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Storia pettegola di Milano
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E-book254 pagine3 ore

Storia pettegola di Milano

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Info su questo ebook

Scandali, tresche, furti: la storia di Milano raccontata dai pettegolezzi

Conoscete la storia di quando Lord Byron rubò la famosa ciocca di capelli di Lucrezia Borgia? E avete mai sentito parlare dello scandalo a luci rosse di Villa Simonetta? E il nome Luisa Casati vi dice niente?
Milano è da sempre una città in fermento, un luogo in cui le infinite sfumature della vita sociale convergono e si mescolano. È inevitabile che un ambiente del genere dia vita, oltre che a grandi picchi di cultura e di moda, a una miriade di storielle e pettegolezzi, che non risparmiano né i luoghi, né le persone. Paolo Melissi ripercorre la storia di Milano scegliendo una strada assolutamente originale, quella del pettegolezzo. Dalla tresca di Antonietta Fagnani Arese, amante di Foscolo e da lui scoperta, alla storia di Marianna di Leyva, la vera Monaca di Monza, questo libro è una preziosa e divertente raccolta delle storie passate di bocca in bocca durante i secoli.

Dall’epoca dei Visconti fino ai futuristi: una carrellata di scandali e pettegolezzi che hanno infiammato la storia di Milano

Tra i pettegolezzi di Milano:

Congiure, matrimoni, amanti e assassini all’epoca dei Visconti
Le amanti di Bernabò Visconti
Beatrice di Tenda, decapitata per adulterio
Scandalo in convento. La storia di Marianna de Leyva, la monaca di Monza
Pietro Verri e Teresa Blasco
Casanova a Milano
Gli amori meneghini di Ugo Foscolo
Vita mondana al Teatro alla Scala
Sfarzo, amanti e bagni nel latte: Giulia Samoyloff
Vincenzo Bellini e il “triangolo” delle Giuditte
Il più lungo scandalo del XIX secolo: Carolina di Brunswick
La Scapigliatura: dall’osteria al salotto
Arrigo Boito, Carlo Dossi, Emilio Praga…
Milano a luci rosse
Luisa Casati, la scandalosa marchesa
Marinetti e gli scandali futuristi
Paolo Melissi
È condirettore di «Satisfiction». Ha lavorato alle pagine culturali di varie testate nazionali ed è l’ideatore e l’organizzatore di “Passeggiate d’Autore”, ciclo annuale di esplorazioni urbane affidate a scrittori, poeti, giornalisti e studiosi. Con la Newton Compton ha pubblicato Milano che nessuno conosce, Luoghi segreti da visitare a Milano e dintorni e Storia pettegola di Milano.
LinguaItaliano
Data di uscita17 set 2021
ISBN9788822752697
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    Anteprima del libro

    Storia pettegola di Milano - Paolo Melissi

    INTRODUZIONE

    La storia non ufficiale, quella fatta di eventi apparentemente secondari, di leggende, di racconti popolari tramandati oralmente e di epistolari, ma anche quella che si trova scritta in romanzi e racconti, costituisce la materia di questo Storia pettegola di Milano. Accanto alla Storia della città, infatti, ne scorre un’altra, che restituisce Milano e i milanesi visti attraverso una lente speciale, in grado di svelare mille affascinanti sfaccettature. È per questo motivo che il Settecento milanese è il secolo dei cicisbei, prima che quello dei Lumi, e l’Ottocento quello degli amanti e degli artisti prima che del Positivismo e dell’inizio della crescita finanziaria della futura capitale economica d’Italia. La Milano che rivive in queste pagine, proprio perché vista dal buco della serratura, rivela i suoi aspetti più sotterranei e scomodi, che hanno distinto circa cinquecento anni di storia e di vita cittadina.

    1

    CONGIURE, MATRIMONI, AMANTI E ASSASSINI ALL’EPOCA DEI VISCONTI

    Dalle guerre con i torriani al ducato

    Fin dal

    XII

    secolo, la famiglia Visconti dominava il feudo di Massino, posto tra il Lago Maggiore e il fiume Ticino, in qualità di vassalli dell’arcivescovo, posizione che aveva dato origine al loro stesso cognome. La loro stirpe si faceva discendere da Eriprando e Valderico, che vissero intorno alla seconda metà del

    IX

    secolo, mentre il nome Visconti sarebbe disceso dall’assunzione dell’omonima carica e presto associato all’insegna araldica in cui compare una vipera nell’atto di ingoiare un bambino, che ancora oggi è presente nello stemma della città di Milano. Il ramo della famiglia che prese il possesso del capoluogo lombardo fu quello discendente da Uberto, al cui figlio Ottone fu affidato l’arcivescovato di Milano da papa Urbano

    IV

    , nel 1262.

