Lo sguardo della passione: Harmony Collezione
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Sarina ha già avuto a che fare con uomini arroganti come lui, in passato, e ha sempre saputo come gestirli senza lasciarsi intimidire in alcun modo. Ciò a cui non è assolutamente preparata è il fuoco che Matteo accende in lei! Decidere di soccombere a quell'insensata attrazione metterebbe in discussione tutti i suoi valori, e soprattutto minaccerebbe la sua carriera, ma l'intensità delle emozioni che prova ogni volta che lo sguardo di Matteo si posa su di lei non le lascia alcuna via di scampo.
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Lo sguardo della passione - Caitlin Crews
successivo.
1
«So che i termini di queste sessioni sono stati messi per iscritto e che le sono stati inoltrati dal Consiglio di Amministrazione, signor Combe, ma ritengo sia utile rivederli di persona. Le ricordo inoltre che lei non è mio cliente, per cui presenterò i miei risultati al Consiglio invece che esplorare con lei le possibili soluzioni terapeutiche. Capisce cosa questo significhi?»
Matteo Combe fissò la donna seduta di fronte a sé in quell'antica biblioteca del palazzo veneziano che era appartenuto alla famiglia della madre da generazioni. I San Giacomo erano nobili e aristocratici. Avrebbero persino potuto rivendicare una parentela con i principi italiani, considerato che il bisnonno di Matteo faceva parte di loro. Il fatto che non gli avesse passato il titolo era stato, a dire di Matteo, la più grande delusione della vita del nonno.
E sarebbe davvero stata una fortuna se Matteo fosse riuscito a preoccuparsi di tali delusioni; ma, al momento, doveva affrontare problemi ben più urgenti, come la preservazione degli affari di famiglia che gli avi di suo padre, appartenenti alla classe operaia, avevano costruito nel nord dell'Inghilterra durante la rivoluzione industriale. Il fatto che avesse scelto di gestire la situazione in quel palazzo aristocratico era stato solo per soddisfazione personale.
E forse aveva anche pensato di poter impressionare quella donna, la psichiatra, che gli sedeva di fronte.
La dottoressa Sarina Fellows era, a suo dire, il primo americano a varcare la soglia di quei locali, e Matteo si scoprì addirittura sorpreso dal fatto che l'intero palazzo non fosse affondato nel Canal Grande in una garbata protesta nel momento in cui lei vi aveva messo piede.
E tuttavia i palazzi veneziani erano rinomati per la loro tenacia di fronte alle condizioni avverse.
Sarina appariva energica ed efficiente. Vestita di nero, spiccava per la tacita eccellenza dei capi che indossava.
I capelli neri erano raccolti in uno chignon sulla nuca, gli occhi castani chiazzati d'ambra, le labbra assolutamente perfette e per questo prive di qualsiasi traccia di rossetto. Appariva esattamente com'era, suppose Matteo. La responsabile della sua distruzione, o almeno lo sarebbe stata, se i suoi nemici fossero riusciti a sopraffarlo.
Ma lui non avrebbe permesso a nessuno di distruggerlo.
Non quella donna. Non l'inaspettata morte dei genitori a poche settimane l'uno dall'altro. Non le sfortunate scelte della sorella più giovane che lo avevano condotto proprio lì, a essere giudicato dal Consiglio di Amministrazione della sua stessa azienda attraverso la valutazione di una psichiatra.
No, non avrebbe permesso a nessuno di distruggerlo.
E tuttavia, prima, doveva tollerare quella farsa.
Sarina gli rivolse quello che sospettò essere un sorriso compassionevole, ma che lo colpì piuttosto come un'espressione di sfida.
Ed erano soltanto all'inizio!
Rammentò che gli aveva fatto una richiesta. E lui aveva acconsentito. Aveva dato la propria parola. Sarebbe rimasto seduto lì e avrebbe risposto a ogni singola domanda.
A denti stretti, se necessario.
«Sono perfettamente conscio del perché lei sia qui, signorina Fellows» ribatté. Ciò che invece non riuscì a fare fu cancellare l'impazienza dal proprio tono di voce.
«Dottoressa.»
«Mi scusi?»
