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Amore e altri rimedi
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E-book172 pagine2 ore

Amore e altri rimedi

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Info su questo ebook

Cambio vita 2/2
Due pediatre si scambiano lavoro e città. E trovano finalmente l'amore.

La specializzanda in pediatria Clara Connolly ha bisogno di prendersi una pausa dopo una bruciante delusione d'amore, ed è per questo che decide di partecipare a uno scambio temporaneo di lavoro a Londra. Dopo un inizio difficile con il suo nuovo capo, il dottor Joshua Woodhouse, le scintille che volano tra loro in corsia accendono una chimica inaspettata! Clara ha promesso a se stessa che non si sarebbe più lasciata distrarre dall'amore, ma Joshua - e la sua dolcissima bambina - hanno ormai attirato tutta la sua attenzione...

LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2021
ISBN9788830529373
Amore e altri rimedi

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    Anteprima del libro

    Amore e altri rimedi - Scarlet Wilson

    Prologo

    Clara Connolly si sentiva leggermente a disagio, ma cercò lo stesso di sorridere. Aveva appena visto Harry, il suo ex, cingere la vita di Greta, la sua ultima fiamma, ed entrare in uno degli ascensori mentre le sfiorava la tempia con un bacio.

    Ovviamente non le sfuggirono gli sguardi incuriositi dei numerosi colleghi che in quel momento affollavano l'ingresso del Saint Christopher's Hospital di Edimburgo. Per cui non riuscì a evitare di dipingersi sul viso un sorrisetto goffo. Non era del tutto sicura se il messaggio che voleva dare fosse di indifferenza o di piacere. La verità, forse, era che entrambi andavano ugualmente bene. Era uscita con Harry solo per pochi mesi e lui non era stato certamente l'amore della sua vita. Più che altro si era trattato di una piacevole fase di transizione. Era quasi contenta di vederlo insieme a un'altra donna, ora. Ed era ancora più contenta che lui gliel'avesse detto prima che lo scoprisse il mondo intero.

    Era proprio questo il problema quando si aveva una relazione con un collega. Una volta che la storia finiva, si era costretti a incrociarsi in continuazione. E anche se lei era contenta per Harry e Greta, ormai sentiva che il suo orologio biologico scandiva inesorabilmente le ore.

    Strinse le labbra con disappunto e attese che si aprissero le porte di un altro ascensore per salire in Pediatria. Era strano. In fondo lei aveva solo trent'anni, possibilità ce n'erano ancora. Nonostante ciò era come se tutte le persone che frequentava abitualmente avessero già incontrato la loro anima gemella. Lei invece non faceva che passare da una relazione inutile all'altra. Non era un dramma, chiaramente, però si sentiva pervasa da una sensazione di... vuoto.

    A pensarci bene, però, era in buona compagnia... C'erano il suo caro amico Ryan, sfortunato in amore quanto lei, e un folto gruppetto di amiche, che però erano già in una buona parte sposate, incinte o con almeno un figlio. E questo amplificava il suo senso di desolazione. Okay, aveva una casa tutta sua appena fuori Edimburgo, un cottage immerso nel verde della campagna, che da sempre era la sua ancora di salvezza quando tornava dopo un turno impegnativo. Tuttavia nelle ultime settimane stava cominciando a pensare che la sua vita fosse un po' troppo solitaria e tranquilla. E così, la sera prima, dopo aver bevuto un bicchiere di vino, si era messa a cercare informazioni sull'inseminazione artificiale e la donazione di sperma. Aveva sempre desiderato diventare madre e pensava che un giorno avrebbe trovato qualcuno con cui condividere la gioia di un figlio. Ma purtroppo sembrava proprio che più si guardava in giro, meno candidati trovasse.

    Scosse la testa e sospirò. Era una donna di successo, con un lavoro ben retribuito e una bella casa. Non vi era alcun motivo che le impediva di crescere un figlio da sola. Il punto era un altro: era davvero ciò che voleva?

    La famiglia occupava un posto importante nella sua esistenza e, da questo punto di vista, era stata fortunata. I suoi genitori, dopo la pensione, si erano trasferiti in Spagna e ora avevano una vita sociale molto più intensa della sua. Euan, suo fratello, era ingegnere e viveva in Australia con la moglie e i tre figli piccoli. E lei non lo aveva mai visto più felice di così. Ogni volta che sentiva in videochiamata lui o i genitori, loro non mancavano mai di porle la domandina fatidica: stai con qualcuno? Era comprensibile che la sua famiglia desiderasse vederla felice, ma quella domanda ricorrente cominciava a irritarla. Non poteva certo far saltare fuori l'uomo perfetto dal cappello.

    Sapeva che sua madre aveva sempre desiderato una famiglia numerosa e caotica, ma la preeclampsia aveva messo la parola fine a quel sogno, e sia Clara sia sua madre potevano ritenersi già fortunate a essere vive. Sin da ragazzina quel peso le era gravato addosso. Con suo fratello dall'altra parte del mondo, sentiva la responsabilità di dare ai suoi genitori dei nipotini di cui prendersi cura. Ma la verità era che lei sognava la stessa cosa, e quando pensava al suo futuro lo immaginava pieno di bambini.

