Un uomo da difendere: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Nella sua carriera di consulente legale ne ha viste di tutti i colori, ma adesso è arrivata la "prova del fuoco". Jessica Stearn deve ancora decidere se è più complicato il caso oppure... il carattere della persona che deve difendere!
Le conviene andare fino in fondo?
Cathy Williams
Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.
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Anteprima del libro
Un uomo da difendere - Cathy Williams
successivo.
1
«Il grande capo vuole vederti.»
Jessica lanciò un'occhiata alla biondina che faceva da segretaria sia a lei sia al suo capo, Robert Grange, e fece una smorfia.
«Ti ha mai detto nessuno che sei sprecata come segretaria, Millie? Hai un talento speciale per rendere drammatici gli annunci più banali. Dovresti recitare in una soap opera!» Appoggiò a terra la ventiquattr'ore e cominciò a esaminare la posta. «Quella comunicazione che aspettavo dall'ufficio tasse non è ancora arrivata» commentò distratta, mentre strappava una busta e ne esaminava il contenuto. «Eppure l'ho chiesta già due giorni fa!»
«Jess» intervenne l'altra, «tu non mi ascolti. Ti dico che sei stata convocata dal grande capo! È meglio che ti dia una mossa!»
Jessica corrugò la fronte. «Devo vedere Robert tra un quarto d'ora, perché tanta fretta?»
«Perché ho detto il grande capo! Bruno Carr ti aspetta nel tuo ufficio!»
«Bruno Carr? E che cosa vuole da me?» Lavorava alla BC Holdings ormai da nove mesi e in tutto quel tempo non le era mai capitato di posare gli occhi neppure di sfuggita sul leggendario Bruno Carr! Infatti la BC Holdings era solo una delle molte compagnie di sua proprietà. Il suo quartier generale aveva sede nella City e solo raramente si degnava di visitare le compagnie minori. Una volta al mese Robert si recava da lui con una borsa zeppa di documenti, per un resoconto completo sugli affari e sui dipendenti.
«Non ne ho la più pallida idea» rispose Millie, con un'occhiata alle unghie perfette e smaltate di verde, in tinta con il colore dell'abito. «Però non mi sembra il tipo che convenga far aspettare.»
E che tipo di uomo è?, avrebbe voluto chiedere Jessica. Mentre passava in rassegna le proprie azioni, alla ricerca di errori che potessero aver provocato la collera di Bruno Carr, un brivido di tensione le attraversò il corpo.
«Avresti dovuto chiedergli di che cosa si tratta» sbuffò. «È per questo che ci sono le segretarie, no?» Di solito non si lasciava cogliere di sorpresa, ma quell'annuncio improvviso l'aveva sconcertata.
«Non si fanno domande del genere a Bruno Carr!» esclamò Millie scandalizzata. «Lui viene, dice quello che vuole e tu devi limitarti a obbedire!»
«Sembra proprio simpatico!»
Un tipo pieno di pretese, che si diverte a calpesta re i suoi sottoposti lanciando ordini a destra e a manca! Proprio quello che ci vuole, in una fredda mattina di gennaio come questa...
«Dov'è Robert?» domandò, cercando di allontanare l'inevitabile il più a lungo possibile. Il suo istinto di avvocato le suggeriva di raccogliere informazioni, anche se Millie non sembrava particolarmente disponibile.
«In riunione. Gli è stato detto di incominciare senza di te.»
«Ah, capisco.»
«Questo significa che il grande Bruno Carr preferisce vederti da sola» sussurrò l'altra in tono confidenziale. «Se vuoi la mia opinione, mi sembra un cattivo segno.»
«Non mi pare di avertela chiesta» la rimbeccò Jessica. Qualunque cosa io abbia fatto, dev'essere qual cosa di grave per aver fatto scomodare Bruno Carr in persona. Chissà, forse per sbaglio mi sono portata a casa una penna dell'ufficio e lui è venuto a saperlo. Sembra proprio il tipo che per una quisquilia del genere è disposto a licenziare qualcuno! Altrimenti perché convocarmi così, senza preavviso?
