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La Sicilia che nessuno conosce
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E-book485 pagine5 ore

La Sicilia che nessuno conosce

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Un percorso inedito per scoprire l’incanto nascosto della Trinacria

Ci sono luoghi della Sicilia che non sono attraversati dal turismo, almeno non da quello proposto dalle agenzie. La Sicilia oggi è la sintesi di diverse culture che si sono scontrate, incrociate, a volte fuse nel corso dei millenni, come ad esempio è capitato al misterioso popolo degli Elimi, la cui civiltà si è confusa con quella greca. Questo libro ci conduce in un viaggio alla scoperta di luoghi meno visitati e poco noti, strade non battute, contesti particolari legati a una tradizione locale. Storie particolari che vanno cercate nelle aree più remote di un centro urbano. Sarà così possibile soffermarsi sui piccoli centri, sui borghi, sulle frazioni, sugli angoli silenziosi che non sono stati scoperti dal turismo di massa estivo, come anche alcuni quartieri ricchi di fascino di grandi città, troppo spesso esclusi dai circuiti tradizionali.

Il volto segreto di un’isola ricca di fascino

Tra i luoghi meno conosciuti:

Riserva di Torre Salsa, tra mare e orchidee
Sciacca, luogo dai mille interessi
Milo, il paesino attraversato dalla lava
Lachea, l’isola degli eremiti
Nelle gelide acque delle gole dell’Alcantara
Agira, la città che ospitò Enea
Gole del drago scavate dalle acque
Corleone, città di santi e diavoli
Scicli e il commissariato di Montalbano
Modica, tra arte e cioccolato
L’Isola delle correnti nelle magie della natura
Alla scoperta dei sentieri alti della riserva dello Zingaro
Vulcano, nella fucina di Efesto
Enzo Di Pasquale
Vive a Castellammare del Golfo, dove insegna italiano. Professore, giornalista e scrittore, ha diretto varie testate. Con la Newton Compton ha pubblicato Il giro della Sicilia in 501 luoghi, Misteri, crimini e segreti della Sicilia e La Sicilia che nessuno conosce.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2020
ISBN9788822744852
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    Anteprima del libro

    La Sicilia che nessuno conosce - Enzo Di Pasquale

    AGRIGENTO

    immagine

    Il tempio della Concordia ad Agrigento.

    Adranone, il monte conteso

    A pochi chilometri dal piccolo comune di Sambuca di Sicilia, nel territorio agrigentino, si erge silenziosamente il monte Adranone che ospita, a mille metri di altezza, un importante sito archeologico ancora poco conosciuto. Siamo nella bassa valle del Belice, tra il monte Genuardo a est e il fiume Belice a ovest. Viene citato, a proposito della prima guerra punica, da Diodoro Siculo con il nome di Adranon. Fu tuttavia un territorio perennemente preso di mira, sia per l’importanza strategico-militare che di collegamento viario. Nel vi secolo a.C. fu conteso tra selinuntini e akragantini, un secolo più tardi tra sicelioti (gli abitanti delle poleis greche in Sicilia) e cartaginesi. Infine, nel terzo secolo, durante le guerre puniche tra cartaginesi e romani. Adranon seguì le sorti di quasi tutte le città della Sicilia centro occidentale, compreso la potente Segesta, quando si dovettero piegare alla superiorità romana. Qui diverse culture si incrociarono e si scontrarono: proprio da questi eventi deriva la complessità di lettura di un sito che certamente mantenne per secoli l’originaria importanza strategica. Oggi conserva in buono stato i diversi settori di una città antica che comprendeva la fattoria adibita a zona artigianale, edifici pubblici, il centro abitato, magazzini, botteghe, zone sacre e la necropoli con la tomba della regina. Nell’estrema sommità del monte sorgeva invece il santuario. Il tutto circondato, per una quindicina di chilometri, da mura che servivano da protezione alla città soprattutto dal versante occidentale e nord-occidentale.

