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101 cose da fare in Friuli almeno una volta nella vita
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E-book329 pagine3 ore

101 cose da fare in Friuli almeno una volta nella vita

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Zona di confine e di passaggio, spesso tagliata fuori dalle principali rotte turistiche, il Friuli è in realtà una terra affascinante e tutta da scoprire, che offre un’incredibile varietà di paesaggi ed esperienze: dalle montagne di Tarvisio alle spiagge di Lignano, basta un’ora di viaggio per cambiare completamente panorama. Chi cerca stimoli culturali, invece, potrà scoprire le Poesie a Casarsa preso per mano da Pier Paolo Pasolini, consultare una delle più antiche copie della Divina Commedia o, ancora, apprezzare pellicole di qualità durante le rassegne sui film d’Oriente e sul cinema muto. Senza dimenticare il patrimonio artistico: le opere del Tiepolo a Udine, per esempio, o i mosaici della basilica di Aquileia. Mentre gli amanti della buona tavola si godranno i deliziosi percorsi enogastronomici: nascono in Friuli il celebre prosciutto San Daniele e il formaggio Montasio, le migliori grappe italiane e lo storico vino Friulano, precedentemente noto come Tocai. 101 esperienze che condurranno il lettore sulle tracce di un passato glorioso, invitandolo ad addentrarsi, tornante dopo tornante, nella variegata e caratteristica provincia che custodisce il vero spirito del luogo.

Il Friuli come non l'avete mai visto!

Ecco alcune delle 101 esperienze:
Sentirsi bassi di fronte alla sedia gigante di Manzano
Farsi un taj di chel bon nelle osterie di Udine
Propiziare la fertilità alle sorgenti della Livenza
Incantarsi davanti ai mosaici di Aquileia
Far passare il tempo nel “Paese degli orologi”
Sostare lungo la strada dei castelli e del prosciutto
Indovinare cosa sono i cjarsons
Beffare il diavolo a Cividale
Farsi minacciare da un prete armato di spadone
Scendere 207 gradini per vedere “l’orrido”
Samuele Zamuner
è nato a Maniago, in provincia di Pordenone, nel 1984. Vive a Cento (Fe), dove collabora come copywriter con alcuni studi di comunicazione, ma ogni volta che può torna tra le montagne di casa per fare il pieno di frico.
LinguaItaliano
Data di uscita27 lug 2016
ISBN9788854198241
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    101 cose da fare in Friuli almeno una volta nella vita - Samuele Zamuner

       1.

    LASCIARE L’ITALIA ED ENTRARE IN FRIULI

    Me lo ripeto tutte le volte che ci torno: il Friuli è una terra a sé. Già dal finestrino del treno, lungo la linea che collega Venezia a Udine, mi sembra di veder cambiare la luce. Diventa più fredda, ma in qualche modo anche più pulita. Poi spuntano le montagne, che chiudono l’orizzonte a nord. Le grandi città diventano sempre più rare e quando facciamo sosta a Pordenone certo non mi sento in un capoluogo di provincia. Alcune delle case che riesco a vedere durante il viaggio, poi, espongono una bandiera in cui un’aquila dorata apre le ali sullo sfondo blu della tela. I passeggeri, intanto, sono sempre meno. Il vagone si fa più silenzioso, svuotato dalle vocali aperte e dai toni alti di pendolari e studenti veneti. Capita che qualcuno parli, magari al cellulare, in una lingua spigolosa, incomprensibile. Deve essere sloveno, considero di sfuggita. Poi però riconosco le parole e capisco che è friulano.

    Quando anche la mia fermata si avvicina, vengo preso da una strana eccitazione. Con un anticipo insensato raccolgo i bagagli e mi avvio verso la porta. Mi guardo intorno e ogni volta quasi mi stupisco di vedere tutti quei sedili liberi. Come se, anziché andare a Udine e poi a Trieste, il treno fosse in realtà un autobus che torna al deposito, con gli ultimi passeggeri che attendono pazienti di essere lasciati al capolinea.