«Dottoressa Fellows, signor Combe. Non signorina Fellows. Spero che questa distinzione le faccia capire che le nostre conversazioni, sebbene difficili, sono puramente professionali.»
«Mi fa piacere sentirlo» borbottò. Poi, dopo essersi concesso una pausa, aggiunse: «Se devo essere onesto non ho molta esperienza con la psicoterapia, ma la natura professionale di questa esperienza è, ovviamente, la mia principale preoccupazione».
Il vento primaverile sbatteva contro le finestre, arrivando dalla laguna e minacciando di inondare Piazza San Marco. E la minaccia dell'acqua alta rispecchiava alla perfezione l'umore di Matteo.
«Capisco che ci sia una sorta di resistenza verso questo genere di terapia o meglio, verso qualsiasi genere di terapia. Forse sarebbe meglio arrivare dritto al punto.» Gli mostrò una serie di appunti che aveva appena estratto dalla valigetta di pelle, brandendoli di fronte a sé quasi fossero un'arma. «Lei è presidente e amministratore delegato delle Industrie Combe, esatto?»
Matteo si era vestito in modo casual per quell'incontro. In quel momento desiderò di non averlo fatto. Avrebbe preferito il comfort dei propri abiti su misura, abbigliamento che gli avrebbe ricordato di non essere semplicemente un mascalzone proveniente dalla strada. Lui era Matteo Combe, cresciuto per diventare l'erede della fortuna dei San Giacomo e della tentacolare multinazionale che gli avi di suo padre avevano creato dal nulla tanto tempo prima nel nord dell'Inghilterra.
Si sforzò di sorridere. «Ero presidente dell'azienda prima della morte di mio padre. Sono diventato amministratore delegato dopo la sua scomparsa.»
«E ha scelto di celebrare l'occasione attraverso uno scontro fisico con uno dei presenti al funerale. Un principe, addirittura.»
A quel punto il sorriso sulle labbra di Matteo si fece più teso. «Al momento non m'interessava chi fosse. Tutto ciò che sapevo era che aveva messo incinta mia sorella per poi abbandonarla.»
Sarina tornò a controllare gli appunti, frugando tra le carte con un fastidioso atteggiamento che innervosì ancor più Matteo.
«Si riferisce a sua sorella Pia, che è di qualche anno più giovane di lei ma che in realtà è una donna adulta, presumibilmente capace di scegliere se crescere un figlio da sola nel caso lo desideri.»
Matteo guardò la donna seduta sulla stessa sedia draconiana su cui suo nonno lo aveva fatto sedere ogni volta che aveva pensato che dovesse imparare un po' di umiltà.
Ovviamente anche lui aveva fatto le proprie ricerche. Sarina Fellows era nata e cresciuta a San Francisco e si era distinta in una delle più prestigiose scuole private. Era andata a Stanford; poi, invece di aprire uno studio privato, aveva iniziato a lavorare come psichiatra in una ditta di consulenza. Adesso girava il mondo, collaborando soprattutto con aziende che necessitavano di avere un profilo psicologico dei propri dipendenti.
Matteo era semplicemente l'ultima delle sue vittime, e questo solo perché aveva preso a pugni il principe che aveva messo incinta sua sorella per poi lasciarla. Quella sorella era l'unica famiglia che Matteo avesse mai avuto e poteva affermare di adorarla senza riserve. In quanto erede di due grandi fortune era spesso stata presa come bersaglio da cacciatori di dote senza scrupoli e sarebbe stato ben felice di vendicarla di nuovo. Il problema era che lo aveva fatto di fronte ai giornalisti, regalando loro una giornata di gloria.
Tale e quale al padre, lo avevano schernito in un gioioso delirio, riportando alla luce tutti gli scandali e i litigi del padre, nel caso qualcuno fosse stato tentato di dimenticare chi davvero fosse stato Eddie Combe, e questo solo a pochi giorni di distanza dalla sua morte. Era bastato un singolo ciclo di sprezzanti notizie da parte dei giornali perché si iniziasse a speculare riguardo al fatto che Matteo fosse o meno la persona giusta per portare avanti la sua compagnia.
