Una segretaria particolare: Harmony Collezione
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Così, in un attimo, da scialba impiegata Alex si trasforma in una bellezza mozzafiato, e l'interesse nei suoi confronti da parte di Max passa da esclusivamente professionale a decisamente personale. La fama di playboy che lui si porta dietro è distante anni luce dall'educazione ricevuta da Alex: lei non accetterà mai di essere solo l'amante del suo ricco datore di lavoro. Lui, però, non ha alcuna intenzione di prenderla in moglie.
Lindsay Armstrong
Dicono che l'Africa resti per sempre nel cuore di chi vi è nato... Lindsay Armstrong è nata in Sud Africa ed è cresciuta con tre ambizioni ben precise: diventare una scrittrice, vedere il mondo e diventare guardia forestale. Non è riuscita a realizzare il suo ultimo obiettivo, ma l'amore per la natura selvaggia e per l'Africa non l'ha mai abbandonata.
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Anteprima del libro
Una segretaria particolare - Lindsay Armstrong
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Billionaire Boss’s Innocent Bride
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2008 Lindsay Armstrong
Traduzione di Marta Draghi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-558-8
1
Alexandra Hill rientrò a Brisbane in una mattina di maggio particolarmente fredda. Era andata a sciare con degli amici nelle Alpi meridionali e, pur essendo partita da Canberra tutta imbacuccata, con sciarpa e giacca da sci, non aveva previsto di doverle sfruttare anche al suo arrivo nel clima solitamente tropicale di Brisbane.
Indossava ancora la giacca a vento quando scese dal taxi davanti casa a Spring Hill, dove trovò il suo capo che la aspettava.
Simon Wellford, paffuto e coi capelli rossi, fondatore dell’agenzia di servizi Wellford Interpreting Services, le gettò subito le braccia al collo. «Grazie al cielo! La tua vicina non sapeva se saresti tornata oggi o domani. Ho bisogno di te, Alex» le disse agitato.
Alex si liberò dall’abbraccio e rispose prosaicamente: «Sono ancora in vacanza, Simon...».
«Lo so» la interruppe, «mi farò perdonare!»
Alex sospirò. Lavorava per lui come interprete e sapeva bene quanto potesse essere impulsivo. «Di che emergenza si tratta questa volta?» chiese.
«Non la definirei proprio un’emergenza» rispose lui. «Non credi che la Goodwin Minerals sarebbe un vero e proprio colpaccio?»
«Non so assolutamente nulla della Goodwin Minerals, e non ho idea di cosa tu stia parlando Simon!»
Lui fece schioccare la lingua. «È una grande e ricca azienda mineraria, e sta per andare in Cina. Be’...» continuò agitando una mano, «stanno per avviare delle trattative qui a Brisbane con un consorzio cinese, ma uno dei loro interpreti si è ammalato e hanno bisogno di un sostituto. Praticamente subito» aggiunse.
Alex posò la borsetta. «Interprete sul campo?»
Simon esitò. «Senti, so che finora l’hai fatto solo al telefono o con traduzioni via e-mail, ma sei dannatamente brava!»
Alex si portò le mani ai fianchi. «Se parliamo di ambiente minerario, significa termini tecnici...»
Lui la guardò intensamente. «No. Hanno bisogno di te per gli eventi sociali. Si sono raccomandati che...» esitò, «... fossi a tuo agio in circostanze formali.»
«E tu hai detto loro che non mangio con le mani?» commentò Alex, scoppiando poi a ridere di fronte all’espressione di Simon.
«Ho detto che sei cresciuta in ambiente diplomatico. Il che sembra averli rassicurati» rispose rigido. Ma, a essere sincero, qualche riserva ce l’aveva, e non dipendeva certo dai modi di Alex o dalla sua conoscenza del cinese... era solamente da come si vestiva.
L’aveva vista sempre e solo con i jeans, e una serie di sciarpe e foulard che si avvolgeva intorno al collo. I suoi capelli ricci parevano ingestibili e, come se non bastasse, portava sempre gli occhiali.
Si poteva definire la classica intellettualoide. Non che gli fosse mai importato di come si vestiva, considerando che l’interpretariato telefonico e la traduzione di documenti si potevano fare stando dietro le quinte, e infatti lei lavorava spesso da casa. Ma la Goodwin Minerals era molto in vista, e l’ambiente sarebbe quindi stato di un certo livello.
Simon interruppe i suoi pensieri con uno scatto del mento. Avrebbe risolto la cosa più tardi; ora doveva ottenere quel lavoro e il tempo stringeva.
«Sali in macchina, Alex» ordinò. «Abbiamo un colloquio alla Goodwin fra venti minuti.»
Lei lo guardò incredula. «Stai scherzando, vero? Sono appena arrivata. Ho bisogno di farmi una doccia e cambiarmi. E poi non sono sicura di volerlo fare.»
