La mia Cenerentola: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Il broker di Borsa Lucas Tennent è uno scapolo convinto che adora soprattutto la solitudine del suo nuovo appartamento. Così, quando un venerdì pomeriggio torna a casa prima per colpa dell'influenza e trova la colf intenta a scrivere su un computer, ha una reazione tutt'altro che diplomatica. Vorrebbe quasi licenziarla, ma gli occhi color ambra e il sex appeal di Emily Warner lo imprigionano a tal punto che si lascia coinvolgere dalle sue motivazioni e addirittura le...
Catherine George
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
La mia Cenerentola - Catherine George
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
City Cinderella
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2003 Catherine George
Traduzione di Maria Paola Rauzi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5893-983-3
www.harlequinmondadori.it
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1
Il vento che soffiava dal Tamigi lo investì mentre pagava il taxi. Dolorante, corse all’interno dell’edificio e si appoggiò contro la parete dell’ascensore imprecando contro il virus che lo aveva colpito. Raggiunto l’ultimo piano si raddrizzò faticosamente con un gemito di sollievo alla prospettiva del calore che lo attendeva all’interno del suo loft. Si tolse il cappotto, lasciò cadere la ventiquattrore sulla pila di posta all’ingresso e aprì la porta della cucina per prepararsi un caffè caldo corretto con una generosa dose di scotch.
Restò inchiodato sul posto.
La cucina di acciaio e granito era immacolata come si era aspettato, ma era occupata. Una giovane donna, che non aveva mai visto in vita sua, era seduta su uno degli sgabelli al bancone della colazione ed era così concentrata a scrivere su un computer portatile da non accorgersi della sua comparsa.
Prima che lui potesse chiederle una spiegazione un improvviso accesso di tosse le fece voltare la testa e con gli occhi spalancati per lo sgomento balzò in piedi, imbarazzata.
«Il signor Tennent?» disse alla fine con una voce sorprendentemente sensuale per una donna che raggiungeva a stento il metro e sessanta. «La prego di scusarmi. Le giuro che questa è la prima volta.»
Lucas Tennent rimase fermo sulla soglia e la fissò con sguardo assente a causa della forte emicrania. «La prima volta? Chi diavolo è lei?»
«La sua donna delle pulizie.»
«La mia donna delle pulizie?»
Lei annuì arrossendo. «Grazie per l’assegno che mi ha lasciato oggi... a meno che adesso non lo rivoglia indietro.»
«E perché mai dovrei rivolerlo?» sbottò lui irritato cercando di venire a patti con il fatto che quella ragazza era la E Warner che teneva il suo appartamento come nuovo. Altro che la signora di mezza età con il grembiule che si era sempre immaginato! Davanti a lui c’era una giovane in jeans e maglietta attillata con una massa di capelli neri raccolti dietro la nuca.
«Signor Tennent, non ha un bell’aspetto» osservò lei scrutandolo.
«Mi sento terribilmente a pezzi» ribatté Lucas. «Ma torniamo al punto e mi dica di quel computer.»
«Stavo usando la mia batteria e non la sua elettricità» replicò lei sulla difensiva.
«Oh, proprio quello che mi interessava» borbottò lui con sarcasmo. «Cosa stava facendo?»
«Preferirei non dirglielo.»
«E invece lo voglio sapere.»
«Niente di illegale, signor Tennent. Sto seguendo un corso per corrispondenza, stavo facendo gli esercizi.»
«E di solito dove li fa?»
«Nella mia stanza, ma questa settimana ci sono le vacanze scolastiche e dove vivo c’è parecchia confusione, per cui oggi ho lavorato un po’ qui, naturalmente dopo avere finito le pulizie» precisò.
«Mi spiace essere tornato prima rovinandole il divertimento» iniziò lui colto da un nuovo attacco di tosse. Con sua sorpresa venne gentilmente preso per un braccio e accompagnato al bancone.
«Si sieda qui per un momento, signor Tennent. Ha già preso qualche medicina?»
Lucas scosse la testa. «No, ho solo bisogno di un caffè. Se me lo prepara le raddoppio la paga.»
Lei lo fulminò con lo sguardo e gli voltò le spalle offesa mentre armeggiava con la caffettiera.
Lui rimase seduto in silenzio e la vista di E Warner che si abbassava la maglietta per coprire una parte di schiena nuda lo distrasse per un attimo dal suo lancinante mal di testa.
«Quando sono entrato ho pensato di avere le allucinazioni» commentò quando lei si voltò. «Ma un computer mi sembra un arnese improbabile per uno scassinatore.» Bevve un lungo sorso del caffè che gli aveva messo davanti. «Grazie. Credo che mi abbia appena salvato la vita.»
«Non ne sono molto sicura. Penso che dovrebbe andare a letto.»
«Lo farò tra poco. Non vuole un po’ di caffè?»
Lei sorrise facendo comparire una fossetta all’angolo della bocca. Lui osservò le sue labbra piene e desiderabili per poi soffermarsi sulle curve del suo corpo altrettanto seducenti. Evidentemente la febbre gli stava alterando il cervello, si disse disgustato, sperando che la donna che aveva di fronte non potesse leggergli nel pensiero.
«Mi è sembrato meglio aspettare che lei mi invitasse» dichiarò lei asciutta.
«Allora la prego, signorina Warner, si unisca a me» la sollecitò formale. «O devo chiamarla signora?»
«Signorina.»
«E la E sta per...?»
