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Sotto le luci della ribalta: Harmony Collezione
Sotto le luci della ribalta: Harmony Collezione
Sotto le luci della ribalta: Harmony Collezione
E-book166 pagine2 ore

Sotto le luci della ribalta: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

I Bryant 2/3

Ciò che serviva all'ambizioso CEO Luke Bryant per far decollare il suo negozio di prodotti di lusso era un nome di grido che facesse da traino. Quello di cui invece non aveva proprio bisogno era una popstar sulla via del declino, costantemente nel mirino dei paparazzi, come Aurelie Schmidt.

Avere a che fare con il più sexy e scorbutico uomo che abbia mai incontrato ha reso quello che doveva essere il concerto del suo grande rientro non propriamente memorabile come sperava. Tuttavia, Aurelie non è certo il tipo di donna che si arrende alla prima difficoltà, quindi non lascerà che un uomo - non importa quanto attraente! - le si insinui così sottopelle. Anche se è già scivolato tra le sue braccia.
LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2019
ISBN9788858996324
Sotto le luci della ribalta: Harmony Collezione
Autore

Kate Hewitt

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Sotto le luci della ribalta - Kate Hewitt

    successivo.

    1

    Luke Bryant fissò l'orologio per la sesta volta negli ultimi quattro minuti e sentì la rabbia montare.

    Quella donna era in ritardo. Guardò con fare interrogativo Jenna, il suo capo PR, che gli rivolse un inutile gesto di scuse con le mani. Intorno a lui la folla che riempiva l'elegante atrio di cristallo e marmo di Bryant's iniziò ad agitarsi: tutti quanti aspettavano da quindici mi-nuti che Aurelie presenziasse alla grande riapertura dello storico negozio, ma finora non si era vista.

    Luke strinse i denti e desiderò di potersi defilare da tutta quella orribile situazione. Era stato impegnato a risolvere emergenze aziendali nella loro sede di Los Angeles e aveva lasciato la gestione di quell'inaugurazione alla sua squadra di New York. Se fosse rimasto in California, non si sarebbe trovato lì ad aspettare una tizia che non voleva neanche vedere. Cosa aveva pensato Jenna quando aveva ingaggiato una celebrità al tramonto come Aurelie?

    Guardò di nuovo la sua capo PR: la osservò mordersi un labbro, con la stessa aria di scuse. Non sentendo la minima comprensione, Luke si avvicinò a lei.

    «Dov'è, Jenna?»

    «Di sopra...»

    «Cosa sta facendo?»

    «Si sta preparando.»

    Luke represse la sua ira con grande sforzo. «E si rende conto di essere in ritardo di quindici...» Controllò l'orologio. «... sedici minuti e mezzo per l'unica canzone che dovrebbe cantare?»

    «Credo di sì» ammise Jenna.

    Luke la fissò con durezza, ma si stava irritando con la persona sbagliata. Jenna era ambiziosa e una grande lavoratrice e sì, aveva ingaggiato una meteora come Aurelie per promuovere l'inaugurazione del negozio, ma consistenti ricerche di mercato supportavano la sua scelta: Aurelie faceva presa su un target che andava dai diciotto ai venticinque, aveva cantato tre canzoni di successo e aveva solo ventisei anni.

    In effetti l'artista sembrava davvero attirare ancora l'interesse di quel pubblico, anche se in parte interessato solo ad assistere a un disastro annunciato: Jenna l'aveva ingaggiata, e un significativo numero di persone era ora lì per vedere l'ex principessa del pop cantare uno dei suoi insipidi brani prima dell'inaugurazione ufficiale del negozio.

    E la responsabilità ultima, come sempre, era di Luke.

    «Dov'è esattamente?»

    «Aurelie?»

    Come se stessero parlando di qualcun altro.

    «Sì, Aurelie.» Persino il nome era ridicolo. Quello vero probabilmente era Gertrude o Millicent. Comunque fosse, era assurdo.

    «È nella sala relax del personale.»

    Luke annuì cupo e si diresse di sopra. Aurelie era stata ingaggiata per cantare e, accidenti, avrebbe cantato. Come un usignolo!

    Di sopra, il reparto donne di Bryant's era silenzioso e vuoto, le rastrelliere di vestiti e i manichini spettrali sembravano accusarlo. Quel giorno doveva essere un successo. I Bryant Stores negli ultimi anni avevano conosciuto un lento e progressivo declino: nessuno voleva ormai oggetti lussuosi troppo cari, la specialità di Bryant's da almeno un secolo. Luke, amministratore delegato della catena, cercava di cambiare le cose da anni ma il fratello maggiore, Aaron, aveva sempre insistito per avere l'ultima parola e non era mai stato interessato a fare qualcosa che, secondo lui, potesse sminuire il nome Bryant.

