Lezioni d'amore: Harmony Collezione
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Due settimane di insegnamenti potrebbero non bastare...
Arlene Russell, in vacanza in Sardegna con un'amica, decide di sfruttare tutta l'esperienza di Domenico Silvaggio d'Avalos in fatto di viticoltura. Arlene ha infatti appena ereditato un vigneto in Canada e gli insegnamenti dell'affascinante Domenico, incontrato per caso, possono tornarle utili per risollevare le sorti della sua proprietà. In breve tempo, però, Arlene capisce che lui può insegnarle molto più del modo in cui produrre un ottimo vino, e la situazione finisce con lo sfuggirle di mano. Lei non è mai stata il tipo da avventure di una notte, ma la passione che scopre di provare è del tutto irrinunciabile, e l'unica via è abbandonarsi a essa come non aveva mai fatto prima.
Catherine Spencer
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Lezioni d'amore - Catherine Spencer
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Italian Billionaire’s Christmas Miracle
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2007 Spencer Books Limited
Traduzione di Edy Tassi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5891-756-5
www.eHarmony.it
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1
Domenico di solito non si lasciava coinvolgere dai turisti che visitavano l’industria vinicola per assaggiare i prodotti locali. Quel mattino, tuttavia, gli capitò di attraversare il cortile diretto verso il proprio ufficio e incappò nella coda dell’ultimo gruppo di visitatori, che dai vigneti si dirigevano in fila indiana verso l’ala aperta al pubblico. Tutti, tranne uno, si avviarono verso la sala degustazioni. La donna rimase all’esterno per interrogare con aria interessata suo zio Bruno, il quale, a quasi sessant’anni, e nonostante fosse abbastanza professionale da rispondere a chiunque lo interpellasse, non era tipo da sopportare volentieri gli sciocchi.
Il fatto che apparisse coinvolto nella conversazione con quella donna era sufficientemente inusuale da indurre Domenico a fermarsi a osservarli.
Alta, longilinea e piuttosto normale, la donna doveva essere sulla trentina. A giudicare dalla sfumatura rosata della sua pelle chiara, era arrivata di recente in Sardegna e non si era ancora abituata al sole dell’isola.
Anche suo zio doveva aver pensato la stessa cosa, perché la guidò verso una panchina all’ombra di un oleandro. Sempre più curioso, Domenico indugiò a portata d’orecchio.
Ma Bruno lo vide e gli fece cenno. «Questo è l’uomo con cui deve parlare» disse alla sconosciuta. «Mio nipote parla un inglese comprensibile. E, soprattutto, se c’è qualcosa che non sa a proposito della coltivazione dell’uva e su come trasformarla in buon vino, allora vuol dire che non vale la pena saperlo.»
«E mio zio non esagera mai» replicò Domenico, sorridendo. Poi la donna alzò gli occhi e per un istante lui rimase a fissarla come impietrito.
Non era particolarmente bella, non in modo convenzionale almeno. I suoi abiti erano modesti: una gonna di jeans al ginocchio, una camicetta bianca di cotone e un paio di sandali piatti. I suoi capelli, sebbene lucidi come uno specchio, erano di una sfumatura anonima di castano, le sue labbra erano sottili come quelle di un ragazzo, il seno piccolo. L’esatto opposto di Ortensia Costanza, con il suo aspetto sensazionale e le curve piene. Se Ortensia rappresentava la più sfacciata sensualità femminile, questa creatura delicata era il genere di donna che poteva facilmente passare inosservata... fino a quando non la si fissava nei grandi occhi e si annegava nelle loro profondità grigie.
«Sono Domenico Silvaggio d’Avalos» continuò, riprendendosi. «In che cosa posso aiutarla?»
Lei si alzò con grazia dalla panchina e gli tese la mano. «Arlene Russell.» La sua voce era piacevolmente modulata. «Se può dedicarmi mezz’ora di tempo, mi piacerebbe approfittare di lei.»
«È interessata all’industria vinicola?»
«Più che interessata.» Arlene si concesse un breve sorriso. «Vede, di recente sono entrata in possesso di un vigneto in pessime condizioni e ho bisogno di qualche consiglio su come risistemarlo.»
Domenico ricambiò il sorriso. «Ma di sicuro non penserà che sia un argomento che si possa esaurire in poche parole» le disse gentilmente.
