Un rischio per due: Harmony Destiny
Di Kristi Gold
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Oltrepassate i cancelli della tenuta di Sant'Antonio, Texas, e scoprite gli amori osteggiati, le passioni estreme e le ambizioni sfrenate dei fratelli Calloway
Houston Calloway è un campione di rodeo, Jill Amherst è un medico che segue gli atleti, si conoscono da anni ma le loro strade si incrociano davvero quando Houston si fa male e torna a Sant'Antonio portando Jill con sé. Pur avendo tentato di reprimere la rovente attrazione che provano, i due si ritrovano ben presto a dover fare i conti con una passione sfrenata. Si può essere intrepidi campioni di rodeo ma non avere il coraggio di correre il pericolo di innamorarsi? Se a mettere in conto i rischi si è in due, però, forse una relazione appassionata può trasformarsi in un brillante futuro...
Kristi Gold
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Un rischio per due - Kristi Gold
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1
L'aria era sempre quella del cowboy carismatico abituato a incantare le folle, tuttavia la tempesta nei suoi occhi scuri diceva a Jillian Amherst che l'impavido campione di rodeo non era del tutto immune al dolore.
Quando Houston Calloway si presentò all'infermeria da campo, il cappello nero abbassato sulla fronte, da attenta fisioterapista e preparatrice atletica quale era, Jill notò subito lo strappo nei jeans appena al di sopra del ginocchio destro e la mano destra stretta attorno al polso sinistro, sotto il polsino della camicia rossa. Se non fosse stata una professionista esperta, avrebbe solo notato l'atteggiamento sicuro di sé, l'ombreggiatura scura dei baffi attorno alla bocca carnosa, il fisico prestante. E invece nulla sfuggì al suo occhio clinico.
Inoltre, essendo un membro dello staff medico che seguiva gli atleti nelle gare di rodeo, era abituata a curare i tipi come lui. O meglio, aveva già curato proprio lui, diverse volte.
Il popolare campione nazionale nella monta dei tori aveva collezionato trofei in tale quantità da riempire uno stadio di calcio, e insieme a essi una serie nutrita di infortuni. Per di più, aveva la tendenza a essere un paziente insofferente e poco collaborativo, un particolare che lei aveva faticosamente appreso negli ultimi due anni.
Jill ruotò sulla sedia girevole. «Che ti è successo, questa volta, Calloway?» gli domandò, aggrottando la fronte.
Lui avanzò verso il lettino e, senza che lei lo invitasse a farlo, vi si sdraiò. «Mi è rimasta la mano sinistra intrappolata nel lazo mentre cercavo di liberare quella destra, e mi sono beccato una cornata nella gamba. Per fortuna, mi sono scansato in tempo per evitare il peggio.»
Buon per te, pensò Jill mentre si alzava dalla sedia. «Non ricordo... non sei mancino, vero?»
«No.»
«È già qualcosa. Non è che hai battuto di nuovo la testa?»
Lui esibì un sorrisetto cinico. «Questa volta, no.»
«Uhm. Sicuro?»
«Certo.»
Jill era sempre piuttosto scettica quando si trattava di lui. Alzò un dito. «Segui il mio movimento senza girare la testa.»
«Te l'ho detto, non ho battuto la testa. Se non mi credi, chiedilo a Henry.»
Come se non sapesse che quelli della sua ghenga lo avrebbero coperto... Jill abbassò la mano, rassegnata, senza però staccare lo sguardo dal suo. «Va bene, per ora, ma ti tengo d'occhio. Hai già avuto due commozioni cerebrali... quelle che risultano a me, perlomeno. Chissà quante altre volte sarai caduto picchiando la testa.»
Così dicendo si guadagnò un'occhiataccia da parte dello scontroso cowboy.
«Perché continui a darmi il tormento, Jilly?»
Solo a una persona aveva concesso di chiamarla con quel nomignolo... Jilly e Millie, le due amiche del cuore, sempre insieme, inseparabili. E lo strazio di quella perdita era ancora vivo dentro di lei. Scacciò i ricordi dolorosi e finse una risoluta compostezza. «Lo sai che mi innervosisco quando mi chiamano così.»
Lui ebbe la sfacciataggine di sorridere. «Se vuoi, puoi chiamarmi anche tu con uno dei miei soprannomi. A me non dà fastidio.»
«Ti va bene Calloway lo Spaccone?»
