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L azzardo del marchese
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E-book242 pagine2 ore

L azzardo del marchese

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Info su questo ebook

Brides for Bachelors 2

Inghilterra, 1815.
Dopo che Miss Clare Cottam ha rifiutato quella goffa proposta di matrimonio alcuni anni prima, il suo rapporto con il Marchese di Rawcliffe è diventato sempre più burrascoso. Fino a quando, in seguito all'ennesimo litigio esploso durante un casuale incontro in una locanda, Clare colpisce al viso il marchese, sotto lo sguardo attonito dei clienti.
Rawcliffe ne approfitta per convincere la donna, di cui è da sempre innamorato, che a quel punto l'unica soluzione per avere salva la reputazione sia sposarlo. Lei accetta, felice di poter passare la vita accanto all'uomo che ama segretamente da anni, ma non sa che uno dei motivi per cui Rawcliffe l'ha chiesta in moglie è quello di indagare da vicino il fratello di lei, sospettato del furto di alcuni gioielli.
Ma la verità sta per venire a galla, minacciando di travolgerli.
LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2018
ISBN9788858984925
L azzardo del marchese
Autore

Annie Burrows

Sposata, con due figli, ha messo a frutto la sua laurea in letteratura inglese e la sua incredibile fantasia nel creare avvincenti storie d'amore ambientate nei più diversi periodi storici.

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    Anteprima del libro

    L azzardo del marchese - Annie Burrows

    successivo.

    1

    «Bene, bene... Cos'abbiamo qui?»

    Clare ebbe un tuffo al cuore. Tipico di Lord Rawcliffe decidere di mettersi in viaggio per il Bedfordshire proprio il giorno in cui anche lei percorreva il medesimo itinerario. Tipico di lui, entrare nella stessa taverna in cui si era fermata lei per il cambio dei cavalli, e per di più vestito in modo impeccabile, mentre lei invece indossava un cappotto tinto alla meno peggio nel retrocucina. Ma come ci riusciva? Come faceva ad arrivare puntuale per coglierla in flagrante ogniqualvolta lei si trovava nelle condizioni peggiori, o in un momento difficile?

    E, per giunta, per ridere di lei.

    «No, non ditemelo» la canzonò infatti il marchese mentre si sfilava i guanti con lentezza deliberatamente provocatoria. «Siete in missione per far visita alla marmaglia di Biggleswade.»

    Ecco. Era sempre così che le si rivolgeva. Ogniqualvolta le loro strade si incrociavano, si prendeva gioco delle sue opinioni. E Clare ribatteva denunciando la sua dubbia moralità e precisando che titolo nobiliare e ricchezza sfrenata non gli davano il diritto di ritenersi migliore del suo prossimo.

    Quel giorno, tuttavia, non aveva tempo da dedicare a quei giochetti, e non era neppure dell'umore giusto.

    «Non siate ridicolo» fu dunque la sua secca replica mentre sollevava il mento con aria di sfida e tentava di superarlo.

    Avrebbe dovuto immaginare che lui non glielo avrebbe permesso. Invece di farsi da parte con garbo, come le buone maniere avrebbero richiesto e come qualsiasi altro gentiluomo avrebbe fatto, Rawcliffe spalancò le braccia per sbarrarle il cammino. Se Clare avesse voluto passare in quell'angusto corridoio, avrebbe dovuto abbassarsi per sgattaiolargli sotto le braccia.

    In passato ci avrebbe anche provato, ma ormai non era più una bambina. E con gli anni aveva imparato quanto fosse inutile cercare di evitarlo, quando lui non voleva essere evitato.

    «Volete scusarmi?» lo apostrofò dunque nel tono più gelido di cui fu capace.

    «Niente affatto, almeno finché non mi avrete detto cosa fate qui.» Un sorriso ironico gli sollevò le labbra. «Vi siete stancata di predicare la sobrietà tra i parrocchiani di vostro padre, a Watling Minor? Avvertite la necessità di divulgare il vostro vangelo un po' più lontano?»

    Lei sussultò. Perché la descriveva come se fosse una fanatica religiosa?

