Un isola per amare: Harmony Jolly
Di LUCY GORDON
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Info su questo ebook
LUCY GORDON
Lucy Gordon cut her writing teeth on magazine journalism, interviewing many of the world's most interesting men, including Warren Beatty and Roger Moore. Several years ago, while staying Venice, she met a Venetian who proposed in two days. They have been married ever since. Naturally this has affected her writing, where romantic Italian men tend to feature strongly. Two of her books have won a Romance Writers of America RITA® Award. You can visit her website at www.lucy-gordon.com.
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Anteprima del libro
Un isola per amare - LUCY GORDON
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Rescued by the Brooding Tycoon
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2011 Lucy Gordon
Traduzione di Paola Picasso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-691-3
1
Fu lo spettacolo di assoluta bellezza a cogliere Darius impreparato. Non si considerava vulnerabile alla bellezza. Per lui le cose che contavano erano l’efficienza, l’acume finanziario, la spietatezza.
Quel giorno, affittato un elicottero, aveva volato dalla costa dell’Inghilterra fino alla piccola isola di Herringdean. Dato che adesso l’isola era di sua proprietà, gli sembrava sensato ispezionarla mentre si dirigeva verso un incontro importante.
Sensato. Attieniti a questo, visto che tutto il resto è finito male.
Ma la vista improvvisa del mare illuminato dal sole, delle onde che scintillavano, infrangendosi sulla sabbia, lo colpirono e gli fecero avvicinare il viso al finestrino.
«Si abbassi» ordinò al pilota e mentre l’elicottero scendeva, poté osservare l’isola con occhio attento. Le insenature ammantate di verde e le spiagge dorate lo affascinarono.
La scogliera digradava fino a un’altezza di pochi metri rispetto alla spiaggia e lui vide una grande villa che un tempo doveva essere stata elegante ma che adesso era in condizioni pietose, circondata da un giardino collegato a un prato che scendeva fino al mare.
In lontananza si vedevano degli edifici. Doveva essere Ellarick, la più grande città dell’isola che aveva una popolazione di duemila individui.
«Atterri su quel prato» indicò.
«Pensavo volesse sorvolare la città» si sorprese il pilota.
Non era così. Di colpo lui anelò a evitare la folla, i rumori, il traffico. Il mare sembrava chiamarlo, sensazione strana per uno che non conosceva l’impulsività. Nel mondo finanziario, l’impulsività poteva risultare dannosa, ma in quel momento cedette volentieri a quell’insolita esigenza.
«Scenda!» ordinò con urgenza.
L’elicottero si posò sul prato e Darius, agile e atletico com’era, nonostante il suo lavoro sedentario, si precipitò fuori e corse verso la spiaggia.
La sabbia era umida ma compatta e non rappresentava una minaccia per i suoi abiti eleganti. Il suo aspetto curato era quello di un uomo che vuole annunciare al mondo d’aver raggiunto il successo e di potersi pagare dei capi di vestiario costosissimi. Forse qualche granello di sabbia sarebbe rimasto sulle sue scarpe fatte a mano, ma era un prezzo modesto da pagare per quello che la spiaggia gli offriva.
Pace.
Dopo i fatti recenti che l’avevano sconvolto, niente gli era più gradito che stare fermo al sole, chiudere gli occhi, sentire sul viso la carezza del vento e bearsi del silenzio.
Aveva trascorso tutti quegli anni a lottare, cospirare, manovrare senza sapere che quella perfezione lo stava aspettando.
Esternamente sembrava troppo giovane per avere tanti pensieri. A trentacinque anni era alto, forte e attraente, ma dentro sapeva di aver già combattuto molte battaglie, alcune vinte, altre perse, e di essere sfinito.