Raccolse da terra la ventiquattr'ore e si preparò al peggio. «Ti dispiacerebbe portarci del caffè tra una decina di minuti, Mills?» chiese mentre passava una mano sui capelli biondi perfettamente raccolti, alla ricerca di ciuffi ribelli che pregiudicassero il suo aspetto di assoluta padronanza di sé.
«Vuoi dire se il signor Carr lo permette...»
«Adesso sei veramente ridicola!»
Si incamminò impettita lungo il corridoio, fermandosi un attimo di fronte alla porta chiusa e chiedendosi se bussare oppure no. Non c'era ragione per farlo, visto che si trattava del suo ufficio, ma piombare dentro senza preavviso poteva deporre a suo sfavore.
Benché lavorasse alla BC da neanche un anno, Jessica sapeva di aver svolto un ottimo lavoro. In che cosa Bruno Carr avrebbe potuto criticarla?
Si ritrovò a bussare irritata alla porta, prima di spalancarla ed entrare decisa.
Lui se ne stava seduto sulla sua sedia, rivolta alla parte opposta alla porta, così che l'unica cosa visibile era la testa, e stava parlando al telefono. Jessica restò a fissare lo schienale della poltrona di pelle per qualche secondo, sentendosi come un sovrano a cui sia stato usurpato il trono.
«Mi scusi, signor Carr» cominciò, cercando di mantenere la voce il più fredda possibile, per non tradire l'irritazione.
Lui si voltò, continuando la conversazione per qualche istante prima di riagganciare. Si appoggiò alla poltrona, le braccia conserte, senza pronunciare una parola.
Jessica si aspettava un uomo di mezza età con i capelli grigi, un inizio di pancetta, le guance cadenti e la bocca sottile.
Perché Millicent non mi ha preparato?
Dai tratti di Bruno Carr traspariva l'arroganza, ma in un viso che era il più sensuale che lei avesse mai visto. Aveva capelli così scuri da sembrare neri, occhi blu e lineamenti scolpiti.
«Che cosa ci fa sulla mia poltrona?» fu la stupida domanda che le salì alle labbra, mentre cercava di riguadagnare la compostezza che l'impatto con quell'uomo le aveva fatto perdere.
«La sua poltrona?» domandò lui con una voce pro fonda e vellutata, freddamente ironica.
«Mi scusi, intendevo la sua poltrona nel mio ufficio.» Sorrise con aria ingenua, senza mai abbassare la guardia.
Superata la momentanea confusione, Jessica aveva ripreso la padronanza di sé.
Bruno Carr si limitò ad accennare la poltroncina che aveva di fronte, pregandola di sedersi.
«L'ho aspettata per ben...» Consultò l'orologio d'oro che portava al polso. «... Venticinque minuti. Lei arriva sempre al lavoro a quest'ora?»
Jessica si sedette, accavallò le gambe e respinse il nodo di collera che le stringeva la gola. «Il mio orario va dalle nove alle cinque...» cominciò, ma venne subito interrotta.
«Non apprezzo i dipendenti che lavorano con lo sguardo fisso sull'orologio.»
«Ieri sera sono uscita dall'ufficio dopo le dieci. Mi scuso se sono arrivata poco dopo le nove, ma normalmente sono già a pieno ritmo alle otto e trenta.» Abbozzò quello che doveva essere un sorriso educato e intrecciò le dita sulle ginocchia.
«Robert parla molto bene di lei.» Bruno scorse i documenti che teneva aperti sulla scrivania, che lei riconobbe come il suo curriculum. «Tra parentesi, Jessica, immagino che sappia chi sono.»
«Bruno Carr» replicò lei, tentata di aggiungere il padrone dell'universo.
«È più giovane di quanto avessi immaginato dalle parole di Robert» continuò l'altro senza scomporsi. La esaminò attentamente, come se stesse valutando le sue qualità.
Perché non viene al sodo, invece di perdersi in commenti sulla mia età?, rifletté irritata. «Le dispiacerebbe se ordinassi del caffè, prima di dovermi difendere dall'accusa di essere troppo giovane?» si lasciò sfuggire, suscitando solo un'occhiata severa.