    Nel maggio del 1259, Martino della Torre divenne il primo signore di Milano, rimanendo in carica fino alla morte, avvenuta nel 1263. Appartenente alla fazione guelfa, per prima cosa Martino mise al bando gli esponenti dei ghibellini milanesi, che abbandonarono la città ponendosi sotto la protezione di Ezzelino

    III

    da Romano. Quest’ultimo assediò Orzinuovi e provò a invadere Milano e Monza, combattendo contro una coalizione che vide riuniti Martino della Torre e le città di Cremona, Mantova e Ferrara. Alla fine, Ezzelino fu sconfitto e catturato dai suoi nemici, morendo in seguito in prigionia nel Castello di Soncino. Durante la signoria di Martino, la carica di arcivescovo di Milano spettò a Ottone Visconti, che tuttavia fu scacciato dal signore di Milano, che poco tempo dopo morì a causa di una grave malattia. Martino, che era stato scomunicato, fu sepolto fuori dall’Abbazia di Chiaravalle, e il suo posto venne preso dal fratello Filippo. I della Torre continuarono a governare Milano fino al 1277, anno in cui, dopo la Battaglia di Desio, Napo della Torre fu sconfitto e catturato da Ottone Visconti, morendo poi da prigioniero nel Castello di Baradello. I Visconti avevano vinto la lunga lotta per il primato su Milano che li aveva opposti ai della Torre, i cui beni e possedimenti furono saccheggiati.

    Fu in questo periodo che le fortune dei Visconti incominciarono a prendere corpo, ma furono necessari del tempo e una lunga lotta contro i della Torre, prima che la famiglia assumesse il pieno potere nella Signoria di Milano. Ottone Visconti, infatti, continuò a combattere contro i rivali: il primo fu appoggiato da Guglielmo

    VII

    di Monferrato, mentre i secondi furono aiutati dalle truppe imperiali e dal patriarca di Aquilea Raimondo della Torre, fino alla sconfitta dei Visconti, in seguito alla quale le armate torriane entrarono in Milano attraverso Porta Ticinese. Più tardi, Ottone sconfisse gli avversari nella Battaglia di Vaprio d’Adda, e adottò Guido da Castiglione per assicurarsi una successione.

    Nel dicembre del 1287, Matteo Visconti, pronipote di Ottone, fu nominato capitano del popolo, nel 1291 divenne signore di Milano, e nel 1294 vicario imperiale per la Lombardia. Il nuovo signore di Milano, per prima cosa, entrò in guerra contro le città di Lodi e Crema, poi fece costruire il Castello di Novara e la Cappella Viscontea presso la Basilica di Sant’Eustorgio. Nel 1301, Matteo propose il figlio Galeazzo in qualità di capitano del popolo; contro questa candidatura i parenti Albertone Visconti, Pietro Visconti, Landolfo Borri e Corrado da Soresina ordirono una congiura, senza però raggiungere l’obiettivo. Matteo ottenne anche la carica di capitano del popolo della città di Bergamo, presso la quale furono sconfitti i della Torre, alleati delle città di Novara, Vercelli, Pavia, Como e Cremona. Nel 1302, tuttavia, i della Torre tornarono alla carica a Lodi insieme alla lega antiviscontea e ad alcuni componenti della famiglia Visconti: Matteo fu catturato a Bisentrate e il Palazzo Visconti venne saccheggiato e distrutto. Con la Pace di Pioltello, Matteo fu costretto a lasciare il governo di Milano, e il potere tornò ai torriani: Guido della Torre fu nominato prima capitano del popolo e, nel 1308, capitano perpetuo di Milano.

