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Il duca cerca moglie: Harmony History
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E-book241 pagine3 ore

Il duca cerca moglie: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1814
Sofia Underwood ha sempre soffocato la propria natura curiosa e ribelle nel tentativo di diventare una ragazza perbene, attenta alle regole e all'etichetta, per compiacere gli zii che si occupano della sua educazione dopo la morte del padre. Ma quando il fidanzamento programmato con il cugino si rivela un inganno della peggior specie, Sofia decide che è arrivato il momento di pensare a se stessa. Dopo aver conosciuto Oliver, Duca di Theakstone, accetta l'invito a trascorrere un'intera settimana nella sua tenuta dove, insieme ad altre quattro giovani nobildonne, si candida a diventare la futura duchessa. Giorno dopo giorno l'intesa fra lei e Oliver cresce tanto che alla fine quest'ultimo sembra aver compiuto la sua scelta. Ma il duca nasconde un segreto, e forse la sua proposta di matrimonio non è così disinteressata come sembra.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2019
ISBN9788830500921
Il duca cerca moglie: Harmony History
Autore

Annie Burrows

Sposata, con due figli, ha messo a frutto la sua laurea in letteratura inglese e la sua incredibile fantasia nel creare avvincenti storie d'amore ambientate nei più diversi periodi storici.

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    Anteprima del libro

    Il duca cerca moglie - Annie Burrows

    successivo.

    1

    Luglio, 1814

    Accadde tutto molto in fretta.

    Un attimo prima erano tutti in estasi di fronte alla rutilante cascata di scintille rosse e dorate che illuminava la notte, e un attimo dopo fuggivano urlando, terrorizzati dalla vampata di fuoco che eruppe nel cielo con un rumore che ricordò a Sofia una scarica di cannone.

    Quel che era peggio, i più grossi spingevano malamente i più piccoli. In preda al panico, un omone colpì Sofia con una gomitata all'occhio. Un istante dopo uno spintone rischiò di farle perdere l'equilibro.

    Spaventata, Sofia temette di finire travolta e schiacciata dalla folla. Per sua fortuna, però, lo spintone l'aveva mandata in direzione di un mucchio di siepi, così vi si tuffò sotto per ripararsi dal tramestio della folla tumultuosa.

    Le batteva forte il cuore, tremava da capo a piedi ed era un po' ammaccata, ma almeno era al sicuro. Una volta tanto avrebbe avuto una buona scusa per tornare a casa degli zii coperta di foglie e di fango. Una volta tanto avrebbe potuto dare la colpa al bestione che l'aveva spintonata, anziché confessare di aver dovuto tirare fuori il cane da una tana di coniglio o da una palude, o di averlo dovuto sottrarre a uno dei mille guai in cui Snowball si cacciava ogniqualvolta usciva a esplorare la tenuta dello zio Ned.

    La folla che si era radunata per ammirare i fuochi d'artificio si disperse in un batter d'occhio, e Sofia poté sollevarsi su un gomito per sbirciare oltre i cespugli e sincerarsi della situazione.

    Zio Ned aveva acquistato i biglietti più costosi per quello spettacolo, uno degli eventi con cui il consiglio comunale della cittadina di Burslem Bay intendeva celebrare la pace con la Francia. Oltre alla cena, il prezzo del biglietto includeva anche una postazione invidiabile sul terrapieno del castello, che avrebbe garantito la visuale migliore dei fuochi pirotecnici. Ciò significava che, anche da sotto i cespugli, Sofia godeva ancora di un'ottima prospettiva dell'impalcatura su cui erano stati montati i razzi.

    Sentiva anche gridare qualcuno e, quando si sollevò ulteriormente sul gomito per dare una sbirciatina, si accorse con orrore che la gonna di una delle donne radunate nella zona riservata a mercanti e domestici stava andando a fuoco.

    Era sola, e batteva disperatamente con le mani sulle fiamme che adesso le lambivano le maniche. Sofia aveva visto qualcosa di simile, durante la sua infanzia, quando un razzo impazzito aveva mandato a fuoco un piccolo deposito e l'uomo che vi stava accanto. Proprio per quello sapeva che la donna avrebbe dovuto distendersi e rotolare per terra, non saltellare di qua e di là come stava facendo.

