Intrigo all'ippodromo
Di AA. VV.
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disonesto
Intrigo all’ippodromo
1.
– Mi vuoi bene abbastanza da permettermi di tirarti in ballo?
Garry Anson scrutò la splendida creatura che gli aveva posto l’inquietante domanda.
– Tirarmi in ballo? – ripetè. – Non sono sicuro di aver capito cosa intendi.
Wenda Panniford espresse la sua impazienza con un’alzata di spalle, un gesto che le era abituale. I bellissimi occhi grigi lo fissarono per un istante.
Mancava una quindicina di giorni all’apertura delle corse ad Ascot e il giardino di Daneham Lodge era al massimo dello splendore.
Stavano passeggiando su un prato stupendo, parlando di fiori, quando a un tratto il discorso si era spostato su Willie Panniford, una spina nel fianco per Garry Anson.
Non gli era antipatico del tutto quel bestione, ubriaco o sobrio che fosse; tuttavia si chiedeva da tempo cosa Wenda trovasse di speciale nel marito e cosa l’avesse indotta a sposare lo squattrinato baronetto scozzese.
Fino ad allora si era vantato di conoscere Wenda come le sue tasche: eppure in quel momento gli sembrava di avere accanto un’estranea.
– Sinceramente non ti capisco, Wenda. Che cosa intendi per tirarmi in ballo?
– Willie è geloso di te e quindi tende a credere qualsiasi cosa sul tuo conto. Se in questo preciso momento andassi da lui e gli dicessi che... – S’interruppe e si strinse di nuovo nelle spalle. – Be’, sai dove voglio arrivare...
– Pensi che ci crederebbe? Che stupido!
– Non essere sciocco, Garry! – lo redarguì Wenda. – Perché non dovrebbe? Ci conosciamo da quando eravamo bambini e da allora siamo rimasti amici. Willie è un ingenuo, capace di credere a qualsiasi fandonia. Perché dovrebbe dubitare che sia accaduto... stavo per dire il peggio?
Garry Anson era sbigottito, glielo si leggeva chiaramente negli occhi.
– Mi stai forse dicendo che dovrei stare al gioco e fargli credere che tra noi due ci sia del tenero? Per l’affetto che ci unisce, non acconsentirei mai che il tuo nome fosse trascinato nel fango per una causa di divorzio.
Wenda espresse la sua contrarietà con un sospiro.
– Non preoccuparti del mio buon nome, Garry. Il tuo altruismo suona addirittura offensivo. Mi vuoi bene quanto basta per fare un simile sacrificio e subirne le eventuali conseguenze?
Garry si passò una mano tra i capelli.
– Come puoi dubitarne? Ma l’idea è diabolica. Non ci sarebbe un modo per aggiustare le cose...
– Insomma, ci tieni proprio che resti con Willie, vero?
La voce le tremava. Impossibile capire se di dispiacere o di rabbia. Non si sarebbe mai sognato di offenderla o di farle del male, e bastava l’idea per metterlo in crisi, perché Wenda Panniford era per lui l’unica donna al mondo.
– Certo, se proprio lo desideri... Farei qualsiasi cosa per te... Passeresti dei brutti momenti; ma naturalmente non esiterei un istante, e chissà... Alla fine potresti accettare di sposarmi...
Lesse lo stupore nel suo sguardo e si pentì di aver parlato.
– Non sarebbe necessario, logicamente – balbettò. – Non è obbligatorio. Voglio dire, non c’è nessuna ragione per cui dovresti farlo.
– Ma certo che ti sposerei! D’altronde... – Fece una pausa. – Tu mi ami. non è vero?
Garry l’adorava, ma capì in quel preciso istante, senza ombra di dubbio, di non amarla come intendeva lei. Per tutti quegli anni erano stati come fratello e sorella, amici intimi, tanto che ciascuno dei due confidava all’altro i propri segreti. O meglio, lui le aveva confidato i suoi. Forse intuendo il suo imbarazzo, Wenda si affrettò a cambiare discorso.
– Vai a Hurst Park questo pomeriggio? Willie viene con noi. Allora, ci vediamo lì. Credevo che oggi fossi a Chester, ed è stato un sollievo trovarti qui.
– Senti, Wenda – riprese Garry, recuperando una certa disinvoltura – Willie ne ha forse combinata una grossa? So che beve troppo e che qualche volta è pesante da sopportare, ma in fondo c’è del buono in lui.