    In esilio a Nogarole, intanto, Matteo continuò comunque a condurre la lotta contro gli irriducibili nemici: nel 1303 occupò Bellinzona e Varese, poi Brescia e Martinengo. Nel 1309, però, la situazione prese una svolta: in seguito alle discordie sorte tra Guido e Cassono della Torre, lo stesso imperatore Enrico

    VII

    depose Guido della Torre, nominando Cassono re d’Italia nella Chiesa di Sant’Ambrogio. Nel 1311, l’imperatore radunò un grande esercito per intervenire in seguito a nuovi tumulti scoppiati nel milanese, e i Visconti lo accolsero e gli si dichiararono fedeli, approfittando della sconfitta dei della Torre per riprendere il controllo in città. È questo il momento che segna il definitivo tramonto dei della Torre e l’inizio del dominio visconteo sulla Signoria di Milano.

    Il 20 settembre 1313, infatti, Matteo Visconti fu nominato per la seconda volta signore di Milano a vita, quattro giorni dopo i torriani furono sconfitti nuovamente a Rho. Tuttavia, si accese lo scontro con il papato: Matteo fu scomunicato, insieme ad altri signori di parte ghibellina, come Cangrande della Scala a Verona e Passerino Bonacolsi a Mantova, e fu intentato addirittura un processo per eresia ai danni di Matteo, di suo figlio Galeazzo e di altri membri della famiglia Visconti, tra cui anche il defunto Ottone. Ormai anziano, Matteo si ritirò – all’età di settantadue anni – presso il monastero di Crescenzago, morendo il 24 giugno 1322.

    Il governo passò così nelle mani di Galeazzo, che fu nominato signore di Milano il 10 luglio, ma le cose non cominciarono per il meglio, visto che già l’8 novembre dello stesso anno fu costretto a lasciare Milano e a rifugiarsi a Lodi, a causa degli scontri con un altro Visconti, Lodrisio, intenzionato a raggiungere un accordo con il papa. Galeazzo fu però richiamato a Milano in seguito al timore che i della Torre potessero tornare a prendere il potere, e fece quindi rientro il 12 novembre, in una città in preda al caos e devastata dai saccheggi. La guerra tornò nel territorio milanese quando il papa, alleato dei della Torre, prese Monza e dichiarò eretico Galeazzo Visconti. Tra il 1323 e il 1324 le truppe pontificie furono sconfitte a Vaprio d’Adda, e Simone della Torre morì. Un anno dopo, Galeazzo era nelle condizioni di ordinare la costruzione del Castello di Monza.

    Azzone Visconti subentrò al padre Galeazzo, di cui divenne erede nel 1327, dando il via a un processo per unificare e amministrare più agevolmente i suoi domini, accentrando il potere nelle mani della famiglia Visconti. Comprò dall’imperatore il titolo di vicario di Milano, affiancato in questo dagli zii Luchino e Giovanni Visconti, mentre Lodrisio, l’altro zio tenuto fuori dal triumvirato, diede vita a una serie di congiure con l’obiettivo di spodestarli. Nel 1329, invece, Azzone probabilmente si sporcò le mani del sangue di Marco Visconti, che era rientrato a Milano da Firenze, memore di essere stato lasciato in ostaggio dei tedeschi. Il 5 settembre Marco fu trovato morto in un vicolo Broletto Vecchio, e sulla sua scomparsa sorsero diverse teorie. Secondo lo storico Moriggia, Marco sarebbe morto a causa di un malore probabilmente causato da un avvelenamento, mentre il Corio e anche il Villani ipotizzarono che fosse stato strangolato, su ordine di Azzone e dei fratelli, e subito dopo gettato da una finestra del palazzo. Di sicuro, Marco rappresentava una minaccia per il ducato milanese, dal momento che desiderava assumere il comando della signoria, e per questo motivo si era alleato con il pontificato per eliminare il nipote Azzone.

    Nel 1331, Carlo – figlio di Giovanni di Boemia e futuro imperatore del Sacro Romano Impero –, ospite dei Visconti a Pavia, subì un tentativo di avvelenamento nel corso di un banchetto. I sospetti caddero su Azzone, anche in seguito al precedente tentativo di avvelenamento di Ludovico il Bavaro (vedi p. 15). Nel 1332 Lodrisio fu costretto alla fuga, mentre tutti i suoi complici furono arrestati e reclusi nei Forni, come erano chiamate le prigioni di Monza. Da Verona, Lodrisio continuò a tessere le sue trame, insieme a Mastino

    II

    della Scala e al signore di Novara Calcino Tornielli. Sette anni più tardi, la contesa si concluse con la Battaglia di Parabiago, con la quale i triumviri sconfissero definitivamente il partito di Lodrisio.