    È un po’ questa la sensazione che si prova lasciando l’Italia ed entrando in Friuli. La regione, anche se è zona di confine, rimane tagliata fuori dalle principali rotte turistiche. La gente che passa, per citare una canzone di qualche anno fa, ci guarda e prosegue veloce. Magari saluta, ma tanto noi non rispondiamo. Non è maleducazione. Facciamo solo un po’ fatica a dare confidenza.

    Eppure è qui che, ogni volta che scendo dal treno, mi sento a casa. Sarà perché, vinta la diffidenza iniziale, il Friuli si presenta per quello che è: una terra ricca, complessa, da scoprire un pezzo alla volta. La nostra piccola patria, compresa tra il Veneto e il fiume Isonzo, non si fa mancare niente, a partire dalla varietà geografica. Nonostante le ridotte dimensioni, infatti, in Friuli abbiamo le vette di Tarvisio e la sabbia d’oro di Lignano, le colline e i laghi. Ci sono industrie conosciute in tutto il mondo e importanti manifestazioni culturali. Si mangia – e, soprattutto, si beve – bene.

    La bandiera che si vede ovunque, con l’aquila dorata ad ali spiegate, rappresenta il Friuli storico, ed è leggermente diversa da quella della regione Friuli Venezia Giulia. Per quanto possa sembrare strano, non sempre la sua esposizione sui balconi delle case si accompagna a una volontà separatista. Spesso è un semplice gesto d’orgoglio. Lo stesso vale per l’utilizzo della marelenghe, il friulano. Il furlan non è un dialetto, bensì una lingua di origine neolatina, tutelata con una legge del 1999. Cospicui finanziamenti ci hanno permesso di adottare la segnaletica bilingue, non solo lungo le strade, ma anche negli ospedali e negli uffici pubblici. Addirittura, per le nostre ricerche, adesso possiamo consultare la Vichipedie. Al di là di queste derive, però, l’utilizzo del friulano dimostra quanto sia forte il nostro senso di identità. In queste pagine cercherò di dare un assaggio di quello che vi attende, con la speranza che le cose che racconto vi incuriosiscano. E vi spingano a esplorare questa terra, capace di suscitare continuo e inesausto stupore. Buon viaggio.

    UDINE E DINTORNI:

    PICCOLO COMPENDIO DELL’UNIVERSO

       2.

    TROVARE VENEZIA NELLA PIAZZA DI UDINE

    Un buon punto di partenza per scoprire il Friuli è il suo capoluogo, la città di Udine. E una visita di Udine non può che cominciare dal suo centro, ovvero da piazza Libertà e dal colle del Castello.

    Preparatevi, perché una volta in piazza avrete la netta sensazione di trovarvi a Venezia. Solo, mancheranno l’acqua e i piccioni. Sarà per la colonna cinquecentesca sistemata sul terrapieno rialzato, sulla quale svetta il leone simbolo della Serenissima. Oppure per la Torre dell’orologio, opera di Giovanni da Udine, con le statue dei due mori che battono le ore. O, ancora, per l’arco Bollani, anch’esso provvisto di leone alato, da cui comincia la salita al castello secondo un progetto di Andrea Palladio.

    Prima di stupirsi è bene ricordare che Udine fu la seconda maggiore città della Repubblica Veneta, che controllò il territorio dal 1420 al 1797. Dopo la dominazione francese durante le campagne napoleoniche, Udine venne annessa al regno lombardo-veneto sotto l’Impero austriaco, fino a quando, nel 1866, entrò a far parte del Regno d’Italia. La piazza, in ogni caso, prese la sua forma definitiva nel Cinquecento e così è giunta fino a noi. A renderla caratteristica è la conformazione irregolare del terreno, che obbligò gli architetti a una sistemazione a più livelli.

    Gli edifici principali sono le due logge che si fronteggiano. Da un lato il palazzo del Comune con la loggia del Lionello, un porticato in stile gotico-veneziano. Dalla parte opposta, costruiti su un rialzo, la loggia e il tempietto di San Giovanni, del 1533, con l’arcata trionfale al centro e sormontati dalla Torre dell’orologio. Il risultato è quello di una monumentale e spaziosa piazza rinascimentale, forse la più suggestiva di tutto il Friuli.