– Smettiamola di parlare di Willie – tagliò corto Wenda. – Martedì partiamo per l’Italia. Al mio ritorno ti voglio parlare seriamente.
Dopodiché cambiò argomento, portando il discorso sul vecchio generale, che era morto quella settimana.
– Ecco perché non sei andato a Chester. Me n’ero completamente dimenticata. Poveraccio! Ha lasciato molti soldi, Garry?
– A palate – rispose con un sorriso. – Ah, ecco Molly!
Dall’altra parte del prato una ragazza cercava di attirare la loro attenzione, agitando le braccia.
– Ci vediamo a Hurst Park.
Un attimo dopo era sparita dalla visuale. Garry, in preda al nervosismo, continuò a camminare sul prato con la mente in subbuglio. Sapeva che tra Willie e Wenda non regnava una grande armonia, ma non avrebbe mai immaginato che la situazione fosse come l’amica gliel’aveva descritta.
Tornando verso casa intravide Hillcott che, dietro un cespuglio fiorito di lillà, fumava una sigaretta in santa pace. Ormai, abituato com’era alle insubordinazioni di quell’individuo, non gli veniva neppure in mente di richiamarlo all’ordine. In ogni caso Hillcott neanche si sognò di giustificarsi per il fatto che stava prendendosela comoda, invece di stirare i pantaloni del padrone. In casa di Garry fungeva da maggiordomo, da cameriere, e in precedenza anche da cuoco. Non poteva sopportare le cameriere e nutriva un profondo disprezzo per il mondo in generale. Aveva alle spalle un passato di ladro, che gli era costato qualche anno di carcere, e in seguito aveva preso servizio da Garry. Dopo essere stato suo attendente in tempo di guerra, ora era essenzialmente il guardiano della sua coscienza.
– Lady Panniford verrà a pranzo da noi? – domandò Hillcott, dimostrando ancora una volta di non saper stare al suo posto. Ormai Garry non ci faceva più caso e aveva smesso da tempo di rimproverarlo.
– No, non verrà.
– Peccato! Ci sono i funghi che ho raccolto io stesso.
– Questo significa che probabilmente non camperò fino a stasera.
– Nella vita non si può mai essere sicuri di nulla – replicò il maggiordomo.
A quel punto Hillcott commentò le notizie che aveva letto sui quotidiani del mattino, esprimendo la sua opinione su uomini, donne e cavalli e, senza incoraggiamento alcuno da parte di Garry, portò il discorso su sir William Panniford.
– Ha saputo di Sua Eccellenza? – domandò, prendendo il piatto della frutta.
Così il maggiordomo chiamava invariabilmente sir William. Garry non aveva ancora capito se lo facesse per ignoranza oppure perché si divertiva a fare dell’ironia.
– No. Che c’è di nuovo? – domandò in tono disinvolto.
– Ieri sera si è sbronzato al Boar Inn con un gruppo di amici. Mi chiedo se a una persona del suo rango sia lecito riempirsi di birra a quel punto. Ne discutevo con uno staffiere...
Garry lo raggelò con lo sguardo.
– Ti sarei grato se evitassi di parlare dei miei amici, Hillcott – l’apostrofò.
– Se non le piace come mi comporto, le consiglierei di cercarsi un altro maggiordomo, capitano – replicò seccamente Hillcott. – Sono un essere umano e, come tale, libero di esprimere le mie opinioni.
– Dubito che tu abbia qualcosa di umano, ma in ogni caso questo non ti autorizza a criticare i miei amici – ribadì Garry. – Comunque puoi andartene alla fine del mese.
– Sono d’accordo – disse Hillcott.
Capitava almeno una volta la settimana che si licenziasse o fosse licenziato; ma alla fine tutto tornava come prima. Nel pomeriggio, quando portò a Garry il suo binocolo, era la gentilezza in persona. Senza essere invitato, si sedette in macchina accanto al guidatore. Garry preferì lasciar correre. Ormai doveva rassegnarsi a sopportarlo.
2.
Peter Hipplewayne scorse Garry mentre sbucava fuori dal parcheggio dei soci e lo intercettò.
– Fa correre il suo cavallo? – chiese.
Garry Anson non nutriva molta simpatia nei confronti di quel suo ex dipendente. A volte lo trovava addirittura insopportabile.