    Il luogo è stato purtroppo preso di mira, in diverse occasioni, dai tombaroli che hanno sconvolto l’area dello scavo ufficiale. Finalmente di recente, comprendendone l’importanza archeologica ma anche per la sua salvaguardia, la regione ha finanziato un nuovo scavo su un’area di circa trenta ettari per potere ricostruire con più precisione la storia di tutto il territorio. Bisogna considerare che la vita del sito è archeologicamente documentata a partire dal periodo medio-finale dell’età del bronzo e dalla prima metà dell’età del ferro. Il sito è aperto tutti i giorni e si può visitare in un’oretta.

    Burgio, il borgo della ceramica e delle campane

    Burgio si estende nel verde a 318 metri sul livello del mare nel territorio del libero consorzio comunale di Agrigento. Il borgo – che conta poco più di duemila residenti – ha origini normanne, come testimoniano il portale della chiesa madre e anche l’organizzazione edilizia del centro storico caratterizzato da un affascinante incrocio di viuzze e cortili. La tradizione religiosa ha radici molto antiche e sono presenti diciotto chiese. Particolare la settimana santa, nel corso della quale escono varie processioni che giungono al Calvario, vicino al castello. Il giorno di Pasqua si mettono in scena le cosiddette rigattiate. I simulacri di san Vito e san Luca ballano per rappresentare l’allegria della giornata dedicata alla resurrezione. Sono movimenti ritmati che conferiscono i portatori delle statue nel modo di procedere. Nonostante l’immane fatica, nei loro volti si coglie sempre il sorriso. Tra le principali chiese segnaliamo la chiesa madre di Sant’Antonio Abate, al cui interno si trova la cappella della Madonna di Trapani del maestro Vincenzo Gagini. Di grande importanza artistica la chiesa di San Giuseppe, che viene definita la piccola cappella Sistina per la ricchezza degli affreschi.

    Burgio è conosciuto anche come il paese della ceramica (che si distingue per l’abbinamento dei colori verde e giallo) e delle campane. Queste ultime vengono prodotte nella fonderia Virga-Adamo, una bottega che si tramanda di padre in figlio fin dal 1500. Una particolare campana ottagonale, uscita da questa fonderia, è stata donata al papa Giovanni Paolo ii in occasione della sua visita ad Agrigento. All’interno della bottega si potranno ascoltare le melodie che intona il giovane proprietario percuotendo le campane che lui stesso ha forgiato.

    A Burgio ci sono tre musei. Il primo è quello dedicato al venerabile Andrea, un frate cappuccino vissuto agli inizi del 1700. Le stanze raccontano il lungo peregrinare dell’umile frate dotato di poteri taumaturgici. C’è poi il museo delle mummie, dove sono custoditi cinquanta corpi mummificati di notabili del paese. Infine il museo della ceramica ubicato in un secondo convento dei frati cappuccini minori. Tre eleganti sale accolgono la ceramica locale e raccontano la storia di questa antica tradizione che risale alla fine del 1500.

    Nella parte alta del centro abitato sorge un castello saraceno, nei pressi del Calvario. Interessante l’area del bosco sui monti Sicani che si estende per circa trecento ettari. Parte del territorio di Burgio ricade all’interno della riserva naturale Monti di Palazzo Adriano e valle del Sosio.

    Genuina la cucina, con una grande varietà di piatti tradizionali. Si tratta di una gastronomia legata alle stagioni e alle tradizioni religiose. Sono sempre piatti semplici come le minestre in ringraziamento alla Madonna della Catena o anche le fave pizzicate preparate per san Giovanni, il 24 giugno. Per san Giuseppe u cucciddatu, pane lavorato artisticamente con forme simboliche. Particolare la frocia alla ricotta, un dolce aromatizzato con un’erba che viene raccolta nei terreni incolti. Uno dei prodotti tipici è il tartufo di Burgio che va ad arricchire molte pietanze. L’agricoltura riveste un ruolo importante soprattutto per le gustose arance con la polpa bionda.