    «Di certo sapete meglio di chiunque altro che non nutro molta simpatia per il messaggio dei metodisti e che non me ne vado in giro a predicare alla gente di astenersi da abusi di qualsiasi tipo» obiettò, irritata, reagendo come faceva sempre, quando lui le si rivolgeva in quel tono sarcastico. «Né» si affrettò ad aggiungere quando il sorriso di lui si indurì, lasciando presagire un'intensificazione nelle ostilità, «sono venuta qui a predicare niente a nessuno per nessuna ragione.»

    «Oh, Joan!» Lui scosse il capo. «Proprio non riuscite a farne a meno. La vostra intera esistenza non è altro che un unico, interminabile sermone. Vi basta un'occhiata dall'alto di quel vostro naso bigotto, per predicare su inferno e dannazione a tutta la razza umana.»

    Clare si rese conto che non avrebbe dovuto accennare alla fatale debolezza che sua madre aveva sempre avuto per l'alcol, neppure in maniera tanto indiretta. Per lui quella era una provocazione bella e buona.

    Quando c'era di mezzo il Marchese di Rawcliffe, però, non riusciva a trattenersi. Quell'uomo era talmente irritante che, per quanti sforzi lei facesse per tenere a freno la lingua, bastava un'occhiatina ironica di quegli occhi freddi come il ghiaccio, o uno scherno puerile, e lei perdeva la testa.

    «E voi dovreste saperlo» si ritrovò a ribattere, «visto che non fate altro che guardare tutto il mondo dall'alto di quel vostro aristocratico, arrogante nasone.» Dannazione! Non era quello che aveva avuto in animo di dire. E adesso le salivano alla lingua perfino delle cattiverie. «E quante volte devo dirvi di non chiamarmi Joan?»

    «Tutte le volte che volete, ma io continuerò a chiamarvi così, dato che questo è il nome che avrebbe dovuto imporvi vostro padre. Joan. Giovanna.»

    «Niente affatto.»

    «Oh, sì, invece. Ha imposto nomi di papi a tutti i vostri fratelli, dunque avrebbe dovuto fare lo stesso con voi. La coerenza, tuttavia, non è mai stata il suo forte, vero?»

    «Sapete benissimo che non è mai esistita una Papessa Giovanna» sbottò lei ricadendo nelle maglie di una discussione che avevano affrontato decine di volte, nel corso degli anni. «Era soltanto un mito. E vi dispiacerebbe molto lasciare mio padre fuori dalle nostre beghe, una volta tanto?» Possibile che quell'individuo non avesse la minima traccia di compassione?

    «Niente affatto» obiettò lui con aria glaciale. «Tanto per cominciare, dubito che approverebbe la vostra frequentazione di simili posti. Sempre che fosse nelle condizioni di comprendere dove vi trovate e cosa fate.»

    Che bestia! Come poteva divertirsi a stuzzicarla in quel modo? Oh, certo! Aveva sempre saputo che era l'uomo più cattivo del mondo, ma che fosse in grado di arrivare a tanto, no, non se lo sarebbe mai aspettato. Era davvero troppo.

    Tutta la frustrazione e il dolore delle ultime settimane le tornarono in rapida successione alla mente e si cristallizzarono nel sorriso di scherno dell'uomo che le stava di fronte, l'ultimo che avrebbe desiderato potesse assistere al suo degrado.

    Purtroppo non c'era niente che potesse fare riguardo ai fratelli, o al padre, o al suo stesso futuro. In quel momento, però, c'era una cosa che poteva fare: cancellare quel sorriso insofferente, beffardo e irritante dalla faccia del Marchese di Rawcliffe.

    Senza fermarsi a riflettere sulle conseguenze, serrò il pugno. E tutto il dolore, la rabbia, la confusione e il senso di smarrimento che provava si concentrarono nel suo braccio ed esplosero in un unico gesto.

    Aveva pensato di colpirlo al mento, ma lui si spostò proprio in quel momento, e il pugno gli arrivò dritto sul naso.

    Fu come colpire un muro.

    Se non gli avesse visto scattare la testa all'indietro, Clare avrebbe pensato di non avergli fatto alcun effetto.

    Almeno finché non vide un rivoletto di sangue scorrergli dalla narice sinistra.

    Per qualche istante rimasero immobili a fissarsi in un attonito silenzio, come se nessuno dei due intendesse dar credito a quanto era appena accaduto.

    «Una scazzottata! Una scazzottata!» Una voce eccitata risuonò in quel momento alle spalle di Clare, ricordandole che si trovava nel corridoio di una locanda.