    Evidentemente, però, Sofia era l'unica a sapere cosa fare, in quella circostanza, così uscì dal nascondiglio sotto le siepi e prese la rincorsa lungo il pendio, augurandosi con tutto il cuore di riuscire a raggiungere la donna in tempo per buttarla per terra ed estinguere le fiamme. Con la coda dell'occhio, si accorse di due uomini che correvano nella stessa direzione. Dovevano essere due dei camerieri che avevano servito la cena, a giudicare dalle uniformi che indossavano. Arrivarono per primi accanto alla donna. Uno dei due la spinse per terra. L'altro, che teneva in mano un secchiello per il ghiaccio, ebbe la presenza di spirito di versarne tutto il contenuto sulla poveretta, estinguendo all'istante quasi tutte le fiamme.

    Quando Sofia finalmente li raggiunse, il fuoco era stato spento, e i due se ne stavano appena in disparte a osservare la povera malcapitata, che giaceva ancora a terra gemendo e tremando.

    Un fianco dell'abito era stato distrutto dalle fiamme, e anche i capelli erano tutti bruciacchiati. Sofia non si stupì di vederla tremare. Aveva appena vissuto un'esperienza terribile. Oh, quanto avrebbe voluto fare qualcosa per quella poveretta!

    In realtà, qualcosa poteva fare. Si sganciò il mantello e, inginocchiandosi accanto alla donna, lo utilizzò per coprirla tutta. Forse non sarebbe riuscita a placare i tremiti, ma almeno avrebbe impedito ai due uomini di guardarle le carni nude.

    «Non statevene là a fissarla!» gridò loro. «A questa poveretta servono cure mediche immediate. Andate! Correte a chiamare un dottore.»

    I due si scambiarono un'occhiata.

    «Ehi, ma...» tentò di protestare uno dei due.

    L'altro, però, quello che ancora stringeva tra le mani il secchiello, sollevò una mano per zittire il collega. «Ha ragione, Gil» sentenziò. «Corri a chiamare il dottor Cochrane.» E mentre il primo si allontanava per obbedire, buttò a terra il secchiello del ghiaccio e si avvicinò alla donna ferita.

    Alla luce tremolante del fuoco che ancora avvolgeva l'impalcatura, Sofia si accorse di un paio di sopracciglia folte e dritte, e di un naso aquilino che conferiva al volto dell'uomo un aspetto aspro.

    «Potete lasciarla, adesso» ringhiò lui a Sofia.

    Come si permetteva di parlarle in quel tono? E per quale motivo la fissava con tale ferocia?

    «Il dottore si occuperà di lei.»

    «Quando arriverà» obiettò lei. «Fino ad allora, però, preferisco restare accanto a questa poveretta.» Quindi prese la mano della donna tremante nella speranza di offrirle un po' di conforto.

    «Ho l'impressione» sentenziò il domestico dalle sopracciglia feroci, «che voi stessa abbiate bisogno di cure mediche.»

    Soltanto allora Sofia si rese conto di quanto le dolesse l'occhio su cui aveva ricevuto una gomitata e notò i graffi che si era procurata alle braccia tuffandosi sotto i cespugli.

    «Inoltre, non penso proprio che avreste dovuto togliervi il mantello.» Mentre il suo sguardo la scrutava da capo a piedi, Sofia ricordò di aver pensato che la mussola non fosse il tessuto più adatto per infilarsi tra i cespugli, ma almeno stavolta avrebbe avuto una scusa plausibile da propinare a zia Agnes per aver rovinato l'ennesima veste.

    «Già, immagino che abbiate ragione» ammise adocchiando lo strappo nella gonna che lasciava intravvedere un ginocchio, «ma in questo particolare frangente, credo che il mantello serva più a questa signora che a me.»

    «Non è una signora» ribatté lui con fare pedante.

    «E cosa volete che importi la sua posizione sociale? È ferita e soffre moltissimo. È chiaro che ha bisogno di un dottore, e anche di un mantello per coprirsi.»

    Il cameriere inarcò un sopracciglio. «È un'osservazione compassionevole, la vostra, e tuttavia sono certo che ci sia qualcuno che sta cercando anche voi, qualcuno che si starà preoccupando per la vostra incolumità. Non dovreste andarvene a zonzo tutta sola, al buio.»