«Alex...» ribatté lui aprendo lo sportello dell’auto, «... per favore.»
«No, aspetta un attimo. Vuoi dirmi che hai organizzato questo colloquio e ti sei impegnato con la Goodwin senza nemmeno sapere se sarei tornata oggi?»
«So che sembra un po’...» balbettò lui.
«Sembra un po’ da te, Simon Wellford» disse rassegnata.
«I grandi uomini afferrano al volo le occasioni» rispose lui. «Questa cosa potrebbe portare a una gran quantità di lavoro per noi, Alex. Potrebbe costituire finalmente una svolta per la Wellford, e poi...» esitò un attimo prima di continuare, «Rosanna è incinta.»
Alex sgranò gli occhi. Rosanna era la moglie di Simon, e quello sarebbe stato il loro primo figlio. Il futuro della società diveniva decisamente importante.
«Perché non me l’hai detto subito?» chiese addolcendosi e sorridendogli. «È una notizia meravigliosa!»
Una volta in macchina, tuttavia, le tornarono in mente alcune delle difficoltà associate a quella missione. «Come faccio a presentarmi vestita così?»
Simon la guardò. «Puoi dire che sei appena tornata da una vacanza sugli sci, il che è la verità. Incontreremo Margaret Winston, la segretaria personale di Max Goodwin.»
«Max Goodwin?»
«L’uomo attorno cui gira la Goodwin Minerals. Non dirmi che non hai mai sentito parlare di lui!»
«Ehm... no» rispose lei aggrappandosi al sedile. «Devi proprio andare così veloce?»
«Non voglio arrivare tardi. Max Goodwin è un uomo molto potente, e...»
«Simon!» gridò lei. Ma era tardi. Il furgone davanti a loro frenò improvvisamente e gli finirono addosso.
Simon Wellford strinse il volante e gemette irritato guardando il cofano ammaccato. Poi si voltò verso Alex. «Stai bene?»
«Sì, solo un po’ scossa. E tu?»
«Idem.» Rabbrividì vedendo l’autista del furgone, robusto e decisamente arrabbiato, scendere e avvicinarsi. «Ma non ci voleva proprio.»
«Quanto siamo lontani?» chiese Alex.
«Solo un isolato da qui.»
«Allora posso andarci da sola. Non riuscirai a liberarti per un po’, ma io posso andare, giusto? Ridimmi il nome della donna.»
Simon si riprese. «Margaret Winston, al prossimo edificio sulla sinistra, è la Goodwin House. Devi andare al quindicesimo piano. Alex, se otteniamo questo lavoro te ne sarò debitore» le disse.
«Farò del mio meglio!» rispose uscendo dall’auto.
Prima che potesse chiudere lo sportello, Simon le gridò: «E se le cose si mettono male, incantali col tuo cinese!».
Risultò che Alex non doveva incontrare solo Margaret Winston, ma lo stesso Max Goodwin e un signore cinese, Mr Li, il che contribuì a toglierle il poco fiato rimastole dopo la corsa fino alla Goodwin House.
Ma fu Margaret Winston, di mezza età, con capelli castani perfettamente raccolti e un elegante tailleur verde oliva, che la condusse nell’imponente ufficio di Max Goodwin.
Una vetrata a tutta parete si affacciava sul fiume Brisbane nel punto in cui questo costeggiava il verdeggiante Kangaroo Point sotto lo Storey Bridge. Il pavimento era un mare di moquette blu. Da un lato c’era una grande scrivania, con alcune affascinanti incisioni della Brisbane del passato, appese al muro in cornici dorate. Dall’altra parte della stanza c’era un divano in pelle marrone con davanti un tavolino.
Lo stesso Max Goodwin era imponente.
Per qualche ragione la breve descrizione di Simon l’aveva portata a immaginarsi il magnate miliardario come un uomo duro, rozzo e forse un po’ viscido.
Max Goodwin era tutt’altro. Doveva avere sui trentacinque anni, ed era l’uomo più intrigante che avesse mai visto. Non solo nascondeva un fisico perfetto sotto l’impeccabile abito blu, ma aveva anche due occhi azzurri intensi e quasi ipnotici. I capelli erano scuri, gli zigomi scolpiti e la bocca sottile e ben definita.
Non c’era assolutamente nulla di viscido in lui, benché sembrasse decisamente duro, e probabilmente anche pericoloso. C’era una sorta di intensità rapace in quegli occhi, propria di un uomo che sapeva ciò che voleva – e se lo prendeva.
E lei non era ciò che lui voleva, pensò poi Alex...
Fu una sensazione subito confermata quando, dopo le presentazioni e una rapida occhiata, Max Goodwin si sfregò il mento evidentemente irritato. «Oh, dannazione! Margaret...»