    «È una donna» aggiunse una seconda voce.

    «Che il cielo mi fulmini se quello non è Lord Rawcliffe!»

    Lord Rawcliffe, intanto, affondò la mano in tasca e ne estrasse un fazzoletto per premerselo contro il naso. Clare, tuttavia, riusciva ancora a scorgergli gli occhi. La sua espressione non lasciava presagire niente di buono. Era chiaro che covasse vendetta, perché era il genere di uomo che non permetteva mai a nessuno, soprattutto non a una donna, di prenderlo a pugni e farla franca.

    Ebbe un tuffo al cuore. Proprio come il giorno in cui era quasi caduta dalla vecchia quercia del fattore Westthorpe. Sarebbe precipitata disastrosamente a terra, se il nastro del grembiule non le si fosse impigliato in un ramo, lasciandola a penzolare dall'albero a tre piedi dal suolo, il vestito arrotolato intorno al collo. Se Lord Rawcliffe – anzi, Robert Walmer, a quei tempi – non l'avesse trovata, sarebbe rimasta appesa a testa in giù per chissà quanto tempo. Lui, però, l'aveva trovata. E l'aveva liberata, ma non prima di scoppiare in una sonora risata a sue spese.

    Di certo non aveva niente da ridere, in quel momento, ma Clare era paralizzata adesso come allora, incapace di far altro, se non fissarlo impotente, lo stomaco serrato in una morsa di rimpianto, risentimento e umiliazione.

    Sentì il rumore di molti boccali sbattuti contro i tavoli, quello delle sedie degli avventori che si alzavano per correre verso di loro, ma non riusciva a strappare lo sguardo inorridito dal viso di Lord Rawcliffe e dai suoi occhi grigi e freddi come la vendetta che senza dubbio stava tramando.

    «Cosa pensate che farà?» domandò uno degli avventori.

    Qualcosa di terribile, Clare ne era certa.

    «Bisognerà arrestarla? Mandare a chiamare il conestabile?»

    «Oh, mio Dio!» esclamò un uomo afferrandola per le spalle. «Le mie più umili scuse. Non era mai successo niente del genere nella mia taverna, ma la stazione di posta, sapete, raccoglie gente di tutti i tipi.»

    Soltanto allora Clare riuscì a staccare lo sguardo da quello di Lord Rawcliffe per rivolgerlo all'oste, che la guardava arcigno come se lei fosse la peggiore delle criminali.

    «Togliete la mano» lo apostrofò di rimando Lord Rawcliffe abbassando il fazzoletto, «dalla spalla della mia fidanzata.»

    «Fidanzata?» La parola saettò tra la folla come il vento d'autunno in una foresta, ma nessuno tra i presenti ne rimase più stupito di lei.

    Fidanzata?

    «No» esordì. «Non sono...»

    «So che siete adirata con me, mia adorata» la zittì Rawcliffe serrando i denti nel sorriso più terrificante che Clare avesse mai visto, «ma non è certo questo il luogo adatto per rompere un fidanzamento.»

    «Fidanzamento? Cosa avete in mente di...?»

    Prima che Clare potesse aggiungere un'altra sola parola, però, lui le piombò addosso, le cinse la vita con un braccio, le afferrò il cappellino con l'altra mano per tenerla ferma, quindi le schiacciò duramente le labbra con le sue.

    «Whuh!» fu l'unico suono che Clare riuscì a emettere quando, bruscamente come aveva cominciato, lui la lasciò andare. Aveva l'impressione di essere stata marchiata. Le tremavano le gambe, il cuore le martellava nel petto come se fosse stata inseguita dal toro del fattore Westthorpe.

    «Le voci sulla mia relazione con... Be', sapete bene con chi» mormorò in quel momento lui con voce carezzevole, «non sono altro che questo: voci.»

    «Relazione?» Perché mai parlava con lei delle sue relazioni?

    «È finita. Anzi, non è mai iniziata. Lasciate perdere, mia adorata. Come potrei mai sposare un'altra donna, se non voi? Oste!» chiamò, stringendole la vita in segno di avvertimento, quasi sfidandola a non aggiungere un'altra sola parola. «La mia fidanzata e io vorremmo proseguire in privato la nostra... discussione.»