«Emily» rispose lei aggrottando la fronte. «Signor Tennent, le dispiace se le tocco la fronte?»
«Niente affatto.» Lui attese che la mano fredda si posasse sulla sua fronte poi chiese: «La diagnosi?».
«Febbre molto alta. Probabilmente si tratta di influenza.» Emily esitò, dopodiché prese dalla sua borsa una scatola di paracetamolo e gliela porse. «Prenda queste pillole. Due subito e altre due stanotte. Le consiglio anche di bere parecchio.»
Lucas la fissò sorpreso. «È molto gentile da parte sua, Emily. O preferisce che la chiami signorina Warner?»
«Spetta a lei la scelta, dal momento che mi paga lo stipendio, signor Tennent.» Emily guardò l’orologio e ripose il computer nella sua custodia. «Devo andare. Ho promesso ai gemelli di portarli al cinema.»
«Gemelli?» si stupì Lucas inarcando le sopracciglia.
«Si tratta dei figli del mio padrone di casa. Sono in vacanza e così abbiamo deciso di concedere un paio di ore di libertà al loro papà. Le ho fatto la spesa venendo qua, perciò in frigorifero ci sono dei succhi di frutta e delle arance. Arrivederci, signor Tennent, ci vediamo lunedì come al solito.» Prima di andarsene, però, si informò preoccupata: «C’è qualcuno che può prendersi cura di lei?».
«Non lo chiederei neppure al mio peggior nemico rischiando di attaccargli questo dannato virus... del resto potrei aver già contagiato anche lei.»
Lei scosse la testa e una ciocca di capelli le ricadde sulle spalle.
«Ho già avuto l’influenza quest’inverno.»
«E come si è curata?»
«Sono andata a casa dai miei genitori a farmi coccolare.»
«Mia madre è asmatica per cui una soluzione simile è fuori discussione» commentò Lucas alzando le spalle. «Del resto preferisco crogiolarmi da solo nel mio stato miserevole.»
Emily infilò la giacca e si mise in spalla lo zainetto. «È inutile chiamare il medico se si tratta di influenza a meno che, naturalmente, non subentri qualche complicazione come una bronchite. Per favore, prenda le pillole che le ho dato, non più di otto al giorno, e beva molta acqua. Per fortuna è venerdì, signor Tennent, così avrà un paio di giorni per riprendersi.»
«Se riuscirò a sopravvivere fino a domenica sera» grugnì lui osservandola mentre si dirigeva alla porta.
«Signor Tennent» disse lei appoggiando la mano sulla maniglia.
«Sì?»
«Mi dispiace.»
«Perché sto male o perché l’ho colta in flagrante?»
Emily sollevò il mento. «Per entrambe le cose. Per favore, consideri il tempo in cui mi sono fermata a prepararle il caffè un modo per ricompensarla.» Dopodiché uscì e salì in ascensore.
Con la mente occupata da Lucas Tennent, Emily Warner per una volta tanto non si soffermò a osservare il Tamigi mentre attraversava il Tower Bridge. Fino a quel momento quell’uomo era stato uno dei suoi quattro datori di lavoro che le lasciava ogni settimana un assegno sul tavolo della cucina del suo appartamento da favola. Adesso, però, la situazione era cambiata e Lucas Tennent aveva un volto e un corpo più che reali. In effetti in tutta la casa non c’era una sua fotografia, tuttavia dal momento che lavorava nell’alta finanza si era immaginata di avere a che fare con un cervellone magari un po’ stempiato e rotondetto. In carne e ossa invece il suo datore di lavoro era alto più di un metro e ottanta con i capelli neri come i suoi e gli occhi dello stesso colore. La sua intelligenza era evidente, così come la sua avvenenza, per nulla diminuita dal pallore della malattia. E il vestito confezionato su misura non riusciva a celare la prestante muscolatura del suo corpo.
Emily sospirò e pensò che quell’appartamento così vasto per un uomo solo fosse sprecato.
Se lei avesse abitato là avrebbe potuto lavorare al suo computer nella galleria dall’enorme lucernario sul tetto che conduceva a un terrazzo con vista mozzafiato sul Tamigi. Decisamente in contrasto con la sua solitaria stanza al secondo piano nella casa di proprietà di un amico di suo fratello.
Be’, non doveva lamentarsi. In fondo la sua camera era spaziosa e carina ed era stata fortunata a trovarla. Come altre dimore di Spitalfields, la casa era stata costruita per dare rifugio agli ugonotti e recentemente restaurata.
Nat Sedley, il proprietario, era un architetto con un prestigioso studio londinese che preferiva vivere in campagna, nel Cotswolds. Nat l’aveva acquistata per avere una base quando gli impegni lo trattenevano in città, ma in quel periodo ci viveva permanentemente, con la sola compagnia dei suoi due inquilini, dato che purtroppo aveva problemi con la moglie.
Quando Emily raggiunse le scale che conducevano alla porta d’ingresso questa si aprì di colpo e apparvero due impazienti bambini di sei anni vestiti di tutto punto.
«Sono pronti da un’ora» si scusò il loro padre. «Ho cercato di spiegargli che magari avresti bevuto volentieri una tazza di tè prima di andare al cinema, ma non hanno voluto sentire ragioni.»
«Vado ad appoggiare queste cose e sono subito da voi» li rassicurò lei ricambiata da due sorrisi solari. Thomas e Lucy erano così diversi l’uno dall’altro che non solo era difficile credere che fossero gemelli, ma persino fratelli.