«Signor Goodwin» interruppe Margaret Winston. «Non sono riuscita a trovare nessun’altro, domani pomeriggio si avvicina e il signor Wellford mi ha assicurato che la signorina Hill è estremamente competente e ha una completa padronanza della lingua.»
«Sarà» commentò lui, «ma avrà diciotto anni e sembra appena scappata dal collegio delle suore.»
Alex si schiarì la gola. «Le assicuro che ho ventun’anni signore. E mi scusi se mi permetto, ma le pare saggio giudicare un libro dalla copertina?» Poi fece una pausa, accennò un inchino e ripeté la stessa cosa in cinese.
Mr Li fece un passo avanti, presentandosi come uno degli interpreti. Avviò con Alex una conversazione dettagliata, poi ricambiò l’inchino e disse a Max Goodwin: «Molto fluente, Signor Goodwin, molto corretta e ben educata».
Seguì un silenzio carico di tensione, mentre Max Goodwin la fissava negli occhi per qualche istante, passando poi a studiarla di nuovo dalla testa ai piedi.
In effetti non aveva diciotto anni, pensò. Ma senza un velo di trucco, con quella massa informe di capelli crespi sparsi in ogni direzione, gli occhiali da maestrina, la tuta da sci e gli scarponi col pelo – si era tolta la giacca ma il corpo sembrava informe quanto i capelli – non aveva certo l’aspetto elegante e raffinato che serviva a lui.
A meno che... Le diede un’altra occhiata. Forse non era così impossibile. Era abbastanza alta, il che poteva distogliere l’attenzione dal fatto che fosse un po’ grassottella. Le mani erano sottili ed eleganti, la pelle piuttosto liscia e gli occhi... Acuì i propri e le chiese di togliersi gli occhiali.
Alex, stupita, obbedì e Max Goodwin annuì. I suoi occhi erano di un affascinante color nocciola.
«Uh» disse. «Grazie, Margaret. Per il momento va bene così. Grazie, Mr Li. La prego, si accomodi, signorina Hill» aggiunse indicando una poltrona.
Alex si sedette e lui si accomodò di fronte a lei, posando un braccio sullo schienale della poltrona. «Mi parli della sua formazione. Come mai parla il cinese?»
«Mio padre era un diplomatico. Ho avuto...» sorrise, «un’infanzia girovaga e a quanto pare sono portata per le lingue. Ho imparato il cinese a Pechino, ci abbiamo vissuto per cinque anni.»
«Un passato diplomatico» commentò lui pensieroso. «E intende intraprendere la carriera di interprete?»
«In realtà, no. Ma è un ottimo modo per tenere allenate le mie conoscenze e mantenermi» aggiunse. «Ma sto pensando di mirare anche io al corpo diplomatico. Mi sono laureata da poco in lingue straniere.»
Lui si passò una mano fra i capelli scuri. Poi, bruscamente, le chiese: «Che ne direbbe di una ritoccatina al look?».
Lei lo fissò in silenzio, a lungo, notando la sua cravatta grigia a pois e la piccola cicatrice appena sopra l’occhio sinistro. Poi si schiarì la gola. «Ovviamente non le sembro tagliata per questo lavoro. Io...»
«E lei si sente tagliata?» la interruppe lui, elencando un’impressionante serie di impegni, fra cui cocktail party, un pranzo, una giornata al campo da golf, una crociera lungo il fiume, e una serata di gala.
«Senta» commentò lei, «Credo che stiamo entrambi perdendo tempo, signor Goodwin. Oltretutto, non avrei il guardaroba adatto per affrontare tutto questo e nemmeno tanto interesse. L’interpretazione è una cosa, questo è tutt’altro.»
«Le fornirei io il guardaroba. Potrebbe tenerselo.»
«No, no. Non potrei» commentò lei imbarazzata. «È gentile da parte sua, ma no, grazie.»
«Non è gentile per niente» rispose lui spazientito. «Sarebbe una spesa necessaria in questo caso, e quindi deducibile. E non sarebbe certo la mancia in cambio di favori speciali da parte sua.»
Alex spalancò la bocca. «Lo spererei» disse acida.
Lui ghignò, gli occhi accesi di divertita malizia. «E perché no allora?»
Alex si mosse nervosa sulla poltrona, poi si portò le mani in grembo. «Mi sentirei... piuttosto a disagio. Mi sentirei comprata, anche se non per i soliti motivi.»
Max Goodwin alzò gli occhi al cielo. «Allora me li potrà restituire, troverò qualcuno che li apprezzi.»
«Sarebbe più appropriato» meditò lei. «Ma c’è dell’altro. A essere del tutto sincera, è mortificante sapere che comunque lei non mi considera all’altezza.»
«Non si tratta di