    E naturalmente, poiché a chiederlo era l'onnipotente Marchese di Rawcliffe, l'oste si profuse in un profondo inchino e rispose che disponeva di una camera privata che sarebbe stato ben lieto di mettere a sua completa disposizione. Quindi, con un cenno della mano, indicò loro di seguirli.

    Tornando all'interno dell'edificio che Clare era stata appunto in procinto di abbandonare.

    2

    Lord Rawcliffe non le tolse neppure un attimo il braccio dalla vita, tenendola praticamente incollata al proprio fianco.

    «Non una parola» le sibilò all'orecchio mentre si girava per seguire l'oste. «Non fino a quando ci saranno orecchie indiscrete ad ascoltare.»

    Lei fu costretta a mordersi la lingua per non obiettare. Non aveva alcuna voglia di litigare con lui in presenza degli altri passeggeri della carrozza, o degli ubriachi che erano usciti dalla ritirata nell'attimo stesso in cui lei aveva colpito il marchese con un pugno sul naso.

    «Questa stanza andrà bene» sentenziò Lord Rawcliffe rivolto all'oste, che li aveva scortati in una stanzetta occupata da un tavolo circondato da numerose sedie. Nel camino ardeva un bel fuoco, benché fosse già giugno inoltrato.

    «Desiderate qualche rinfresco, milord?»

    «Sì. Del tè per la mia fidanzata, una birra per me. E del pane e formaggio. Oh» aggiunse tamponandosi il naso sanguinante, «e anche una coppa di ghiaccio, o almeno di acqua ghiacciata, e dei panni puliti.»

    «Sarà fatto, milord» assicurò l'oste uscendo a ritroso con un inchino, non prima di aver scoccato un'occhiata di riprovazione in direzione di Clare.

    «Ah! Un'altra cosa.» Lord Rawcliffe richiamò l'attenzione dell'uomo mentre lasciava andare Clare, ma lei non si preoccupò di ascoltare cosa potesse essere quell'ultima cosa. Era troppo occupata ad allontanarsi il più possibile da lui e a ripararsi dall'altra parte del tavolo.

    «Statemi a sentire» esordì non appena l'oste se ne fu andato. «So che non avrei dovuto colpirvi e...» Trasse un profondo respiro, «... e vi chiedo scusa. Vi ringrazio anche per l'offerta del tè, ma non ho tempo per...»

    Lui si parò davanti alla porta, incrociando le braccia al petto.

    «Cosa state facendo?» gli chiese allora, allarmata. Non aveva tempo da perdere, lei. Doveva prendere la diligenza.

    «Non è evidente? Vi impedisco di andarvene.»

    «Questo mi è chiaro, visto che non sono un'idiota, ma... perché?»

    «Perché non posso permettervi di affrontare uno scandalo.»

    «Non ho alcuna intenzione di farlo.»

    «Vi illudete di poter colpire un marchese in pubblico e di farla franca?»

    «Non vedo perché no. Voi sarete anche famoso, ma nessuno sa chi sono io.»

    Un ghigno gli sollevò le labbra. «Siete forse arrivata fin qui sulle ali di un angelo?»

    «Certo che no. Sono arrivata con la diligenza.»

    «Per l'appunto. Una diligenza affollata, zeppa di altri passeggeri.»

    «Nessuno dei quali ha prestato la benché minima attenzione a me.»

    «Questo accadeva prima che prendeste a pugni un Pari del regno. Adesso tutti vorranno sapere chi siete, e non ci metteranno molto a scoprirlo.»

    Clare ripensò al suo baule, abbandonato nel cortile in attesa della coincidenza, con il cartellino con il suo nome attaccato alla maniglia. Poi ripensò con sgomento allo stalliere che l'aveva aiutata a scaricarlo e all'occhiataccia sdegnata con cui aveva accolto la sua misera mancia. Deglutì. «Non può avere davvero tanta importanza» mormorò deglutendo a fatica. «O almeno, non ne avrebbe avuta, se voi non aveste affermato che sono la vostra fidanzata.»

    «Ne siete sicura? Avete idea delle chiacchiere che si sarebbero diffuse sul vostro conto, se non vi avessi indicata come tale? Avrebbero pensato che foste un'amante abbandonata, o magari la madre di una nidiata di figli illegittimi, se non addirittura una moglie segreta.»