    «Io non me ne sto andando a zonzo tutta sola. Sono inginocchiata a terra a occuparmi di una donna che è rimasta gravemente ferita. E ho intenzione di restare con lei finché non arriverà qualche altra donna a prendere il mio posto.»

    Quasi a volerle manifestare la propria gratitudine, la donna ustionata le strinse tremando la mano.

    «Oh, quanto vorrei potervi portare a casa con me e curarvi di persona!» mormorò Sofia. «Dev'essere terribile trovarsi in queste condizioni e dover fare affidamento su dei perfetti sconosciuti.» A quel pensiero, nella sua mente affiorò il ricordo dei giorni successivi alla morte di suo padre, quando era passata dalle mani di un funzionario a quelle di un altro, prima di essere finalmente caricata su una nave in partenza per l'Inghilterra. Anche se quei funzionari non avevano mai avuto l'intenzione di trattarla male, nessuno di loro aveva dimostrato di avere la più pallida idea di come comportarsi con l'orfana di un militare.

    «Anche voi siete una sconosciuta per lei» le fece notare il cameriere, che ormai incominciava a irritarla.

    «Questo lo so» obiettò indispettita, «ma almeno sono una donna.»

    «State a sentire, Miss...»

    «Underwood» rispose lei automaticamente.

    «Miss Underwood» ripeté lui. «Mi assicurerò che questa donna riceva le migliori cure del caso. E non appena sarà possibile, le procurerò un'assistente donna.»

    «Sì, certo, va bene, ma fino a quel momento...»

    «E perché vi mettiate l'animo in pace, vi farò avere notizie dei suoi progressi. Sempre che vogliate consentirmi di sapere come mettermi in contatto con voi.»

    Sofia si morse le labbra. La cosa più irritante di quel cameriere era che aveva ragione. Senza dubbio a quell'ora gli zii si stavano preoccupando per lei, dopo essere stati separati durante il fuggifuggi di qualche minuto prima. E poi era vero: non c'era più niente che lei potesse fare per la povera ustionata.

    «E sia, va bene. Siamo alloggiati lungo la Marine View, a Theakstone Crescent.»

    L'uomo parve sorpreso e prese fiato, forse preparandosi a dire qualcosa, ma venne interrotto dall'arrivo di un trafelato zio Ned.

    «Sofia! Credi forse che questo sia un gioco? Tua zia è fuori di sé per la preoccupazione! Alzati da terra e vieni qui all'istante.»

    Lei obbedì e, fingendo di scrollarsi foglie e cenere dalla gonna, si avvicinò al cameriere. «Ho del denaro mio» gli bisbigliò. «Sarò lieta di contribuire al costo della sua assistenza, se può essere di aiuto.»

    «Sofia!» Zio Ned si avvicinò per afferrarla per un braccio e trascinarla a una distanza rispettabile dal cameriere. «Dov'è il tuo mantello?»

    Lei gli indicò la donna ferita.

    «Oh, santi numi!»

    Sofia rabbrividì, già immaginando la scenata che avrebbe dovuto affrontare per aver distrutto un capo preso in prestito dalla cugina Betty, e solo dietro solenne promessa di prendersene la massima cura.

    Evidentemente doveva immaginarla anche lo zio perché, mentre la trascinava via con sé, Sofia lo sentì borbottare: «Non hai proprio un briciolo di buonsenso, ragazza mia?».

    Oliver serrò i pugni alla vista dell'uomo che strattonava Miss Underwood lungo la strada, neanche la ragazza avesse commesso il peggiore dei crimini. Se c'era una cosa che detestava erano gli uomini che usavano la forza con le donne, soprattutto se componenti della loro famiglia.

    Se non fosse stato per la poveretta che giaceva ustionata ai suoi piedi, sarebbe corso dietro a Miss Underwood per dirne quattro a suo zio. Data la situazione, invece, dovette occuparsi della contusa.

    Diresse lo sguardo verso di lei. Aveva smesso di gemere. Era un buon segno, oppure no? Oh, se solo avesse saputo intuire cosa fare, come era successo a Miss Underwood. Lei si era inginocchiata accanto alla donna ferita e le aveva preso una mano tra le proprie.

    Solo che lei era una donna. E lui ne era stato immediatamente consapevole, quando aveva intravvisto il ginocchio che le sporgeva dalla gonna strappata.