    Campobello di Licata, la città nata da un matrimonio combinato

    Tutto nasce da un matrimonio combinato. I protagonisti di questa curiosa storia sono due ignari bambini di tre anni ciascuno. La bambina si chiama Emilia Trigona e proviene da una delle famiglie più ricche della Sicilia orientale, sarà l’erede designata del feudo di Campobello. Il bambino si chiama Raimondo Ramondetta Sammartino. Entrambi vengono educati a un destino che dovranno seguire, non c’è alternativa. Lui all’età di quindici anni chiederà al viceré la licentia populandi per poter popolare il feudo e fondare il borgo di Campobello di Licata. Tra gli obblighi connessi al rilascio dell’autorizzazione c’è anche la costruzione di una chiesa. Il barone provvede subito all’edificazione della chiesa e della castellania. Si tratta dell’attuale chiesa madre (ai tempi assai più modesta) dedicata a san Giovanni Battista. Sorta la castellania, seguì la costruzione di un complesso di edifici destinati a pubblici uffici e la residenza del castellano nominato barone. Il paese cresce in fretta, come testimoniano i documenti parrocchiali: dal 1690 al 1704 si celebrano trentadue matrimoni. In un successivo censimento si registrano oltre duecento residenti e centotredici case. Così nel 1734 da borgo feudale Campobello di Licata diventa comune.

    È oggi una cittadina collinare del libero consorzio di Agrigento situata su un altopiano della valle del fiume Salso a oltre trecento metri sul livello del mare. All’ingresso si è accolti dallo sfavillante murales Dei cento bambini che anticipa un interessante progetto, portato avanti quarant’anni fa, di inserimento d’arte nel contesto urbano che porta la firma del maestro italo-argentino Silvio Benedetto. Murales, pavimentazione, mosaici, sculture e fontane adornano le numerose ed eleganti piazze che prendono respiro nel centro urbano. Si può dire che l’abbeveratoio del canale sia uno dei monumenti simbolo della città. Nella chiesa madre si trovano una Madonna del 1500 di scuola gaginiana e uno degli ultimi emblemi della famiglia Sammartino.

    Le tradizioni sono legate ad antichi riti di origine agricola e religiosa e anche oggi le numerose feste fanno riferimento a questa millenaria cultura.

    Canicattì, la città che accolse Ferdinando ii

    Nell’alta valle del fiume Naro, a nord del lago di San Giovanni, sorge Canicattì. Si trova nell’agrigentino, ma al confine con la provincia di Caltanissetta. Già il nome stesso della città suscita curiosità. Vi sono due teorie che riportano al periodo arabo. Potrebbe essere la vecchia Alcatà, cioè paese dei tagliatori di pietra o, in un altro significato, fossato di argilla. Si ipotizza addirittura che prendesse i due nomi attribuiti rispettivamente alla parte alta e alla parte bassa della città stessa.

    Di particolare interesse la chiesa moderna della Madonna della Rocca costruita negli anni Settanta sul luogo dove sorgeva una chiesetta di campagna. L’interno è arricchito da antiche opere sacre di notevole importanza. Tuttavia la chiesa richiama un profondo valore religioso perché accoglie le spoglie di un frate che ha fatto la storia della comunità. Per questo è meta di pellegrinaggio di numerosi fedeli. Lo ricorda una statua bronzea posta all’esterno della chiesa: si tratta di padre Gioacchino La Lumia, una figura importante per gli abitanti soprattutto per il suo carisma. Abbandonò la vita agiata per farsi prete al servizio dei poveri. Nel convento dei cappuccini, adiacente la chiesa, si trova la cella nella quale visse padre Gioacchino, dichiarato venerabile nel 2002 da Giovanni Paolo ii.

    Un’altra chiesa è quella dello Spirito Santo, che spicca per la sua cupola adornata da preziose piastrelle.