    «Be', non avete certo migliorato la situazione, lasciando credere di avere una fidanzata di cui tutti ignoravano l'esistenza.»

    «Davvero non siete capace di dire un semplice grazie? Non fosse altro che per avervi sottratta alle conseguenze della vostra stessa follia?»

    Clare abbassò lo sguardo, si osservò intenta le punte delle scarpe, riflettendo su quelle parole. Era vero, avrebbe dovuto ringraziarlo. Non si era vendicato per essere stato colpito, anzi l'aveva protetta nonostante il suo comportamento disdicevole, presentandola come una fidanzata gelosa che aveva tutto il diritto di aggredirlo nel corridoio di una locanda e di fargli sanguinare il naso.

    «E sia» capitolò infine. «Vi ringrazio per aver cercato di salvarmi da me stessa. E adesso...»

    Lui scoppiò in una sonora risata. «Santo cielo! Con una sola frase mi ringraziate e ammettete che io possa aver fatto qualcosa di decente. È un miracolo, detto da voi. Se continuate di questo passo, finirete per diventare la moglie ideale. Nel giro di una cinquantina d'anni» concluse sghignazzando.

    «Sappiamo bene entrambi che non diventerò mai vostra moglie.»

    «Come! Ho appena annunciato il nostro fidanzamento.»

    «Senza dubbio, ma so bene che per voi non significa niente.» Così come non aveva avuto alcun significato l'ultima volta che le aveva parlato di matrimonio. Un brivido involontario la scosse al ricordo di quel particolare episodio, accaduto in uno dei suoi momenti peggiori. Era appena riemersa dallo stagno, quel giorno, coperta di fango e di erbacce, e con un sacco pieno di cuccioli annegati stretto al petto. Era distrutta, costernata dal tempo che le ci era voluto per trovare i cuccioli. Soltanto più tardi aveva scoperto che il sacco in cui erano stati chiusi era affondato in fretta nel fango perché era stato riempito di sassi. Non riusciva a credere alla crudeltà con cui qualcuno aveva gettato nello stagno quelle povere creature innocenti. E poi aveva visto lui, piegato in due dalle risate, che si prendeva gioco di lei e le tendeva la mano per aiutarla a uscire dall'acqua, e intanto le diceva che avrebbe dovuto sposarla, se lei finiva in quello stato non appena la perdeva di vista per un istante.

    Il cuore le aveva fatto un balzo nel petto, quel giorno. Sapeva bene che un uomo attraente, ricco e nobile come lui non avrebbe mai preso in seria considerazione l'idea di sposare la squattrinata, insignificante figlia di un vicario, per giunta poco attraente e con un'indomabile massa di capelli rossi. Eppure, una piccola, patetica parte del suo cuore aveva osato sperare. Solo per un istante, però. Subito dopo lo aveva liquidato con uno sdegnoso cenno del capo ed era uscita dall'acqua con l'orgoglio ancora intatto. Sapeva bene che l'aveva soltanto presa in giro, perché, se avesse avuto intenzioni serie, avrebbe parlato con suo padre per avanzare una formale offerta di corteggiamento.

    Robert Rawcliffe, però, non aveva detto una parola.

    Già, perché quell'offerta non significava niente, per lui.

    Proprio come non significava niente il commento che aveva appena fatto riguardo alla possibilità che lei diventasse la moglie ideale. Gli uomini come lui non sposavano le ragazze come lei.

    Era ridicolo.

    «Certo, lo sapete bene.» Rawcliffe si allontanò dalla porta, torreggiando sopra di lei. «Perché lo avrei detto, dunque? Perché annunciare al mondo che siete la mia fidanzata?»

    «Non ne ho idea!» Clare arretrò di un passo. C'era qualcosa di travolgente, in lui, qualcosa di pericoloso. E adesso che l'aveva baciata, lei sapeva di che genere di pericolo si trattava. Era il rischio di perdere la stima che aveva di sé, se avesse permesso all'attrazione che provava per lui di governare le sue azioni. In quel momento, non doveva dimenticarlo, l'amor proprio era l'unica cosa che le restava.

    Eppure... oh, quanto le sarebbe piaciuto credergli, costringerlo a mantenere la parola data con tale leggerezza. Gli sarebbe stata proprio bene.

    E invece no! Doveva resistere alla tentazione, respingerla. Non poteva sposare

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