Le ali del destino: Harmony Destiny
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Maureen Child
Maureen Child ha al suo attivo più di novanta tra romanzi e racconti d'amore. È un'autrice molto amata non solo dal pubblico ma anche dalla critica, infatti è stata nominata per ben cinque volte come migliore autrice per il prestigioso premio Rita.
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Anteprima del libro
Le ali del destino - Maureen Child
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Beauty & The Blue Angel
Silhouette Desire
© 2003 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-785-0
Frontespizio. «Le ali del destino» di Child Maureen1
Daisy Cusac ignorò il dolore acuto che le serpeggiò dentro. È solo una fitta, si disse, poi si passò una mano sul pancione. «Su, piccolino, non fare questo alla tua mamma, vuoi?»
I dolori erano stati intermittenti tutto il giorno, ma lei non vi aveva dato granché peso. Tutti i libri che aveva letto sulla gravidanza dicevano che non vi era nulla di cui preoccuparsi finché le contrazioni non diventavano regolari, a pochi minuti l’una dall’altra. Che diamine, una ogni ora e mezza o giù di lì non doveva destare allarme, no?
Inoltre, in un caotico venerdì sera, poteva raggranellare un bel po’ di soldi con le mance servendo ai tavoli del ristorante italiano Da Antonio. E mai come in quel periodo i soldi le facevano comodo.
Tutt’intorno a lei echeggiavano i rumori tipici di una cucina in pieno fermento: acciottolio di padelle, imprecazioni degli chef, tintinnare di piatti di fine porcellana. Una specie di melodia. E i camerieri e le cameriere erano i ballerini.
Svolgeva quel lavoro ormai da quattro anni e se la cavava molto bene.
Sebbene tanta gente non considerasse quella della cameriera una vera e propria professione, Daisy non ci faceva caso. Lei adorava il suo lavoro. Tutte le sere conosceva persone nuove e aveva qualche affezionato cliente che accettava anche di aspettare una mezz’ora in più pur di essere assegnato a uno dei suoi tavoli e farsi servire da lei. I suoi capi, poi, i Conti, erano veramente delle persone deliziose.
Dopo aver saputo che era incinta, invece di licenziarla, i vari membri della famiglia Conti si erano dimostrati molto gentili e premurosi con lei, sollecitandola in continuazione a fermarsi, a riposarsi e raccomandandole di non stare troppo tempo in piedi.
C’era sempre qualcuno pronto ad aiutarla con i vassoi più pesanti e le era stato già assicurato che le avrebbero conservato il posto dopo il periodo di aspettativa che si sarebbe preso dopo il parto per dedicarsi completamente al suo bambino.
«Vedrai, piccolino» disse, chinando il capo e sorridendo al pancione. «Andrà tutto bene. Staremo benissimo tu e io insieme.»
«Tutto a posto, Daisy?»
Lei si girò di scatto e sorrise a Joan, una delle altre cameriere. «Certo, tutto a posto.»
La collega la fissò come se non le credesse e Daisy si rammaricò per non essere mai stata brava a raccontare bugie.
«Perché non ti riposi un po’?» le suggerì Joan. «Mi occuperò io dei tuoi tavoli.»
«Sto bene» insistette Daisy, augurandosi che a crederci non fosse solo Joan, ma anche lei stessa. «Sto bene. Davvero.»
L’amica le indirizzò uno sguardo crucciato, poi adagiò due piatti di parmigiana fumante sul suo vassoio. «D’accordo. Ma ti tengo d’occhio, Daisy.»
Come tutti gli altri lì al ristorante, pensò lei.
Prese un bricco con del caffè, spinse le porte a battente della cucina ed entrò nella sala da pranzo principale.
Un’eleganza discreta caratterizzava l’ambiente. Tovaglie di lino bianco drappeggiavano i tavoli, candele ardevano all’interno di globi di cristallo e le melodiose note di un violino si diffondevano nell’aria da alcuni altoparlanti.
Al di sopra della musica, si accavallava il confortevole brusio di voci, puntualizzato di tanto in tanto da qualche risata. I bicchieri di vino tintinnavano, le forchette e i coltelli urtavano contro i piatti, producendo vibranti sonorità, e uomini e donne vestiti con impeccabili camicie bianche inamidate e pantaloni neri perfettamente stirati scivolavano tra la folla con coreografica precisione.
Daisy sorrise ai suoi clienti mentre offriva loro dell’altro vino e prendeva le ordinazioni.
Si chinò per accarezzare un bambino appollaiato sul seggiolone, sorridendo alla vista degli spaghetti impiastricciati fra i capelli.
La maggior parte dei camerieri detestava avere dei bambini ai loro tavoli perché significava, normalmente, perdere del tempo in più per ripulire tutt’intorno dopo che i clienti se n’erano andati. E perdere tempo significava, di conseguenza, perdere denaro.
Daisy aveva sempre adorato i bambini. Anche quelli più capricciosi e pasticcioni. Il che, secondo Joan, faceva di lei una temeraria.
Un gruppo di uomini d’affari sulla trentina entrò in sala. Furono accompagnati dall’addetta all’accoglienza clienti verso uno dei tavoli liberi di Daisy.
Mentre passavano, Daisy raccolse uno sguardo mortificato da parte della sua collega. Quattro uomini erano, abitualmente, delle buone forchette, e chissà come si sarebbe stancata ad andare su e giù per servirli. L’unico aspetto positivo era che si sarebbe sicuramente guadagnata una cospicua mancia, e lei era pronta al sacrificio pur di assicurare un avvenire al piccolo che le cresceva in grembo.
