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Bettina
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E-book140 pagine1 ora

Bettina

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Info su questo ebook

Come potrebbe una ragazza cresciuta in un orfanotrofio rifiutare quando la marchesa Alberici le offre di recarsi in un'elegante cittadina termale e fingersi la marchesa stessa. E tutto questo, per uno dei motivi più romantici del mondo: depistare un marito geloso. Come compenso, riceverà abbastanza denaro per mettere su il negozio di modisteria che desidera.
Ma ben presto Bettina si chiede se l'inganno architettato dalla marchesa non sia ancora più subdolo di quanto appare.
"Ombre Rosa" è una collana e insieme un viaggio alla riscoperta di un'intera generazione di scrittrici italiane che, tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, hanno posto le basi del romanzo rosa italiano contemporaneo. In un'era in cui finalmente si colgono i primi segnali di un processo di legittimazione di un genere letterario svalutato in passato da forti pregiudizi di genere, lo scopo della collana è quello di volgere indietro lo sguardo all'opera di quelle protagoniste nell'ombra che, sole, hanno reso possibile arrivare fino a questo punto, ridando vita alle loro più belle storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2024
ISBN9788727061368
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    Anteprima del libro

    Bettina - Roberta Ciuffi

    Bettina

    Cover image: MidJourney

    Copyright ©2000, 2024 Roberta Ciuffi and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727061368 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Sommario

    Nota dell’autrice

    10 

    Nota dell’autrice

    La serie dell’Hotel Splendor

    Parecchi anni fa, quando mi venne in mente di scrivere un romanzo organizzato in racconti tutti collegati tra loro, scelsi di ambientare le storie in un posto di mia invenzione. La cosa mi garantiva il vantaggio non indifferente di poter fare quello che mi pareva, senza dovermi preoccupare di date, strade, peculiarità storiche. Era un escamotage che avevo già usato per ‘Il ritorno del marinaio’, quando avevo inventato Fiorina, un paese sulle montagne attorno a Siena, scoprendo che inventare da zero una località era fonte di gran divertimento.

    Nel caso di ‘Baciami sotto l’albero’, il romanzo di racconti natalizi, inventai invece una cittadina termale alla moda, corredata di tutti gli orpelli necessari al caso: nobili debosciati, un circo con i tartari, sale da ballo, circoli del cucito, serate musicali, giardini pubblici… terme, naturalmente… e un albergo.

    L’Hotel Splendor apparve solo fugacemente in quel romanzo, ma io amo gli alberghi… quelli belli, è naturale… e mi venne voglia di scrivere qualcosa che vi fosse ambientato. Un albergo è una sorta di microcosmo: vi sono rappresentati tutti i ruoli presenti in società, dal più elevato al più umile, con l’aggiunta del via vai mutevole di ospiti, ognuno dei quali vi porta la propria diversità, la propria umanità, i propri dispiaceri e le proprie gioie.

    Così pensai di scrivere una serie di racconti lunghi che si svolgessero in buona parte all’Hotel Splendor o in cui, almeno, l’albergo fosse rappresentato in qualche modo. In origine, l’idea era di scriverne quattro, ognuno per una diversa stagione. Purtroppo, una serie di impedimenti – il poco tempo, altri lavori, il Covid, la vita, l’età che avanza… – mi ha bloccato e così, temendo che il progetto non si sarebbe realizzato mai, ho rinunciato all’idea di presentarli tutti assieme, sotto un titolo comune, e mi sono rassegnata a pubblicare il primo, ‘Note d’argento’, in modo indipendente.