In quel posto, tuttavia, avrebbe potuto recuperare le forze per affrontare le lotte che lo aspettavano. Inspirò adagio, assaporando la quiete nella speranza che durasse e invece... uno scoppio di risa ruppe il silenzio e distrusse la pace. Gemendo, aprì gli occhi e vide due figure che nuotavano verso la riva. Quando emersero si accorse che una era un grosso cane. L’altra apparteneva a una giovane donna dal fisico ben fatto, non voluttuoso, ma deliziosamente snello, con gambe lunghe ed eleganti. Il suo costume intero era nero, più funzionale che sensuale e i suoi capelli scuri erano legati dietro la nuca.
Da uomo esperto, Darius sapeva che le donne andavano a nuotare per esibire le loro grazie, ma il messaggio che inviava quella ragazza era diverso:
Indosso gl’indumenti più comodi, perciò non pensi che io esponga il mio corpo per attirarla.
«Posso aiutarla?» gridò lei allegramente, saltellando sulla sabbia.
«Sto solo guardandomi intorno per gustare le sensazioni che mi regala questo posto.»
«Già, è meraviglioso, vero? A volte penso che il paradiso debba essere come questo. Non che mi aspetti di andarci. Quando arriva un caratteraccio come il mio, chiudono i cancelli.»
«Perché caratteraccio?» domandò lui, divertito.
«Sono maldestra» spiegò lei in tono ilare. «Ho anche altri difetti, ma il maggiore è questo. Almeno è così che sostengono i miei amici.»
«Gli stessi che se la sono data a gambe per la sua goffaggine?»
«Esatto.»
Darius indicò la casa alle sue spalle. «Credo che appartenga a Morgan Rancing.»
«Sì, ma se è venuto qui per vederlo, ha fatto un viaggio a vuoto. Nessuno sa dove sia.»
Rancing si trovava dall’altra parte del mondo, fuggiva dai creditori, lui incluso, ma Darius non vide la necessità di dirlo.
La ragazza fece un passo indietro e lo scrutò con curiosità. Poi quell’espressione svanì come se le fosse balenata un’idea e l’avesse scacciata come impossibile.
«È davvero fortunato che Rancing non sia qui. Vedendola atterrare sul suo prato si sarebbe imbestialito. A nessuno è consentito fermarsi nella sua proprietà.»
«È sua anche la spiaggia?» domandò lui, osservando le staccionate che la recintavano.
«Certo che è sua. Ma sia gentile» disse lei, ridendo. «Se lo incontra, non gli riferisca d’avermi vista sulla sua spiaggia privata. Non vuole che venga a nuotare qui.»
«Ma lei lo fa lo stesso» commentò Darius.
«È così bello che non sono capace di resistere. Le altre spiagge sono piene di gente, mentre qui è tutto per me sola.»
Darius annuì. Quel modo di pensare così simile al suo lo metteva a suo agio e fu con rinnovato interesse che la guardò. Nonostante il suo aspetto fanciullesco, la ragazza non mancava di un certo fascino. I suoi occhi erano molto belli, grandi e azzurri e pieni di vita.
«È vero» convenne.
«Allora non dirà di avermi vista sulla sua spiaggia privata?»
«In verità è la mia spiaggia privata.»
Il sorriso della ragazza svanì. «Che cosa intende dire?»
«Che adesso l’isola è mia.»
«Rancing gliel’ha venduta?» si stupì lei.
Senza saperlo aveva pronunciato la parola fatale. Rancing non gli aveva venduto l’isola. Gli aveva giocato un tiro mancino. In un lampo la simpatia per lei svanì e sul suo viso apparve un’espressione dura. «Le ho detto che è mia» replicò in tono aspro. «E questo è ciò che importa. Il mio nome è Darius Falcon.»
La ragazza trasalì. «Mi sembrava di aver visto la sua faccia sul giornale. Non è stato lei a...»
«Lasci perdere» la interruppe lui. Sapeva che la sua vita privata era stata divulgata dai giornali e non amava ricordarlo. «Non crede che dovrebbe dirmi il suo nome?»
«Harriet Connor» rispose lei. «Ho un negozio di antichità a Ellarick.»