    Con il viso rivolto all’orologio, sulla sinistra troverete l’arco Bollani e la salita che vi porterà al castello. Non fatevi intimorire dalla pendenza e seguite la loggia del Lippomano fino ad arrivare alla chiesa di Santa Maria (la più antica della città) e, finalmente, al castello. La leggenda vuole che il colle su cui si trova sia stato fatto costruire da Attila per ammirare la sua ultima impresa, ovvero la città di Aquileia distrutta dalle fiamme. Non so quanto potesse essere interessante, uno spettacolo del genere, ma è certo che da qui il panorama è ottimo.

    Così, riposati e rinfrancati, potete dedicarvi alla visita del castello, ma non aspettatevi ponti levatoi o torri merlate: la costruzione fu irrimediabilmente danneggiata dal terremoto del 1511 e dall’incendio dell’anno successivo. Giovanni da Udine, a partire dal 1547, riprese il progetto, sistemando e riadattando l’edificio che oggi ha l’aspetto di una villa signorile.

    Al suo interno ospita il Museo archeologico e la Galleria d’arte antica di Udine. Il primo è sistemato al piano terra e comprende una ricca collezione di manufatti, rinvenuti soprattutto ad Aquileia e nei dintorni di Udine, ma provenienti anche dal resto d’Italia. Proprio all’interno del museo avrete il primo contatto con la civiltà longobarda di cui parleremo nei prossimi capitoli. Alla fine della visita, infatti, potrete ammirare la ricostruzione di due tombe (provviste di relativi scheletri) risalenti a quel periodo.

    La Galleria d’arte antica espone, invece, opere dal XV al XIX secolo, sistemate in ordine cronologico lungo tredici sale. A metà percorso attraverserete il salone del Parlamento friulano, ambiente solenne per le ampie dimensioni, con affreschi del XVI secolo alle pareti, il soffitto a cassettoni e le numerose armi che qui sono conservate. Quindi, tra un dipinto di Pomponio Amalteo, uno del Carpaccio e l’Angelo custode del Tiepolo, tornerete all’aperto ad ammirare per un’ultima volta il paesaggio.

    A questo punto potete decidere se visitare il resto del colle con la chiesa di Santa Maria, la casa della Confraternita, l’arco Grimani e la casa della Contadinanza (dove magari fare una sosta nella buona enoteca interna), oppure rituffarvi lungo la discesa di nuovo verso il centro di Udine.

       3.

    FARSI UN TAJ DI CHEL BON NELLE OSTERIE DEL CENTRO

    Una cosa che amo fare, quando arrivo in una città che non conosco, è camminare senza meta tra le vie del centro. A Udine questa è un’attività che riesce benissimo, soprattutto nella zona dietro piazza Libertà. La varietà architettonica degli edifici offre al turista (ma anche all’indigeno: è difficile assuefarsi, in questi casi) spettacoli sempre nuovi, lungo strade, a tratti solo pedonali, che si incrociano senza una precisa geometria.

    Per ristorarvi dopo la visita al colle, quindi, il mio consiglio è di prendere, una volta tornati in piazza, la vicina via Mercato Vecchio, approfittandone per notare il bel palazzo del Monte di Pietà; oppure imboccare via Calzolai, passando sotto il campanile della chiesa di San Francesco. Da lì potete poi esplorare strade dal nome evocativo quali via Pelliccerie, via Rialto, via Mercerie e via delle Erbe che vi porta a piazza Matteotti.

    Quest’ultima, meglio nota agli udinesi come piazza San Giacomo, è da sempre uno dei luoghi più vivaci della città. Su tre lati è circondata da portici, mentre a ovest trova posto la chiesa di San Giacomo, del 1938. Sulla sua facciata si notano le conchiglie, simbolo del santo, e un insolito balcone, subito sopra il portale. Da qui, un tempo, si celebrava messa direttamente sullo spazio aperto della piazza, in modo da non costringere i mercanti a interrompere le vendite e a lasciare incustodite le loro merci per assistere alla cerimonia.