    Quando erano arrivate le ultime relazioni dai dati decisamente deprimenti, Aaron aveva finalmente accettato di ripensarci, e Luke aveva pregato che non fosse troppo tardi. Se lo era, sapeva chi biasimare.

    Bussò alla porta della sala relax. «Signorina... Aurelie?» Perché quella donna non aveva un cognome? «La stiamo aspettando...» Provò la maniglia: la porta era chiusa. Bussò di nuovo. Nessuna risposta.

    Per un attimo rimase immobile, e il ricordo andò gelido a un'altra porta chiusa, a un altro silenzio. A uno scottante senso di colpa.

    È colpa tua, Luke. Eri l'unico che avrebbe potuto salvarla.

    Scacciò risoluto i ricordi. Con la spalla spinse la porta e diede anche un calcio con il piede: la serratura si ruppe e la porta si spalancò.

    Luke entrò nella sala relax e si guardò attorno. Abiti frivoli, quasi ridicoli, erano sparsi sul tavolo e sulle sedie, alcuni sul pavimento. Insieme a qualcos'altro.

    Aurelie.

    Imprecando, Luke si avvicinò: era crollata in un angolo della stanza, indosso portava un abito assurdamente corto.

    Si inginocchiò davanti a lei per sentirle il polso: sembrava regolare, ma che ne sapeva lui di pulsazioni? Le esaminò il volto, pallido e un po' sudato: aveva un aspetto orribile. Immaginava che dovesse essere bella, con quei capelli castani e il corpo snello, ma il volto era teso e grigio e sembrava anche troppo magra.

    Le toccò la gamba e sentì la pelle umida: con il cuore a mille Luke prese il cellulare per chiamare il 911. La donna doveva essere in overdose di qualcosa. Non si era aspettato di dover vedere quella scena due volte nella sua vita, e il ricordo del panico provato gli gelò le vene.

    Poi gli occhi della donna si aprirono e lui allentò la presa sul cellulare. Alla vista del colore degli occhi Luke sentì qualcosa agitarsi dentro: erano azzurro ardesia, il colore dell'Atlantico in una giornata fredda e grigia, e si muovevano con sforzo. Aurelie sbatté le palpebre, cercando di rialzarsi: lo sguardo si concentrò su di lui e un'espressione gelida le si dipinse in volto. «Non sei bello» mormorò, e il sollievo che lui provò fu subito sostituito dalla determinazione.

    «Hai ragione.» La sollevò per le ascelle e la sentì afflosciarsi contro di lui. Gli era già sembrata magra sul pavimento, ma tra le sue braccia era anche più fragile. «Cos'hai preso?» le chiese. Lei gettò la testa all'indietro per guardarlo, le labbra incurvate in un sorriso ironico.

    «Qualunque cosa fosse, era una roba pazzesca.»

    Luke la sollevò tra le braccia e si avviò verso il bagno. Riempì il lavandino di acqua fredda e con un rapido e deciso movimento infilò il volto della popstar in quel liquido gelato.

    Lei saltò su come percorsa da una scossa elettrica, sputando e imprecando. «Che diavolo...?»

    «Siamo un po' più lucide ora, no?»

    Lei si asciugò il volto poi si girò a fissarlo con occhi socchiusi. «Oh, sì, sono lucidissima. E tu chi sei?»

    «Luke Bryant.» La voce gelida era carica di ira repressa. La maledisse per averlo spaventato. Per averlo costretto a ricordare. «Ti sto pagando per esibirti, principessa, quindi hai cinque minuti per sistemarti e scendere.» Lei incrociò le braccia al petto, il volto sempre grigio. «E truccati!» aggiunse Luke girandosi per andarsene. «Hai un aspetto terribile.»

    Aurelie Schmidt, non molte persone conoscevano il suo cognome, eliminò le ultime tracce umide dal volto poi sbatté ancora le palpebre. Che uomo stupido. E che stupido ingaggio. Stupida soprattutto lei per essersi anche solo presentata lì quel giorno. Per aver cercato di essere diversa. Inspirò tremante e afferrò una tavoletta di cioccolato dalla borsa. Scartandola con un movimento brusco si girò a fissare i vestiti sparpagliati in quel camerino improvvisato. Jenna, la tirapiedi di Bryant, era rimasta inorridita dall'abbigliamento che inizialmente aveva scelto.

    «Ma tu sei Aurelie... Hai un'immagine...»