    Appena le porte dell'ascensore si aprirono, Clara entrò nella cabina e dopo qualche minuto giunse in reparto. La vista che si godeva dalle finestre dell'ospedale era insuperabile. Il profilo del castello di Edimburgo e lo Scott Monument la facevano sentire ben radicata in quel luogo, ma quel giorno scatenarono in lei solo un senso di fastidio. Fece un rapido giro del reparto e verificò le diagnosi dei bambini ricoverati durante la notte. Aveva appena finito di parlare con i genitori di un suo piccolo paziente, quando Bea, una delle infermiere più anziane del reparto, entrò nel suo studio con due tazze fumanti.

    «Hai ancora quella faccia?» le fece notare porgendole un caffè.

    «Quale faccia?» Clara sollevò lo sguardo dal monitor dove stava prescrivendo degli esami.

    «La faccia di una che finge di stare bene.»

    Clara bevve un sorso della bevanda calda e aggrottò la fronte. «Cosa vuoi dire?»

    Lavorava con Bea da cinque anni. Erano amiche. Bea non era certo famosa per essere un tipo diplomatico o riservato, ma a Clara piacevano le persone dirette. Per questo erano sempre andate d'accordo.

    Bea sospirò. «È da quando abbiamo ricoverato quel bambino, Ben Shaw, che hai quella faccia. Sembra che tu venga qui solo perché sei obbligata e non perché lo desideri. Non ti ho mai vista così. Devi fare qualcosa, Clara.»

    Lei deglutì il nodo che aveva in gola. Ben Shaw era stato ricoverato d'urgenza alcuni mesi prima con forti dolori addominali. Quel giorno Clara era a casa per una forma acuta di norovirus e il collega che l'aveva sostituita si era limitato a tenere il paziente sotto osservazione. Quando la mattina dopo Clara era giunta in reparto, aveva capito subito di cosa si trattasse. Ostruzione intestinale, una patologia poco frequente nei bambini piccoli e difficile da diagnosticare per un medico inesperto.

    Ben era stato portato di corsa in sala operatoria, ma avevano dovuto asportargli una parte dell'intestino. Il ritardo nella diagnosi era stato fatale e Clara non riusciva a scrollarsi di dosso una sensazione di colpevolezza. Se fossi stata presente...

    Bea le strinse la mano mentre Clara fissava il monitor davanti a sé. Quella storia di Ben l'aveva profondamente turbata, lasciandole addosso un senso di inquietudine e di abbattimento.

    Le era già accaduto in passato di provare una sensazione del genere. La prima volta che le avevano diagnosticato una forma lieve di depressione era solo una ragazzina adolescente, e da allora si era sempre sentita quella spada di Damocle che le pendeva sulla testa. Qualche volta stava bene, altre, invece, non riusciva quasi ad alzarsi dal letto. E se in alcuni casi le bastava soltanto fare quattro chiacchiere con i colleghi, in altri sentiva la necessità di assumere dei farmaci. La maggior parte delle persone che frequentava non sapeva di questo suo disturbo. Clara stava molto attenta a non svelare i suoi punti deboli, soprattutto se riguardavano la sua salute mentale. E non la consolava il fatto che una cosa simile capitasse a un medico su tre. Era comunque un argomento di cui non le andava di parlare. Quando aveva dovuto prendersi alcuni mesi di pausa durante gli studi di medicina, la sua famiglia e i suoi insegnanti erano stati estremamente comprensivi con lei. Tuttavia preferiva non parlarne con nessuno.

    Si morse il labbro e si appoggiò allo schienale della sedia, sollevando la tazza con entrambe le mani. «Sono stati mesi difficili. Prima la vicenda di Ben, poi la rottura con Harry, e infine il problema di Ryan.»

    «Cosa sta succedendo con Ryan?» chiese Bea.

    Clara si passò le mani tra i capelli. «Sai tenere un segreto?»

    Bea annuì con decisione. Ryan McGregor era un suo collega, ma soprattutto erano molto amici, e Clara sapeva che lui preferiva che in ospedale non si sapesse della sua disastrosa vita sentimentale.

    «Sta divorziando da sua moglie, e sembra proprio che non riesca a vedere la luce in fondo al tunnel in cui si è infilato. Adesso abita da me nell'attesa di trovarsi un'altra sistemazione.» Bea aggrottò la fronte e Clara continuò: «Hanno venduto la casa, e lui pensa di comprarsene un'altra, ma per il momento non ha trovato nulla neanche in affitto».

    La collega annuì di nuovo. «Per il cane?» chiese bevendo un sorso di caffè. «Adora quel cane, vero? So che molti proprietari di case non accettano animali domestici. Probabilmente starà da te più a lungo del previsto.»

