Matrimonio d'onore
Di Georgie Lee
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Miniserie "The Business of Marriage"- vol. 1
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Anteprima del libro
Matrimonio d'onore - Georgie Lee
successivo.
1
Londra. Maggio 1818
«Sposarti?» Helena Gammon si sottrasse all'abbraccio di Justin Connor, sfilandogli la mano da sotto la camicia. Erano seduti nella carrozza di lui, all'ingresso dei Vauxhall Garden.
«Dico sul serio. Stiamo bene insieme, soprattutto la notte» le bisbigliò Justin all'orecchio. «Presto avrò le risorse per affermarmi nel commercio vinicolo, e mi serve una moglie che gestisca i miei affari e il mio letto.»
La formosa vedova si appoggiò le mani in grembo. «Ci sono altre questioni da considerare» commentò con una mancanza di entusiasmo che Justin non avrebbe mai immaginato.
«Di che genere?»
«Non sfonderai mai» rispose lei con una levata di spalle, come se il suo fallimento fosse un dato prestabilito. «Non dopo quello che è accaduto l'ultima volta.»
«È stata una tempesta a far colare a picco la nave.» E insieme a essa la mia impresa. «Non avrei potuto far niente per impedirlo.»
Nonostante i lunghi mesi di attenta pianificazione, investimenti, ricerca del capitano più capace e della nave più robusta, la prima incursione di Justin nel mondo degli affari era finita sul fondo della Manica, portandosi dietro una notevole somma di denaro. Justin detestava le navi.
«Se anche riuscissi a sfondare, non ho intenzione di fare la domestica non retribuita nelle speculazioni di mio marito. Mi sono ridotta all'osso, con Mr. Gammon, e adesso voglio sbarazzarmi di simili preoccupazioni.» Helena si sistemò il corpetto sul seno generoso. «Questa mattina Mr. Preston mi ha chiesto di sposarlo, e io ho accettato.»
«Cos'hai fatto?» ripeté Justin, incredulo. Non si era accorto che il vecchio pellicciaio stava facendo la corte alla vedova, né tantomeno aveva immaginato che volesse chiederle in ginocchio di sposarlo.
«È ricco e ha al suo servizio altra gente che può occuparsi dei suoi affari.»
«Ma ha più di sessant'anni. Dubito che sarà in grado di assicurarti il divertimento notturno.»
«È per questo che sono qui.» Helena gli appoggiò una mano sulla chiusura dei pantaloni. «Ho pensato che potremmo continuare.»
Lui le prese la mano. «Dopo un anno, dovresti sapere che non sono tipo da gingillarsi con le mogli altrui, né da aiutare una donna a infrangere la sua promessa di matrimonio.»
Helena ritrasse la mano. «Da quando in qua sei diventato così serio su qualcosa che non sia l'impresa di Mr. Rathbone?»
«Tendo sempre a essere serio, quando c'è di mezzo il rischio di violenza» ringhiò lui. Si era illuso che il loro rapporto si basasse su una buona dose di rispetto e affabilità, invece aveva appena scoperto la natura di Helena. Si era sbagliato.
«Bene. Se è ciò che vuoi...» Lei si tirò giù la gonna. «Mr. Preston mi aspetta all'interno dei giardini.»
«Ti pentirai di averlo sposato» commentò Justin, spalancando la portiera della carrozza. «Forse ora ti fa mille promesse, ma le ritratterà tutte, non appena sarai diventata sua moglie.»
«Non sai niente di questa situazione» obiettò Mrs. Gammon scendendo dalla carrozza, quindi si allontanò impermalita verso il parco.
Justin sbatté la portiera con foga. Era furioso all'idea che Helena avesse atteso la sua proposta di matrimonio per rivelargli il suo vero animo. Con gesti bruschi si infilò la camicia nei pantaloni e si chiuse la patta, senza darsi la pena di abbottonarsi la giacca, né di riannodarsi la cravatta. Dall'esterno gli giungeva il cicaleccio eccitato delle signore e dei gentiluomini che passeggiando si dirigevano verso l'ingresso del parco.
All'improvviso qualcuno spalancò la portiera dall'esterno. Lui si rizzò a sedere, convinto che fosse tornata Helena, ma non era lei.