    L’11 ottobre 1354, dopo la morte dell’arcivescovo Giovanni Visconti, la Signoria di Milano fu divisa tra i nipoti Matteo

    II

    , Galeazzo

    II

    e Bernabò Visconti. L’arcivescovo di Milano Roberto Visconti incoronò l’imperatore Carlo

    IV

    il 6 gennaio 1355, che concesse ai visconti i diplomi di vicariato imperiale. Il 26 settembre, però, Matteo

    II

    Visconti morì nel suo castello di Saronno, probabilmente per mano di Galeazzo

    II

    e di Bernabò, che si spartirono la signoria.

    I due visconti dovettero fare però i conti con un nuovo fronte che si era aperto tra Lombardia e il Monferrato, e subirono diversi scacchi prima di creare una lega contro Giacomo di Savoia-Acaia. Nella Battaglia di Casorate Primo, gli imperiali, che appoggiavano i pretendenti piemontesi nel loro tentativo di sottrarre ai Visconti il controllo di Milano, furono sconfitti dai milanesi, ma poco dopo l’alleanza antiviscontea, con la Grande Compagnia, cominciò a saccheggiare i dintorni del capoluogo. Si giunse, il 6 aprile 1358, alla conferenza di Milano, cui parteciparono tutte le parti in causa, che si concluse con la firma della pace. Da lì in poi, già con Giovanni Visconti, si verificò la prima espansione dei possedimenti viscontei, che si estesero fino a Genova e Bologna, fino alla nomina di Gian Galeazzo Visconti a duca di Milano per mano dell’imperatore Venceslao, nel 1395.

    Gian Galeazzo succedette al padre Galeazzo

    II

    e imprigionò lo zio Bernabò, di cui aveva sposato la figlia Caterina. Il titolo passò ai suoi figli, prima Giovanni Maria e poi Filippo Maria. Il ramo principale della famiglia continuò a regnare fino al 1447, ovvero alla morte di Filippo Maria, rimasto senza eredi, quando il ducato passò agli Sforza, grazie al matrimonio tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza.

    I duchi di Milano

    Gian Galeazzo Visconti,

    I

    duca, dal 1395 al 1402

    Giovanni Maria Visconti,

    II

    duca, dal 1402 al 1412

    Filippo Maria Visconti,

    III

    duca, dal 1412 al 1447

    Francesco Sforza,

    IV

    duca (dopo la parentesi repubblicana), dal 1450 al 1466

    Galeazzo Maria Sforza,

    V

    duca, dal 1466 al 1476

    Giovanni Galeazzo Maria (Gian Galeazzo) Sforza,

    VI

    duca, dal 1476 al 1494

    Ludovico Maria Sforza (il Moro),

    VII

    duca, dal 1494 al 1500

    Massimiliano Sforza,

    VIII

    duca, dal 1512 al 1515

    Francesco

    II

    Maria Sforza,

    IX

    duca, dal 1521 al 1535

    La morte sospetta di Stefano Visconti

    Figlio di Matteo

    I

    e di Bonacosa Borri, Stefano Visconti morì il 4 luglio 1327, nel corso di un banchetto in cui svolgeva il compito di coppiere e di assaggiatore per l’ospite Ludovico il Bavaro, che era stato da poco incoronato re d’Italia nella Basilica di Sant’Ambrogio. La sua morte fu interpretata come un tentativo di avvelenamento ai danni del monarca, e causò l’incarcerazione di tre fratelli di Stefano, ovvero Galeazzo, Giovanni e Luchino, insieme al nipote Azzone, nel Castello di Monza. Stefano fu sepolto nella Basilica di Sant’Eustorgio, raggiunto poi dalla moglie Valentina Doria. I suoi successori furono i figli Matteo

    II

    , Galeazzo

    II

    e Bernabò.

