Sedotta dal capo: Harmony Collezione
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Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Sedotta dal capo - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Only Woman to Defy Him
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2014 Carol Marinelli
Traduzione di Paola Mion
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-778-2
Frontespizio. «Sedotta dal capo» di Marinelli CarolPrologo
Oh, non oggi.
Demyan Zukov guardò fuori dal finestrino del suo jet privato che cominciava la discesa verso Sydney, Australia. Era davvero una vista magnifica, e Demyan possedeva una parte prestigiosa di quello skyline. I suoi occhi scuri individuarono il suo attico multipiano, poi si spostarono sulle numerose insenature che sembravano ammiccare come dita sensuali e tentatrici. L’acqua era di un blu profondo e stordente, interpuntata di barche, traghetti e yacht che avanzavano verso il porto lasciandosi dietro bianche scie spumeggianti. Quella vista aveva sempre il potere di eccitarlo ed entusiasmarlo. Aveva sempre la sensazione che sarebbe accaduto qualcosa di buono quando arrivava in quel luogo.
Ma non oggi.
Guardando giù, per la prima volta indifferente allo spettacolo, rammentò il suo primo arrivo in Australia. Di certo non c’era stata la stampa a dargli il benvenuto. Quando era arrivato era del tutto sconosciuto, ma ben determinato a lasciare un segno. Aveva solo tredici anni quando aveva lasciato per sempre la Russia.
Seduto in classe economica accanto a sua zia Katia, aveva guardato fuori dal finestrino, vedendo per la prima volta la nuova terra che lo aspettava. Mentre zia Katia gli parlava della fattoria tra le Blue Mountains che sarebbe diventata presto la sua casa, lui non sapeva bene cosa sperare. La sua infanzia era stata dura e brutale. Non aveva mai saputo chi fosse suo padre, e sua madre Annika era rimasta intrappolata in una spirale di povertà e alcolismo, che la portava a dissipare per intero il magro aiuto economico fornito dal governo. Fin da bambino, Demyan aveva dovuto farsi carico della responsabilità di provvedere a tutti e due. Lavorava sodo e, contemporaneamente, frequentava con profitto la scuola. La sera e durante i fine settimana insieme a un ragazzino di strada, Mikael, puliva i parabrezza delle macchine ai semafori, o chiedeva la carità ai turisti. A volte andava a frugare tra i rifiuti dei ristoranti e degli alberghi. Il più delle volte riusciva a trovare qualcosa da mangiare per sé e per la madre. Non che sua madre si disturbasse a mangiare negli ultimi anni della sua vita. Si nutriva praticamente di vodka, mentre le sue paranoie e le superstizioni diventavano sempre più ossessive, riversandosi anche sul figlio.
Alla sua morte, Demyan pensava che sarebbe finito a vivere per la strada come Mikael, ma la sorella di sua madre, Katia, era venuta dall’Australia, dove viveva, per il funerale.
«Annika mi ha sempre detto che stavate bene.» Katia era rimasta sconvolta quando aveva scoperto la verità sulla loro vita. «Nelle sue lettere e nelle telefonate...» La voce le era morta in gola mentre si guardava intorno nella lurida baracca, poi si era concentrata sul nipote, magro e disperato. I capelli scuri e gli occhi grigi contrastavano così tanto con la pelle chiara e, sebbene Demyan si rifiutasse di piangere, la confusione, il sospetto e il dolore erano evidenti sul suo viso.
Nonostante i tentativi del ragazzino di rispettare i rituali superstiziosi tanto cari alla madre, non si poteva dire che la poveretta avesse avuto una buona morte. Zia e nipote erano stati gli unici presenti alla sepoltura, che aveva avuto luogo lontano dalla chiesa e Demyan aveva quasi avuto l’impressione di udire le grida di protesta di Annika mentre la bara veniva calata nella terra non consacrata.
«Perché non mi ha mai detto che le cose andavano così male?» aveva chiesto Katia mentre si allontanavano dalla tomba.
«Per orgoglio» aveva risposto lui guardando il misero tumulo alle sue spalle. Sì, Annika Zukov era stata troppo orgogliosa per chiedere aiuto, e tuttavia troppo debole per cambiare qualcosa per sé o per suo figlio.