    Ecco, questo è il posto giusto per fermarsi un attimo a farsi un taj di chel bon (un bicchiere di quello buono). All’orario dell’aperitivo, prima di pranzo o cena, i bar e le osterie si riempiono di gente che beve un bicchiere (il tajut) e sgranocchia qualche stuzzichino. Attenzione, però, sono banditi tutti i riti trendy delle grandi città d’Italia. Dimenticate la musica alta e gli sgabelli zebrati, i design ricercati e i cocktail alla frutta, gli stuzzichini macrobiotici e i conti salati. In Friuli vi aspettano osterie con tavoli in legno, proprietari ruspanti e ottimo vino.

    Tajut in friulano significa piccolo taglio, nel senso di incisione. Sembra che, nel nostro caso, sia riferito al segno che veniva fatto sui bicchieri in modo da indicare il livello raggiunto da un decilitro di vino. Merlot, Cabernet Franc o Sauvignon, Pinot, Malvasia, Chardonnay, Piccolit o Ramandolo, a voi la scelta. Per asciugare il vino, ed evitare giramenti di testa, accompagnatelo con gli ottimi prodotti locali: qualche fetta di San Daniele, un pezzetto di Montasio, quadratini di pane farcito o polpette di carne (in un locale in via Manin ne ho mangiate di buonissime). E i prezzi, cosa non trascurabile al giorno d’oggi, sono abbordabili, senza andare a scapito della qualità.

    Ma non limitatevi a piazza Matteotti. Esplorate tutto il centro alla ricerca della vostra osteria preferita. Suggerirvi qualche nome è inutile: il livello in città è talmente alto che difficilmente troverete un posto che vi lasci insoddisfatti.

    Un aiuto per orientarsi arriva però dalla regione Friuli Venezia Giulia che da qualche anno si è attivata per censire e segnalare tutti i locali storici del territorio distribuendo targhe in oro e argento da esporre fuori dalle attività. Per entrare a far parte della selezione, i locali devono rispondere a tre requisiti: non aver cambiato gestione per almeno sessant’anni, trovarsi all’interno di un edificio di pregio storico e, infine, avere arredi e strumenti di valore storico-artistico. Così potete mettervi sulle tracce di trattorie, edicole, bar, farmacie, drogherie e, naturalmente, osterie.

    Sono sicuro che, una volta che ne avrete provate tre o quattro, sarete più sereni e indulgenti, e magari sarete anche disposti a scortare le signore in un giro di shopping nei numerosi negozi del centro. Potranno scegliere tra i soliti enormi franchising e le piccole boutique. A proposito, cercate la merceria vicino a piazza Libertà: l’esposizione di bottoni e stoffe che si vede già dalla vetrina è uno spettacolo che ripaga di ogni fatica.

    Farsi un taj di chel bon

       4.

    FARE QUELLO CHE FANNO TUTTI ALL’INTERNO DEL DUOMO

    Poco distante da piazza Libertà si trova la cattedrale di Santa Maria Maggiore, ovvero il Duomo di Udine. Prima del Duomo, la chiesa cittadina era quella di Santa Maria in Castello a cui abbiamo accennato poco fa. I lavori per la costruzione della cattedrale iniziarono nel 1236 per volere del patriarca Bertoldo di Andechs. L’edificio venne ampliato nel tempo, ma fu il patriarca francese Bertrando di San Genesio a renderla quello che è ancora oggi e a intitolarla a Santa Maria Maggiore. L’aspetto esterno è quello di una struttura solida, sobria, ricca di forme gotiche, trecentesche. Venne consacrata nel 1335, ma i lavori continuarono ancora a lungo, anche per la costruzione del campanile.

    A proposito del campanile. Girate attorno al Duomo: arriverete di fronte a una costruzione tozza, incompiuta. Il progetto era monumentale, ma ci si dovette arrestare, una volta raggiunti i quarantotto metri di altezza, per mancanza di materiali. Sulla sua cima si sarebbe dovuta installare la statua della Vergine Annunziata che, da quell’altezza, avrebbe potuto comunicare con quella posta sulla cima del campanile di Santa Maria in Castello. Il basamento è comunque molto interessante per la presenza di sculture di un maestro tedesco del XIV secolo.

