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Il prezzo della fuga: Harmony Collezione
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E-book153 pagine2 ore

Il prezzo della fuga: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Dalla padella nella brace!

Non bastavano le piogge tropicali, a ostacolare il ritorno a casa dopo un esilio forzato, ci voleva anche l'impossibilità di trovare un elicottero disponibile! Francesca Valentine è decisa a tutto, pur di partire.

Anche a inventarsi la bugia che...
LinguaItaliano
Data di uscita9 giu 2017
ISBN9788858967539
Il prezzo della fuga: Harmony Collezione
Autore

Lindsay Armstrong

Dicono che l'Africa resti per sempre nel cuore di chi vi è nato... Lindsay Armstrong è nata in Sud Africa ed è cresciuta con tre ambizioni ben precise: diventare una scrittrice, vedere il mondo e diventare guardia forestale. Non è riuscita a realizzare il suo ultimo obiettivo, ma l'amore per la natura selvaggia e per l'Africa non l'ha mai abbandonata.

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    Anteprima del libro

    Il prezzo della fuga - Lindsay Armstrong

    successivo.

    1

    Era alta circa un metro e sessanta, e doveva avere poco più di vent'anni. Aveva un bel corpo, con un collo lungo e sottile, spalle diritte e, sotto la camicetta di seta gialla, seni sodi che sobbalzarono come frutti maturi quando lei scese dal fuoristrada. La sua vita era sottile, e i fianchi stretti, mentre le gambe, fasciate da un paio di jeans, erano lunghe e slanciate. Inoltre aveva un'espressione imperiosa, incorniciata da splendidi capelli castano chiaro. Poi la sconosciuta parlò e il suo accento, leggermente affettato, rivelava chiaramente le sue origini. Doveva essere stata abituata a ottenere tutto ciò che voleva solo a un cenno, fin dalla culla.

    Raefe Stevensen la squadrò da capo a piedi.

    Dunque è vero. È stata a Wirra, pensò.

    Vide la ragazza che scuoteva la testa mentre parlava con l'uomo che l'aveva condotta fin là.

    Non è difficile immaginare perché è venuta qui. Ora si aspetta certamente che io lasci perdere tutto per precipitarmi da lei.

    La fissò ancora per un momento, poi, con deliberata lentezza, prese il telefono.

    Francesca Valentine smontò con un salto dalla Land Rover impolverata e si guardò intorno, incuriosita. In realtà, non c'era molto da vedere, solo un piccolo edificio prefabbricato, un hangar, una pista con una manica a vento che penzolava inerte, due aeroplani da turismo e un elicottero fermi sul campo di volo. I suoi occhi azzurro scuro si animarono quando vide i velivoli. Si girò verso l'autista, scostandosi i capelli dal viso.

    «Questi andranno bene, Jim. Non c'è bisogno che tu aspetti qui, anzi, sarà meglio che torni all'allevamento prima che l'alluvione renda la strada del tutto impraticabile.»

    L'autista, un uomo di mezza età, era incerto. «Be', signorina Valentine... Non mi va di lasciarla qui da sola. Suo padre...»

    «Sta' tranquillo, Jim. Mi basta che ci sia un aeroplano, per cavarmela da sola.»

    «Ma nel caso dovessero sorgere delle difficoltà... Questo è un paesucolo sperduto, signorina Valentine. C'è un solo locale pubblico dove potrebbe aspettare, e quello non è posto per lei. È pieno di bovari, pastori, camionisti e gente del genere. Suo padre...» insistette l'uomo.

    «Se nomini di nuovo mio padre, giuro che mi metto a urlare! È stato lui a spedirmi all'allevamento di Wirra, dunque è colpa sua se ora mi trovo in questa situazione!»

    «Non è stato certo lui a mandare l'alluvione! E non è colpa sua se il nostro elicottero si è rotto proprio ora» replicò Jim, in tono ragionevole.

    «Chi lo sa? Ma senti, sarà meglio per te, se non dovrai preoccuparti anche di me, oltre a tutto il resto, non ti pare? Voglio dire, tu hai già abbastanza da fare anche senza dovermi servire da balia. E dovrai badare al bestiame, e all'incolumità degli uomini, se l'alluvione vi dovesse raggiungere.»

    «Rischiamo di rimanere isolati per settimane intere!» sospirò Jim.