Una donna stupenda dagli occhi color smeraldo lo fissò, intenta. Nel suo sguardo non c'era il freddo calcolo di una vipera, ma una ferrea determinazione. Socchiuse le labbra, come se volesse dire qualcosa, poi cambiò idea e rimase in silenzio. Mentre saliva in carrozza, un paio di orecchini d'oro le dondolò dai graziosi lobi delle orecchie piccole e ben formate. Per un istante si fermò, esitante, accennando a ritrarsi, poi delle voci maschili all'esterno attirarono la sua attenzione e così, agitando i riccioli castani, salì a bordo e si chiuse la portiera alle spalle.
«Partite all'istante!» gli ingiunse, affondando tra i cuscini del sedile di fronte a lui per evitare che dall'esterno potessero vederla.
«No» rifiutò Justin, allungandosi a spalancare di nuovo la portiera in un silenzioso invito a uscire. Non era dell'umore giusto per accollarsi quella seccatura, per quanto graziosa potesse essere.
«Vi prego, dovete farlo.» La giovane si protese per richiudere la portiera, e nel farlo avvicinò il viso a quello di lui. Una manciata di lentiggini le spolverava il naso, e le ciglia scure e folte le frangiavano gli occhi vivaci. Si umettò nervosa le labbra, facendole scintillare come rossi boccioli nella penombra della carrozza. Il suo profumo al gelsomino lo avvolse come la fresca aria notturna che entrava dal finestrino semiaperto. Era allettante, senza dubbio, ma era anche un fastidio, Justin ne era certo.
«Ho già avuto sufficiente compagnia femminile, per stasera» la informò. «Non intendo pagare ancora.»
Lei tornò a sederglisi di fronte con ingiustificata indignazione. «Non voglio il vostro denaro, né nient'altro.»
Poi lo licenziò con un cenno della mano nuda, facendosi scivolare lungo il polso il braccialetto d'oro che lo adornava.
«Cosa volete, dunque?» la interrogò lui, appoggiando un gomito al finestrino per sorreggersi il mento sulla mano, più incuriosito che irritato. Quella giovane non era certo abbigliata con i colori fiammeggianti tipici delle belle di notte. Indossava un abito verde luccicante che le abbracciava i seni sodi, sollevandoli in due impertinenti mezze lune sopra la scollatura.
«Allontanarmi da qui il più in fretta possibile» rispose lei, agitata, eppure Justin si trattenne ancora dall'impartire l'ordine al cocchiere.
«Perché?»
«Non vi riguarda.» L'irritazione che l'animava, mista ad ansietà, le illuminò di un lampo ulteriore gli occhi scintillanti.
Justin le puntò contro un dito. «Vi trovate nella mia carrozza, dunque trovo difficile sostenere che non mi riguarda. Senza contare che non mi sembrate affatto il tipo di donna la cui famiglia sarebbe felice di vederla balzare all'interno della carrozza di uno sconosciuto.»
Lei lanciò un'occhiata inquieta fuori del finestrino, e una nuova ondata di panico le imporporò le guance. «Non ne avete idea!»
«Illuminatemi, dunque. Non ho altro da fare per tutto il resto della serata.»
Prima che lei avesse il tempo di rispondergli, però, la portiera venne spalancata di nuovo, e due uomini scrutarono all'interno della carrozza. Erano troppo ben vestiti per essere dei protettori. Quello più anziano sospirò, quindi si coprì gli occhi con una mano. Il più giovane, invece, che ansimava come un toro infuriato, osservò prima la giovane, poi Justin e infine la cravatta che gli penzolava dal collo.
«Come osate!» esclamò, furioso, quindi si protese all'interno della carrozza, afferrò Justin per la collottola e lo trascinò fuori di peso.
La sorpresa lo inchiodò soltanto per un istante. Ben presto recuperò l'equilibrio, si liberò della morsa dell'altro, quindi prese la mira e gli assestò un pugno in piena faccia.
Il toro cadde a terra, sollevando una nuvola di polvere, ma non ci mise molto a riaversi e a tirarsi in piedi. Barcollando, lanciò a Justin uno sguardo omicida. «Me la pagherete!» ringhiò.
«Forse vi converrebbe tornare a terra» lo sfidò lui per tutta risposta, sollevando i pugni, sulla difensiva. «Farà meno male.»