    Si guardò intorno. Dov'era finito il dottore? E perché Gil ci metteva tanto?

    All'improvviso la sconosciuta venne scossa da un brivido convulso.

    «Il dottore arriverà presto, Miss... Mrs...» Oliver si impappinò e serrò i denti.

    «Pagett» gracchiò quella.

    «Pagett» ripeté lui con fare rassicurante.

    Un altro gemito.

    «Siate coraggiosa» la esortò lui. «Ancora poco e il dottore...»

    «È proprio questo il problema» piagnucolò lei. «Non posso permettermi di pagare un medico, e nemmeno delle cure.»

    Miss Underwood aveva pensato anche a quello.

    «Non preoccupatevi di questo» la rassicurò Oliver. «Mi assicurerò di pagare tutte le cure di cui avrete bisogno, per tutto il tempo che sarà necessario.»

    «Voi?» La donna si accigliò. «Perché dovreste fare una cosa del genere?»

    «Perché è mio dovere» rispose lui. «Così come è dovere del comitato che ha organizzato l'evento di questa sera. Non temete» si affrettò a rassicurarla. «Ci occuperemo anche della vostra famiglia, nel caso doveste essere impossibilitata a lavorare per un lungo periodo.»

    La donna scosse la testa. «È bello che lo diciate, ma chi vi darà ascolto, quando lo proporrete agli altri?»

    «Mi ascolteranno tutti» le garantì lui in tono perentorio, «perché sono il capo del comitato.»

    «Dite davvero?» domandò la donna, incredula.

    «Certo, signora. Sono il Duca di Theakstone.»

    2

    «E voi dite che l'uomo in questione è il Visconte Norborough» commentò Oliver. «Ne siete certo?»

    Perceval, il suo segretario, spalancò il portadocumenti che aveva portato con sé nello studio e, dopo avere frugato tra le carte, ne estrasse una cartellina sottile. «Affittano la casa al numero 6 di Theakstone Crescent» rispose. «Lord e Lady Norborough, la loro nipote Miss Underwood, diversi domestici e un cane. Hanno preso possesso della casa il primo giugno per un intero trimestre.»

    Oliver aggrottò la fronte, ripensando ai modi bruschi con cui il visconte aveva strattonato la nipote. Avrebbe dovuto insistere affinché restasse sul posto anche lei in attesa di ricevere cure mediche. Peccato che il dottor Cochrane non avrebbe potuto dedicarle la propria attenzione, dato l'impegno con cui si era dovuto prodigare per Mrs. Pagett.

    «Cosa sappiamo di questi Norborough, Perceval?»

    «La loro tenuta principale si trova nel Derbyshire. Lady Norborough è la sorella maggiore del Conte di Tadcaster. La...»

    «No, no, non parlo di questo. Voglio sapere qualcosa del loro carattere, delle loro abitudini, della loro storia.»

    «Me ne occupo subito, Vostra Grazia» garantì Perceval in tono deferente.

    Non era sufficiente. Oh, certo, Perceval avrebbe condotto ricerche fino a scoprire ogni segreto della coppia, ma gli ci sarebbe voluto del tempo. E intanto era probabile che Miss Underwood soffrisse chissà quali pene. «Non fatevene una priorità, Perceval. Avete fin troppo da fare con le indagini sulla causa dell'incendio di ieri sera.»

    Avevano già ispezionato la scena, sperando che la luce del giorno li aiutasse a scoprire il motivo dell'esplosione.

    Lui non sapeva niente di micce e polvere da sparo, ma anche gli esperti che avevano allestito i fuochi d'artificio sembravano perplessi dal modo spettacolare in cui tutto era andato a rotoli.

    «Non ci sono prove» aveva sentenziato truce in volto uno di loro. «Non ci rimane altro che cenere.»

    «Prove?» Oliver aveva posto l'accento su quella parola. «Pensate forse che si sia verificato un crimine?»

    «Un sabotaggio» aveva risposto uno degli operai. «Per forza.»

    «Oppure negligenza» aveva borbottato Perceval, ma solo Oliver lo aveva sentito. «Oppure una sbronza. O l'incompetenza.»

    Qualunque fosse stata la causa dell'incendio, di sicuro Perceval l'avrebbe scoperta.