    «Proprio così. Se facciamo a modo mio, invece, appena sarò arrivata a casa, farò di tutto per procurarvi i pezzi di ricambio per l'elicottero nel giro di poche ore» concluse Francesca.

    «E va bene, signorina Valentine. Ma mi lasci almeno portare il suo bagaglio fino all'ufficio» cedette l'uomo mentre prendeva la borsa dal sedile.

    «Posso fare da sola. Arrivederci, Jim. Ho apprezzato molto la tua sollecitudine, e spero di non esserti stata di troppo impiccio. Farò di certo sapere a mio padre che l'allevamento di Wirra è in ottime mani.»

    «Arrivederci, signorina Valentine. In quanto all'impiccio, be' dubito che i ragazzi, laggiù, abbiano ricevuto visite più gradite della sua. Lei è proprio quel che ci voleva, è davvero degna figlia di suo padre, ed è stato un piacere averla fra noi.»

    Francesca salutò Jim, poi si voltò di nuovo per osservare il piccolo aeroporto nel centro della Penisola di Capo York, nel Queensland settentrionale.

    La depressione atmosferica che aveva portato piogge violente nel Golfo di Carpentaria non era ancora arrivata fin là, il cielo però era già gravido di nubi minacciose. I canali e i fiumi erano gonfi per il flusso aumentato a monte e, secondo le previsioni, sarebbero presto straripati anche in quella regione selvaggia dove si trovavano solo allevamenti di bovini. La pioggia battente avrebbe poi completato l'opera. La parte settentrionale dell'allevamento di Wirra era già allagata.

    Francesca aveva trascorso laggiù le ultime due settimane. All'inizio molti dei dipendenti avevano guardato con sospetto la figlia del nuovo proprietario. Francesca si sarebbe trovata sicuramente a disagio, se non fosse stato per Jim, che conosceva da molti anni, e che era stato trasferito da un'altra proprietà dei Valentine a Wirra perché la dirigesse. Con il suo aiuto Francesca era riuscita a conquistarsi la fiducia dei dipendenti.

    Adesso si chiedeva se davvero somigliasse tanto a suo padre. Certo, il vecchio Valentine aveva una personalità carismatica, ma c'era qualcosa di freddo e di distante, in lui, che Francesca non avrebbe voluto per sé.

    «Oh, be', prima me ne vado di qui, meglio sarà per tutti!» concluse ad alta voce, mentre si girava verso il piccolo edificio sul quale spiccava l'insegna Banyo Air, lo stesso nome dipinto sui velivoli fermi sulla pista.

    Entrò in un ufficio dall'aspetto modesto, quasi dimesso. C'erano una ragazza dietro una vecchia scrivania, e due sedie di plastica arancione, scomodissime, di fronte. Dai vetri impolverati della finestra si vedeva il campo di volo. C'erano anche un serbatoio dell'acqua e un ventilatore sporco e al soffitto. Le pareti erano coperte di fotografie di aerei. Francesca lasciò cadere la borsa e disse, scandendo le parole: «Vorrei parlare con il proprietario, per favore».

    La ragazza alla scrivania non doveva avere più di diciannove anni. La guardò stupita e si scostò nervosamente i capelli dal visto. «In questo momento il titolare è al telefono. Ma se non le dispiace aspettare qualche minuto, dovrebbe liberarsi» disse, accennando a una porta che si trovava alle spalle di Francesca.

    «Come si chiama?»

    La ragazza esitò, infine rispose: «Stevensen. Il titolare è il signor Stevensen».

    «Allora forse potrei parlare con lei, se il signor Stevensen è troppo occupato. Ho bisogno di recarmi a Brisbane...»

    «Fino a Brisbane?» sbottò la ragazza sgranando gli occhi come se la capitale del Queensland si trovasse sulla luna.

    «Sì» rispose Francesca; proprio in quel momento si rese conto che effettivamente Brisbane distava quasi duemila chilometri. «Be', potrei andare anche a Cairns. Insomma, devo andare in un posto da dove possa prendere un volo di linea che mi riporti a Brisbane. La vostra agenzia effettua voli fino a Cairns?»

    «Sì, potremmo farlo, ma temo che non saremo in grado di organizzare il volo» rispose la ragazza, con cautela.

    «Allora le dispiacerebbe dire al signor Stevensen che io sono qui?»

    «Sì, glielo riferirò, non appena lui avrà terminato la telefonata. Vuole sedersi, nel frattempo? O magari preferisce un bicchiere di acqua fresca?»