L'altro gli si lanciò contro, ma Justin lo colpì con un pugno allo stomaco, facendolo piegare in due dal dolore, poi lo finì con una gomitata nel bel mezzo della schiena. Stavolta il giovane finì di faccia nella polvere, gemendo e rotolandosi a terra, mentre si teneva stretto tra le mani l'addome.
Justin si sistemò i polsini della camicia. «Cosa vi avevo detto? Vi siete fatto male.»
«No, padre!» gridò la giovane, alle sue spalle. «Le cose non stanno come pensate.»
Justin piroettò su se stesso appena in tempo per vedere l'uomo più anziano caricargli contro con il bastone da passeggio sollevato. In quel momento lei balzò tra di loro, spalancando le braccia per separarli, e senza volerlo con una mano toccò il petto di Justin. Lui abbassò gli occhi verso quelle dita affusolate che gli si erano insinuate sotto il tessuto della camicia, sfiorandogli la pelle sudata. Era un tocco impercettibile, eppure sarebbe stato in grado di metterlo al tappeto.
La giovane volse verso di lui uno sguardo penetrante. L'agitazione le aveva fatto spalancare gli occhi. Sembrava essersi accorta di averlo toccato, dei respiri tesi che gli abbassavano e gli sollevavano il petto. Justin attese che ritraesse la mano, rendendosi conto che il pericolo rappresentato dai due uomini era ben poca cosa, in confronto alla lieve pressione che la mano di lei gli esercitava sul petto. E dire che le carezze di Helena non lo avevano mai scosso quanto il tocco leggero di quella donna, che minacciava di mandarlo a fuoco come una scintilla appressata a un tizzone ardente.
«E come stanno, dunque?» sbottò l'altro, abbassando il bastone, ma senza attenuare la ferocia dello sguardo che le rivolse.
Soltanto allora lei ritrasse la mano, e fu quasi un sollievo per Justin, poiché la tensione tra loro si attenuò, ma senza svanire del tutto.
Nel frattempo il giovane steso a terra prese a tossire, poi si sollevò faticosamente in piedi per trascinarsi accanto al vecchio. Una chiazza rossa gli deturpava la guancia, mentre continuava a tenersi le mani sullo stomaco.
«È questo l'uomo che ti ha compromessa?» sibilò l'uomo più vecchio.
«Non ho mai visto questa donna prima d'ora in vita mia» protestò Justin, inchiodando i due con un'occhiataccia che li sfidava a provare a colpirlo ancora. Qualsiasi legame avesse provato un attimo prima con quella sconosciuta, di sicuro adesso era svanito.
«Non è lui. Mi sono nascosta nella sua carrozza per sfuggire a voi.» La giovane scoccò un'occhiata di scuse a Justin, prima di tornare a rivolgersi ai familiari. «Non sono venuta qui per un convegno amoroso. Attendevo Lord Howsham. Ci saremmo dovuti sposare, ma lui non si è fatto vivo.»
Il tono di sfida si affievolì mentre la verità gli si faceva strada nella mente. Nonostante gli dolessero ancora le nocche, Justin avvertì un barlume di pietà nei suoi confronti. Ne sapeva qualcosa di speranze tradite, lui.
«Dunque chi è costui?» Il toro infuriato additò Justin.
«Chi diavolo siete voi?» ritorse lui. La situazione cominciava a tediarlo.
Il gentiluomo più anziano avanzò di un passo, asserendo la propria autorità nel modo in cui tante volte Justin aveva visto fare suo padre. «Sono Horace Aberton, Duca di Rockland. Questo è mio figlio Edgar, Marchese di Sutton, e lei è... mia figlia, Miss Susanna Lambert.»
Justin inarcò un sopracciglio, sorpreso dall'esitazione con cui Lord Rockland aveva ammesso la parentela con la giovane. Forse sarebbe riuscito a comprenderla, se solo gli fosse importato qualcosa dei nobili e di ciò che facevano quando non erano occupati a piantarlo all'ingresso dei Vauxhall Garden, però non gli importava, e dunque non se ne preoccupava.
«Se pensate di impressionarmi, vi sbagliate. Non mi avete impressionato affatto.» Justin aveva aiutato troppo spesso gli esattori a raccogliere il denaro dei debiti di uomini come Rockland, per lasciarsi intimidire dai titoli e dalla mancanza assoluta di buone maniere.