    Ora siete pronti per entrare. Tornate indietro, date un ultimo sguardo alla facciata e immergetevi nelle tre navate dell’interno. A coloro che sono a digiuno d’arte forse sembrerà di cogliere una nota stonata. I più esperti rimarranno, semplicemente, disorientati. Entrare nel Duomo significa infatti fare un balzo in avanti di circa quattrocento anni, direttamente nel periodo barocco. Questa è la prova più evidente della lunga serie di lavori e rimaneggiamenti che la chiesa ha subìto nel corso dei secoli. Determinante fu l’intervento della famiglia Manin, i cui artisti e architetti nel 1706 rivoluzionarono gli interni lavorando con stucchi, cambiando le proporzioni e cancellando gli archi gotici. E proprio i monumenti ai Manin sono uno dei principali motivi di interesse della visita.

    Vi sentirete spinti a raggiungere il punto centrale: l’altare maggiore, dove spicca l’urna funeraria del Beato Bertrando. Ai lati dell’altare due pilastri sorreggono altrettante statue dalle forme plastiche, quelle dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine Annunziata. La cosa stupefacente del presbiterio è la sua capacità di dominare l’ambiente sottostante, nonostante il modesto rialzo rispetto al suolo.

    A questo punto sentitevi pure liberi di fare quello che fanno tutti quando entrano nel Duomo.

    No, non inginocchiarvi a pregare, ma partire alla ricerca delle opere del Tiepolo.

    Iniziate con ordine e tornate alla prima cappella sulla destra, dedicata al Santissimo Sacramento. Questa, assieme all’adiacente cappella della Santissima Trinità, conserva un ciclo di affreschi realizzato dal pittore veneziano in appena dieci giorni, tra cui Il sacrificio di Isacco e L’apparizione dell’angelo ad Abramo. Altre opere del Tiepolo si trovano nella cappella dei Santi Ermacora e Fortunato, dove nel 1737 l’artista realizzò le figure dei due patroni della città con il suo stile delicato e luminoso. Alle spalle del presbiterio, la cappella di San Nicolò segna il confine con il Museo del Duomo, che contiene uno dei più importanti cicli di affreschi trecenteschi presenti in Friuli, opera di Vitale da Bologna.

    A questo punto non vi rimane che raggiungere il battistero. Ed eccovi al cospetto del sarcofago del Beato Bertrando, da lui voluto per contenere le spoglie dei santi patroni della città. Le sculture dei bassorilievi che riempiono i quattro lati rappresentano scene della vita dei santi e sono fra le più importanti testimonianze della scultura trecentesca in Friuli. Godetevelo un po’, prima di uscire di nuovo all’aria aperta.

    La visita è finita, andate in pace.

       5.

    CONVINCERSI CHE L’IMPORTANTE È PARTECIPARE: LO STADIO FRIULI

    Tifare per i bianconeri è una sorta di disciplina zen: bisogna prepararsi a mantenere i nervi saldi anche e soprattutto durante i lunghi momenti di calo della squadra. Bisogna essere pronti a lottare, a soffrire e a mantenere intatta la propria fede senza mai la soddisfazione di un trofeo, di un primo posto qualsiasi. Nella storia della società, infatti, spicca solo uno scudetto sfiorato nella stagione 1954-55. Non esattamente il giusto carburante per gli animi dei tifosi.

    Eppure qualcuno ricorderà l’estate del 1983, quando la società annunciò di aver acquistato Antunes Coimbra Zico, forse il miglior giocatore di quel periodo. Nessuno ci voleva credere (nemmeno la Federcalcio che, preoccupata per le finanze dell’Udinese, pose il veto al tesseramento), ma, quando i tifosi lo videro all’azione, fu festa per tutti. Zico diventò per i friulani quel che Maradona rappresenta per i napoletani. Con le debite proporzioni nel manifestare il proprio affetto, s’intende. L’idillio durò meno di un anno. Prima un infortunio lo costrinse a lungo in panchina, poi una condanna per costituzione di capitali all’estero lo costrinse a lungo fuori dall’Italia.