«Dedica un’ora a questa ragazza» intervenne suo zio borbottando in sardo. «Ha sete di informazioni come una spugna. Non come tutti quegli altri che hanno sete solo del vino che stanno degustando a tue spese.»
«Non ho tempo.»
«Sì che ce l’hai il tempo! Invitala fuori a pranzo.»
Lo sguardo di Arlene rimbalzava dall’uno all’altro. E anche se non capiva il loro scambio, interpretò correttamente l’espressione irritata che si era dipinta sul volto di Domenico.
«La prego, mi scusi, signor Silvaggio d’Avalos» mormorò contrita. «Mi spiace di essere stata scortese e di avere osato chiederle troppo.» Si voltò verso suo zio e riuscì a sfoderare un altro sorriso. «Grazie per aver trovato il tempo di parlare con me. È stato molto gentile.»
Al contrario di me, che mi sto comportando come un vero zotico, pensò Domenico con un sospiro.
«Se le va bene» propose, prima di riuscire a cambiare idea, «potrei dedicarle un’oretta prima degli appuntamenti del pomeriggio.»
Arlene non si fece incantare da quel tardivo sfoggio di galanteria, ma raccolse la macchina fotografia e il blocco che aveva lasciato sulla panchina. «Va bene così. Ha già messo in chiaro che ha cose più importanti da fare» disse con aria dispiaciuta.
«Ma devo pur mangiare» insistette lui, squadrandola da capo a piedi. «E, a quanto vedo, dovrebbe farlo anche lei. Suggerisco di approfittarne per prendere due piccioni con una fava.»
Nonostante l’orgoglio suggerisse ad Arlene di buttargli in faccia il suo invito, il senso pratico ebbe la meglio. «Grazie» accettò rigidamente.
A quel punto Domenico la prese per un braccio e la scortò fino alla Jeep parcheggiata sul retro dell’azienda vinicola.
«Dove stiamo andando?» gli chiese lei sorpresa.
«A casa mia. Si trova a circa cinque chilometri da qui, lungo la costa.»
«Pensavo che avremmo mangiato al bar dell’azienda vinicola.»
«Quello è per i turisti.»
«Io sono una turista.»
Lui mise in moto e si avviò lungo la strada lastricata. «No, signorina. Oggi è mia ospite.»
Poco più tardi, Arlene decise che Domenico era un maestro di modestia.
Aveva appreso dalla brochure pubblicitaria che la Vigna Silvaggio d’Avalos, un’azienda vinicola vecchia di tre generazioni, era una delle migliori della Sardegna, situata in ottima posizione lungo la costa più a nord dell’isola, vicino a Santa Teresa di Gallura.
Lo stemma elaborato che adornava i cancelli di ferro battuto all’ingresso della proprietà, insieme all’edificio che ospitava un’azienda vinicola all’avanguardia, una sala per le degustazioni, un’enoteca e un bar con giardino, non l’avevano affatto sorpresa.
Ma quando lui guidò attraverso una seconda coppia di cancelli, e percorse un tortuoso viottolo in mezzo a quelle che sembravano residenze private immerse nel verde, fino a un edificio in stucco chiaro appollaiato sopra la spiaggia, Arlene non poté fare a meno di rimanere a bocca aperta.
Quello che lui aveva con noncuranza definito la sua casa, era in realtà un vero e proprio palazzo, circondato da giardini di rigogliosa vegetazione fiorita, e che si innalzava con una serie di eleganti angoli e curve, progettati per approfittare il più possibile della vista.
Domenico la scortò attraverso l’ingresso fino a un’ampia terrazza, sotto la quale il mare scintillava verde come gli smeraldi da cui prendeva giustamente nome, e le indicò un gruppo di poltroncine di vimini.
«Si accomodi pure. Se mi vuole scusare, mi occupo del pranzo.»
«La prego, non si disturbi» protestò lei, consapevole che in un solo giorno lo aveva già disturbato abbastanza. «Sono costernata...»
Lui sorrise e sollevò un telefono portatile da un tavolino. «Nessun disturbo. Ordino che ci portino qualcosa dalla casa padronale.»
Be’, ovvio, che stupida!, si rimproverò lei, vacillando sotto l’impatto di quel sorriso. Aveva davvero pensato che sarebbe scomparso in cucina per infilarsi un grembiule e preparare qualche manicaretto con le sue stesse mani? E doveva per forza essere così scandalosamente affascinante da permetterle a malapena di pensare in modo coerente? Alto e moro, questo avrebbe dovuto aspettarselo, ma gli zigomi alti, che gli conferivano un’aria più spagnola che italiana, e i sorprendenti occhi azzurri infondevano altro fascino a un viso già baciato da più bellezza virile di quanta qualsiasi uomo meritasse.