«Come osate?» sbottò Lord Sutton avanzando verso di lui, evidentemente pronto a farsele suonare di nuovo.
«Fermo!» lo trattenne la voce tuonante di Lord Rockland. «Abbiamo avuto risse a sufficienza per una serata. Credo che a questo punto siano necessarie delle scuse, Mr...?»
«Connor.» Justin si lisciò la giacca.
«Sono rammaricato per avervi offeso e per avervi ritenuto responsabile di una situazione incresciosa nella quale non avevate alcun ruolo.» Lord Rockland si appoggiò una mano sul petto, facendo rilucere il diamante che portava al dito. «Sono certo che capirete quanto sia stato facile incorrere in un simile errore.»
«No, in verità non lo capisco.»
«Allora forse comprenderete quanto sia necessario mantenere la discrezione.»
«Non è della mia che dovete preoccuparvi» obiettò lui scoccando un'occhiata in direzione di Miss Lambert, la quale lo ricambiò, ardita. Doveva riconoscerglielo: quella ragazza non si lasciava intimidire.
«È vero, ma gradirei raggiungere un accordo riguardo al tatto che mostrerete in questa situazione. Se sarete così cortese da farmi visita domani a mezzogiorno, scoprirete che ne sarà valsa la pena.»
Justin non voleva aver più niente a che fare con quel terzetto, ma gli serviva il denaro per lasciarsi alle spalle la sua ultima impresa una volta per tutte e ricominciare finalmente daccapo, e non era tipo da lasciarsi sfuggire una buona opportunità, quando gli si presentava. «Sì, suppongo di poterlo fare.»
«Ne sono lieto. A domani, dunque.» Lord Rockland chinò il capo in direzione di Justin, prima di scortare altrove la sua turbolenta progenie.
«Quel tizio non merita affatto...» borbottò Lord Sutton.
«Dopo la sonora batosta che ti ha dato, sarebbe opportuno che tu chiudessi la bocca» lo ammonì il padre, mettendo così a tacere ogni ulteriore protesta.
Solo Miss Lambert, mentre si allontanava con il padre e il fratello, ebbe l'ardire di girarsi a guardare Justin. Era uno sguardo infelice, ma Justin non era più dell'umore per provare compassione per qualcuno. Ora che i suoi programmi per la serata erano andati in fumo, non gli restava altro da fare che rientrare in carrozza per tornarsene a casa. Con un briciolo di fortuna, l'indomani sarebbe andata meglio. Insieme alle scuse del duca avrebbe ricevuto una bella sommetta, proprio ciò che gli serviva per restituire a Philip il denaro che aveva investito e perduto nell'ultimo affare di Justin, e poi affermarsi nel commercio vinicolo. L'ultima volta era stata la natura a sconfiggerlo, ma non sarebbe accaduto mai più. Avrebbe sfondato, indipendentemente da ciò che Helena credeva di lui.
«Si può sapere cosa pensavi di fare?» ruggì Lord Rockland, rivolgendosi alla figlia, mentre la carrozza si allontanava dai Vauxhall Garden.
«Comportarsi come una bagascia» la schernì il fratellastro. «Cos'altro vi aspettavate, da una bastarda?»
«Chiudi il becco, Edgar!» lo zittì Lord Rockland. «Ebbene, Susanna? Perché hai deciso di gettare alle ortiche te stessa e la dote che ti ho promesso?»
Per avere una casa, una vita e una famiglia tutte mie, anziché farmi ammonire costantemente che dovrei esservi grata per il niente che mi date, avrebbe voluto rispondere lei, tuttavia non osò pronunciare una parola. Si vergognava troppo della stupidità di cui aveva appena dato prova, per peggiorare le cose dicendo la verità. «Ve l'ho spiegato, dovevo incontrare Lord Howsham. Avevamo progettato di partire per Gretna Green.»
«Con le voci che circolano sui debiti che ha contratto, non mi stupisce che ti sia corso dietro. O forse correva dietro alla tua dote. Ti ha compromessa?» insistette Lord Rockland, anche se lei non riusciva a capire il perché. Non avrebbe certo forzato la mano del conte affinché la sposasse, no. Non avrebbe mai fatto niente del genere, per la sua figlia bastarda.