Un altro spasmo le attanagliò i reni, stavolta più acuto degli altri, e Daisy si irrigidì. O, no, tesoro, non adesso.
Come se il piccolo avesse ascoltato la sua silenziosa supplica, il dolore si acquietò, stabilizzandosi in un sommesso languore di sottofondo. Sopportabile.
Doveva solo stringere i denti per le successive due ore e poi se ne sarebbe potuta ritornare a casa.
Doveva solo stringere i denti per le successive due ore, e poi se ne sarebbe potuto ritornare a casa. Era ciò che Alex Barone continuava a ripetersi.
Era stato l’ultimo a prendere posto e se ne stava ora appollaiato in punta al sedile in pelle, pronto a infilare la porta di corsa a fine cena. Quando se ne rese conto, cercò di assumere una postura più rilassata.
Come diavolo gli era venuto in mente di andare proprio in quel ristorante?
Non osava pensare alle probabili conseguenze di quel suo gesto.
Tuttavia, se avesse saputo che i suoi amici avevano scelto il ristorante Da Antonio per la loro serata in compagnia, si sarebbe sicuramente tirato indietro. Non aveva senso fomentare in maniera così sfacciata un’antica inimicizia familiare.
Si guardò intorno e sorrise fra sé e sé.
Fin da piccolo, la sua famiglia gli aveva raccontato vecchie storie che dipingevano i Conti come delle creature demoniache. Ma se era quello il loro inferno, non si poteva certo dire che non lo avessero reso un posto piacevole, osservò, divertito. Luci soffuse, musica d’atmosfera... e deliziosi profumi provenienti dalla cucina che gli avevano già fatto venire l’acquolina in bocca.
I tavoli erano quasi tutti occupati e il personale addetto al servizio in sala si muoveva alacremente come truppe di terra impegnate in un’importante operazione militare.
Quel pensiero gli strappò un sorriso. Deformazione professionale!, pensò. Serviva nella marina militare da troppo tempo, ormai.
Mentre i suoi amici chiacchieravano e ridevano, Alex lasciò di nuovo scivolare lo sguardo per la sala, aguzzando la vista nel caso adocchiasse un membro della famiglia Conti.
Poiché nessuno di quella famiglia lo conosceva di persona, rifletté, quante erano le probabilità che lo identificassero come un Barone? Praticamente pari allo zero.
Tanto valeva, quindi, cercare di rilassarsi e godersi la serata.
L’istante successivo, ogni pensiero di fuga abbandonò completamente la sua mente.
«Salve, mi chiamo Daisy e sarò io a servirvi, stasera.»
Una bella donna gli si materializzò accanto e rivolse al tavolo un sorriso così radioso capace di illuminare ogni angolo di quella sala.
D’istinto, Alex raddrizzò la schiena per riservare alla ragazza un’occhiata più accurata. Aveva dei lunghi capelli castani raccolti dietro la nuca da un fermaglio argentato e un paio d’occhi di un colore indefinito, a metà fra il verde e l’azzurro. La carnagione era chiara, d’aspetto morbido e levigato, e la sua voce era attraversata da una punta di gradevole brio.
L’interesse di Alex venne subito sollecitato... finché il suo pancione non gli sfiorò il braccio mentre lei cambiava posizione, spostando il peso del corpo da un piede affaticato all’altro.
Incinta.
Presa.
Accidentaccio. Che delusione.
Il suo sguardo si posò automaticamente sull’anulare sinistro. Non vide la fede, neppure un segno bianco che indicasse che l’avesse portata e poi se la fosse tolta.
Corrugò la fronte con espressione pensierosa. Non era sposata? Quale razza di imbecille era capace di abbandonare una donna come quella? Specialmente se portava in grembo suo figlio?
«Salve, Daisy» disse uno dei suoi amici, Mike Hannigan, con un fischio di approvazione.
Alex gli scoccò un’occhiata inceneritrice, ma a quanto pareva l’inelegante commento non aveva turbato la donna.
«Posso portarvi subito qualcosa da bere? Qualche antipasto?» domandò in tono gentile mentre distribuiva i menù.
«Birra per tutti» ordinò Nick Santee e lei annuì mentre prendeva nota sul suo blocchetto delle ordinazioni.
«Il suo numero di telefono?» azzardò ancora Tim Hawkins.
Lei sorrise, e la prorompente vitalità di quel sorriso lasciò Alex senza fiato. Accidenti, che donna di gran fascino! Pur in quelle condizioni...
La vide inclinare il capo da un lato, sorridere mentre si lisciava il pancione. «Non mi sembra il caso.»
Poi, si voltò e andò a prendere da bere.
Mentre i suoi amici ridevano e sbeffeggiavano Tim per la sua rozza tecnica d’abbordaggio, Alex ruotò leggermente il busto per osservarla.
Aveva una camminata molto armoniosa, per nulla goffa. Vide il sorriso sul suo viso vacillare un solo istante, mentre con una smorfia lei si portava la mano al ventre e se lo lisciava, come a voler confortare la creatura che portava dentro.
D’istinto, si chiese se ci fosse qualcuno a confortare lei.
Con il trascorrere della serata, il suo interesse per la ragazza non fece che intensificarsi.
Quando ritornò con le birre e i quattro bicchieri, lui scattò in piedi per aiutarla ad appoggiare sul tavolo il pesante vassoio.
«Oh, la ringrazio, non si disturbi.»
«Si figuri, signora.»
Lei lo guardò, meravigliata, e Alex decise che il colore dei suoi occhi tendeva decisamente più all’azzurro che al verde.
«Daisy. Semplicemente Daisy.»
Lui annuì, restando lì in piedi, impalato, con quel pesante vassoio in mano, lo sguardo fisso