Lui premette l'interfono. «Millie, due caffè, per favore.» Poi si allungò di nuovo indietro sulla poltrona che sembrava fatta su misura per lui. Nonostante il completo grigio da classico uomo d'affari che indossava, si intuiva il suo corpo muscoloso e atletico. Jessica si sorprese a pensare che era uno dei pochi uomini verso cui avrebbe dovuto sollevare il viso, nonostante i tacchi.
Un attimo dopo si sentì bussare alla porta e Millie scivolò dentro reggendo un vassoio con due tazzine, anziché le tazze alte che utilizzavano normalmente, panna, zucchero e un piatto con dei biscotti.
«Niente altro?» domandò con un sorriso civettuolo.
Per favore!, ruggì Jessica dentro di sé. Proprio lei, quella che di solito fa a pezzi gli uomini! La presenza di Bruno Carr l'ha ridotta a una piccola geisha che sbatte le palpebre e sospira! Non c'è da meravigliarsi che lui abbia quest'aria così sicura di sé, se le donne gli si buttano ai piedi senza pudore!
«Nient'altro, per ora.» La osservò con evidente apprezzamento e Millie arrossì nel rivolgergli un sorriso talmente sexy che Jessica restò a occhi sbarrati per qualche secondo, prima di prendere una tazza dal vassoio e portarsela alle labbra.
Questo è un tipo che dovrebbe andare in giro con un cartello di pericolo, così che le donne possano tenersi alla larga!
Il pensiero di Jessica corse a suo padre, alto, elegante, affascinante, sempre attento a essere galante con tutte le amiche di sua madre, pronto a farle sentire speciali. Solo crescendo si era accorta di come quelle attenzioni andassero ben oltre le semplici parole e come non fossero mai rivolte a sua madre.
«Allora» riprese Bruno, non appena Millie ebbe lasciato l'ufficio. «Lei si chiederà il perché della mia presenza qui.»
«Devo ammettere che il pensiero mi ha sfiorata» ammise con malcelata ironia.
«Robert le ha accennato qualcosa a proposito della sua salute?» le chiese, puntando i gomiti sulla scrivania e spingendosi in avanti.
«Della sua salute?» gli fece eco lei, confusa. «No. Perché, qualcosa non va?» Negli ultimi tempi usciva piuttosto presto dall'ufficio, ma le aveva spiegato che voleva cominciare a rallentare il ritmo e lei gli aveva creduto.
«Non ha notato niente di diverso nel suo orario di lavoro?» la incalzò Bruno, con evidente sarcasmo. «Non le ha forse delegato una bella fetta del suo lavoro?»
«Sì» convenne, trovandolo improvvisamente molto strano.
«E nonostante questo lei non ne ha tratto nessuna conclusione? Non è un atteggiamento positivo in un avvocato. Non dovrebbe saper collegare i fatti con le loro cause?»
«Mi scuso di non aver trovato niente di sinistro nel suo comportamento» lo affrontò lei, con la medesima freddezza. «Che lei ci creda o no, esaminare ai raggi x il comportamento del mio capo non fa parte delle mie mansioni.» Sentiva la collera tremarle nella voce, ma ciò che la preoccupava maggiormente era che quella reazione fosse dettata soprattutto da lui, più che dalle sue parole.
Non era abituata a subire le emozioni, perché fin da bambina, osservando i capricci del padre e la malinconia della madre, aveva imparato a dominarle e a tenerle sotto chiave.
«Mi sta dicendo che è malato?» domandò tesa.
«Ulcera. È in terapia da tempo, ma adesso gli è stato prescritto un po' di riposo, almeno sei mesi lontano dal lavoro e dallo stress.»
«Mi dispiace.» Pensò a Robert, sempre gentile e generoso di incoraggiamenti e si sentì pungere dal rimorso. Bruno aveva ragione, perché non aveva tratto le conclusioni dai cambiamenti che aveva notato?
«Per fortuna non è niente di inguaribile. Gli ho detto di staccarsi dal lavoro al più presto. Non ha senso mettere in pericolo la salute. Il che mi riporta a