«No, non sono stupida come credete» mentì. Se avesse detto la verità, sarebbe stata di nuovo bandita in campagna, perdendo per sempre ogni possibilità di fuga. Grazie al cielo, l'oscurità della carrozza l'aiutò a nascondere il rossore che la vergogna le aveva dipinto sul viso. Solo una sciocca avrebbe dato credito ai falsi complimenti di Lord Howsham, ma si era sentita così sola, e lui era stato così attento e insistente. A Lord Howsham non era mai importato niente di lei. Era solo della sua dote che gli interessava. Dandosi mille volte della stupida, si premette le mani sulle tempie per tenere a bada l'emicrania incalzante che la tormentava.
«Se avessi immaginato che portarti a Londra per trovarti un buon partito ti avrebbe condotta a buttarti tra le braccia del primo venuto, ti avrei lasciata a Rockland Place.»
Susanna si impose di nuovo di non reagire. Era meglio non provocarlo, recitare il ruolo della figlia ubbidiente, tenere a freno la rabbia per la supponenza con cui il duca e la sua famiglia la trattavano, spacciandola per generosità, e umiliarsi ancora una volta ai suoi occhi. «Avete ragione, mi dispiace. Non ho riflettuto.»
«Questo è certo. Qualsiasi cosa vi abbia promesso quel bellimbusto, proprio stamattina Lady Rockland mi ha informato che tra poche settimane Lord Howsham sposerà la figlia del Conte di Colchester.»
«A quanto pare preferisce avere per moglie una nobildonna con tutta la sua eredità, anziché una bastardina con una misera dote» la schernì Edgar.
Susanna serrò i pugni. Avrebbe tanto voluto colpire la faccia già gonfia di pugni del fratellastro, tanta era la rabbia che provava. Lord Howsham non si era limitato ad abbandonarla per una donna dal ricco lignaggio, no. Le aveva raccontato le peggiori menzogne che un uomo poteva propinare a una donna, e lei ci era cascata come una sempliciotta di campagna, permettendogli di imporsi su di lei, nella speranza che potesse amarla. Alla fine non ci aveva guadagnato altro che ulteriore scherno.
«Farai meglio a sperare che Mr. Connor e Lord Howsham siano entrambi disposti a tener la bocca chiusa, altrimenti il poco che sono riuscito a fare per te non servirà più a niente» dichiarò il padre.
Susanna desiderava quasi che fosse così. Nonostante tutti gli sforzi che il padre sosteneva di aver fatto, non uno solo dei suoi gesti era mai stato alimentato da vero affetto, o da sincero interesse per lei e per il suo futuro. L'unica cosa che interessava a lui e a sua moglie Augusta era sbarazzarsi dell'onta che lei rappresentava per la loro casa e il loro onore.
«Non riesco a credere che vogliate intrattenere un uomo comune come lui.» Edgar massaggiò il livido che gli si andava formando sulla guancia. «Al vostro posto, lo avrei fatto buttare in galera per ciò che vi ha fatto.»
«Al tuo posto, non vorrei che una batosta imbarazzante come quella che hai appena preso diventasse di dominio pubblico, se solo fosse stampata sui giornali di Londra» ritorse il padre. «A dirla tutta, sono del parere che la collaborazione di Mr. Connor potrebbe rivelarsi utile.»
«E in che modo, di grazia?»
«Potrebbe essere lui, la soluzione al nuovo problema creato da Susanna.»
Susanna si sentì serrare le viscere, proprio come le era accaduto il giorno successivo ai funerali della madre, quando Lord Rockland aveva varcato la soglia della piccola bottega di vini gestita da suo nonno, e l'aveva guardata dall'alto in basso oltre l'imponente naso aquilino. A giudicare dal modo in cui l'aveva osservata, proprio come stava facendo in quel momento, Susanna aveva capito che la sua vita era sul punto di cambiare. Il poco amore che aveva ricevuto dalla madre, che in vita aveva fatto del proprio meglio per proteggerla dalla vergogna di essere un'illegittima, ormai era finito. Invece di lasciarla con la gente che conosceva da tutta la vita, che pure nei suoi confronti non nutriva certo più affetto dei Rockland, lui l'aveva portata in casa sua con l'intento di plasmarla a proprio piacimento.
Susanna, però, sapeva che non sarebbe mai diventata come Edwina, la sua sorellastra, nonché figlia legittima dell'aristocratico, coccolata, viziata e messa in mostra a corte e