Houston si sfregò la mascella. «Uh... preferirei il Bello.»
«Che ne dici di Calloway il Folle?»
«Non sai quante volte me lo sono sentito dire. Meglio il Seduttore.»
Sarebbero potuti andare avanti all'infinito se lei non ci avesse dato un taglio. Jill riprese i panni del medico scrupoloso e infilò un paio di guanti di lattice, poi si avvicinò al lettino per esaminare la ferita sotto i jeans lacerati.
«Sei stato fortunato. La tela robusta ti ha protetto. Il taglio è superficiale. Nulla che non si possa curare con un po' di antisettico e una benda. Fammi dare un'occhiata al polso, piuttosto.»
Lui stese lentamente il braccio. «Probabilmente è solo una distorsione articolare» mugugnò.
Jill esercitò una leggera pressione sul punto del palmo al di sotto del pollice e lui emise immediatamente una sfilza di imprecazioni.
«Detesto farmi portavoce di brutte notizie, ma secondo me hai una lesione dello scafoide. È necessaria una radiografia per confermare il mio sospetto.»
«Non ho tempo da perdere dietro a una lesione.»
Lei si strinse nelle spalle.
«Lo dovrai trovare se la mia diagnosi è corretta.»
Houston corrugò la fronte. «Me lo quantifichi?»
Jill allungò una mano dietro di sé per prendere del disinfettante. «Sarà un ortopedico a stabilirlo.»
«Più o meno...»
«Nella peggiore delle ipotesi, sei mesi» rispose, mentre disinfettava la ferita e la copriva con un cerotto.
Un lampo di sorpresa, seguito da un guizzo di rabbia gli attraversò gli occhi.
«Se sto fermo anche solo tre mesi, posso dire addio alla finale di dicembre.»
Non era mai sazio di vincere, come lo erano d'altronde tutti i cowboy con cui lei aveva avuto a che fare. «Se non accetti di curarti come si deve, potresti andare incontro a delle complicazioni.»
Lui emise un sospiro roco. «Peggio di così...»
Forse non si rendeva conto della gravità della situazione. «Se torni a cavalcare prima che la frattura si ricomponga, rischi la lacerazione del tendine.»
«Ehi, si tratta della mano sinistra. Devo solo tenerla in alto per l'equilibrio.»
«E se dovessi perderlo, rischi di cadere di nuovo e peggiorare la situazione. Ipotesi nient'affatto remota quando ci si ostina a stare in groppa a un animale indomito. C'è qualcuno che può accompagnarti in ospedale?»
Houston si stropicciò la fronte con aria sempre più avvilita.
«Mio fratello era qui, a un certo punto, però, l'ho visto andar via con una tipa.»
«Chi?»
«E che cosa vuoi che ne sappia! Ne cambia una al giorno» commentò con un'espressione disgustata.
Lei sorrise mentre si sfilava i guanti di lattice e li gettava nel cestino. «Mi riferivo a tuo fratello.»
«Ah, vuoi sapere quale dei miei fratelli era qui? Tyler.»
A Jill era capitato, una volta o due, di curarlo. Lui, a differenza di Houston, era sempre stato gentile e accomodante. «Sono sicura che se gli dai un colpo di telefono...»
«Gli ho già parlato prima che iniziassi a gareggiare. Mi ha detto di cercarmi un passaggio per il ritorno e che ci saremmo visti domattina in albergo.»
«Prova a richiamarlo.»
«Già fatto ed è scattata la segreteria telefonica. È chiaro che ha da fare. E penso che ne avrà per tutta la notte.»
«Non ti resta che chiedere a uno dei tuoi aiutanti di darti uno strappo.»
Houston scivolò giù dal lettino, brontolando. «Sono stato l'ultimo a scendere in campo, per cui penso che se ne siano già andati tutti. E me ne sarei andato anch'io se Henry non avesse insistito affinché venissi a farmi vedere da te. Ho sbagliato. Avrei dovuto chiamare il mio medico da casa.»
A quel punto, a Jill venne in mente un altro nomignolo adatto a lui... Houston lo Stupido.
«Il viaggio da Fort Worth fino al sud del Texas è lungo. Lo sai benissimo che bisogna farsi visitare subito, dopo una caduta.» Jill rifletté qualche istante, poi aggiunse: «Bene, facciamo una cosa. Ti accompagno io in ospedale, poi, se si tratta di una semplice distorsione, come spero, potrai gongolare nel dirmi Te l'avevo detto, e dopo che ti avranno fatto tutti gli esami, ti riporto in albergo».