    Tra le costruzioni civili segnaliamo il palazzo Adamo Bartocelli del Settecento, in stile barocco. Qui soggiornò nel 1838 il re Ferdinando ii di Borbone, ospite del barone Bartoncelli. Il sovrano fu accolto con entusiasmo dalla popolazione locale che preparò in suo onore un enorme falò per ricordargli il Vesuvio. Il re assistette meravigliato allo spettacolo da un balcone che successivamente venne murato per impedire che altri vi si affacciassero.

    Un altro importante palazzo è quello del bizzarro barone Agostino La Lumia, amico di Gina Lollobrigida. L’interno del palazzo è uno splendore.

    Infine il teatro sociale, dal fascino liberty, rappresenta un’altra preziosità della città. Qui Luigi Pirandello decise di dare la prima di Sei personaggi in cerca d’autore. Marta Abba per l’occasione fu ospite della città.

    Diversi i prodotti agroalimentari di una terra generosa, su tutti spicca l’uva da tavola apprezzata in tutta Europa. Ottimi i vini locali.

    Cianciana, un paradiso terrestre per stranieri

    Cianciana è un piccolo comune del libero consorzio comunale di Agrigento. Fino a qualche decennio fa, a causa della mancanza di lavoro, rischiava di svuotarsi. Molti giovani avevano preferito imboccare le vie del nord per costruirsi un futuro. Oggi conta tremila e cinquecento abitanti e il dieci per cento è rappresentato da una folta colonia di stranieri provenienti da ben diciotto nazioni. Il fenomeno immigratorio inoltre è proiettato verso un ulteriore incremento della popolazione residente. Cosa è successo? Cianciana è rinata grazie a un’intuizione che ha avuto l’amministrazione comunale: offrire case abbandonate da ristrutturare a prezzi stralciati. Ad aprire la via siciliana è stato il giornalista e scrittore inglese David Justice, ed egli stesso divenne agente immobiliare. È così che si è innescato un favorevole meccanismo che ha attratto numerosi stranieri, soprattutto del nord Europa (ma sono presenti anche canadesi, statunitensi, cubani) in cerca del quieto vivere e di un ritmo di vita più rilassate, il tutto a prezzi convenientissimi. I nuovi arrivati hanno acquistato casa e poi ristrutturato. La manodopera è prevalentemente locale: muratori, fabbri, falegnami, idraulici, elettricisti hanno l’agenda zeppa d’impegni. È così che il mercato immobiliare ha fatto registrare negli ultimi tempi una significativa impennata. Molti vivono a Cianciana per almeno sei mesi l’anno, altri si sono inseriti stabilmente. Vi sono coppie di pensionati, ma anche professionisti che riescono a lavorare in smart working. Tutti sono concordi nel ritenere che Cianciana sia un luogo sereno, si respira aria buona, si mangia bene ed è economico. Tasse ridotte, ovviamente: due euro a metro quadro per la spazzatura e per l’acqua novantadue euro l’anno. I cittadini, soprattutto la popolazione anziana, hanno accolto i nuovi abitanti con entusiasmo ed essi si sono bene inseriti. Cianciana in realtà è un paesino molto tranquillo, circondato dai monti Sicani, si adagia nella valle del fiume Platani, da cui si scorge anche il mare agrigentino. Il piccolo centro vanta paesaggi incantevoli, il clima è tiepido d’inverno e non troppo caldo in estate. Inoltre il paesino non è toccato dal turismo di massa e numerose sono le attrazioni naturalistiche raggiungibili a pochi chilometri, come la valle del Platani, la riserva naturale delle Maccalube di Aragona, le spiagge di borgo Bonsignore, Bovo Marina, Torre Salsa, Eraclea Minoa e ancora la splendida Sciacca.

