota e intoccabile.
Alexei serrò nuovamente le labbra.
Solo che Eve non era affatto intoccabile, a quanto aveva sentito dire. Ma soltanto quando papà le ordinava di non esserlo...
Bruscamente, gettò da parte il giornale.
Non era minimamente interessato a Eve Hawkwood, né alla nobile Amabel. Solo a Giles Hawkwood.
La sua preda.
1
Seduta sull’ampio sedile di cuoio dell’aeroplano, con le gambe elegantemente piegate di lato, Eve scorreva distrattamente una copia di Vogue. C’era soltanto un altro passeggero sul jet privato che sorvolava la Francia, diretto verso la Costa Azzurra. Sull’altro lato del corridoio, suo padre esaminava alcuni documenti, con il volto corrucciato e la mascella serrata.
Eve sapeva che era di pessimo umore. Lo era sempre di più da quando era stata lanciata l’offerta pubblica di acquisto dell’AC International. All’inizio suo padre aveva reagito sprezzantemente, ma quando gli azionisti, uno dopo l’altro, avevano incominciato a guardare con favore l’offerta, o a lasciarsi allettare dal prezzo notevole che l’AC International offriva per le azioni Hawkwood, il suo atteggiamento era cambiato.
L’offerta pubblica di acquisto era diventata una battaglia. Una battaglia che ora il padre conduceva personalmente contro l’uomo che aveva l’audacia di cercare di strappargli la società.
«Quando mi troverò faccia a faccia con lui, dovrà sembrare soltanto una coincidenza» aveva sbraitato, rivolto a Eve. «Se tu sarai con me, sembrerà semplicemente un’occasione mondana.»
Era un ruolo familiare che Eve era costretta a sostenere. La figlia compassata, l’ospite affascinante, la raffinata padrona di casa. Ogni volta che il padre aveva bisogno di una compagnia femminile giovane, ma rispettabile. Lo sguardo di Eve s’indurì. Non si contavano le volte in cui, al fianco del padre, c’erano state donne tutt’altro che rispettabili. Ricordava ancora lo shock e il disgusto che aveva provato quando, da studentessa, era arrivata inaspettatamente nell’appartamento di Mayfair del padre, scoprendo che era in corso un festino. Solo che la parola festino non bastava a descriverlo. C’erano ragazze nude e seminude che ciondolavano per l’appartamento, lì con il solo evidente scopo di intrattenere sessualmente gli ospiti, e un enorme schermo al plasma sullo sfondo rimandava le immagini di un film porno.
Da quel momento Eve non si era fatta più illusioni su quello che il padre faceva per divertirsi quando non era impegnato ad accrescere la propria ricchezza e a vessare chi gli stava intorno. E sicuramente non era il solo a spassarsela in quel modo.
La ripugnanza offuscò i suoi occhi, mentre provava un brutto presentimento.
In fatto di festini, alcuni fra i peggiori uomini ricchi erano i nuovi ricchi, soprattutto quelli che venivano da paesi che avevano appena scoperto il modo di accumulare denaro.
Alexei Constantin sarebbe stato uno di quelli?
Il paese dal quale veniva era uno di quei nuovi stati dell’Europa sud-orientale che sembravano essere spuntati dalla sera alla mattina negli ultimi quindici anni, dopo il crollo del comunismo. Non sapeva quasi niente di quel posto... la Dalaczia... ma forse questo le avrebbe fornito un argomento di conversazione inoffensivo se avesse dovuto intrattenere quell’uomo, pensò speranzosa.
Fino a quel momento aveva appreso che la Dalaczia confinava con la Grecia, aveva una breve fascia costiera sull’Adriatico e alcune isole al largo, era per lo più montagnosa e per secoli era stata oggetto del contendere di tutte le potenze regionali, fra cui Russia, Turchia, Austria, Grecia, Italia e diversi stati balcanici. La religione ufficiale era l’ortodossa e l’alfabeto era una variante del cirillico. La sua indipendenza era precaria, così come l’attuale governo.
Quanto al personaggio stesso... be’, se doveva basarsi sullo stereotipo così popolare nei film americani, Alexei Constantin doveva essere un tipo di mezza età, florido, con la faccia volgare e i denti d’oro, che si era arricchito espropriando spietatamente le ricchezze del proprio paese dopo il crollo del comunismo.
Eve soffocò un sospiro. E allora? Il suo unico compito sarebbe stato di sostenere una conversazione con lui finché il padre non avesse deciso che era venuto il momento di congedarla per parlare di affari. A quel punto avrebbe dato battaglia. Suo padre combatteva accanitamente e in modo sleale. Ma qualunque cosa avesse in serbo per Alexei Constantin, Eve non voleva saperlo.
Non voleva sapere niente di ciò che faceva suo padre. Voleva soltanto tenerlo il più lontano possibile dalla propria vita. Non che fosse facile. Giles Hawkwood gettava un’ombra lunga.
Era vissuta sotto quell’ombra tutta la vita. E sapeva che non c’era scampo.
Eve guardò la propria immagine riflessa nello specchio dell’elegante toilette al pianterreno dell’hotel della Riviera. Era lo stile che preferiva. Abito da sera grigio argento in stile greco con il corpetto drappeggiato, i capelli biondi raccolti in uno chignon, un filo di perle, semplici orecchini di perle, trucco discreto.
Appariva fredda e distaccata. Imperturbata. La figlia coccolata di uno degli uomini più ricchi del Regno Unito, con un appartamento a Chelsea e carte di credito per tutte le boutique di Londra.
Era quello l’aspetto esteriore che il mondo vedeva.
Solo lei sapeva che non era affatto così.
Il suo sguardo si offuscò, ma quasi subito Eve sollevò il mento e si alzò in piedi. Aveva un ruolo da interpretare, e nessuna scelta riguardo alla parte.
Attraversò l’atrio dell’hotel e sostò davanti all’ingresso del casinò, individuando il tavolo dove suo padre sedeva con accanto un bicchiere di cognac, avvolto dal fumo del sigaro. Facendosi coraggio, si accinse a tornare al proprio posto accanto a lui, com’era suo dovere.
Un’ondata di depressione la travolse all’improvviso, schiacciandola con tutto il suo peso. Era vissuta così per tanto tempo, come un burattino mosso da suo padre, convocata quando lui la voleva per qualcosa, congedata quando non gli serviva più, eseguendo i suoi ordini ogni volta che andava bene a lui.
Se soltanto potessi fuggire... non essere sua figlia... essere una persona completamente diversa...
Per un breve momento il desiderio fu così intenso che la lasciò senza fiato, ma subito si scosse.
E si arrestò.
C’era un uomo che dal bar veniva verso di lei. Camminava con passo agile ma deciso, muovendosi fra i tavoli. Per un attimo, in modo del tutto irrazionale, pensò che stesse andando da lei. E per un attimo ancora più breve sentì la bocca improvvisamente asciutta. Poi si rese conto che l’uomo si stava semplicemente dirigendo verso l’atrio e che, per questo, sarebbe dovuto passarle accanto.
D’istinto, cercò di distogliere lo sguardo.
Ma non ci riuscì.
Si ritrovò a fissarlo, impotente, con la bocca nuovamente asciutta.
Era snello e lo smoking aderiva come un guanto alla figura slanciata. Aveva visto pochi uomini con un fisico paragonabile a quello di quell’uomo, o un viso come quello. Capelli scuri corti, volto magro, zigomi alti, naso sottile e occhi... occhi scuri come un profondo lago di montagna incastonato in una