«Le cose andranno meglio ora» aveva promesso Katia passandogli un braccio intorno alle spalle: il ragazzo però si era divincolato, non abituato al contatto fisico.
Avevano volato dall’inverno di San Pietroburgo verso l’estate australiana. Oscuro e pensoso, Demyan era rimasto seduto accanto alla zia ammirando fuori dal finestrino il magnifico paesaggio sotto di lui che aveva un poco alleggerito i suoi pensieri cupi. Aveva sentito dire che il porto di Sydney era uno dei più belli del mondo. E quando lo aveva visto ci aveva creduto.
Finalmente qualcosa che gli era stato detto si era rivelato vero. Era stato come vedere il sole per la prima volta. Accecava e feriva, ma era impossibile non continuare a guardarlo. Il cuore di Demyan in quel momento era ancora gelido come la terra che aveva accolto sua madre ma, mentre si era avvicinato a quella che sarebbe stata la sua nuova casa, scorgendo per la prima volta il palazzo dell’Opera e il ponte sul porto, aveva giurato che non sarebbe più tornato in Russia. Non avrebbe mai dato nulla per scontato e in silenzio aveva promesso che avrebbe colto ogni possibilità che quel nuovo inizio gli avrebbe fornito.
E così aveva fatto. Aveva colto al volo ogni possibilità.
Ed era riuscito in tutto.
Aveva imparato in fretta l’inglese, anche se conservava un po’ l’accento russo. Tuttavia capiva molto bene la nuova lingua e aveva ottenuto ottimi risultati a scuola. Si dedicava allo studio con impegno, e solo dopo si concedeva un po’ di riposo.
Pochi resistevano al suo sguardo scuro e intenso, e raramente il suo viso si apriva in un sorriso pieno. Nel sesso era sempre lui che dettava legge: non indulgeva ai baci, ma colmava con l’abilità la sua incapacità di dare affetto e amore. Tuttavia si annoiava in fretta e passava oltre.
Avrebbe fatto così anche con Nadia, se avesse potuto. Anche lei era emigrata in Australia dalla Russia, ed era stato piacevole parlare di nuovo la sua lingua. Si era trattato solo di una notte, solo che c’erano state delle conseguenze. Così a diciannove anni Demyan si era ritrovato padre. Aveva dovuto lasciare l’università e trovarsi un lavoro, il che non era stato difficile viste le sue capacità. Aveva rifiutato un impiego come dipendente: non era stato in grado di controllare il mondo di sua madre, ma intendeva controllare perfettamente il proprio.
Tuttavia la ricchezza non era stata sufficiente per tenere insieme lui e Nadia e, a ventun anni, Demyan era già divorziato. Non considerava un fallimento il suo matrimonio, dal momento che gli aveva dato Roman, il figlio, che era diventato tutto per lui.
Fino a ora.
Mentre le ruote del jet toccavano terra, Demyan chiuse gli occhi cercando di non pensare alla sconvolgente rivelazione che Nadia gli aveva fatto. Poi però li riaprì. Era lì a Sydney per fronteggiare la situazione.
Sarebbe stato un incontro difficile. La stampa aveva rivelato che Nadia stava per sposare Vladimir e si sarebbe trasferita a vivere in Russia con il figlio Roman, di quattordici anni.
Il nome Zukov era ormai diventato famoso in Australia, e la stampa mondana subissò Demyan di domande cui lui si rifiutò di rispondere. Passò i controlli di sicurezza dell’aeroporto ben deciso a ignorare qualsiasi approccio dei paparazzi. Non intendeva discutere della questione Roman prima di averne parlato con il figlio. Ma come avrebbe potuto dirgli quello che fortunatamente la stampa non sapeva: che forse lui non era suo figlio? Solo a pensarci sentiva un dolore trapassargli il cervello.
«Dobryy den, Demyan.» Boris, l’autista, gli augurò buon pomeriggio mentre avviava l’auto verso casa.
Demyan chiamò Roman al cellulare, ma non ebbe risposta, quindi si decise a chiamare Nadia. «Voglio parlare con Roman.»