– Sì, perché?
Peter sorrise. Sempre molto sicuro di sé e dotato di una viva intelligenza di cui era pienamente consapevole, risultava per questo particolarmente sgradito.
– Semplice curiosità – rispose, guardandosi attorno. – Pensavo di far correre Ediphos, ma naturalmente non è in grado di battere il suo.
Garry ritrasse la mano che l’altro non si decideva a mollare.
– Io invece dubito di avere qualche speranza di vittoria – replicò. – Il tuo cavallo è dato per vincente.
Peter gli lanciò un’occhiata piena di malizia.
– Allora non sarebbe meglio mettersi d’accordo? – domandò. – Se il suo cavallo non corre, il mio vincerà di sicuro e lei guadagnerà il triplo della puntata in pochi minuti.
Un proprietario avrebbe potuto tranquillamente decidere di ritirare il proprio cavallo per sostenerne un altro. Non c’era niente di male, ammesso che queste e non altre fossero le intenzioni di Peter.
– Va bene, allora non lo faccio correre.
Hipplewayne scosse la testa.
– Non sia sciocco. Il suo cavallo deve correre, altrimenti il mio vincerà una miseria.
Garry lo guardò storto. Se Peter fosse stato un po’ meno rozzo, si sarebbe accorto che il suo sguardo non prometteva niente di buono.
– Cosa mi suggerisci? Di far correre il cavallo per poi ritirarlo dalla gara? – domandò Garry con una luce sinistra negli occhi.
Peter annuì.
– Che c’è di male? Succede tutti i giorni. Non faccia finta di non saperlo.
Garry si voltò per andarsene.
– Non se ne parla nemmeno – disse. Hipplewayne lo prese per un braccio.
– Lei è proprio cocciuto, Garry. Se si è troppo onesti, non è possibile guadagnare bene alle corse.
– Che io sappia, gli imbroglioni finiscono sempre in miseria – sentenziò Garry. Peter corrugò la fronte.
– La parola imbroglione non mi piace affatto – mormorò, girando sui tacchi.
Un’ora dopo Garry stava tentando di risolvere una piccola controversia con il fantino e quindi non aveva tempo per pensare ad altro. Rimase a guardare mentre sellavano Rataplan, poi si portò verso l’uscita del recinto per vedere il cavallo avviarsi al palo di partenza.
Non era una corsa particolarmente importante, ma Garry aveva puntato cinquecento sterline, una somma notevole per le sue possibilità. Poteva permettersi il lusso di perderle, ma si chiedeva se non avesse oltrepassato il margine di sicurezza.
L’idea di aver superato il limite l’infastidiva; eppure preferiva tenere la mente occupata in queste riflessioni, piuttosto che rimuginare il problema di Wenda. Ogni volta che ripensava alla loro conversazione di quel mattino si sentiva tremendamente a disagio.
Uscito dal pesage, si era incamminato verso il cancello quando Wenda lo chiamò. Garry si voltò e le andò incontro con grande imbarazzo.
Lady Panniford era bellissima. Lo era sempre stata, a quanto ricordava Garry. Sulla sua persona esistevano due scuole di pensiero: alcuni ritenevano che avesse un viso perfetto, mentre altri erano più inclini ad ammirare la perfezione del suo corpo. Bionda, con gli occhi azzurri e la pelle vellutata, era alta quasi quanto Garry. Aveva la prerogativa di far sembrare insignificante qualsiasi donna, anche avvenente, che avesse la sventura di trovarsi al suo fianco. La ragazza che l’accompagnava in quel momento dava l’impressione di esserne consapevole senza risentirne. A causa della loro parentela, essendo la cognata di Wenda, era destinata a starle accanto.
– Allora, sei venuta? – mormorò Garry, accorgendosi subito della stupidità dell’osservazione.
– Sono venuta a sostenere il tuo cavallo, caro – replicò Wenda con un sorriso che somigliava a una sfida, come per fargli capire che dell’altro argomento non intendeva parlare. – Ho appena visto Peter Hipplewayne. Mi ha consigliato di puntare su Ediphos. È stato carino da parte sua di farmi guadagnare un po’ di soldi. Ma quel cavallo è un favorito e io li detesto.
– Allora è probabile che vinca – osservò Garry. – Se hai puntato sul mio, ti aspetta una delusione. Salve, Molly cara.