    Un'immagine che aveva ormai da cinque anni, ma che la gente voleva ancora vedere. Forse volevano vedere anche lei, ma non era chiaro se amavano davvero le sue canzoni o se speravano di vederla rovinare tutto ancora una volta.

    E così aveva abbandonato i jeans e la camicetta leggera che avrebbe voluto indossare e si era strizzata in un miniabito di lustrini. Stava per truccarsi quando doveva essere svenuta. E Bryant era entrato supponendo il peggio. Be', non poteva dargli torto. Ne aveva combinate troppe per infastidirsi se qualcuno saltava a qualche conclusione piuttosto ovvia.

    Era chiaramente in ritardo, così divorò la tavoletta poi si applicò un rapido trucco. I capelli erano terribili, ma almeno poteva dar loro uno stile: li raccolse in una pettinatura disordinata e li coprì di lacca. La gente amava comunque vederla un po' fuori dagli schemi. Per quello anche i giornali la seguivano rapaci anche se non pubblicava niente da oltre quattro anni. Tutti volevano vederla fallire.

    Erano passati più di venti minuti dall'orario annunciato per la sua esibizione con Distruggimi, il suo maggiore successo, e Aurelie sapeva che il pubblico si stava agitando. E Luke Bryant era sempre più infastidito. Le labbra s'incurvarono in un sorriso cinico mentre si girava per uscire dalla sala relax. Luke Bryant aveva ovviamente delle aspettative molto basse su di lei. Be', che si unisse pure al club.

    Salire su un palco, anche improvvisato come quello, era sempre un'esperienza extracorporea per Aurelie. Ogni sensazione di sé svaniva e lei diventava semplicemente la canzone, il ballo, l'esibizione. Diventava Aurelie per come il mondo la conosceva da sempre.

    La folla di fronte a lei si confuse in una massa senza volto mentre raggiungeva il microfono. Un tacco a spillo si incastrò nel pavimento del palco e per un attimo pensò che sarebbe caduta in avanti. Sentì il pubblico trattenere il fiato: sapeva che tutti si aspettavano, forse speravano, che cadesse a faccia in giù. Invece si riprese, sorrise gelida e iniziò a cantare.

    Di solito non era consapevole di ciò che faceva sul palco. Lo faceva e basta. Cantare, ancheggiare, scuotersi, sorridere: era una seconda natura per lei, anzi la prima, perché esibirsi era molto più facile che essere se stessa. E tuttavia lì, in mezzo a tutta quella falsificazione, sentì qualcosa nell'intimo bloccarsi e zittirsi, anche mentre cantava.

    In piedi accanto a quel palco improvvisato, lontano dal pubblico riunito nell'atrio, Luke Bryant la stava fissando, il volto cupo, gli occhi fiammeggianti. E la cosa peggiore per Aurelie fu rendersi conto di ricambiare lo sguardo: una parte di lei non riusciva a distogliere gli occhi da quell'uomo anche mentre si girava verso il pubblico.

    Luke osservò Aurelie iniziare il suo numero, e capì che era all'altezza della sua fama: si esibiva senza grande coinvolgimento, ma era abbastanza brava da renderlo ininfluente. Il corpo snello si muoveva con una grazia sensuale, la voce era chiara e vera ma anche roca e suggestiva, quando voleva. Era una voce sensuale, e lei era davvero brava in quello che faceva: Luke doveva riconoscerlo anche se era infastidito.

    E poi lei si girò a guardarlo e ogni sensazione di distacco svanì. Sentì solo... bisogno. Un soverchiante bisogno fisico, ma soprattutto un bisogno di... proteggerla. Era ridicolo. Quella donna non gli piaceva neanche: la disprezzava. E tuttavia in quel secondo in cui gli sguardi si incrociarono, lui sentì una stretta nel cuore e... be', altrove.

    Poi Aurelie distolse lo sguardo e la sentì gridare alla folla di cantare insieme a lei il ritornello, la osservò scuotere la testa e insistere: «Andiamo, non è poi così vecchia, so che non l'avete dimenticata!».

    Provò una riluttante ammirazione per quell'autoironia: ci voleva coraggio per farlo. Ma ricordarla stesa nel camerino gli fece incurvare le labbra sprezzante. Doveva trattarsi di coraggio liquido. O forse peggio.

    La musica finì, tre minuti intensi di canzone e ballo, e Luke udì partire un fragoroso applauso ma anche qualche fischio e si sentì stringere nell'intimo: la seguivano, sì, ma in parte anche per prenderla in giro. Ebbe la sensazione che lo sapesse anche lei: la osservò inchinarsi con un gesto quasi ironico, agitare le dita verso gli ammiratori e lasciare il palco. I loro sguardi si incrociarono di nuovo e Aurelie

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