Lui assunse un'aria perplessa. «Perché ti prenderesti tutto questo fastidio per me?»
«Dovere professionale.»
«Non c'è nessuno che ti aspetta a casa?»
«No. Stasera non avrei nulla di meglio da fare che fermarmi da qualche parte a comprare qualcosa da mangiare prima di ritirarmi in albergo.» Subito dopo aver condiviso con lui il suo programma per la serata, si rese conto di aver fornito di sé un'immagine decisamente triste.
Houston rimase in silenzio a riflettere qualche istante, poi esibì un sorriso genuino, e non sarcastico come al suo solito. «Allora, grazie. Vorrà dire che mi sdebiterò offrendoti una ricca colazione, domattina, perché mi sa tanto che la faccenda andrà per le lunghe in ospedale.»
Jill sperava proprio di no. L'idea di trascorrere la notte in una sala d'aspetto con uno scontroso cowboy non le sembrava il massimo.
Alle cinque del mattino, polso e pollice ingessati, Houston oltrepassava le doppie porte dell'ospedale, al seguito di Jill e si dirigeva con lei verso l'auto parcheggiata nello spiazzo antistante l'edificio.
Mentre le camminava dietro, a qualche passo di distanza, si rese conto di non essersi mai soffermato a osservarla da quella prospettiva. Notava per la prima volta che era di statura superiore alla media, che aveva una folta massa di capelli di un lucente castano ramato e un modo di incedere sinuoso ed elegante. Non si era inoltre mai accorto, prima di quel momento, che fosse dotata di un fondoschiena da urlo che riempiva magnificamente i jeans attillati.
Aveva, però, in più di un'occasione sperimentato il luccichio spazientito nei suoi occhi verdi, ogni qualvolta lui si ostinava a sostenere di non aver bisogno delle sue attenzioni. Altroché se ne aveva bisogno in quel momento...
Smettila, Calloway.
Non era autorizzato a sbavare dietro a un membro dello staff medico, anche se nella fattispecie si trattava di una gran bella donna.
Una volta raggiunta l'utilitaria di Jill, una vera scatoletta di sardine, talmente era piccola, Houston dovette rannicchiarsi tutto per entrare. E il polso ingessato non gli fu di aiuto.
Jill prese posto al volante e avviò il motore. «Dove mi dirigo?» gli chiese.
«Che ne dici di andare a mangiare un boccone?»
«Sono troppo stanca» rispose, sbirciandolo.
«Io, invece, ho una fame da lupi. E poi, avevo promesso di offrirti la colazione, no?»
«Magari un'altra volta.»
Il fatto era che Houston non aveva voglia di rinunciare alla sua compagnia.
«So che muori dalla voglia di dirmi Te l'avevo detto, e potrai farlo davanti a un caffè.»
«Ne ho già ingurgitati quattro nelle ultime cinque ore.»
«Immagino, quindi, che con tutta quella caffeina in corpo, non ti addormenterai per un bel po'.»
Lei ruotò sul sedile nella sua direzione. «Di rado ho conosciuto uno più insistente di te.»
«Chi la dura la vince, no?» Houston provò con un sorriso. «Dai, vieni con me. Ti prometto che mangio in fretta e parlo poco.»
Jill inserì la retromarcia e guidò piano l'auto fuori del parcheggio.
«E va bene. Però, andiamo a mangiare nella trattoria accanto al mio albergo.»
«Dov'è che alloggi?»
«Dove alloggiano tutti quelli che vengono a vedere il campionato di rodeo.»
«Al Buckout Inn?»
«E dove, se no?»
Proprio non se la immaginava una come lei in mezzo a una moltitudine di grezzi cowboy. «Anch'io dormo lì.»
«Niente albergo a cinque stelle?»
Lui distese le gambe per quel poco che l'angusto spazio gli consentiva. «Macché. Sono un tipo alla mano, sai.»
«Un tipo alla mano che si muove su un aereo privato.»
«Che ci posso fare? È di proprietà del ranch di famiglia. Di tanto in tanto, ne faccio uso anch'io.»
Lei gli indirizzò un sorrisetto scettico prima di concentrarsi