«Non penso che possa fare molti affari in un posto come questo» commentò lui, notando l’isolamento di quel luogo.
«Al contrario. Herringdean attira molti turisti. Dovrebbe saperlo.»
La domanda Come può comprare un’isola senza conoscerla? rimase sospesa nell’aria. Poiché Darius non voleva confessare il modo vergognoso in cui era stato giocato, si limitò a scrollare le spalle.
Di colpo un latrato provenne da dietro le spalle della ragazza. Il cane correva lungo la battigia spruzzando acqua da tutte le parti e puntava dritto su Darius.
«Fermo, Phantom!» urlò lei, cercando di bloccarlo.
«Lo tenga lontano da me» ruggì Darius.
Troppo tardi. Entusiasmato dal pensiero di poter ispezionare uno sconosciuto, il cane compì un balzo e atterrò con le zampe anteriori sulle sue spalle. Poi, faccia a faccia con lui, lo leccò con entusiasmo.
«Me lo tolga di dosso. È bagnato.»
«Phantom, stai giù!» urlò Harriet.
Il cane ubbidì, ma un attimo dopo tornò alla carica con tale impeto che Darius finì per terra con lui addosso. Felice dell’impresa, Phantom tornò a leccarlo, manifestandogli tutta la sua amicizia.
Finalmente Harriet riuscì a tirarlo via. «Cattivo cane. Sono molto arrabbiata con te» gli notificò.
Darius si mise in piedi, imprecando per il modo in cui il suo bel vestito era conciato.
«Non intendeva aggredirla» tentò Harriet in tono supplichevole. «Il fatto è che ama la gente.»
«Quali che fossero le sue intenzioni, ha combinato un bel pasticcio» sibilò Darius.
«Porterò il suo abito in lavanderia e pagherò perché lo lavino.»
«Lavarlo?» scattò lui. «Le manderò il conto per uno nuovo. Stai lontano da me, tu, animale pazzo» minacciò, puntandogli contro un dito.
Harriet abbracciò il cane protettivamente.
«È meglio che vada via» lo avvertì con voce glaciale. «Non posso trattenerlo per sempre.»
«Non dovrebbe lasciare libera una creatura di quella stazza.»
«E lei non dovrebbe indossare dei completi firmati quando va sulla spiaggia» gridò lei.
L’innegabile verità di quell’affermazione lo fece infuriare ancora di più e Darius marciò rabbiosamente in direzione dell’elicottero. Immaginava che il pilota avesse visto tutto, ma sapeva che era troppo saggio per dire qualcosa.
Mentre si alzavano in volo, vide Harriet che guardava il velivolo, schermandosi gli occhi con una mano. Poi Phantom le buttò le zampe al collo e lei lo abbracciò, dimenticando l’elicottero. Tanto peggio se si era arrabbiato per quello stupido bastardo, pensò lui, inviperito. Era evidente che lei teneva solo al suo cane.
E pensare che all’inizio, ritto su quella spiaggia, si era sentito in pace per la prima volta da mesi, poi lei aveva rovinato tutto. Non gliel’avrebbe perdonato.
Dal suo punto di vista, sulla collina alle spalle di Monte Carlo, Amos Falcon vedeva la baia, ma al contrario di suo figlio non ne notava la bellezza. La sua attenzione era rivolta ai lussuosi palazzi che parlavano di grandi ricchezze, ma nessuno gridava forte come la sua casa, un grande edificio a tre piani, acquistato perché dominava i dintorni.
Era stato il bisogno di proteggere i suoi soldi ad attirarlo anni prima in quel paradiso fiscale.
Era nato povero in una cittadina mineraria del nord dell’Inghilterra, ma l’aveva abbandonata molto presto e lavorando notte e giorno si era costruito una fortuna. Con l’aiuto di una moglie ricca, aveva lasciato l’Inghilterra appena possibile per approdare in un paese dal regime fiscale più amichevole, ben