    «Nel frattempo» stabilì Oliver, «farò visita a Miss Underwood.» Voleva assicurarsi che non avesse subito danni dall'incidente della sera prima. E non solo perché era molto graziosa, ma soprattutto per via del coraggio di cui aveva dato prova nell'accorrere in soccorso di una sconosciuta in preda alle fiamme, mentre tutti i presenti non si erano preoccupati che di mettersi in salvo. E per via della generosità e della compassione con cui si era inginocchiata accanto alla donna, non facendo caso al suo livello sociale e sacrificando il proprio mantello per coprirla.

    Perceval infilò la cartellina nel portadocumenti e ne estrasse l'agenda di Oliver. «Domani alle cinque parteciperete alla riunione straordinaria del comitato per la celebrazione della pace con la Francia.»

    «E la Marine View si trova di strada. Efficiente come al solito, Perceval. Mi basterà muovermi con mezz'ora di anticipo.»

    «Me lo appunto, Vostra Grazia.» Perceval inumidì con la lingua la punta della matita.

    «Il Duca di Theakstone» intonò Babbage dalla porta.

    «Il Duca di Theakstone? Ne siete sicuro?» Zia Agnes guardò accigliata il maggiordomo che li aveva seguiti da Nettleton Manor. «Non mi pare di conoscere alcun duca, Ned. Dico bene? Conosciamo costui?»

    Zio Ned abbassò il giornale. «Theakstone? Ah! A pensarci bene è il nostro padrone di casa. Sarà qui per qualche problema nel contratto di affitto. Fatelo accomodare nello studio, Babbage. Lo raggiungerò subito.»

    Il maggiordomo si schiarì la voce con un colpetto di tosse. «Sua Grazia ha lasciato intendere di voler parlare con Miss Sofia, milord.»

    Zio Ned e zia Agnes si girarono entrambi a fissarla a bocca aperta, ma fu lo zio a riaversi per primo. «Sciocchezze! Sofia non conosce nessun duca. La mia Agnes non la perde di vista un solo istante. Dove mai avrebbe potuto conoscere un duca?»

    «Da nessuna parte» assicurò la zia in tono perentorio.

    Anche Sofia avrebbe potuto confermarlo, se solo lui si fosse preso la briga di domandarglielo. La verità era che per zio Ned lei non era sua nipote. Glielo aveva sentito dire a chiare lettere il giorno stesso in cui era arrivata a Nettleton Manor, malconcia e infelice, e sicura che anche loro l'avrebbero spedita a vivere con un'altra famiglia di estranei. Quella era stata la prima volta che gli zii avevano discusso di lei come se non fosse stata nemmeno presente. Negli anni seguenti avevano preso l'abitudine di farlo con regolarità.

    Babbage si schiarì la voce, ricordando loro con tutto il tatto di cui era capace che era un duca, l'ospite che stavano facendo aspettare.

    «Sì, sì, fatelo entrare» concesse zio Ned, spazientito. «Si tratta senza dubbio di un errore. Lo chiariremo in un attimo. Ah, buongiorno» pronunciò quindi riponendo il giornale per accogliere il nuovo venuto, che si comportava come se fosse il padrone di casa.

    Il che, naturalmente, non poteva essere, visto che non era un duca, si disse Sofia. Era il cameriere che aveva incontrato la sera in cui i fuochi d'artificio avevano provocato un'esplosione e un incendio.

    Il cameriere accennò un saluto a suo zio, poi si diresse verso di lei, e il suo cipiglio feroce si ammorbidì in un'espressione preoccupata. «Il vostro povero viso» mormorò protendendo la mano, quasi volesse accarezzarle l'occhio nero. Si ritrasse appena in tempo, come se solo all'ultimo momento avesse ricordato le buone maniere.

    Sofia, però, ebbe l'impressione che l'avesse toccata davvero, il che le procurò una strana sensazione. Non ricordava più quanto tempo era passato dall'ultima volta che qualcuno l'aveva guardata con affetto. Di sicuro non zia Agnes, che al primo incontro era rabbrividita di disgusto e l'aveva spedita a farsi ripulire da una domestica, e che da allora l'aveva sempre tenuta a distanza.

    Cerca di rammentare che sei un'aristocratica, era il ritornello che le piaceva ripetere più spesso, e che alle volte sostituiva con un:

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