    Una figura simbolo dell’Udinese è quella di Giampaolo Pozzo, diventato patron nel 1986, in un momento piuttosto delicato. La squadra era coinvolta in un presunto caso di scommesse e in luglio fu retrocessa in serie B. Dopo il ricorso in appello riuscì a rimanere in serie A, ma con una penalizzazione troppo grande per sperare nella salvezza.

    Insomma, quando in anni più recenti a Milano si indignavano per campioni brasiliani pagati a peso d’oro e sempre infortunati e a Torino cercavano di nascondere telefonate che sono costate la retrocessione, qui a Udine i tifosi sbadigliavano, un po’ annoiati per quella che per loro era ormai acqua passata.

    Non mi voglio dilungare troppo, ma è doverosa una veloce panoramica sulla squadra dell’ultimo periodo, una carrellata di nomi per capire il modo di lavorare di Pozzo nella seconda metà degli anni Novanta. Il primo, il più grande, è quello di Oliver Bierhoff. Poi ci sono Marcio Amoroso, Sensini, Helveg, Di Michele, Muntari, Felipe, Pizarro e, infine, Iaquinta. E sicuramente ne dimentico qualcuno. Sono tanti i campioni di ogni parte del mondo che all’Udinese sono esplosi, prima di essere rivenduti a caro prezzo ai grandi club. Una gestione, questa, che oltre a favorire la squadra sul piano finanziario, è stata proficua anche su quello dei risultati. L’Udinese da qualche anno è sempre in corsa per la coppa Uefa e ha conquistato anche le qualificazioni per la Champions League.

    Le volte che più mi sono divertito allo stadio Friuli, però, i giocatori in campo non c’erano. Il Friuli, infatti, diventa un’ottima arena per ospitare concerti da quarantamila persone. Nell’estate 2009 lo hanno scelto per una delle loro date italiane nientemeno che Madonna, Coldplay e lui, il Boss, Bruce Springsteen. Oltre ad aver ospitato negli anni passati Pink Floyd e Red Hot Chili Peppers, solo per fare un paio di nomi. Ma anche i pochi artisti di casa nostra in grado di riempire gli stadi sono passati di qui: Renato Zero, in uno storico concerto da tutto esaurito, Ligabue e, chiaramente, Vasco Rossi. Immaginate cosa vuol dire per un friulano guardare Vasco che canta nel suo stadio? Una curiosità: proprio al Friuli, nel 2008, si è giocata un’amichevole della Nazionale a capienza ridotta, a causa della presenza del palco di Vasco che avrebbe suonato due giorni più tardi.

       6.

    ATTRAVERSARE A PIEDI UN SECOLO D’ARTE ALLA GAMUD

    Torniamo all’arte figurativa. Lasciate le opere del Tiepolo al Duomo, basta una passeggiata di pochi minuti per uscire dal centro e fare un salto in avanti di un paio di secoli. In piazzale Paolo Diacono, infatti, si trova la sede della Gamud, la Galleria d’arte moderna di Udine.

    Come spesso accade, la Galleria nacque e si sviluppò grazie a una serie di illuminate e generose donazioni. Prima fra tutte quella di Antonio Marangoni, uomo d’affari udinese che lasciò per testamento la propria collezione alla città, con la clausola che periodicamente venissero acquistate opere di giovani artisti allo scopo di formare una raccolta di arte contemporanea. Era il 1895: oggi, oltre un secolo più tardi, la Galleria ospita quasi quattromila lavori di pittura, scultura, grafica e design. La Fondazione Marangoni ha continuato a fare nuove acquisizioni, attingendo dalle Biennali veneziane, fino ai più recenti lavori di Fontana, Vedova e Scanavino. Dopo il terremoto del 1976 un gruppo di artisti americani, in segno di solidarietà, donò una raccolta di centodieci opere che andarono a incrementare la sezione relativa all’arte americana degli anni Sessanta, dalla Pop art alla Minimal art.

    Visitare la Galleria significa ripercorrere l’arte italiana,

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