    Ciàula scopre la luna

    Il carico della faticosa giornata non era stato completato e così il sorvegliante Cacciagallina, arma in pugno, ordinò ai suoi operai di portare a termine il lavoro per tutta la notte. In particolar modo se la prende con Zi’ Scarda, un vecchio minatore, mezzo cieco. Tutti i minatori, stremati dalla fatica, non si lasciano intimorire dall’uomo armato e tornano in paese. Rimane solo Zi’ Scarda insieme al ragazzo Ciàula. Il vecchio, avvezzo al buio per il suo difetto visivo, accetta la fatica e si muove con disinvoltura come un animale nel suo ambiente naturale. Ciàula prova invece terrore nel pensare all’oscurità che troverà all’uscita della cava. Il panico deriva da una tragica esperienza passata: in uno scoppio nelle gallerie era rimasto vittima il figlio di Zi’ Scarda e lui aveva perso un occhio. Conoscendo questa tragica storia, il povero Ciàula lavora con il cuore piccolo e tormentato dalla paura soprattutto quando si avvicina all’ingresso della miniera trasportando il pesante carico, poiché teme che sarà accolto dal buio fitto della notte. La sorpresa del ragazzo invece sarà grande quando scoprirà, per la prima volta, il bagliore della luna piena che rischiara tutto il paesaggio circostante. La tensione accumulata si scioglie in una commozione liberatoria:

    E Ciàula si mise a piangere. Senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.

    Ciàula scopre la luna (1907) è uno dei testi più belli delle Novelle per un anno di Luigi Pirandello. Lo scenario è quello di una cava di Zolfo. La buca della Cace si trova nel parco minerario di Aragona (a pochi chilometri da Agrigento). I lavori di ripristino della miniera – appartenuta alla famiglia dello stesso Pirandello – erano iniziati nei primi anni del 2000 con lo scopo di farne un’attrazione turistica legata ai luoghi pirandelliani. Purtroppo non sono stati completati. Oggi il luogo di contrada Mintini versa in uno stato di abbandono. Non è stato mai realizzato un progetto per trasformarlo in un’attrazione turistica. L’usura del tempo ha danneggiato le strutture, ma diventa affascinante se si collega idealmente alla novella pirandelliana. È come immergersi nel racconto, soprattutto la sera sotto gli effetti magici della luna piena. I profumi antichi della terra ci trasporteranno nel passato.

    Farm Cultural Park

    Il tutto nasce da una tragedia, quando nel gennaio del 2010 crollò una palazzina del centro storico. Le macerie soffocarono le vite di due bambini. Siamo a Favara, un paesone di circa trentaduemila abitanti, del libero consorzio comunale di Agrigento, con un alto indice di abusivismo e una esponenziale emigrazione. L’amministrazione comunale, per ragioni di incolumità pubblica, programma di radere a suolo questa porzione di centro storico. Sarebbe rimasto, chissà per quanto tempo, un quartiere desolato, senza memoria. Per evitare ciò migliaia di persone si mobilitarono per fare di questo luogo dimenticato un’area di rinascita.

    A capo del movimento c’erano il notaio Andrea Bartoli e la moglie, l’avvocatessa Florinda Saieva, originaria di Favara. Per loro fu una scommessa, non poteva andare tutto in rovina. Fondarono il centro culturale indipendente Farm Cultural Park. L’idea era di farne un centro culturale di ampio respiro, aperto a tutti. Convinsero l’amministrazione a compiere un passo indietro e a meno di cinque mesi dal crollo nacque quello che oggi è il simbolo di arte e rinascita in una Sicilia che cambia.