Dopo una breve conversazione, lui riappoggiò il telefono e cominciò ad affaccendarsi davanti a un minibar. «Gradisce qualcosa da bere?»
«Qualcosa di fresco e leggero, grazie» rispose lei, facendosi aria per attenuare una sensazione di calore che non era interamente dovuta al clima.
Domenico lasciò cadere del ghiaccio in due alti calici di cristallo, li riempì per metà di vino bianco e aggiunse uno spruzzo di soda. «Un Vermentino ricavato dalle nostre uve» spiegò, sedendosi accanto a lei. «Rinfrescante e non troppo forte. Dunque, signorina Russell, come è entrata in possesso del vigneto di cui parlava?»
«L’ho ereditato dieci giorni fa da un prozio.»
«E si trova qui, su quest’isola?»
«No. Si trova in Canada, nella Columbia Britannica... Io sono canadese. Avevo già organizzato una vacanza qui e, poiché questa eredità mi è caduta fra le braccia inaspettatamente, ho pensato fosse meglio sentire il parere di qualche esperto. Questa è una zona in cui non mancano di certo.»
«Capisco. Quindi lei non ha nessuna nozione di viticoltura, giusto?»
«Nessuna. Sono una segretaria legale e vivo a Toronto» rispose lei.
«Ha già avuto modo di vedere la sua eredità, o si basa su informazioni di seconda mano a proposito delle sue condizioni?» continuò a interrogarla Domenico.
«Vi ho trascorso un paio di giorni la scorsa settimana» raccontò la donna.
«E che cos’altro ha notato?»
«Niente, a parte il fatto che è molto trascurato... oh, e che fanno parte dell’eredità anche una casa, un anziano custode e due levrieri da corsa in pensione.»
Lui alzò gli occhi al cielo come a dire: Signore, perché proprio io?
«Posso chiederle che cosa intende farne di loro?»
«Be’, di certo non abbandonarli, se è questo che sta suggerendo.»
«Non sto suggerendo niente del genere, signorina Russell. Sto semplicemente cercando di valutare l’entità della sua impresa. Per esempio, quanti acri di terreno possiede con esattezza?»
«Sette.»
«E che tipo di uva vi cresce?»
«Non lo so.» Poi, prima che lui potesse alzare le mani scandalizzato e dirle di andare a infastidire qualcun altro, aggiunse: «Signor Silvaggio d’Avalos, mi rendo conto che per lei è difficile capire, visto che è cresciuto circondato dall’attività di famiglia e che probabilmente ha cominciato ad assimilare nozioni sulla coltivazione dell’uva sin dalla culla, ma io sono un’assoluta principiante e devo pur cominciare da qualche parte».
Lui l’ascoltò con espressione impassibile. «Allora devo metterla in guardia su quanto le accadrà: sta per imbarcarsi in un progetto di enormi proporzioni, il cui successo non sarebbe affatto garantito nemmeno se fosse una vera esperta, figuriamoci così.»
«Be’, non mi aspettavo che fosse facile» annaspò lei, così incantata dai suoi brillanti occhi azzurri da riuscire a stento a mettere due parole in fila. «Ma per me è importante riuscire in questa impresa per tutta una serie di ragioni. Sono determinata ad andare fino in fondo, indipendentemente da qualsiasi difficoltà.»
«Molto bene.» Domenico puntellò un gomito al bracciolo e appoggiò la guancia sul palmo della mano. «In questo caso, tiri fuori la penna e cominciamo con quello che è necessario che sappia fin da subito.»
Nella mezz’ora prima dell’arrivo del loro pranzo, Arlene scrisse in fretta, fermandosi di quando in quando per porre una domanda e cercando di concentrarsi sull’argomento in questione.
Nonostante tutti gli sforzi, però, la sua mente continuava a divagare. Le domande alle quali lui rispondeva non erano quelle che avrebbe voluto rivolgergli. Se fosse o meno il caso di sradicare tutte le sue vecchie viti e ricominciare da zero, che varietà piantare al loro posto, quanto sarebbe costato e in quanto tempo avrebbe dovuto aspettarsi di recuperare le spese e cominciare a produrre