    Clara cercò di trattenere le lacrime. «Non so proprio come aiutarlo.»

    «È difficile sostenere i propri amici quando noi stessi ci sentiamo in difficoltà» osservò Bea sporgendosi in avanti.

    A quelle parole, Clara si sentì come se qualcuno le avesse posato sulle spalle una morbida coperta calda. Finalmente il senso di colpa che l'aveva schiacciata in quelle ultime settimane pareva attenuarsi. Non ce la faceva a pensare di prendersi cura di Ryan quando lei stessa era così abbattuta, né era pensabile scaricare su di lui le sue angosce. Sarebbe stato da egoisti. Ma grazie al cielo lo sguardo comprensivo e amorevole di Bea l'aiutò a sentirsi meglio. Era come se il nuvolone cupo che incombeva su di lei si stesse dissolvendo.

    «Lo so che dovrei essere serena» dichiarò con convinzione. «Sono una donna autonoma, con un buon lavoro e una casa tutta mia. Dovrei essere felice.»

    «Ma non lo sei...» ribatté Bea.

    Clara tirò un profondo respiro. «No, non lo sono» ammise tristemente.

    Rimasero sedute in silenzio per qualche secondo mentre Clara ripensava a ciò che aveva appena ammesso a voce alta. Non era stato poi così terribile come aveva temuto. Forse perché l'aveva fatto con Bea, che con il suo intuito e il suo pragmatismo andava sempre dritta al punto. Però Bea non sapeva che lei alcuni giorni prima era andata dal suo medico di base. Si portò la mano in tasca e toccò la scatoletta di pastiglie. Non aveva ancora deciso se prenderle o meno quel giorno. Si rendeva conto di sentirne il bisogno, e quella conversazione ne era un segnale, l'incoraggiamento che le serviva. Strinse con forza la confezione tra le dita. Poteva farcela. La depressione non era un segno di debolezza. Molti amici che svolgevano attività stressanti ne avevano sofferto. Ammettere di essere malati, rivolgersi a un medico e accettare di prendere delle pastiglie erano il primo passo verso la guarigione. Adesso doveva fare quello successivo. Sorrise a Bea con gratitudine. «Mi piace lavorare con te. Non ti sfugge mai nulla.»

    L'altra si passò la lingua sulle labbra e scrollò piano il capo. «Questa conversazione non finisce qui. Non posso permetterlo. Siamo amiche, perciò mi sento in dovere di dirti che hai bisogno di un po' di spazio per decidere cosa vuoi veramente dalla vita. Sei giovane, bella e sei anche un ottimo medico. Non ti basta? Forse dovresti cambiare aria per qualche tempo.» Sollevò le mani in aria. «Delle volte capita di restare imprigionati nella routine di tutti i giorni, e allora non ci resta che provare qualcosa di nuovo, di diverso.» Le indicò un volantino appeso sulla bacheca. «Perché non provi a informarti su quell'iniziativa?»

    Clara arricciò il naso e lanciò un'occhiata al foglietto stropicciato a cui non aveva mai prestato molta attenzione, sebbene fosse lì da qualche mese. Promuoveva un'iniziativa di scambio di lavoro in Gran Bretagna. Per sei mesi.

    Lei rise. «Quante probabilità ho di trovare un altro pediatra che voglia prendere il mio posto? E soprattutto che il lavoro che andrò a fare sia in un luogo che mi piaccia?»

    Bea si alzò in piedi e prese le tazze in mano, inarcando le sopracciglia. C'era una strana luce nei suoi occhi, notò Clara. «Non lo saprai mai se non provi a informarti.» E detto questo le strizzò l'occhio e uscì dalla stanza.

    Lei rimase seduta per qualche istante alla scrivania. Aveva confessato a Bea di stare male e l'amica le aveva dato dei consigli giusti. Sapeva che c'era qualcosa che non andava in lei, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse. E detestava sentirsi così, perché sapeva che quella non era la vera Clara.

    Eppure non riusciva a evitarlo. Tirò fuori la confezione dalla tasca e prese una pastiglia. Ecco. Il primo passo l'aveva fatto. Ora, però, c'era forse qualcos'altro che poteva fare.

    Si morse il labbro e incominciò a inserire nel computer la lista degli esami da effettuare ai suoi piccoli pazienti. Appena ebbe finito entrò in Internet e digitò il sito del volantino appeso alla bacheca. Se lo ricordava ancora a memoria, neanche lo avesse fissato in continuazione per mesi.

    Le ci volle meno di un minuto per inserire i dati nel format di registrazione e allegare alcune foto della sua casa. La seconda parte del formulario era più difficile da compilare. In quale città voleva cercare lavoro? Scrollò il capo e lasciò in bianco lo spazio, affidandosi al destino.

    La clessidra iniziò a girare sul monitor, e nell'attesa Clara mugugnò. Probabilmente la sua richiesta era troppo

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