    Venti padiglioni sparsi in tre postazioni all’interno di sette cortili rappresentano un geniale esempio per recuperare e rivalutare un centro storico che era destinato a scomparire. Artisti provenienti da tutto il mondo si confrontano con intuizioni, vengono fuori mirabolanti idee che si materializzano in opere d’arte. Il tutto, sottolineano gli organizzatori, «per allargare gli orizzonti, per aprire le conoscenze delle culture». È una vera e propria oasi che toglie spazio al deserto, che riempie i vuoti, che soffoca il pessimismo e si apre alla speranza. È qui che si sperimentano nuovi modi di pensare, di essere, di abitare, di gestire le risorse, un pensiero filosofico che diventa arte libera allo stato puro. Lo spazio, oltre che museo, si propone come centro culturale e turistico dove vengono allestite mostre contemporanee e installazioni, organizzati incontri, laboratori artistici, presentazioni di libri, feste. Entrando in questo sogno, si esce dagli schemi tradizionali del turismo e ci si immerge in una realtà, frutto di un’energia che ha generato un progetto nuovo per quei tempi. È la sintesi del riscatto con la proposta di un’economia sostenibile che valorizza i prodotti del territorio. Il miracolo urbanistico è tangibile.

    Il giardino incantato

    Lo chiamano impropriamente giardino ma con l’aggiunta di un aggettivo favoleggiante, incantato. È in realtà un luogo molto strano, dove mille volti guardano i visitatori. Sono mezzi busti, sculture in tufo realizzate in maniera ossessiva da Filippo Bentivegna, conosciuto come u pazzu. Il giardino incantato si trova in località Sant’Antonio di Sciacca in provincia di Agrigento. Entrando si potranno ammirare centinaia di volti modellati nel tufo. È un posto surreale, alle falde di monte Kronio, proprio per la presenza di queste teste, frutto di un sistematico lavoro scultoreo che l’autore ha per decenni messo al centro della propria vita.

    Filippo Bentivegna, deceduto nel 1967, era uno dei tanti emigrati siciliani. All’età di ventitré anni partì per gli Stati Uniti in cerca di fortuna. Ritornò nella sua terra di origine dopo la Grande guerra, ma era del tutto cambiato. I vecchi amici paesani non lo riconoscevano più per le sue stranezze che lo salvarono tuttavia dal carcere. Era stato infatti condannato in contumacia per diserzione a tre anni di reclusione che evitò per la malattia mentale. Si ritirò nel proprio appezzamento di terreno, dove iniziò la sua instancabile attività solitaria di scultore che si protrasse per cinquanta anni. Ma perché scolpiva solo volti? I pochi amici che lo frequentarono riferirono che, avendo ricevuto una bastonata in testa, si fissò in quest’opera monotematica, come se volesse autotutelarsi. Per portare a termine il bizzarro progetto addirittura avviò un’attività estrattiva nel proprio terreno per reperire materia prima per le sue opere. Questo troverete a pochi chilometri da Sciacca, in un museo a cielo aperto, dove centinaia di volti scrutano in ogni parte.

    La casa di Pirandello

    Arrivando ad Agrigento normalmente si visita la Valle dei Templi e, soprattutto in estate, la Scala dei Turchi di forte impatto cromatico per le pareti bianche e lisce per effetto della marna, una roccia sedimentaria di natura calcarea. Certo, sono considerate due tappe fondamentali, ma sono letteralmente prese d’assalto dai turisti. Se si vuole invece dare un taglio diverso alla vacanza o appartarsi, si consiglia di visitare la casa natale del premio Nobel (1934) Luigi Pirandello, dichiarata Museo del patrimonio culturale in Italia. Vi troverete nel Caos, come viene denominata la contrada dove sorge la casa piena di ricordi, al confine tra il territorio di Agrigento e il comune di Porto Empedocle.

    La dimora stessa ha una storia particolare. Vi si era rifugiata Caterina Ricci Gramitto, madre di Luigi Pirandello, per ripararsi dalla grave epidemia di colera che si era diffusa nel 1867 in tutta la Sicilia. In quelle circostanze le aree di campagna erano più sicure essendo meno affollate. In seguito la casa venne ceduta poiché i Pirandello versavano in condizioni economiche critiche. Nel 1943 venne danneggiata a seguito dello scoppio di un magazzino dove erano nascosti munizioni. Nel dopoguerra fu dichiarata monumento nazionale e nel 1952 la Regione Siciliana l’acquisì per restaurarla. Dal 1987 fa parte dell’Istituto Pirandello con la biblioteca che ha sede centrale ad Agrigento.