    «Tutte e due le cose» disse Francesca con un sorriso, mentre prendeva un bicchiere di carta.

    L'impiegata parve rilassarsi, e per qualche minuto osservò Francesca di sottecchi. Ammirò a lungo i jeans di marca e la camicia di stoffa pregiata, e gli stivaletti di cuoio morbidissimo. Al mignolo portava uno strano anello, una specie di sigillo, e i capelli le ricadevano folti sulle spalle. Con un sospiro la giovane dipendente si rimise al lavoro. Prese il telefono e cominciò a parlare.

    Francesca non poté fare a meno di ascoltare la conversazione, anche perché sarebbe stato stupido far finta di niente. Venne così a sapere che la ragazza stava parlando con un'agenzia di collocamento di Cairns, che avrebbe dovuto trovare una governante per la figlia orfana del misterioso signor Stevensen. La bambina aveva sette anni. Seppe anche che la sorella del signor Stevensen si era fratturata un polso e che l'aspirante governante avrebbe dovuto risiedere con la famiglia Stevensen in quel piccolo villaggio.

    «Sì, sì, a Bramble Downs, proprio così» stava dicendo la ragazza. «Sì, è un po' isolato, ma ci sono tutte le comodità. No, no, niente negozi. No, non c'è nemmeno la biblioteca, né il cinema, e nemmeno la televisione. A volte fa molto caldo, sì.»

    Per non parlare delle alluvioni!, pensò Francesca, con una smorfia. Ma non aprì bocca. Quando la telefonata ebbe termine, mentre la segretaria batteva i tasti di una vetusta macchina per scrivere, Francesca si mise a pensare a quanto fosse difficile trovare gente disposta a lavorare in quel luogo. Ma si sorprese ad augurare al signor Stevensen buona fortuna con la governante per la sua piccola senza mamma.

    Poi guardò l'orologio, e si rese conto di avere fatto anticamera per più di venti minuti. Allora tutta la sua comprensione verso il titolare svanì. Decise di aspettare altri cinque minuti, mentre si chiedeva che diavolo stesse facendo in quel posto dimenticato da Dio.

    Aspettò cinque minuti esatti, poi si alzò e si rivolse alla ragazza in tono gentile: «Come si chiama, signorina?».

    «Susan. Senta, mi spiace, ma il titolare è ancora al telefono. Però sono sicura che sa che lei è qui. Deve per forza averla vista arrivare.»

    «Dice sul serio, Susan? Be', allora vuole riferire questo messaggio al suo datore di lavoro? Gli dica che Francesca Valentine, figlia di Frank Valentine, sì, proprio quel Frank Valentine, il magnate, vorrebbe vederlo immediatamente. Gli dica anche che, se mi farà aspettare ancora anche solo un minuto, comprerò la sua ridicola compagnia aerea, e poi lo licenzierò.»

    Susan era attonita, e non solo per le parole di Francesca. Il suo sguardo, infatti, la oltrepassava sulla destra e, quando lei si voltò, vide che la porta indicatale poco prima dalla segretaria si era aperta e un uomo era in piedi sulla soglia.

    Una volta tanto Francesca rimase senza parole, anche se solo per pochi istanti, perché il signor Stevensen non era affatto come lei l'aveva immaginato. Più tardi lei stessa si domandò cosa si fosse aspettata di trovare. Forse l'apparenza modesta dell'ufficio l'aveva indotta a credere che anche il titolare dovesse essere un uomo privo di attrattive particolari.

    O magari aveva pensato che anche lui dovesse essere un bovaro, come quasi tutti gli abitanti di quel minuscolo centro rurale. Si era immaginata che l'uomo sarebbe rimasto affascinato e allo stesso tempo intimorito dalla sua presenza, una ricchissima ragazza di città capitata là chissà come...

    Tuttavia Francesca si rese presto conto di essersi sbagliata completamente, perché l'uomo che la stava fissando non era certo colpito dalla sua presenza. Anzi, la stava guardando in modo fin troppo insolente e sfrontato.

    Doveva essere alto più di un metro e ottanta, aveva capelli chiari e occhi grigi, e dimostrava all'incirca trentacinque anni. Benché indossasse abiti comodi, sembrava abituato all'eleganza e ai modi raffinati.

    Francesca si riprese presto dallo stupore per quel l'incontro. «Bene, dunque il signor Stevensen è lei! A che

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