E lui non aveva avuto altra scelta se non quella di sottomettersi alle richieste del Consiglio di Amministrazione, una cerchia di perbenisti che non smettevano di ripetere di non aver mai visto un simile comportamento in vita loro. Un atteggiamento assurdo, considerato che ognuno di loro aveva ottenuto la propria posizione grazie a Eddie, che era stato un attaccabrighe per eccellenza. Ma ora suo padre era morto, cosa che Matteo stentava ancora a credere. Tutta quella forza, quel potere e quella rabbia... andati. E lui ora avrebbe dovuto sottoporsi al giudizio del medico che quello stesso consiglio aveva ingaggiato a seguito del suo comportamento al funerale. Diversamente, avrebbe rischiato un voto di sfiducia.
Avrebbe anche potuto annullare la mozione, certo, ma sapeva bene come la compagnia si trovasse in un periodo di transizione. E se voleva dirigerla a dovere, diversamente da come aveva fatto il padre, che era invece sempre ricorso a bugie, intimidazioni e imbrogli, sarebbe dovuto partire con il piede giusto.
Soprattutto quando sapeva esattamente quali ulteriori rivelazioni sarebbero scaturite dal testamento dei genitori.
«Mia sorella è ingenua e si fida troppo delle persone» affermò Matteo conciso. «Non ha troppa esperienza del mondo, ancor meno riguardo alla natura degli uomini. Non sopporto chi si approfitta del suo lato buono.»
Sarina si mosse sulla sedia, fissandolo come se fosse una sorta di esperimento scientifico.
Non era il modo in cui le donne lo guardavano di solito e Matteo non riusciva a capire se questo gli piacesse o meno, specialmente quando non poteva fare a meno di notare quanto quel medico fosse attraente ai suoi occhi. Le gambe apparivano snelle e toniche, ed era fin troppo allettante immaginarsele strette sulle spalle mentre affondava dentro di lei...
Concentrati, ordinò a se stesso.
Sapeva fin troppo a proposito di quella donna per immaginare che non avrebbe mai tollerato una simile linea di pensiero. Sapeva come avesse costruito la propria carriera dal nulla e quanto fosse spietata, qualità che lui stesso possedeva e che di solito apprezzava negli altri. Un po' meno, forse, in quel particolare scenario, dove tutta quella ferocia era diretta contro di lui.
«Sembra che lei abbia appena visto un fantasma» affermò Sarina quasi distrattamente, ma Matteo sapeva bene come in quella donna non ci fosse nulla di distratto. «È così?»
«Ci sono fantasmi in ogni angolo della casa» replicò turbato. Ma non al pensiero dei fantasmi, piuttosto per la strana sensazione che lo aveva sopraffatto dopo il suggerimento che gli avevano sussurrato all'orecchio, vale a dire l'idea di aver già incontrato quella donna in precedenza, nonostante non fosse mai accaduto. «Le stanze sono gremite dei miei antenati. Sono certo che alcuni di loro si divertano a perseguitare gli ospiti, ma non posso dire che mi abbiano mai dato fastidio. Si senta libera di dormire qui, stanotte, e di verificare la loro presenza.»
«Io non credo ai fantasmi.» Inclinò la testa da un lato. «E lei?»
«Anche se fosse, non glielo direi. Non vorrei fallire il test.»
«Questo non è un test, signor Combe. È una conversazione, niente di più, e sono certa che lei capirà perché i suoi soci non vedano di buon occhio il genere di comportamento violento e antisociale che lei ha dimostrato al funerale.»
«Stavo solo proteggendo mia sorella...» borbottò Matteo.
«Si spieghi meglio.» Appoggiò un gomito sul bracciolo della sedia, poi si sfiorò la guancia con le sue lunghe ed eleganti dita.
E lui non avrebbe dovuto scoprirsi affascinato da quel movimento.
«Sua sorella è incinta di sei mesi e da quanto ho letto non è incapacitata in nessun modo. Le mie ricerche su Pia indicano che è una donna indipendente, tuttavia lei sente questo arcaico bisogno di lanciarsi in sua difesa. In un modo decisamente brutale.»
«Sì, sono alquanto arcaico.»
Matteo non aveva idea del perché quella parola lo avesse infiammato.
O forse erano soltanto quelle dita sulla guancia che gli facevano desiderare