    Il pianterreno viene utilizzato come sede di mostre contemporanee dedicate allo scrittore. Per entrare invece nell’intimità di Luigi Pirandello bisogna visitare le stanze superiori che ospitano fotografie, onorificenze, vari oggetti personali, locandine, lettere, manoscritti e preziose prime edizioni di libri con dediche autografe. Tra tutti gli oggetti spicca il vaso greco utilizzato per traslare le ceneri dello scrittore dal Verano ad Agrigento, come lui stesso lasciò per testamento: «Sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti dove nacqui». Le sue ceneri vennero deposte sotto il frondoso pino dove la famiglia abitualmente pranzava (oggi dello storico albero, devastato da una tromba d’aria, rimane solo un tronco tranciato). La tomba consiste in una pietra, prelevata dalla rupe Atenea, posta tra ulivi e querce su un altipiano che guarda il mare africano. Il sito offre un fascino particolare.

    Montevago e le sue terme

    Montevago sorge nel territorio collinare agrigentino. Il paesino è circondato soprattutto da paesaggi rurali che ricordano le antiche comunità contadine, dove nella semplicità c’era l’essenziale. Cultura agraria dunque, ma a soli quindici chilometri si raggiunge il mare di Portopalo. Nel territorio sono presenti siti archeologici di notevole interesse: antichità preistoriche, sicane, romane e tracce del mondo arabo.

    Il centro abitato è stato pesantemente colpito dal terremoto del 1968 che devastò la valle del Belice. Il comune si è ripreso a fatica con alcune iniziative imprenditoriali, ma ha avuto la forza di conservare le proprie tradizioni. Ancora prima del terremoto, Montevago aveva conosciuto un periodo fortunato grazie al fenomeno del ritorno degli emigrati che avevano deciso di investire nella loro terra di origine. Il sisma ha stravolto il destino della vita quotidiana degli abitanti e la via dell’emigrazione si è riaperta. La ricostruzione ha cambiato la fisionomia urbanistica del paese, con la parte moderna e il vecchio centro che è diventato la memoria storica di quel terribile periodo. È possibile rendersi conto di quello che era la vecchia Montevago visitando il quartiere in prossimità della villa sorta in memoria delle vittime del terremoto.

    Il comune vanta un importante sito termale, dove è possibile curarsi o semplicemente rilassarsi. Le terme sono aperte al pubblico tutto l’anno. Il complesso, che occupa una superficie di trenta ettari, è immerso nel verde. Il centro è convenzionato con il servizio sanitario nazionale.

    A soli cinque chilometri si trova il bosco demaniale del Magagiaro che si estende fino alle sponde del fiume Belice.

    I vini e l’olio godono di una buona fama, grazie anche alla favorevole posizione collinare del territorio inondato da un generoso sole.

    Palma di Montechiaro, la città del Gattopardo

    A pochi chilometri della valle dei templi di Agrigento sorge su una collina la città barocca di Palma di Montechiaro. È un lembo di terra della Sicilia che guarda verso l’Africa. Venne costruita come la piccola Gerusalemme che avrebbe concesso l’indulgenza plenaria ai pellegrini, al pari di chi si recava in Terra Santa. Il territorio rimane un luogo di grande spiritualità.

    Essendo la città del Gattopardo, storico romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si potrebbe scegliere come prima tappa il palazzo ducale del 1659, prima dimora della famiglia Tomasi. Caratteristiche di questo edificio nobiliare sono i soffitti lignei che decorano le sale del piano superiore. Recentemente ristrutturato, oggi è utilizzata dal comune per eventi internazionali.