    La congiura dei figli di Stefano Visconti

    Luchino Visconti e Isabella Fieschi si erano sposati nel 1331, e le loro nozze furono a lungo decantate per gli straordinari e fastosi festeggiamenti. All’epoca Luchino, già vedovo di Violante di Saluzzo e di Caterina Spinola, aveva trentanove anni, mentre la bellissima Isabella ne aveva appena quindici. Ben presto il ménage coniugale, tuttavia, si rivelò deludente per Isabella. Nel 1339 Luchino, in seguito alla morte del nipote Azzone – figlio del fratello Galeazzo – divenne signore di Milano. Nel 1346, i figli di Stefano Visconti, Matteo

    II

    , Galeazzo

    II

    – che era anche sospettato di avere una relazione con Isabella Fieschi – e Bernabò Visconti, ordirono una congiura nei confronti di Luchino, che li mandò in esilio oltre i confini della Lombardia. Matteo riparò in Piemonte, nel marchesato di Monferrato, Galeazzo nelle Fiandre e Bernabò in Savoia, e poi anch’egli nelle Fiandre presso Filippo vi di Francia. Lo stesso anno, Luchino Visconti e Isabella Fieschi divennero genitori di due gemelli, Luchino Novello e Giovanni, che furono battezzati al cospetto di illustri ospiti come Obizzo d’Este e Giovanni di Monferrato.

    Il viaggio scandaloso di Isabella Fieschi

    Isabella Fieschi era soprannominata Fosca a causa della condotta poco consona al suo rango. Nipote di papa Adriano

    V

    , Isabella apparteneva a una delle famiglie più potenti della Repubblica di Genova, che era per tradizione guelfa. Il matrimonio con Luchino non fu certamente un matrimonio d’amore, ma il frutto di un accordo diplomatico che permise di rafforzare il legame tra i Fieschi e i Visconti. Luchino era un uomo audace e colto, ma anche capace di efferate violenze, e di sicuro poco fedele nei confronti della giovane moglie che, dal canto suo, si era rapidamente annoiata del vecchio marito. Le sue attenzioni e i suoi giochi di seduzione si concentrarono su Matteo, Galeazzo e Bernabò, i nipoti di Luchino.

    Dopo la nascita dei gemelli, Isabella ottenne dal marito l’autorizzazione a intraprendere un viaggio a Venezia, seguendo il corso del fiume Po, al fine di sciogliere un voto da lei fatto tempo prima. La donna, infatti, aveva promesso che se avesse avuto un figlio lo avrebbe fatto benedire dal patriarca nella Basilica di San Marco, e Luchino interpretò quel viaggio come un’occasione per mettere in evidenza la potenza dei Visconti presso il doge. Tuttavia, il duca preferì rimanere a Milano, e decise che ad accompagnare la moglie sarebbe stato suo nipote Matteo Visconti, insieme a una scorta di cavalieri.

    Così, nel 1347, fu organizzato un viaggio di stato a Venezia a bordo di una piccola flotta di galee, su cui salirono Isabella e le sue dame di compagnia insieme a mercanzie di ogni tipo.

    A bordo, tra banchetti, musica, balli e feste sorsero le prime dicerie, che finirono per rovinare la reputazione di Isabella: la sua condotta e le sue libertà nei confronti di alcuni cavalieri furono considerate fin troppo spregiudicate. Il vescovo e storico Paolo Giovio definì il viaggio una lussuriosissima navigazione, affermazione confermata dal fatto che Isabella si sarebbe concessa almeno a due amanti: Ugolino, della casata dei Gonzaga, durante una lunga sosta a Mantova, e poi addirittura Andrea Dandolo, il doge della Repubblica di Venezia. Nel caso dell’amante veneziano, le cronache raccontano di una relazione talmente sfacciata da spingere la moglie del doge, Francesca Morosini, a scrivere che non sarebbe stata sepolta accanto al marito traditore.

    Lo scandalo fu quindi notevole, e giunse fino a Luchino che, infuriato, ingiunse alla moglie di tornare immediatamente a Milano, facendole presente che per quanto aveva fatto la attendeva il rogo. Isabella si ripresentò nel ducato nel gennaio del 1349, ma trovò il marito ammalato, forse di peste, e lo aiutò a morire somministrandogli una dose di veleno.