«È andato via per qualche giorno con degli amici» lo informò Nadia. «Vuole passare del tempo con loro prima di partire per la Russia.»
«Basta giochi, Nadia. Io voglio passare del tempo con lui prima che parta. Sono qui a Sydney e devi dirmi dove si trova.»
«Perché non ci incontriamo per parlarne? Potrei uscire...» La voce si abbassò e Demyan fece una smorfia. Se solo Nadia avesse saputo quanto lo lasciavano freddo i suoi tentativi di seduzione, avrebbe risparmiato il fiato. E non gli dava nessun piacere sapere che Nadia era disposta a lasciare Vladimir all’istante, anche se mancava solo un mese al loro matrimonio. Demyan avrebbe potuto portarsi a letto la sua ex moglie quella sera stessa, se avesse voluto. Decise di no.
«Non c’è nulla di cui desidero parlare con te.»
«Demyan...»
Chiuse la comunicazione. Se non l’avesse fatto, avrebbe potuto dire a Nadia esattamente quello che pensava di lei, e non sarebbero stati dei complimenti.
«Portami in albergo» disse al suo autista, detestando l’idea di andare nel suo attico in quel momento. Non era più una casa per lui.
«Qualche preferenza?» domandò Boris, mentre Demyan guardava fuori dal finestrino il sole estivo.
«Quando apre il nuovo casinò?» domandò Demyan.
«Non prima della prossima settimana» rispose Boris con un sorriso. «Presumo sia invitato?»
«Ovviamente.» Demyan si schiarì la gola con fastidio, poiché l’inaugurazione di un nuovo hotel con casinò annesso in quel momento non lo allettava troppo. «Cerca un hotel la cui suite presidenziale sia libera per l’intera durata del mio soggiorno, probabilmente un mese.»
Di solito era Marianna, la sua assistente personale, a occuparsi di ogni sua richiesta, ma dal momento che tutto il suo personale era scelto accuratamente, anche Boris era perfettamente in grado di gestire cose simili. Così poco dopo si fermarono dinanzi a un lussuoso hotel.
Lo staff si precipitò ad accoglierlo, mentre il resto del personale lavorava freneticamente ventiquattro piani sopra per sistemare la suite presidenziale, che una star dello spettacolo aveva lasciato libera giusto quel mattino. Quando Demyan salì, ogni dettaglio era perfetto. Del resto, lui diede appena uno sguardo intorno. Gli hotel, per quanto lussuosi, erano più o meno tutti uguali.
«Posso portarle qualcosa?» chiese il cameriere. «Un drink, forse...»
«Voglio solo essere lasciato solo.»
«Non vorrebbe...»
«Vorrei che lei se ne andasse. Suonerò se avrò bisogno di qualcosa.»
Quando la porta si chiuse, Demyan restò davvero solo per la prima volta da quando aveva ricevuto la notizia. Per la prima volta da quando Nadia gli aveva comunicato quella scioccante informazione, si concesse un momento per considerarla davvero. Non credeva che ci fosse anche una sola possibilità che Roman non fosse suo figlio. Doveva essere suo. Lo aveva visto nascere, aveva guardato nei suoi occhi e aveva provato un amore immenso per la prima volta in vita sua: non aveva mai dubitato che Roman fosse suo.
Aveva cercato di dimenticarsi di quella rivelazione di Nadia immergendosi in una girandola di alcol e donne, e la cosa aveva quasi funzionato. Ma adesso non funzionava più.
Nonostante gli sforzi del personale per selezionare i giornali della suite, un dettaglio era sfuggito loro. Demyan emise un respiro profondo quando vide una rivista la cui copertina ritraeva lui e Vladimir. Con la domanda: Chi sceglieresti?
Ma era una gigantesca sciocchezza, pensò lui amaro. Nadia non aveva scelta, lui non l’avrebbe mai ripresa. Ma i tabloid amavano questo genere di pettegolezzi. Scorse in fretta le pagine fino all’articolo. Eccolo lì. C’era Vladimir, sulla cinquantina, molto ricco e con una