    Poi, con grande ritardo, ho scritto il secondo, che è quello che presento oggi. Qui, l’Hotel Splendor avrà un ruolo molto più importante che nel precedente, come pure lo avranno alcune delle persone che lo gestiscono: Madame Bonaparte, l’autoritaria ma umanissima proprietaria, e Armand, l’onnipresente concierge. Prevedo che nei prossimi racconti lunghi la loro presenza nella storia tenderà ad aumentare. Perché, ve lo assicuro, ci saranno altri racconti. Mi stanno già friggendo nella mente, desiderosi si uscire allo scoperto. E uno ha già sporto il piede, pronto a entrare, nascosto tra le righe di ‘Bettina’. Spero solo che sarete tanto pazienti da aspettarlo…

    E con questo, vi auguro buona lettura.

    Firenze, primavera 1882 

    L’uomo appoggiato contro il muro del palazzo si stava annoiando.

    Teneva d’occhio la strada dalle sette di quella mattina, nella speranza di veder arrivare la persona che stava aspettando. L’avvocato Mondio gli aveva detto che talvolta la sua padrona la mandava a svolgere delle piccole commissioni, come comprare nastri o fili per le riparazioni, niente di più, ma da parte sua quella sorveglianza gli sembrava solo uno spreco di tempo. Come avrebbe potuto sapere quando la ragazza avrebbe deciso di uscire dalla porticina di servizio sul retro di Palazzo Lazzarini? Avesse potuto fare di testa sua, avrebbe trovato il modo di entrare nell’edificio e fare qualche indagine, ma l’avvocato aveva richiesto la massima discrezione e, visto che era lui che pagava, Vieri Senese appendeva il cappello dove voleva il padrone, come si usava dire. O forse attaccava l’asino. Ma lui non era tipo da asini, pensò con un filo d’arroganza.

    Si portò il sigaro alla bocca e fece un tiro, prendendosi del tempo per lanciare un’occhiata di sottecchi a un paio di eleganti signorine che gli passavano davanti. Graziose, ma non il suo genere di femmine. Troppo smorfiose, troppo altezzose. Non i tipi da contentarsi di quattro salti su un materasso.

    Dall’angolo della via sbucò una ragazza alta e robusta, che portava al braccio una grande cesta di vimini piena di vegetali. Indossava una mantella scura, che lasciava intravedere una lunga veste marrone coperta da un grembiule e la tesa della cuffia pure marrone le ombreggiava il volto.

    Era chiaramente una domestica di rango inferiore, forse una serva di cucina, ma sembrava che la sua condizione non ne mortificasse lo spirito né il passo, che era vivace e deciso, quasi virile, pensò Vieri Senese. L’aveva vista uscire da Palazzo Lazzarini circa un’ora prima con la cesta vuota, ma non aveva risvegliato il suo interesse, non essendo evidentemente quella che stava aspettando. Tuttavia, lui si annoiava, così decise che tanto valesse farle qualche domanda. Per sua esperienza, i domestici adoravano chiacchierare di quello che accadeva in quei grandi palazzi e, tanto più basso era il loro livello, tanto più facevano lavorare la lingua. Erano quelli di rango superiore a darsi le arie come se appartenessero davvero alle famiglie che servivano. Con quelli era inutile attaccare bottone, avevano troppo la puzza sotto al naso per cavarne qualcosa.

    La serva di cucina sembrava di buonumore. Bene, questo significava che sarebbe stata bendisposta a scambiare qualche parola con un giovanotto prestante, quale Vieri Senese riteneva di essere. Per non destare sospetti, aveva anche indossato il suo miglior completo, pantaloni marrone e giacca a quadretti pure marrone e giallo, con tanto di bombetta, e riteneva di non sfigurare al cospetto degli elegantoni perditempo che ciondolavano per le strade del centro.

    Mise via il sigaro e, quando la ragazza si trovò quasi alla sua altezza, si staccò dal muro e sollevò leggermente il cappello. «Buongiorno, signorina. Permette una domanda?»

    Il passo della ragazza era così rapido che, quando si fermò, oscillò un poco, come se stesse per perdere l’equilibrio. Gli rivolse uno sguardo a occhi sgranati, quasi non avesse mai visto un uomo. Forse nessun uomo così elegante si era mai rivolto a lei, pensò Vieri ringalluzzito.