    Dopo la morte di Luchino, si aprì la questione relativa alla sua successione. Isabella fu scalzata dall’arcivescovo Giovanni Visconti, fratello del defunto marito, che prese il potere a Milano impedendole di esercitare l’eventuale reggenza in attesa che i due figli – Luchino Novello e Giovanni – raggiungessero l’età prevista per assumersi il comando. Quest’ultima ipotesi fu caldeggiata anche dai figli illegittimi di Luchino, ma a ostacolare il suo progetto fu appunto Giovanni, che nel 1339 aveva spartito la signoria con il fratello. Giovanni, nutrendo sospetti sull’avvelenamento di Luchino, ed essendo a conoscenza della condotta scandalosa della cognata, decise di prendere il controllo della situazione e, anche, di farla pagare alla donna. L’arcivescovo di Milano fece dichiarare i gemelli non legittimati ad assumere il governo della città, in quanto figli di Galeazzo e non di Luchino, tesi avvalorata dal fatto che Isabella in passato era stata più volte sorpresa in intimità con lui, e dalle dichiarazioni dello stesso Giovanni, testimone di un alterco in cui Galeazzo aveva affermato dinanzi a Luchino di essere il padre dei gemelli. Isabella fu costretta quindi a dichiarare pubblicamente che i figli non erano di Luchino, escludendoli così da qualsiasi diritto di successione.

    Giovanni Visconti divenne quindi signore di Milano, e richiamò i nipoti mandati in esilio dal fratello, garantendo loro che, dopo la sua morte, avrebbero potuto spartirsi equamente la signoria e governarla. Isabella rimase per cinque anni a corte insieme ai figli, poi riuscì a fuggire insieme a Luchino Novello – Giovanni era morto prematuramente – dopo la morte dell’arcivescovo, e riparò nel Castello di Savignone, in Liguria, di proprietà della famiglia dei Fieschi, dove rimase fino alla fine dei suoi giorni.

    Al Castello di Savignone, tra l’altro, rimane legata una vicenda della vita di Isabella che, benché avvolta da una patina di leggenda, aggiunge un ulteriore indizio relativo alla sua condotta. Nella fortezza, durante uno dei numerosi soggiorni che si concesse lontano da Milano, Isabella conobbe un giovane di cui si innamorò perdutamente. La tradizione vuole che i due amanti si incontrassero di nascosto, grazie a una corda tesa lungo la torre in cui soggiornava Isabella. Luchino scoprì la tresca dopo aver mandato delle spie al castello, e fece uccidere il giovane amante della moglie.

    L’avvelenamento di Matteo

    II

    Anche Matteo

    II

    Visconti morì avvelenato, il 29 settembre 1355. Matteo, che aveva diviso la signoria con i fratelli Galeazzo

    II

    e Bernabò, condusse una vita particolarmente dissipata, e forse anche per questo motivo fu eliminato dai suoi fratelli, che temevano per la sopravvivenza dello stesso dominio dei Visconti. Tornato nel suo castello di Saronno, al termine di una battuta di caccia tenutasi nei dintorni di Monza, Matteo accusò forti dolori addominali e morì dopo aver cenato. Fu sepolto nella Chiesa di San Gottardo in Corte. Con la sua scomparsa, il potere rimase nelle mani di Galeazzo e di Bernabò.

    La congiura di Francesco Pusterla

    Francesco Pusterla, figlio di Macario e di Fina Litta, era stato consigliere di Azzone Visconti ed era sposato con Margherita Visconti, da cui aveva avuto i figli Ambrogio, Filippo e Pagano. Pusterla cadde in disgrazia in occasione della congiura da lui ordita contro il signore di Milano Luchino Visconti. Nel 1340, secondo quanto raccontato dal cronista Pietro Azario, Luchino Visconti avrebbe insidiato la cugina Margherita, moglie del Pusterla, che era il nobile più ricco e noto della Signoria di Milano. Il Pusterla volle vendicare l’affronto subito, e strinse accordi con suo fratello Surleone, Martino e Pinalla Aliprandi, Calzino Tornielli, Borolo da Castelletto, con i tre figli di Stefano Visconti, Matteo, Galeazzo e Bernabò, e con Alpinolo da Casate. Quest’ultimo, però, svelò le intenzioni dei congiurati a suo fratello Ramengo, che a sua volta le riportò a Luchino in cambio dell’immunità per il fratello Alpinolo. Francesco Pusterla fu allora costretto a fuggire da Milano, riparando ad Avignone con tutte le ricchezze che riuscì a raccogliere e trasportare con

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