    Quando lo scrittore, conosciuto come principe di Lampedusa, narrava delle colonne tozze e rosse faceva riferimento all’elemento architettonico distintivo del duomo, le cui navate laterali sono chiuse da due gioielli d’arte: a sinistra la cappella del Santissimo che ospita il prezioso crocifisso ligneo settecentesco; a destra la cappella di Maria Santissima del Rosario che accoglie la statua lignea della Madonna. Nel suo interno il duomo è decorato da medaglioni lignei dipinti che mostrano scene religiose. Ogni ornamento è ricoperto d’oro.

    Alla Madonna del Santissimo Rosario è dedicato anche il grande monastero della città e poco distante si trova la più piccola chiesa del collegio di Maria. L’edificio si caratterizza per una serie di preziose opere d’arte. Vi è custodita anche una copia della sacra Sindone commissionata dai Tomasi.

    In via iv novembre si trova la chiesa della Sacra famiglia, adiacente al palazzo degli Scolopi, oggi sede degli uffici comunali. Fu nel xviii secolo sede dell’università, frequentata dai rampolli delle più ricche famiglie siciliane.

    I colori della Sicilia, impressi sulle maioliche del pavimento, accolgono dal 1600 i fedeli nella chiesa di Sant’Angelo che sorge nella zona orientale dell’antico centro. La chiesa custodisce diverse opere d’arte di grande pregio tra le quali un gruppo scultoreo ligneo con la Madonna del Carmelo nell’atto di consegnare a San Simone lo scapolare.

    Dal lato opposto alla piazza si apre una lunga scalinata che fa da cornice alla chiesa Madre di Maria santissima del Rosario. Chiusa tra due campanili, la facciata, dalle forme austere e dai volumi solenni, anticipa il ricco patrimonio d’arte conservato nel suo interno.

    Singolare luogo naturale di Palma è il Monte Calvario da dove si domina la vallata della chiesa di Santa Maria della Luce. Questa rappresentava la tappa conclusiva della storica via Crucis istituita da Giulio Tomasi: comprendeva diciotto stazioni che dal centro abitato costellavano il percorso accompagnando in preghiera i fedeli sino alla collina

    A valle, nella frazione di Marina di Palma, si stende per diciassette chilometri la costa presidiata dalla torre difensiva San Carlo, edificata per avvistare la pirateria che minacciosa arrivava dal mare. Sospeso sul mare si noterà l’isolotto di rocca Patella e punta Bianca della vicina Agrigento.

    Su una collina a dirupo sul mare sorge il castello costruito dai Chiaramonti. Nel suo interno una scultura del Gagini.

    Raffadali, la città del gusto

    Raffadali domina la valle del Drago, su un dolce declivio che si affaccia sul mare, da cui dista quattordici chilometri. È un comune ricco di storia che affonda le proprie radici al quattromila a.C. Lo testimoniano i numerosi siti preistorici presenti nel territorio: dalla necropoli Pietra grossa fino al monte Guastanella sul quale si trova una fortezza d’epoca bizantina.

    Una serena passeggiata per le strade del centro storico vi darà la possibilità di ammirare le stradine e le scalinate. Per esempio nel quartiere Canale si potranno incontrare gli intrecciatori di fibre vegetali, abili artigiani dalle cui mani prendono forma panieri, ceste, cappelli. Il centro storico presenta una serie di edifici sacri. Tra i tanti la chiesa madre di Santa Oliva recentemente restaurata, che custodisce al suo interno preziosi affreschi e un sarcofago romano con un bassorilievo che rappresenta il ratto di Proserpina, rinvenuto nel sito archeologico di monte Grotticelle. Non da meno è la chiesa di San Giuseppe con il frontale barocco. Sempre nel centro storico si trovano vari palazzi nobiliari e monumenti di personaggi illustri locali. Domina su tutti il palazzo dei Montaperto, comunemente chiamato palazzo principe. Nei suoi sotterranei si trovano macchine e strumenti di tortura. Sul punto più alto del centro abitato vi è il piano Calvario, luogo in cui

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