Si rese conto soltanto allora della presenza della ragazza, com’era destino di tutte le fanciulle che si trovassero in compagnia di Wenda Panniford.
– Dov’è Willie? – Fiato sprecato.
Willie Panniford era, ovviamente, al bar del circolo. Incontrava sempre qualcuno che manifestava il desiderio di andarci. Poteva essere un cacciatore come lui, o un soldato del suo reggimento, oppure qualcuno che aveva conosciuto al Cairo.
Wenda lo prese sottobraccio e s’incamminò verso la pista, mentre Molly li seguiva. La ragazza aveva un marcato senso dell’umorismo e la sicurezza di sé che deriva dall’aver raggiunto un’età ragguardevole: a ventun anni, una fanciulla si sente molto più matura che a diciotto. Wenda cominciava ad avere dei problemi con lei, perché gli uomini le dimostravano un certo interesse.
In genere la giudicavano molto intelligente e quasi tutti, all’infuori di Garry, si rendevano conto che stava passando dalla fase della bellezza acerba, tipica dell’adolescenza, a quella più appagante che deriva dalla piena maturità femminile.
Wenda lo prese in disparte.
– Ti ho detto che partiamo per Roma martedì prossimo – bisbigliò. – Ti spiace se ritardo di un paio di settimane a mandarti l’assegno?
Garry rise e le strinse il braccio.
– Se non me lo mandi subito, Wenda – scherzò – ti farò avere un’ingiunzione di pagamento. Certo che non mi dispiace! Volevo che tenessi tu gli interessi di quel denaro, lo sai bene.
Wenda gli dimostrò la propria gratitudine con un sorriso.
– Sei un tesoro – mormorò. – Duecentocinquanta sterline non significano molto per te, mentre per me, in questo momento, rappresentano una grossa cifra.
Wenda custodiva un capitale azionario del valore di ventimila sterline, con una rendita pari al cinque per cento. Si trattava di una misura precauzionale che Garry aveva voluto prendere in un momento di panico per la propria situazione finanziaria, essendo conscio del fatto che tendeva a scommettere troppo. Sarebbe venuto il giorno in cui le corse avrebbero dovuto giocare un ruolo meno importante nella sua vita e sarebbe stato costretto a smettere. Ne aveva discusso con Wenda, che aveva accettato di custodire le sue azioni e in cambio avrebbe trattenuto la metà degli interessi.
– Ti raccomando, scrivimi – continuò Wenda. – Non sono stata molto carina per quanto riguarda il generale, vero?
Era la seconda volta che alludeva alla morte del generale Anson. Garry lo trovò strano. Wenda aveva avuto occasione di conoscere suo zio, ma non le era mai piaciuto.
– È stato un ottimo soldato – puntualizzò – e per questo lo ammiravo molto. Ah, ecco il tuo amico!
Henry Lascarne stava attraversando il prato per raggiungere Wenda. Era una delle sue rare visite all’ippodromo e probabilmente era venuto dietro insistenza della ragazza. Nessuno, tranne lei, sarebbe riuscito a convincere quel giovanotto alto ed elegante a scendere dal suo Olimpo per confondersi con quella gente volgare che frequentava Hurst Park.
– Stai seguendo le corse da qui, Wenda?
La giovane donna guardò la massa del pubblico e fece una smorfia. Dalla posizione in cui si trovavano, nella parte alta del prato, avevano un’ottima visuale della pista, vedevano i cavalli fermi al palo di partenza ed erano proprio di fronte al traguardo.
– Restiamo qui. Ti dispiace, Henry?
– Io vado nelle tribune – annunciò Garry, incamminandosi.
– Non è stato gentile da parte sua – commentò Henry, torcendo il naso con aria sprezzante, com’era sua abitudine.
– In quanto a buone maniere, Garry lascia molto a desiderare – convenne Wenda con un sorriso. – Comunque noi restiamo qui.
Era piuttosto tesa ed eccitata, pensava Molly, a cui non sfuggiva mai nulla.
– Ho sentito dire che è un forte scommettitore.
– Chi, Garry?
Wenda posò il binocolo e si voltò a guardarlo con aria divertita. – Chi glielo impedisce? È ricco sfondato.
– Sarà vero?
Era la prima volta che qualcuno metteva in dubbio la ricchezza di Garry. Wenda spalancò gli occhi.
– Ma certo! – esclamò. – Ha un