    «Che domanda?» chiese, sospettosa.

    «Ecco, vorrei sapere se conosce una signorina di nome Elisabetta Battista. Avrei una proposta da sottoporle e magari lei potrebbe intercedere in mio…»

    L’azione della ragazza fu tanto rapida che non ebbe modo di anticiparla. Con un grido, sollevò la grande cesta e gliela scagliò sulla testa. Colto di sorpresa, Vieri si rattrappì nelle spalle, mentre una varietà di ortaggi gli piombava addosso e la sua bombetta volava in mezzo alla strada. Con orrore, vide un calesse con aggiogato un grosso cavallo da tiro dirigersi proprio verso il suo prezioso cappello. Battendo in ritirata, si lanciò al salvataggio. Riuscì a fermare il cavallo, ma non prima che uno zoccolo grande come una ruota di carro affondasse sulla cupola della bombetta. Imprecando, infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, fissando quel disastro.

    «Oh, voi, damerino, vi levate di mezzo?» urlò il carrettiere, sollevando la frusta dall’alloggiamento.

    «Subito, un momento. Appena il vostro mostro leverà lo zoccolo dal mio cappello.» Forse esisteva ancora la possibilità di salvarlo.

    Lanciò un’occhiata verso il marciapiedi, dove la serva di cucina aveva recuperato gran parte dei suoi ortaggi e adesso correva verso Palazzo Lazzarini come se avesse il diavolo alle calcagna. Ma che accidenti le era preso, si chiese. Scosse la testa e tornò a occuparsi della sua povera bombetta.

    «Bettina! Pss… Bettina!»

    La sguattera sporse appena la testa dal primo gradino delle scale, per richiamare la ragazza che stava attraversando quella che a palazzo Lazzarini veniva chiamata la corte e che era in effetti solo un vasto atrio sormontato da un lucernario. I raggi del sole che attraversavano le vetrate colorate infiammavano i capelli rossi della ragazza di tonalità così accese da renderli quasi intollerabili allo sguardo. Almeno, questa era l’opinione della sguattera, che quel colore lo detestava. Come se la cameriera in prova della baronessa avesse bisogno anche di quell’infuocata bandiera da sventolare davanti al naso dei maschi, per essere notata!

    Al richiamo, Bettina si fermò, tra le braccia il cesto di vimini contenente della biancheria che era andata a ritirare in lavanderia e che necessitava di un accurato controllo, prima di essere stirata e riposta nei bauli e negli armadi della signora. Allungò il collo, per riuscire a vedere la sguattera che sembrava nascondersi dietro l’angolo delle scale che conducevano alle cucine interrate.

    In effetti, era proprio quello che l’altra stava facendo. In quanto appartenente ai ranghi più bassi della servitù, l’accesso ai piani superiori della casa le era precluso. Perciò doveva avere un buon motivo per trovarsi là.

    «Nella? Che succede?»

    «La signora Tilde ti vuole. Subito!»

    La signora Tilde era la cuoca e, per quanto fosse un personaggio di una certa importanza nel microcosmo del personale di servizio dell’antico palazzo nobiliare, la sua autorità sulla cameriera personale – in prova – della baronessa era davvero limitata. Consapevole di questo, Bettina sollevò un sopracciglio.

    «E cosa vuole da me, la signora Tilde?»

    «È per quella sciagurata di Dora.»

    In qualche modo, era quello che si era aspettata. Bettina esitò un solo istante, poi sospirò e, la vista ostacolata dal grande cesto di vimini, attraversò l’atrio e scese con attenzione i gradini fino al livello inferiore. Dora, Dora! Sbuffò. Perché continuavano a rivolgersi a lei per ogni malefatta commessa da Dora?

    «Ah, eccoti!» esclamò la cuoca, con le guance in fiamme, i capelli in disordine sotto la cuffia e l’aria infuriata. «Dov’è finita quella disgraziata creatura?

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